8.8.21

non tutti che hanno fatto il green pass falso sono imbeccilli e no green pass


  sul    gruppo    fb   : adotta   anche tu  un analfabeta   funzionale  gruppo   che  fa   le pulci  agli analfabeti   funzionali  o ai  creduloni  acritici   , ho  trovato     questo post    di  


Amico dei segreti dell'internet, cacciatore dei misteri di potenti organizzazioni, detective degli intrighi internazionali..... hai comprato alla modica cifra di 400 euro un greenpass tarocco dal primo canale telegram che te lo proponeva ? È dura, lo so .... ti credevi V per Vendetta ed invece ti scopri Furio che telefona all'Aci.Mi raccomando... ora prodigati in mille consulenze legali da parte di sedicenti avvocati che ti diranno quanto è incostituzionale tutto questo... tanto siamo sempre a tempo a trovare un'alchimista sul deep web che ti trasforma le grondaie di rame in oro!


  e questa interessante  discussione  

Sandra Basilischi
Ma bravi, prima si fanno fregare 300 euro, poi si ritroveranno finanziamenti a gogò da pagare, visto che lasciano copia di carta di identità e tessera sanitaria a chissà chi.

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Biagio Maestri
Sandra Basilischi stavo pensando la stessa cosa. Questi sono quelli che non vogliono essere controllati dal microchip di bill gates e poi danno tutti i documenti ad uno sconosciuto su telegram.·

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Andrea Zacchello
Sandra Basilischi infatti con quei documenti apri linee telefoniche, finanziamenti ect ....·
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Luigi Patitucci
Andrea Zacchello se ti va bene. Immagina se questi dati finissero in mano a criminali seri (cosa più che probabile se finissero nel deep web)·
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Sandra Basilischi
Per non parlare dei casi in cui ti ritrovi amministratore di millemila società


  vero  . però qui   non  ci soi  domanda   se ad aver acquistato il green pass taroccato fossero anche coloro che per infida burocrazia e leggi fatte ad ninchiam che rendendo complicatissimo ottenerlo peggio.del lascia passare A38 di Asterix una la scena pr chi non lo ricorda



non riescono ad ottenerlo ?

7.8.21

storie olimpiche parte 7 ( BIS )

erano talmente tante ler  stoprie   che  ho preferito di dividerle  in  due post 

Fausto Eseosa Desalu, dai primati non registrati alla cittadinanza a 18 anni fino alla favola delle Olimpiadi

di Marco Bonarrigo

Nato nel 1994 a Casalmaggiore (Cremona) da genitori nigeriani, Faustino è il classico italiano di seconda generazione. Ha cominciato col calcio ma a 17 anni è stato reclutato nell’Interflumina di Casalmaggiore

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(Getty Images)

Per diventare cittadino italiano, Eseosa Faustine Desalu, per tutti Faustino, quello che dei quattro eroi della staffetta olimpica azzurra si è fatto carico dell’ultima curva, ha dovuto aspettare di compiere 18 anni. Nato nel 1994 a Casalmaggiore (Cremona) da genitori nigeriani, Faustino è il classico italiano di seconda generazione.

Ha cominciato col calcio ma a 17 anni è stato reclutato nell’Interflumina di Casalmaggiore, una società di atletica che come molte altre in Italia è molto attenta a valorizzare quel gran bacino di talenti rappresentato dai giovani figli di immigrati. Quando nel 2011 stabilisce il nuovo primato allievi dei 60 ostacoli, questo non può essere convalidato perché Faustino non ha ancora il nostro passaporto. Successo dopo successo arrivano la cittadinanza, il reclutamento nelle Fiamme Gialle e una carriera di velocista che - curiosamente - è imperniata quasi esclusivamente sui 200 metri.

Faustino è veloce ma, soprattutto, è velocissimo in curva dove riesce a mantenere un equilibrio perfetto. Il suo 20”13 sui 200 (risale al 2018, poi qualche problema ai muscoli, purtroppo fragili, l’ha frenato) è il secondo tempo di sempre dopo il leggendario 19”72 di Pietro Mennea. Desalu si allena tra Bologna, Catania e Ortisei, ama il rock, i disegni manga e le clip di animazione.

Oltre alla sua superba prestazione in staffetta, di Desalu ha colpito il comportamento di mamma Veronica, l’unica tra i parenti dei nostri medagliati che ha rinunciato alle varie sfilate televisive in diretta. «Lavoro come badante - ha detto - e non voglio disturbare la signora che assisto. Ho visto con lei la gara e ci siamo commosse assieme e poi ci siamo divise una torta che ha portato sua figlia. E’ stato un bellissimo pomeriggio». 



  infatti  







«Vorrei dei nipoti da lui, così io potrò tornare in Africa dalla mia famiglia e riposarmi»
di Claudio Del Frate e Raffaele Rastelli / CorriereTv




Parla Veronica Desalu, la madre della medaglia d’oro nella 4x100 Eseosa «Fausto» Desalu, raggiunta nella casa dove vive con il figlio a Casalmaggiore (Cremona): «È sempre stato un bambino educato, che mi ascoltava. Fin da piccolo anziché camminare, correva sempre». E ancora: «Da mio figlio vorrei dei nipoti, così potrò tornare in Africa, dalla mia famiglia, e riposarmi. Sono orgogliosa di lui, prima di tutto gli ho insegnato il rispetto. E poi gli ho insegnato che i soldi vanno guadagnati in modo autonomo». Venerdì 6 agosto, nel corso del programma «Il circolo degli anelli» (Rai Due), la donna ha fatto sapere che non sarebbe andata in collegamento tv perché doveva lavorare come badante. Venendo a conoscenza di questo episodio il figlio si è commosso durante un’intervista rilasciata al «Corriere» a Casa Italia: «Mia madre? Mi sdebiterò con lei, mi ha insegnato i valori della vita».
C’è anche questa normalità, questa storia, questa straordinaria lezione di dignità, nella vittoria di ieri. Un frammento dell’Italia più bella come dice Lorenzo Tosa .



