Tenuta dell'Agnata di Fabrizio De André De Andrè: |
più sardo dei sardi
Macondo, luogo ideale per Gabriel Garzia Marquez
Faber,
il contadino
di Matteo Tassinari |
Ho sempre pensato che l’uomo, più della donna, viva un bisogno più intenso: quello di avere nella propria memoria universale, un punto fermo dove ritirarsi all'uso, come fa il lupo nei momenti che vuole isolarsi dal gruppo per starsene da solo nella propria tana. Soprattutto quando questi intuisce che sta per vivere l’ultima porzione della sua vita o vede all’orizzonte una buriana tsunamica e di sovente, questi luoghi, sono i posti della propria infanzia, ma anche no. Pavana per Guccini, Macondo per Marquez, Samarcanda per Vecchioni, Porto Empedocle per Camilleri e tanti altri.
Roberto Vecchioni, Luci a san Siro |
La definisco,
in quanto non è che sia una patologia, ma una mia virata mentale che vale il momento che serve per dirla, poi basta: “nostalgia dell’innocenza”. Diceva di essere più sardo di
Mario Segni e Francesco Cossiga: “che in Sardegna ci tornano due volte all’anno
per 15 giorni”. Fabrizio De André, in Sardegna, precisamente nella tenuta
dell’Agnata, in mezzo alle campagne di Tempio Pausania, ci viveva 8 mesi
su 12 da circa 25 anni assieme a Dori Ghezzi, con la quale ha trascorso tre di
questi mesi proprio nel cuore (malato) della Sardegna, ha detta degli stessi
sardi: L’Anonima Sarda. Lui, quel periodo, lo chiamò “Hotel Supramonte”, una catena montuosa dell'entroterra sardo, nascondiglio dei più famosi latitanti dell’isola, dove Faber vide la neve col freddo, ma la sua maglia era per Dori, e non è romanticismo balordo.
L'odore del sangue
Intervistato il giorno dopo della liberazione di Faber e
Dori da un gruppo di cronisti, De André tracciò un racconto pacato
dell’esperienza: “ci
consentivano, a volte, di rimanere a lungo con le mani slegate e senza i
cappucci che ci avevano messo in testa per non vedere alcun segno che
poteva diventare di riferimento”. Ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri:
“Noi ne siamo venuti
fuori, mentre loro non potranno farlo mai e se lo faranno, è per
prendersi un colpo di pistola in testa. Dopo questa tragica esperienza
vissuta con Dori, posso dire di conoscere meglio il popolo sardo”.
Questi erano
i suoi pensieri,
le sue conclusioni, come
si trattasse di un fatto come un altro. Dopo il sequestro, in molti gli
hanno chiesto perché decise di rimanere in Sardegna e se aveva paura
del reiterarsi del rapimento: “No, ormai non ci rapiscono più. Nessuno me l'ha detto a voce, ma gli occhi hanno parlato chiaro. Sono protetto ora! E guai a chi mi tocca!”, dice ridendo. Potrei urlare: GRANDE FABER! Il
suo rapporto con la vita, natura, persone, codici di cultura e loro
rispetto, una persona che intuiva lo stato d'animo, e non voglio fare di
Faber una sorta di veggente, per carità e per essere precisi evitando
fraintendimenti anche pelosi, non veri in breve, è che davvero, come nel
caso di Princesa, il travestito a cui s'affezionò come amico, fino a
fornirgli un'ingente parte della somma per l'operazione, il suo
desiderio della vita, ora morta di aids da circa 10 anni.
