Ernesto Butta, quel giornalista sassarese ucciso nelle Argonne
Il reporter della Nuova Sardegna morì in battaglia l’8 gennaio 1915 prima ancora che l’Italia dichiarasse guerra. Repubblicano, anticonformista e bohemien fu costretto a lasciare il giornale per le persecuzioni poliziesche di Pier Giorgio Pinna
È gelido, il pomeriggio, quell'8 gennaio 1915. A poche ore dall'avanzata tedesca sul fronte delle Argonne, i francesi decidono di riconquistare le postazioni appena perdute. In loro aiuto richiamano dalle retrovie la Legione Garibaldina, formata tutta da italiani. La controffensiva è ostacolata dalla furiosa reazione del nemico e dall'ondata di freddo che attraversa le foreste in quella zona di confine molti chilometri a nordest di Parigi da sempre al centro di scontri armati nella Storia. Tra gli italiani che combattono contro la Germania nella Grande Guerra c'è il tenente Ernesto Butta, 38 anni, a lungo giornalista della "Nuova".
Quasi una premonizione. È un repubblicano, strenuo avversario dei Savoia, molto anticonformista e bohemien. Poche settimane prima aveva scritto una lettera al fratello Ettore: «Rammenta che questa partenza è l'ultima verso la mia sorte definitiva: addio». Quel pomeriggio dalla temperatura polare Butta si lancia all'assalto guidando gli uomini della sua compagnia. Pochi minuti più tardi viene colpito da un proiettile. Muore sul colpo. Il corpo viene riportato dai compagni nello spazio di terra in mano francese.
Il cordoglio nell’isola. La notizia arriva in Sardegna tre giorni dopo. Lutto e commozione forti nella città natale e a Nuoro, dove da ragazzo Butta aveva studiato per qualche tempo. Tutti, poi, conoscono bene la famiglia. E c'è un dettaglio che rende la fine in battaglia particolare. L'Italia in quel momento non è ancora in guerra contro le potenze dell'Asse: farà la sua scelta solamente nel maggio successivo. Butta è volontario solo perché crede nell'idea di difendere la libertà della Francia: e per questo paga con la vita.
Altri luoghi, altri tempi. "La Nuova Sardegna" aveva cominciato le pubblicazioni 23 anni prima. Butta arriva al giornale nel 1901 e qualche anno più tardi lo lascia prima di subire una serie di traversìe: persecuzioni poliziesche, viaggi a Roma, New York, esilio a Parigi. Nel numero del 12-13 gennaio 1915, a distanza di qualche giorno dall'uccisione del giornalista inquadrato come tenente tra i garibaldini, "La Nuova", all'epoca composta da sole quattro pagine, dedica la prima quasi interamente alla sua fine in battaglia. "La morte gloriosa del sassarese Ernesto Butta": questo il titolo che campeggia sulle sei colonne di piombo. Il formato è standard per i quotidiani di quel periodo: stampato con una carta così pregiata da rivelarsi dopo un secolo quasi bianca, solo un tantino ingiallita, a ogni modo perfettamente conservata e leggibilissima.
Il segno di un’epoca. Duegrandi articoli sono dedicati alla vicenda. Uno, sulla battaglia delle Argonne, dal titolo "Il violentissimo combattimento fra garibaldini e tedeschi in cui cadde Ernesto Butta". L'altro, destinato a ricostruire la biografia del giornalista, indicato nella pagina semplicemente con nome e cognome, titolo in neretto maiuscolo dai grossi caratteri.
Dettagli che colpiscono. Al di là dello stile del primo Novecento e dell'abbondante retorica che colora i "pezzi", a cent'anni di distanza impressiona la notevole quantità di partic. olari che le agenzie di stampa riuscivano a procurarsi. L'articolo sullo scontro a fuoco è una corrispondenza da Roma. «Il combattimento – scrive il redattore, che sigla con una semplice B. iniziale tra parentesi – avvenne in una località prossima alla Maison des Forestieres. Parecchie migliaia di tedeschi, fatta saltare con la dinamite la prima linea delle trincee francesi, costringevano il reggimento prepostovi alla difesa ad indietreggiare di circa un chilometro e mezzo. Venne chiamata d'urgenza in rinforzo la Legione al comando di Peppino Garibaldi. Con abilissima manovra tattica s'impegnava il secondo battaglione forte di seicento uomini, su quattro compagnie. I volontari, incalzanti con vivacissima fucileria il nemico, che cominciava a trincerarsi nella regione conquistata, riuscivano a ricacciarlo indietro, nonostante un contrattacco violentissimo dell'artiglieria».