Paltrinieri e le Olimpiadi: si fa la storia anche senza vincere l’oro



di Luca Gelmini, inviato a Tokyo

La fatica, la sofferenza e il sacrificio di un campione valgono di più della medaglia. Una lezione che Greg condivide anche con l’amico Tamberi



Si fa la storia anche senza vincere l’oro. Gregorio Paltrinieri è l’atleta al quale la frase si addice di più. Per lui sono state usate espressioni come «impresa titanica», «miracolo», «gigante» e non accade spesso di riservarle a chi non finisce sul gradino più alto del podio. A lui invece è capitato.
L’ultima fatica rimarrà impressa per parecchio. La 10 km di fondo è un percorso di guerra, un’ultramaratona in mezzo ai pesci che volano. L’aggettivo più azzeccato per definirla è «brutale». SuperGreg ne è uscito con le ossa rotte, il ghigno stremato, il fisicone prosciugato perché all’«ultimo giro ero morto». Uno normale, con tutto quello che ha passato, la pianterebbe lì e invece lui si è affrettato a far sapere che è la disciplina che lo esalta di più. Perché Greg non è un velocista, semmai un passista. Esce alla lunga distanza, in acqua e fuori dall’acqua. A volte sembra cibarsi della sofferenza che patisce. Il piacere della sfacchinata, il senso del dovere.Non è un caso che un altro «doverista» (per dirla alla Dino Buzzati) come Tamberi lo indichi a modello. Nella bolla del villaggio olimpico Greg e Gimbo non hanno giocato alla Playstation. Si sono chiusi in camera per ore a parlare di ansie e riscatto, del dolore fisico che non passa. «È la persona alla quale voglio più bene, c’è solo da imparare», ha spiegato Tamberi. Che destino poi ha voluto abbia vinto un oro ex aequo, come dire che un po’ di fortuna a lui è tornata indietro. A Greg il fato ha riservato altro: un lungo cammino nel sacrificio. Ha preparato l’Olimpiade in condizioni impossibili. Ha saltato quasi un mese di allenamenti per la mononucleosi. Chiude portandosi a casa un argento in piscina e un bronzo nelle «acque libere». Era venuto a Tokyo per vincere tre ori e alla fine ne ha vinto uno. Quello della fatica, che vale di più.

Nonno Savino è malato e non può andare al matrimonio del nipote: lo va a trovare lui insieme alla sposa

Nonno Savino è malato e non può andare al matrimonio del nipote: lo va a trovare lui insieme alla sposa

di Alessandro Vinci

È accaduto mercoledì in un hospice di Minervino Murge (Bat). La lettera dei due: «Per sentirti vicino ci è bastato sapere che avresti lottato con tutte le tue forze per poter arrivare a questo giorno». Boom di «Like» sui social

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Nonno Savino avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere presente al matrimonio del nipote, suo omonimo, con l’amata Maria. Sta però combattendo contro una grave malattia che lo tiene bloccato all’interno dell’hospice Karol Wojtyla di Minervino Murge, in provincia di Barletta-Andria-Trani. Conscio del desiderio dell’uomo, che pareva destinato a non essere esaudito, lo sposo si è quindi avvalso dell’aiuto degli operatori della cooperativa che gestisce la struttura per organizzargli una sorpresa indimenticabile. Senza apparente motivo l’anziano è stato quindi trasferito in una stanza con una grande porta finestra che si affaccia su un giardino interno. E proprio da lì, appena dopo la cerimonia, mercoledì ha visto fare capolino marito e moglie: il nipote in completo blu e papillon, Maria in abito bianco con tanto di velo. A immortalare il momento, alcuni scatti pubblicati il giorno dopo su Facebook dalla Asl provinciale.

Vista la fragilità della salute del nonno, per chiare ragioni precauzionali anti Covid-19 l’incontro si è svolto nel segno del più rigoroso distanziamento sociale. Anche per questo i neo consorti hanno voluto lasciargli una lettera scritta a quattro mani: «Ciao nonno, alla fine ce l’hai fatta – si legge –, volevi esserci a ogni costo e, in qualche modo, anche se non come speravamo, ci sei riuscito; Hai mantenuto la promessa e ci hai fatto il regalo più bello che potessi farci: esserci! Perché, anche se non fisicamente, per sentirti vicino ci è bastato sapere che avresti lottato con tutte le tue forze per poter arrivare a questo giorno. Il nostro più sentito pensiero va a te nonno!».Come prevedibile, il post ha fatto il pieno di «Like» e condivisioni. Numerosissimi anche i commenti, tra i quali si legge per esempio: «Un inchino a chi ha permesso che tutto ciò avvenisse», «Complimenti, questo si chiama “rispetto”» e «Ho il nodo in gola e gli occhi lucidi: i nonni sono la più grande ricchezza e uno dei doni più belli della nostra vita». Naturalmente però ad aver provato le emozioni più forti è stato nonno Savino: facile immaginare quanto gli abbia fatto piacere entrare a far parte, seppur dal letto di un hospice, del giorno più bello della vita del nipote. Un legame fortissimo ora rinsaldatosi ulteriormente

Torino, padre rifiuta la figlia anoressica: «Sei un mostro, fai impressione». Il giudice: «Per lei una vita penosa»


   dobbiamo smettere   di considerare    slo ed  esclusivamente   il femmicidio    nel significato  principale  cioè 

Il termine femminicidio (più raramente chiamato anche femmicidio o femicidio) è un neologismo che identifica i casi di omicidio doloso o preterintenzionale ...  

Ma   di usare      il   quelo  esteso    ovvero  

Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. 

 
 Infatti   dal  https://torino.corriere.it/cronaca/    del  6\8\2021

                               di Simona Lorenzetti  

Torino, rifiuta la figlia anoressica: «Sei un mostro, fai impressione». Il giudice: «Per lei una vita penosa»



L'uomo, 65 anni, è stato condannato a 2 anni e 6 mesi per maltrattamenti. Per il Tribunale ha «infierito psicologicamente sulla difficile patologia con comportamenti incuranti»
Stravedeva per suo padre e avrebbe fatto di tutto per «rimanere la sua bambina». Nel 2008 ha 16 anni quando si ammala di anoressia. Il suo corpo si trasforma, fino a pesare 35 chili. Lui continua a rifiutarla, a dirle che è «pazza». Per anni le infligge «costanti sofferenze e mortificazioni». Quando lei si avvicina per abbracciarlo, lui l’allontana: «Sei un mostro». La spinge via, rinfacciandole di essere troppo magra: «Fai impressione». Allo stesso tempo, non esita a sfruttare l’amore incondizionato che la giovane ha nei suoi confronti «per chiederle favori». Sa che lei farebbe di tutto «per compiacerlo». Atteggiamenti, questi, che per il Tribunale di Torino configurano il reato di maltrattamenti. L’uomo, un torinese di 65 anni, è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Non solo ha infierito contro la figlia anoressica, ma anche contro la moglie: vittima di abusi psicologici e fisici.
È stata la donna, nel 2019, a denunciarlo ai carabinieri. Una decisione non facile, condivisa dalla figlia maggiore di 29 anni, l’unica capace di tenere testa a un padre aggressivo e con problemi di alcol. Il giorno in cui tutto cambia è il 30 giugno. L’uomo, che da qualche mese è tornato a vivere dalla madre, si presenta nella casa coniugale. Ha con sé una pistola, la punta contro la moglie e contro se stesso. Poi se ne va chiudendo la donna e la figlia maggiore nell’alloggio. Loro chiamano i carabinieri e lui viene arrestato per porto abusivo di arma. Emerge quindi che mesi prima la moglie lo aveva denunciato, dopo essere finita in ospedale perché lui l’aveva aggredita. Le indagini del pm Marco Sanini portano alla luce quello che ora il giudice definisce «un regime di vita particolarmente penoso, caratterizzato da notevoli sofferenze morali e fisiche».
In aula, la moglie e le figlie di 29 e 27 anni raccontano dieci anni di umiliazioni. Raccontano di un padre prevaricatore, incapace di confrontarsi in famiglia. Di un uomo che si nascondeva dietro a bugie e menzogne e che aveva portato tutti sul lastrico. A patire è soprattutto la figlia minore. Quando lei raggiunge la pubertà, lui le rimprovera di «non essere più la sua bambina» e la deride «per il peso eccessivo». La ragazza si ammala di anoressia. Il padre nega la patologia. Rifiuta l’incontro con medici e psicologi, sostenendo che sono «deficienti e incapaci». E alla figlia ripete: «fai schifo», «sei un mostro».
«Volevo spronarla a reagire», dirà l’uomo per giustificarsi. Per il giudice, che lo ha condannato,«ha agito con la consapevolezza di imporre alla moglie e alla figlia un regime di vita che le stesse non potevano sopportare». E in particolare alla ragazza, «infierendo psicologicamente sulla difficile patologia con comportamenti incuranti e improntati a moventi egoistici e approfittatori».