L'aiutò in altre situazioni,
e spesso si vedevano e quando Princesa arrivava, Fabrizio De André, diceva ad alta voce: "Ed ecco arrivata la nostra principessa", da qui il titolo della stupenda canzone sul travestismo scritta
con Ivano Fossati cosa che faceva con altre persone, ma non mi pare il
caso di fare l'elenco delle buone azioni di De Andrè, lui per primo non
lo accetterebbe pugnalandomi per come l'ho conosciuto. Si
nutriva dell'intimità che creava il rapporto fra lui la persona,
chiunque fosse e da qualsiasi parte del mondo arrivasse. Diceva che con
la vita aveva un tipo d'approccio spiritualistico, cosa che in città non
riusciva neanche ad immaginare, troppo distratto da tutto: “L’ambiente
influisce sulla crescita di ogni persona, e a volte viene dato per
scontato ciò che è sbagliato, come fare una stalla col tetto d'Eternit,
ne ho viste. E’ da pazzi lasciare le pecore sotto l'Eternit nel luglio
nuorese".Fabrizio c'è, oltre il ricordo
Senza Dori
|
non ce l'avrei fatta
Hotel
Supramonte
"E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome, ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme, ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano, cosa importa se sono caduto se sono lontano. Perché domani sarà un giorno lungo e senza parole, perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole, ma dove dov'è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore".
Faber, il giorno del processo |
Ho paura di Brassens
Durante il
processo, fu
rilevato il paradosso del
cantautore anarchico rapito dai banditi verso cui simpatizzava e salvato
dal
capitale famigliare. Furono in pochi a sapere, allora, che De André
Senior,
come Fabrizio avrebbe raccontato all’amica Fernanda Pivano, era
un mazziniano convinto, quindi non lontano da idee libertarie. Quando
tornava a
casa dalla Francia per i suoi impegni di lavoro come A.D. dell’Eridania,
non dimenticava mai di portare a Fabrizio un disco di George
Brassens, a cui piaceva non solo come cantante, ma era per lui un
riferimento culturale, che non volle mai incontrare per paura di
rimanerne deluso, questo è quello che diceva, ma io non ci credo. Credo
più alla sua universale timidezza che lo immobilizzava, pur riuscendo
sempre a trovare il modo brillante per uscire da situazioni
imbarazzanti.De Andrè durante il processo dove sembra irridere in faccia al giudice |
Un piede in terra
l’altro in mare
Qualcosa di simile è successo con la Sardegna. Tra De André e l’isola
esisteva un sostrato comune, una comune concezione del mondo, come se l’antistatalismo
“naturale” di De André (caratterialmente, oltre che ideologicamente anarchico) e
quello storico della Barbagia si fossero ad un certo punto incontrati e avessero
deciso di stringere un patto di ferro. Un’amicizia poi cementata dall’amore per
le sughere e per il vino, per il granito, il pane, il mare e le vecchie
leggende che ad ogni racconto s’infarcivano di ulteriori aneddoti. Un mondo che
fai fatica a scoprire in corso Buenos Aires a Milano. Un idem sentire che neppure
il sequestro cominciato il 27 agosto e finito il 22 dicembre 1979, riuscì a
spezzare. Anzi, per certi versi, la rese ancora più radicato e forte il culto della Sardegna in
Fabrizio, definendo quella sarda un’etnìa rivolta al
futuro e rispettosa del loro passato. “Gente - diceva – che ama i bambini e
rispetta i vecchi”.
La Barbagia è una vasta regione montuosa della Sardegna centrale che si estende sui fianchi del massiccio Gennargentu. Li per circa 3 mesi, all'aperto, hanno vissuto Fabrizio e Dori |
Vado a correggere
la fortuna
Murales di De André Orgosolo Associazione Cuncordu |
Colui, che per
il sottoscritto è
stato il maggiore poeta italiano del secolo scorso, il
più grande distillatore di emozioni in
versi, spesso si svegliava presto al mattino per dare mangimi e latte alle
sue bestie. Questa immagine incantevole, oltre che seducente fino alla
meraviglia, mi offre il senso della grande bellezza nel silenzio, da solo con i
suoi animali da allevare e di cui era innamorato. Ognuno è fatto a modo suo,
no? Ha letto decine di libri sulle tecniche di coltivazione e di allevamento,
ha tentato di far quadrare i conti della sua azienda agricola, l’ha cresciuta,
sviluppata e ingrandita. Se nel 1978 decise di cantare in pubblico alla Bussola
Viareggio per la prima volta, fu proprio per i debiti accumulati a causa
dell’azienda Agnata. Avrebbe potuto chiedere aiuto alla famiglia, ma non volle
neanche sentire parlare di questa opzione troppo comoda: “Hanno già fatto troppo col sequestro e
adesso gli vado a chiedere altri soldi perché ho l’azienda in difficoltà? No,
non si può”.