Lo straordinario ingegnere di Ittiri: non sente ma progetta il sound perfetto

 non racconto  come  leggerete  dal  post  d'oggi  ,  le  storie      delle    olimpiadi    , ma   anche altre storie 

Lo straordinario ingegnere di Ittiri: non sente ma progetta il sound perfetto

La scommessa vinta di Salvatore Ruiu e del team sassarese di Abinsula



LUCA FIORI   06 AGOSTO 2021 la  nuova  sardegna  






SASSARI. Quando a pochi anni di vita i medici gli hanno diagnosticato una sordità bilaterale profonda, la cui causa è ancora sconosciuta, i suoi genitori non si sono persi d’animo come sarebbe stato normale, ma hanno deciso che il loro bambino doveva comunque avere le chance di tutti i suoi coetanei. Così, grazie alla caparbietà di papà Luigi e mamma Baingia che hanno scommesso su di lui - e alle tante, tantissime ore di logopedia - Salvatore Ruiu, 35 anni, ingegnere informatico di Ittiri, con una laurea conseguita al Politecnico di Torino, ha superato difficoltà e diffidenze e quello che fa oggi è la prova che con la forza di volontà si può superare qualsiasi ostacolo. «Anche la sordità - spiega l’ingegnere, sposato e padre di una bambina - perché oggi, grazie al progresso e alle nuovissime tecnologie, anche una persona sorda è in grado di condurre una vita normale». Ma quello che fa l’ingegnere ittirese è molto di più di qualcosa di normale. Team leader all’interno dell’azienda sassarese Abinsula (l’azienda fondata nel 2012 e ora proiettata nel mercato globale), Salvatore Ruiu subito dopo aver conseguito la laurea in ingegneria informatica si è specializzato nel settore dell’automotive. «Non avrei mai pensato però - spiega l'ingegnere - che il mio primo progetto come sviluppatore di sistemi “embedded” fosse proprio legato alla programmazione di un processore audio digitale di un sistema infotainment per una grossa azienda automobilistica tedesca».

Articolo completo e altri servizi nel giornale in edicola e nella sua versione digitale

storie olimpiche parte 7 La classe operaia va alle Olimpiadi, L'arbitra italiana della lotta che gli iraniani non volevano: "Mi dicevano: sei una donna" , e altre storie





Favola Yassine, il metalmeccanico cerca gloria nella maratonadal nostro inviato Ettore Livini


Originario del Marocco, 39 anni, lavora ancora in fabbrica - la Fornovo Gas di Traversetolo - e a forza di allenamenti in pausa pranzo "in tuta da lavoro perché i miei colleghi non se ne accorgessero" è arrivato di corsa in Giappone
              
                     06 AGOSTO 2021 



La classe operaia va alle Olimpiadi. E cala il jolly del maratoneta per caso - il metalmeccanico (in aspettativa) Yassine el Fathaoui - per lanciare la sfida a Eliud Kipchoge & C. sui 42 chilometri della gara simbolo dei Giochi. Il 39enne originario del Marocco diventato italiano nel 2013 ("dopo 15 anni di contributi versati e dieci di residenza", ripete sempre orgoglioso lui) è il marziano - e la variabile impazzita - della spedizione azzurra a Sapporo. A 24 anni lavorava in una fabbrica di macchine per imbottigliamento, giochicchiava a calcio nella squadra del paese e non aveva mai corso nemmeno una non-competitiva di quartiere. Oggi lavora ancora in fabbrica - la Fornovo Gas di Traversetolo - e a forza di allenamenti in pausa pranzo "in tuta da lavoro perché i miei colleghi non se ne accorgessero" è arrivato di corsa in Giappone. Con un primato personale - 2h10'10 a Siviglia nel 2020 - che per il suo allenatore Giorgio Reggiani "è il vero record mondiale di maratona" e con intenzioni tutt'altro che decoubertiniane: "Arrivare nei primi dieci ed essere il primo degli italiani", predica da mesi con forte accento di Parma.
Il sogno olimpico di el Fathaoui inizia da zero nel 2006: "Eravamo colleghi - racconta Luca Bragazzi, corridore amatoriale del Traversetolo running club e suo "scopritore" - . Lui giocava a calcio a Bazzano. Non un granché con i piedi, mi raccontava il suo allenatore, ma un fiato pazzesco". El Fathaoui aveva 24 anni. Troppo vecchio - dicono i manuali - per sfondare nel pallone e in qualsiasi sport. "Una domenica però - racconta Bragazzi - a furia di insistere sono riuscito a convincerlo a fare con me e mia moglie il "giro della chiesa"". Dieci chilometri, un classico dei podisti da week-end della zona. Risultato: "Alla fine noi eravamo morti e lui giocava con i sassi senza un filo di fiatone".
Sapporo e i Giochi sono ancora lontani. Yassine si fa convincere da Luca a partecipare a qualche campestre "attirato più che altro dalle forme di parmigiano che davano come premio", ride Bragazzi. L'esordio alla prima non-competitiva non è un granché, - "sono arrivato nei primi cento", è il ricordo di Yassine - ma una gara alla volta la passione per la corsa gli entra nel sangue. Nel 2011, convinto dai suoi compagni di allenamento del Cus Parma, si iscrive alla Collermar-athon di Fano, 42 chilometri di saliscendi dai colli al mare. Per lui è divertimento puro Si accoda in partenza al gruppetto di Giorgio Calacaterra, il re delle ultramaratone italiane, tanto per vedere che effetto che fa. A sorpresa tiene il ritmo. Anzi, al trentesimo km. scatta, saluta la compagnia e va a chiudere a 2h29'.
El Fathaoui ha 29 anni. Troppi, dicono tutte le persone di buon senso, per pensare a un futuro nella maratona. Nel caso ci fossero dei dubbi, due infortuni lo inchiodano ai box per due anni. "Ma io sono un metalmeccanico che si impegna e dà credito alle sue possibilità" è il suo mantra. Si cura, si allena con la solita routine: otto ore in fabbrica alla Fornovo gas - "dove è uno dei migliori operai che abbiamo", come ha riconosciuto Ferdinando Bauzone, titolare dell'impresa - qualche allenamento in pausa pranzo ("una volta con gli scarponi da lavoro perché mi ero dimenticato le scarpette da corsa!") e altre due ore di pratica la sera dopo aver timbrato il cartellino.
Gli anni avanzano ma i tempi continuano a migliorare. Fino alla svolta, il 21 settembre 2019, alla Maratona di Berlino. "Mi sono iscritto perché ci andavano i miei amici", minimizza lui, reduce da due settimane di ferie rubate alla famiglia (moglie e figlia) per un ritiro in altura a Predazzo. Sarà. Parte, si sente bene. A un certo punto guarda il cronometro della macchina apripista che mostra la proiezione del tempi finale: 2 ore e 9 minuti. "Un po' mi vergognavo di stare lì", ha raccontato. Ma c'è. Tempo finale 2.11'08. Minimo olimpico.
Che fare? L'operaio El Fathaoui è preoccupato. I Giochi sono un sogno. Ma per Tokyo bisogna allenarsi. "Lui è un gran faticatore e non si tira mai indietro", dice Bragazzi. Ma per allenarsi serve tempo. E lui non può permettersi di perdere lo stipendio. Per fortuna la Fornovo gas è una famiglia: "L'ho visto allenarsi in ogni stagione e con qualsiasi tempo e non ha mai lasciato niente indietro sul lavoro", dice Bauzone. Detto, fatto. Arriva l'aspettativa. Sei mesi che ormai, complici pandemia e rinvio delle Olimpiadi, sono diventati due anni. "Ma non c'è problema. Quando avrà finito tornerà a lavorare - gli ha garantito Bauzone -. E' un onore aiutarlo. Lui rappresenta i nostri sogni che si realizzano". E' vero. E dopodomani, comunque vada El Fathaoui a Sapporo, sarà un successo. Poi il maratoneta per caso tornerà a lavorare in fabbrica.

Olimpiadi, pentathlon femminile, l’allenatrice tedesca picchia il cavallo che non salta: espulsa dai Giochi

di Flavio Vanetti

Anche in Germania, dove è molto alta la sensibilità nei confronti degli animali, è scoppiato un pandemonio

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Tu non salti? E io ti picchio. E’ scoppiato un caso nel pentathlon moderno e a farci le spese è stata l’allenatrice tedesca Kim Raisner, ex campionessa del mondo e d’Europa: ha percosso un cavallo, nella prova olimpica del 6 agosto, e ha invitato la sua cavallerizza impegnata in gara a fare altrettanto. Così è stata espulsa con effetto immediato dai Giochi e non ha potuto svolgere le sue funzioni nella competizione maschile: appena arrivata al Tokyo Olympics, lo stadio olimpico di Komazawa che fu il fulcro dei Giochi del 1964, alla Raisner è stato notificato che «era fuori», come avrebbe detto Donald Trump nel reality show «The Apprentice».
La fregatura della 48enne ex campionessa è stata anche che, in uno stadio senza spettatori, si sente tutto: quindi le sue urla e i suoi isterici incitamenti sono stati ben uditi in Tv; e in Germania, dove è molto alta la sensibilità nei confronti degli animali, è scoppiato un pandemonio. Sono fioccate le telefonate di protesta e l’’Uipm, la federazione internazionale di questa disciplina, ha dovuto prendere provvedimenti. La vicenda si lega anche al regolamento olimpico del pentathlon moderno: i concorrenti nella fase di salto non usano il proprio cavallo, quello con cui si allenano, ma ne devono montare uno estratto a sorte. Ciascun cavallerizzo ha a disposizione 20 minuti per prendere confidenza con l’animale e fare riscaldamento. Annika Schleu, l’allieva della Raisner, aveva avuto in sorte Saint Boy. Ma fin dall’inizio si è capito che il cavallo non era docile e che si comportava male, soprattutto quando si trattava di saltare. La Schleu stava andando bene ed era nelle prime posizioni. Ma domare Saint Boy stava diventando sempre più improbo: a ogni salto mancato aumentavano il suo nervosismo e la sua frustrazione. Non ce l’ha fatta più: lacrime di disperazione sul suo volto e un urlo disperato riecheggiato nello stadio vuoto. E’ a quel punto che l’allenatrice è intervenuta picchiando l’animale su una gamba posteriore e invitando la Schleu a farlo a sua volta senza esitazione. «Colpiscilo, colpiscilo: ma fallo per davvero» le ha gridato. Il suggerimento non è servito a nulla sul piano concreto: la Schleu ha visto solo aumentare il suo disagio, Saint Boy si è innervosito ancora di più e l’allenatrice ha rimediato il cartellino nero.Per la cronaca, una situazione analoga l’hanno vissuta altre due concorrenti, l’ungherese Michelle Gulyas e l’irlandese Natalya Coyle. Ma entrambe si sono ben guardate di imitare i tedeschi. Il capo squadra della Germania ai Giochi, Alfons Hoermann, ha ufficializzato che la Kaisner era stata cacciata e che non aveva diritto ad alcuna giustificazione: «Siamo stati tutti d’accordo sulla sua esclusione, certe cose non devono verificarsi». Non tutto il male viene però per nuocere. Questa vicenda, infatti, servirà a cambiare qualcosa. Proprio Hoermann ha infatti invitato l’Uipm a rivedere l’incidente e a trarre conclusioni «nell’ottica di migliorare le competizioni di pentathlon: bisogna tutelare di sicuro il benessere dei cavalli, ma anche fare in modo che gli atleti possano competere in modo equo».



unione  sarda 

Le calciatrici Usa terze a Tokyo. Trump: “Perché sono maniache di sinistra”

L'ex presidente attacca la nazionale, “colpevole” di tante battaglie sociali

                                                                  Megan Rapinoe 

Le calciatrici Usa terze a Tokyo. Trump: ““Maniache della sinistra radicale" L'ex presidente attacca la nazionale, “colpevole” di tante battaglie sociali Donald Trump attacca la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti arrivata “solo” terza alle Olimpiadi di Tokyo.L'ex presidente americano ha una sua teoria personale sul perché del gradino più basso del podio di una squadra che a lungo ha dominato la scena mondiale del calcio femminile. Le ragazze della nazionale, secondo lui, se non fossero così impegnate socialmente avrebbero ottenuto risultati migliori.Megan Rapinoe e compagne si sono sempre battute contro le ingiustizie sociali e le discriminazioni salariali tra uomini e donne, anche nello sport. "Questo porta ad essere destinate a perdere, ad essere perdenti" , incalza Trump.Nel 2019 la squadra campione del mondo si rifiutò di accettare il suo invito alla Casa Bianca.