Ad ogni concerto
Dopo il sequestro, De Andrè coniò la fuorviante “Hotel Supramonte”, mentre
un poeta sardo, nuorese per giunta, Sebastiano Satta, definì i banditi “belli, feroci e prodi”. De André li definì, più sobriamente: “marinaio di foresta”, i latitanti della Barbagia che negli anni '70 erano quasi una decina. Poi collaborò alle
indagini senza incertezze e si costituì parte civile, però solo contro i capi,
i mandanti, quelli che non si sono sporcate le scarpe di fango, ma da Milano,
ogni tanto facevano un salto all’Hotel Supramonte per vedere come andava il
sequestro e non contro i gregari, che in pratica facevano la vita di Faber e Dori,
freddo, sole, acqua, neve e disagi enormi come imboccare i due sequestrati che
hanno tenuto quasi sempre un cappuccio in testa.
Fabrizio "tra" le sue mura |
Il Giorno
del Giudizio
Ma c’è un altro Satta, un
altro sardo che ha qualcosa in comune con Fabrizio De André: Salvatore Satta,
insigne giurista, poi scrittore. Se De André vedeva nei racconti dei vecchi di
Tempio qualcosa che gli faceva pensare a Gabriel Garcia Marquez, Satta nel suo “Giorno
del giudizio”, ha descritto un sistema di valori e di rapporti che sembrano
parlare col mondo di De André. “Il pastore appartiene alla dinamica della vita,
il contadino alla statica. Nessuna legge può impedire al pastore di considerare
la sua proprietà in tutto quello che l’occhio può abbracciare”. Ha detto De André
parlando dei suoi sequestratori: “Era come se dicessero: a me non manca nulla
ma perché mi metti sotto il naso la tua villa con piscina, il SUV, tutti con i
Rolex ai polsi, valigie di Louis Vuitton e di fianco sempre pronto per partire con l’aereo privato?
“Mi pare che sempre di più sarebbe necessario che invece di
dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il
Fabrizio americano”. (Fernanda Pivano, consegnando il Premio Lunezia 1997 a Smisurata preghiera). De André, giunto in Sardegna da contadino, è diventato pastore,
sublimazione stupenda, soprattutto sul piano dell’immaginazione collettiva e la
figura costantemente imprevedibile di Faber, come l'amico Gaber. Ha considerato “suo” quell’intero
mondo, dove mari e odore salmastro, lo difendevano dal caos e dalle
maggioranze silenziose ma assordanti delle grandi città del Continente.
Fabrizio al lavoro |
"Eravamo fratelli"
Imparò alla perfezione il sardo, come
fosse naturale saperlo, in neanche un anno e lo parlava da sardo, racconta il
contadino che gli ha insegnato tutto dei lavori di un’azienda agricola. Oggi,
questo anziano signore, quando parla di Faber, piange, dicendo con la voce
interrotta dal pianto: “Eravamo due fratelli e respiravamo il rispetto che
ognuno aveva per l’altro”. Arrivò a condividere anche le rabbie, i disagi, le
illusioni fino ad aderire ad un movimento indipendista sardo, fino ad aprire la
sua casa a tutti i visitatori facendone un agriturismo speciale, dove non ti
sentivi ospite ma amico. E io sono ancora qui a mangiarmi le punta delle dita
per non aver accolto nel 1998, al Teatro Turismo di Riccione, il suo invito ad
andarlo a trovare a casa sua per tutto il mese d’agosto. Purtroppo avevo già
prenotato un altro viaggio, pensando che avrei potuto esaudire questa grande
emozione, quella di vivere a 360 gradi per un mese la vita del cantautore e
poeta migliore del secolo scorso. E se qualcuno pensa che esageri, non me ne
frega proprio nulla.