L'arbitra italiana della lotta che gli iraniani non volevano: "Mi dicevano: sei una donna"dal nostro inviato Mattia Chiusano
Edit Dozsa (foto Emanuele Di Feliciantonio)

 
Nel torneo olimpico una direttice di gara internazionale, Edit Dozsa, di origine ungherese, genovese di adozione ed ex suocera di Chamizo: "Ho avuto problemi in passato, ma ora anche gli atleti di paesi islamici mi rispettano, hanno capito che sono qui per aiutarli. Nonostante le direttive del Cio questo resta uno sport maschilista, siamo solo 4 arbitri donna su 43”


06 AGOSTO 2021 



TOKYO - Nei tornei di lotta che si stanno disputando in questi giorni alla Makuhari Messe, anche in quelli in cui l'Italia non si è qualificata, l'Italia c'è. Nel centro dell'azione, a un passo dal tappeto dove si scaricano trazioni spaventose sui corpi di lottatori e lottatrici. Arbitrati con piglio deciso da una signora che si chiama Edit Dozsa, nata ungherese ma padrona ormai di una cadenza ligure da far invidia a un genovese. Ma niente a che vedere con le donne arbitro del calcio: in passato c'è chi Edit non la voleva. Non perché fosse incapace, anzi: ma perché è una donna.

Uno degli incontri arbitrati da Edit Dozsa a Tokyo: la tunisina Zaineb Sghaier contro la turca Yasemin Adar (reuters)



Cosa la ha portata da Budapest all'Italia, e da Genova a Tokyo?
"E ancora prima, ad arbitrare alle Olimpiadi di Pechino 2008 e a essere istruttrice arbitrale a Rio 2016? È stato mio marito Lucio Caneva, che portò i ragazzi che allenava in Ungheria dove io ero un'atleta. Un amore nato grazie alla lotta. Abbiamo due figli, entrambi lottatori: Aron e Dalma, che è stata a un passo dalla qualificazione a Tokyo. Io ormai mi sento ligure, e per il mondo della lotta sono italiana".
Un mondo difficile per una donna?
"E' uno sport ancora maschilista, purtroppo, nonostante le direttive del Cio. Alle Olimpiadi siamo in quattro su un totale di 43 arbitri, invece ci vorrebbe almeno il 30 % di presenza femminile. Qui il gender balance sono solo parole, sono arrabbiata".
In passato ha vissuto anche di peggio, sembra.
"Sono stata anche rifiutata. Ricordo un torneo internazionale a Sassari: dovevo arbitrare un iraniano, l'ho invitato sul tappeto ma lui non si muoveva, non capivo. Ha cominciato a puntare il dito contro di me, voleva il cambio di arbitro perché con una donna lui non avrebbe lottato. Coi colleghi siamo arrivati alla stessa conclusione, e l'abbiamo squalificato".
Si sono ripetuti episodi del genere?
"Sempre Sassari, un paio d'anni fa, sempre un iraniano. In un torneo della federazione mondiale invitiamo gli atleti a presentarsi bene sul podio, con la divisa ufficiale della federazione. Lo faccio presente a un atleta, che ribatte dicendo "siete donne, cosa volete da me?". A quel punto chiamiamo gli allenatori, comincia una discussione che va avanti per 35-40 minuti e anche questa termina con la squalifica. Quel ragazzo non si è più rivisto".
Com'è la situazione oggi con atleti di paesi in cui le donne non godono degli stessi diritti degli uomini?
"Cambiano le generazioni, cambia la mentalità. Lottatori di paesi islamici, Iran compreso, ci accettano di più. Dipende anche dagli atteggiamenti delle federazioni, degli allenatori, quel che succede poi sul tappeto. Diciamo che gli atleti ora ci rispettano".
Come ha fatto?
"Dopo tanti anni mi riconoscono, e capiscono che io sono lì per loro, a disposizione per aiutarli. Sono stata un'atleta, so cosa significa il momento che stanno vivendo. Qualcuno finisce pure per ringraziarmi".

Edit Dozsa con la figlia Dalma Caneva argento europeo (foto Emanuele Di Feliciantonio)

Voi Caneva siete la famiglia della lotta italiana: al punto che sua figlia Dalma sposò Frank Chamizo, che visse a lungo a casa vostra a Genova.
"Anche ora che si sono separati, Frank fa parte della nostra famiglia. Come non volergli bene? Erano così giovani lui e Dalma quando si sono incontrati, ognuno è cresciuto grazie a quell'incontro. Per me lui è come se fosse un figlio"









La lezione di April, talento e voglia di soffrire: ecco l'oro a 39 annidi Valentina DesalvoApril Ross (ansa)

Già bronzo e poi argento, la campionessa americana sale sul gradino più alto del podio del beach volley insieme alla compagna Alix Klineman: "Se penso a quello che abbiamo fatto mi sembra una follia e invece è successo"


Aveva trovato un lavoro: poteva fare la hostess e lasciare la pallavolo. "Mi faceva male la spalla, le ginocchia non reggevano, stavo programmando una vita altrove". Poi le compagne dell'University of Southern California la convinsero a provare con il beach. April Ross non amava il beach e soprattutto si sentiva molto scarsa, ma si fece convincere, decise di iniziare e nel 2006, a 24 anni, debuttò nei circuiti ufficiali, ad Acapulco.
Oggi, a 39 anni, ha vinto l'oro a Tokyo insieme a Alix Klineman, una coppia chiamata "team degli abbracci" per la frequenza con cui si scambia gesti d'affetto. Hanno battuto 2-0 le australiane in finale e per April, la più vecchia giocatrice a vincere ai Giochi nel beach, è la terza medaglia olimpica, la più bella. Nel 2021 a Londra aveva vinto l'argento con Jen Kessy, nel 2016 a Rio il bronzo con Kerri Walsh Jennings e adesso l'oro.
Grazie al beach ha guadagnato 3 milioni di dollari tra sponsor e premi, si diverte su instagram (ha 180 mila followers), ama lo yoga e con Alix è diventata una bambola fatta dall'American Girl Brand. "Se penso a quello che abbiamo fatto mi sembra una follia e invece è successo", ha detto alla fine abbracciata ad Alix e alla bandiera Usa. In attesa della finale femminile di volley e del basket, il dream team sono loro.

6.8.21

Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

 distratto  dale olimpiadi  e  da raccontare  le  loro storie   ho  letto con un po'  di ritardo     questa storia  


Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

«Non soffre più». Sono bastate queste semplici parole, postate nella notte dalla Clinica Duemari di Oristano, e migliaia di persone hanno capito: sopravvissuto all'incendio che ha devastato l'Oristanese a fine luglio, il cane Angelo non ce l'ha fatta. La foto che lo mostrava gravemente ustionato, dopo che il volontario da cui ha preso il nome l'aveva salvato, aveva fatto il giro del web, diventando il simbolo delle sofferenze patite dagli animali nell'implacabile rogo. Quattro ore prima della comunicazione del decesso, i veterinari della clinica dove Angelo era stato postato avevano avvertito che le cose volgevano al peggio: «Il suo organismo sta cedendo».

Il cane, come la cerbiatta 'Lussurzesa' trovata accanto alla carcassa carbonizzata della madre, era uno degli animali riusciti a sopravvivere al fuoco che ha distrutto il Montiferru. In un primo momento fonti locali avevano raccontato che era un cane pastore rimasto a proteggere il suo gregge. Una versione poi smentita: «Mi dispiace smontare la storia romantica del cane che si è fatto bruciare per non abbandonare le sue pecore», aveva precisato Angelo Delogu, il veterinario che aveva soccorso l'animale. Angelo non era un eroe, ma una vittima degli incendi: era rimasto bloccato su un muretto. Le fiamme gli avevano provocato pesanti ustioni ai polpastrelli, alla pancia e al muso.

Il cane beve acqua in clinica, segnali di speranza dopo le ustioni in Sardegna

Tutti speravano che riuscisse a salvarsi, ma così non è stato. E tutto questo nonostante le medicazioni quattro volte al giorno, gli antidolorifici e gli antibiotici, le condizioni del cane sono peggiorate. Intanto, alla clinica continuano ad affluire animali feriti nell'incendio. Ieri è arrivata una femmina di cinghiale da Cuglieri (Oristano), con ustioni alle zampe, com'è accaduto a 'Lussurzesa' che, intanto, sta meglio, anche se i veterinari hanno rimediato qualche contusione nei tentativi di curarla.


5.8.21

storie olimpiche parte VI . il rilassamento delle arti marziali , boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo, Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie

 

Tokyo 2020, chi è Massimo Stano, medaglia d'oro nella 20 chilometri di marcia


Massimo Stano taglia il traguardo prima di tutti nella 20 chilometri di marcia e riporta l'Italia sul gradino più alto del podio in questo sport a 13 anni dall’impresa di Alex Schwazer, nella 50 km di Pechino. Un diploma diprogrammatore informatico e originario di Palo del Colle, in provincia di Bari, Stano vive a Ostia con la moglie Fatima Lotfi, anche lei marciatrice dopo un passato nei tremila siepi. Per sposarla, ha dovuto convertirsi all’Islam. I due hanno una figlia di 5 mesi e mezzo, Sophie, a cui il marciatore ha dedicato la vittoria portandosi il pollice alla bocca dopo aver tagliato il traguardo. L'ARTICOLO Massimo Stano, chi è l'oro olimpico nella 20 km di marcia che si convertito all'Islam per amore





Impreparati alla sofferenza, per l'Olimpiade serve di più     di Valentina Desalvo
Paola Egonu (ansa)



Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie
04 AGOSTO 2021

Nello sport i titoli non si ereditano, si conquistano. A Tokyo la pallavolo azzurra è stata buttata fuori dalle semifinali perché non è mai stata all'altezza della sua storia. Non dei suoi successi ma del lavoro fatto per costruirli. Vale per la Nazionale maschile e per quella femminile. Non basta avere bravi giocatori o un tesoro come Paola Egonu se si arriva ai Giochi senza una preparazione olimpica.
La lezione del passato, sfidare i più forti, le più forti, in partite vere per prepararsi alla pressione e crescere insieme, è stata messa da parte. Per tanti motivi (alcuni anche ragionevoli, certo). Dimenticando che l'educazione comune, il gioco, la difesa, la capacità di soffrire senza andare in pezzi, non sono poteri magici. Se cambi un centrale e una schiacciatrice, ci vogliono partite e partite perché l'intesa con l'alzatrice non sia solo quella del riscaldamento, dove è facilissimo fare i buchi nei tre metri come nei cartoni di Mimì e le ragazze della pallavolo.
Si può ripartire, bisogna farlo. Senza dimenticare che una squadra non è una somma di talenti: l'ha mostrato l'Italia del calcio. Come disse Velasco: io posso fare una torta buonissima e anche le noci sono buonissime, ma magari le noci rendono immangiabile quella torta. E bisogna saperlo prima, senza assaggiare il dolce mentre ti stai giocando un'ipotesi di medaglia.
ha ragione Mazzanti Alle ragazze avevo detto di staccarsi dai social cercate di staccarvi da tutto quello che vi circonda perché la melma, quando te la tirano, è melma". Non abbiamo perso a causa dei social, per carità, ma dobbiamo crescere da questo punto di vista"  Infastti  : << [...continua  l'url sopracitato ]   Le ragazze del volley, così mediatiche, sorridenti e vincenti, con diverse storie particolari di immigrazione, integrazione, a volte razzismo subito e denunciato, non hanno saputo evidentemente
Mazzanti 
affrontare l'onda negativa e hanno faticato a rimettersi in piedi non appena un granello di sabbia ha rovinato equilibri stabiliti e certezze di mesi, di anni. Non è diverso ciò che è accaduto a Simone Biles, che ha attaccato duramente la comunità virtuale, rea di averla aggredita all'istante dopo l'uscita dalla gara nel concorso a squadre. Messaggi venati di razzismo e contrapposizioni in salsa trumpiana con la vicenda di Kerri Strug, che ad Atlanta '96 proseguì la gara del volteggio nel concorso a squadre nonostante una grave infortunio alla caviglia: il suo volteggio claudicante portò comunque al Team Usa i punti necessari all'oro e Kerri Strug divenne un'eroina nazionale.
Hanno denunciato i social anche Naomi Osaka e il nuotatore inglese Adam Peaty che ha annunciato un mese di stop dai social "perche ho bisogno di riprendermi mentalmente". Eppure lui aveva vinto due ori e un argento. A maggio una protesta partita dal mondo del cricket inglese aveva portato molti calciatori a rinunciare ai social per un weekend in segno di solidarietà e di protesta. Il tema è attualissimo.>>











Giappone, boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo
                                             dal nostro inviato Giampaolo VisettiLa giapponese Yui Ohashi, oro nei 200 e 400 misti (ansa)

L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi
05 AGOSTO 2021 



TOKYO - "Per una bambina salire sul podio alle Olimpiadi significa sapere che il giorno più bello della vita è già alle spalle. Per questo dedico il mio successo a mia nonna: in oltre novant'anni una gioia simile non l'ha provata". Con poche parole Kokona Hiraki ha costretto il Giappone a passare dall'entusiasmo alla commozione. Conquistando il secondo posto nello skateboard Park, all'età di 12 anni 11 mesi e 9 giorni, è diventata la più giovane medaglia d'argento nella storia delle Olimpiadi.
A impedirle di battere il record della tuffatrice Usa Marjorie Gestring, oro ai Giochi di Berlino nel 1936 a 13 anni e 267 giorni, nell'Ariake Urban Sports Park è stata la connazionale Sakura Yosozumi, attempata atleta di 19 anni arrivata prima. Al terzo posto si è piazzata l'anglo-nipponica tredicenne Sky Sukai Brown, al quarto la quindicenne star nazionale Misugu Okamoto. Il Giappone è il Paese più vecchio del mondo ma il trionfo dei suoi atleti-bambini ai Giochi aiuta a dimenticare il costoso dramma del suo inarrestabile crollo demografico, simbolo del tramonto della seconda economia dell'Asia. Sempre nello skateboard, specialità Street, si sono imposti altri due teenager giapponesi: Momiji Nishiya, 13 anni e 330 giorni, e il ventiduenne idolo delle adolescenti Yuto Horigome. In queste ore a Tokyo l'olimpico baby-boom nazionale oscura l'accelerazione della pandemia, con milioni di anziani costretti a curarsi in casa, e i dati statistici che rivelano come ormai il 30% dei giapponesi ha più di 65 anni.
L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi e non si scatena per caso. Le autorità, da quando sono riuscite ad aggiudicarsi le Olimpiadi presentate come necessarie per la ricostruzione post-Fukushima, hanno lavorato per questo. Il passo decisivo per la pianificazione del fattore-lifting, economico e mentale, è stato convincere il Cio a far debuttare proprio a Tokyo 2020 gli sport che oggi più appassionano i ragazzini.
Non è solo un colpo di spazzola contro la polvere di un ripetitivo evento globale. Tokyo ha preteso di sancire l'esordio olimpico di surf, skateboard e arrampicata sportiva non solo per ragioni commerciali, ma per presentarsi al mondo come una superpotenza ancora contemporanea e capace di affrontare il futuro. Alle tre discipline baby ha aggiunto il karate, nato otto secoli fa sull'isola di Okinawa, per rivendicare la titolarità della tradizione nelle arti marziali. Il ritorno di baseball e softball, sospesi ai Giochi dal 2008, completa solo il disegno teso a presentare il Paese come il più sensibile riferimento asiatico dell'Occidente sia per avanguardia che per civiltà. Ciò che per il governo di Yoshihide Suga davvero conta, oggi è però sfruttare i Giochi per mostrare ai giapponesi e ai mercati le facce vincenti di una pur decimata gioventù nazionale.
Nel surf il Giappone ha conquistato due medaglie su sei. Nello skateboard ha semplicemente dominato, facendo un pieno di successi-junior che sta contribuendo in misura sostanziale a porlo solo alle spalle di Cina e Usa nel medagliere. Nell'arrampicata sportiva i giovani climbers nipponici si giocano il podio sia tra le femmine che tra i maschi. Dalle ragazze del softball è arrivato l'oro, i campioni del baseball sabato giocano la finale. Senza l'olimpico fattore-teenager, l'umore dell'invecchiata nazione in cui il 30% della forza lavoro ha più di 65 anni sarebbe oggi decisamente cupo. La realtà infatti, mentre l'età media delle medaglie giapponesi è per distacco la più bassa dei Giochi, è che su 126 milioni di abitanti il 21%, pari a 26,2 milioni di persone, ha già superato i 70 anni. Oltre i 65 anni sono già 37 milioni di persone, pari a quasi un giapponese su tre.

A pesare sulla previdenza, con il crollo verticale delle culle, l'attesa media di vita record a 84,7 anni e il blocco totale opposto all'immigrazione, tra le cause dell'elevato costo del lavoro che frena competitività ed export. Le stime economiche misurano oggi in un quarto di punto di Pil del Giappone la capacità di sostenere la crescita da parte dell'ottimismo popolare, indotto dalla ritrovata sensazione del Paese di "non essere ancora un ramo secco, ma un germoglio pieno di energie". Non basterà, ma il nulla è peggio. Le analogie con l'Italia si limitano all'invecchiamento. Anche nel nostro Paese il 29% dei 60 milioni di abitanti ha più di 65 anni, rispetto al 19% dei giovani sotto 20 anni. Ad ogni bambino italiano corrispondono cinque anziani: nel 1951 l'età media era di 32 anni mentre oggi è di 46. Nello sport però, questo almeno dicono ad oggi le Olimpiadi di Tokyo, in Italia si è fatto poco per sostenere a livello agonistico le discipline più amate dai giovanissimi: sia per rassicurare le famiglie e arginare il calo demografico che per creare un clima economico favorevole alla ripresa. Escludendo il karate, dove le gare sono ancora in corso, nessun italiano ha conquistato una medaglia negli sport al debutto olimpico perché più praticati e seguiti da bambini e adolescenti.
Evidenti, per un simile risultato, le carenze del sistema scuola-università, in cui già una vecchia palestra rappresenta una non scontato privilegio. "Se sono qui - ha detto l'arrampicatrice giapponese Miho Nonaka, nata al mare e candidata al podio assieme alla connazionale Akiyo Noguchi - è perché nel mio asilo c'era una parete attrezzata per salire". La mancanza di baby-successi per gli azzurri alla fine pesa. Tokyo 2020 dice così che il Giappone è un Paese di vecchi che conosce il valore dei giovani, anche se solo apparenti. L'Italia rischia di rimanere una nazione anziana che nemmeno fa qualcosa per sembrare un posto per giovani.





Bottaro prima medaglia della storia nel karate: "Ho iniziato per difendermi"dal nostro inviato Mattia ChiusanoViviana Bottaro a Tokyo (reuters)


La genovese specialista del kata è medaglia di bronzo: "Piango pensando di essere qui, da piccola al massimo potevo sognare i Mondiali. Ai miei genitori piaceva l'idea che le figlie potessero difendersi"
05 AGOSTO 2021




TOKYO - "Io piango, ogni volta per l'emozione. Noi del karate nemmeno immaginavamo tutto questo, invece siamo alle Olimpiadi. Da piccola non potevo sognare di diventare campionessa olimpica, perché ai Giochi non eravamo ammessi, quindi sognavo l'oro ai Mondiali". È una donna minuta, con occhi fiammeggianti, a fare la storia nel tempio del Nippon Budokan: prima italiana a gareggiare nel karate al debutto olimpico, e prima medaglia dopo aver vinto la finale per il bronzo contro l'americana Sakura Kokumai. Genovese, trentatré anni, l'atleta delle Fiamme Oro è una specialista del kata, parola che esprime il concetto di "forma" e si combatte contro un avversario immaginario con gesti plastici o ad altissima velocità.
Come nasce la sua storia che arriva fino a Tokyo?
"C'era una palestra sotto casa, e a papà e mamma piaceva l'idea di far fare karate a me e a mia sorella Valeria, con l'idea di potersi difendere un domani. Per un genitore che ha due figlie femmine sapere che si possano difendere è una cosa bella. Così sono entrata in palestra, poi mi sono subito innamorata, e da lì non ho più smesso: avevo sei anni".
Quando il karate è diventato qualcosa di più consistente?
"A dieci anni ho incontrato il maestro Claudio Albertini che mi ha cresciuto fino a quando ne avevo ventisei, nella palestra di Quinto a Nervi. Poi sono entrata nella Fiamme Oro"
Quando ha capito che poteva diventare la sua vita?
"Le prospettive di lavoro non erano grandissime, entrare in un gruppo sportivo era difficile per una disciplina non olimpica. Io lo facevo perché mi piaceva, vincevo e le cose sono venute spontaneamente, non c'è stato niente di ossessivo. Nel frattempo mi sono laureata".
In che cosa?
"Scienze motorie a Genova, partecipando come una studentessa normale, non come atleta, ma con l'obbligo di frequenza, sessioni rinviate perché ero impegnata con le gare in giro per il mondo. Ci ho messo cinque anni per la triennale perché non c'ero mai. Una bella soddisfazione, oggi ci sono tutte queste lauree telematiche che fai da casa, invece io l'ho vissuta proprio bene".
Ha vinto un bronzo mondiale e un europeo, quale è il suo punto di forza?
"Sono geneticamente - mi hanno sempre detto - dotata di fibre bianche, esplosive, quindi sono molto veloce. Essendo bassa, dal baricentro basso, riesco a eseguire tutte le tecniche in maniera rapida. La velocità, quindi, poi l'espressività. A ogni gesto devi dare un significato, e io penso che negli anni sono riuscita a portare non un esercizio fisico, ma qualcosa di più".
Quanto conta saper recitare nel kata?
"Noi eseguiamo delle forme con cui dimostriamo all'arbitro che stiamo combattendo, anche se contro il vuoto. A volte ci sono atleti meno tecnici che prevalgono perché riescono a comunicare di più. Quindi io mi affido a visualizzazione, tecniche mentali, per mettere in scena me stessa. Poi, certo, conta la discrezione arbitrale, di sette giudici che danno punteggi come nel pattinaggio artistico".
Quanto pesa l'assenza del pubblico giapponese per il karate?
"Si sente lo stesso che siamo al Budokan, che siamo in Giappone, a casa loro, però è tutto da decidere. Per una medaglia si deve fare sempre molto di più del necessario: bisogna straconvincere per convincere".










Luigi Busà “Ero un ragazzo obeso ora sfido i maestri a casa loro”dal nostro inviato Mattia Chiusano


Il karateka siciliano ricorda gli inizi: "Pesavo 94 chili, soltanto mio padre ha visto in me qualcosa di speciale. Ho vinto due mondiali e qui ho già battuto gli idoli locali fra gli applausi"



TOKYO – Busà chi? Accanto a Filippo Ganna, Gregorio Paltrinieri o le ragazze del fioretto, spunta all’improvviso questo nome fra le stelle maggiormente accreditate di una chance di vittoria nella spedizione azzurra. Piazzato lì, tra le possibili medaglie d’oro italiane alle Olimpiadi di Tokyo dalle proiezioni di Nielsen Gracenote, società leader mondiale di dati e tecnologia per l’intrattenimento che prevede l’andamento di tutte le discipline e tutte le nazioni a Tokyo. E nel karate, una delle nuove specialità appena inserite nel programma olimpico, il favorito sarebbe appunto Luigi Busà, siciliano di 33 anni, campione del mondo a Tampere 2006 e a Parigi 2012, due sorelle (Lorena e Cristina) altrettanto brave e famose sul tatami. La sua costanza nel tempo lo ha premiato fino a vedere il suo sport riconosciuto sotto i cinque cerchi. E ora potrà giocarsi la sua chance olimpica proprio nella patria di quest’arte nobile nata sull’isola di Okinawa.
"Sono stato fortunato, ma ho saputo anche gestirmi bene. Mangiare bene, riposare, una vita più sana possibile. Niente fritture, pochissimo cibo spazzatura. A venticinque anni ho capito che non recuperavo più certe “serate” come prima, che serviva un giorno per riprendersi dopo essermi nutrito male. È una scelta di vita essere un atleta".
Dove comincia la sua storia?
"Dalla mia famiglia ad Avola, provincia di Siracusa, da mio padre Nello che è allenatore. Dalla mia terra dove torno a vedere il mare quando ho bisogno di rilassarmi".
Subito un colpo di fulmine per il karate?
"È cominciata come un gioco, all’inizio ero un ragazzo obeso, chi poteva pensare alle Olimpiadi? Ero molto ciccione, mi piaceva mangiare, a 13 anni pesavo 94 chili, ed ero più basso di adesso".
Che cosa è successo?
"Solo mio padre vedeva in me qualcosa di speciale, lui è stato atleta, vedeva comunque che da piccolo vincevo campionati cadetti e qualcosa di serio potevo diventare. Il problema è che a 16 anni combattevo nei pesi massimi, e mi fecero capire che a livello internazionale non sarebbe stata una buona scelta: colpi e impatti troppo duri. Dovevo dimagrire, scendere nei medi a 75 chili. Ho fatto la dieta, e da quella categoria non mi sono più mosso. Dal gioco sono passato al lavoro, nel centro sportivo dei Carabinieri: sono appuntato".
Con un bel curriculum.
"Due mondiali senior più uno under 21, cinque titoli europei. E ora il premio delle Olimpiadi che noi del karate aspettavamo da sempre".
Come sarà il karate a Tokyo 2020?
"Ci sarà il Kata, che ha una giuria come nella ginnastica artistica che giudica le esibizioni. Poi il Kumitè, il combattimento vero e proprio, uno contro l’altro. Facciamo due gironi all’italiana, i primi due vanno in semifinale, tutto in una giornata. I nostri incontri durano due-tre minuti, ma con tutte le interruzioni arrivano anche a otto. I colpi che arrivano fanno male, i lividi restano anche settimane".
Quale è il suo punto di forza?
"La velocità e l’estrosità, sono molto fantasioso, se riesco a incastrare divertimento e concentrazione riesco a fare veramente bene".
Il karate in Giappone: anche senza pubblico le darà motivazioni particolari?
"Farà effetto combattere dove tutto è iniziato. E magari vincere, come mi è già capitato a Tokyo e Okinawa in Coppa del mondo. Mi hanno applaudito, anche se avevo battuto l’atleta di casa. Questo è bellissimo in Giappone".


Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata IX SE NON POTETE SCAPPARE USATE I GOMITI E LE GINOCCHIA

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