Un fronte apertissimo. Peppino è il primogenito di Ricciotti Garibaldi, figlio del generale, e dunque nipote in linea diretta dell'Eroe dei due mondi, dal 1882 sepolto nell'isola di Caprera. Sul versante delle Argonne, nel quadro degli stessi scontri, pochi giorni prima del giornalista sassarese perdono la vita altri due nipoti di Giuseppe Garibaldi: Bruno e Costante, sempre figli di Ricciotti. I loro funerali in Italia saranno motivo di altri conflitti tra interventisti e neutralisti.
Il resoconto sul giornale. Ma di tutto questo naturalmente non si parla nel primo articolo della "Nuova", che così racconta invece la fine del redattore del quotidiano: «Ernesto Butta correva alla testa della terza compagnia tenendo il comando. Giunto presso il capitano Angelotti, questi lo esortava a non esporsi troppo: cercasse di ripararsi. Ma inutilmente: il Butta, pieno di fervore, cacciatosi dove più aspra era la mischia, si slanciava avanti, spronando i suoi uomini ad attaccare con più veemenza il nemico. Una palla esplosiva lo colpiva in fronte e lo uccideva all'istante. Il combattimento continuò, aumentando di intensità. Molti altri caddero».
I giorni successivi. In altri articoli la "Nuova" comunque torna sulla morte di Butta e sulle azioni dei garibaldini. Si dà notizia delle reazioni alla sua morte in tutt'Italia e successivamente dell'ordine del giorno pubblicato dal comandante del corpo d'armata francese nel quale il giornalista sassarese e altri caduti vengono citati "per il loro eroico contegno".
Uno dei primi a perdere la vita. Altre informazioni su Ernesto Butta - che è stato il secondo giornalista italiano ucciso nella Grande guerra dopo Lamberto Duranti - si trovano in qualche saggio e in alcuni memoriali. Si sa così che il suo nome, per un errore di trascrizione, non compare nell'Albo d'Oro dei caduti. E se la sua fine è avvenuta - si è poi appreso con esattezza - nella foresta di Ravin de Meurissons/Varennes, vicino a Verdun, le autorità militari di Parigi sostengono nei loro documenti ufficiali che il proiettile l'ha colpito al cuore, e non alla testa, e in una zona delle Argonnne diverso da quello indicato in un primo momento: a ben vedere, dettagli secondari, che non mutano la ricostruzione dei fatti.
Il cimitero in Francia. Ancora oggi il redattore della "Nuova" è sepolto lontano da Sassari. Dopo essere stata ospitata per qualche tempo nel Cimitero de la Forestiere, la salma è stata inumata nel camposanto militare italiano della città di Bligny , tomba numero 1778, dove è stato eretto un monumento con una scritta in onore della legione per le sue imprese. Sulla lapide è scritto: «Bolante, Courtes Chausses, Ravin des Meurissons: qui sono composte le ossa degli anticipatori dell'Argonna, o Francesi o Italiani ubbidite al comandamento garibaldino!». Il ricordo e i riconoscimenti. Le motivazioni della menzione all'Ordine dell'esercito per Ernesto Butta sono state ritrovate di recente dal giornalista Pierluigi Franz: «Ayant reçu l'ordre d'occuper une autre tranchée avec sa section, a exécuté immédiatement cet ordre. Resté en dehors de la tranchée pour s'occuper de ses hommes, a été tué d'une balle au coeur». Il Senza bisogno di traduzione letterale, basterà aggiungere che nella "Citation à l'Ordre de l'Armée" vengono sottolineati due aspettii significativi nell'azione del tenente-cronista: senso del dovere e forte impegno verso gli uomini sotto il suo comando.
Infatti
Questa è storia di un tempo lontano: la morte di un giornalista sassarese della "Nuova" nella Grande guerra, un secolo fa, in una delle prime battaglie nella Francia nord-orientale. Ernesto Butta, così si chiamava il cronista, fu ucciso sul colpo da un proiettile sparato dai tedeschi. Si era arruolato volontario tra i garibaldini prima ancora che l'Italia entrasse in guerra. Alle spalle, un passato di contestazioni della monarchia: schedato dalla polizia come sovversivo, in quel periodo viveva in esilio a Parigi. C'era arrivato dopo una serie di sanguinosi duelli e inchieste giudiziarie per diffamazione a mezzo stampa. Un'esistenza avventurosa, la sua, ma per decenni finita nel silenzio post bellico.
La figura di Butta ora è stata riscoperta grazie a una ricerca sui redattori italiani caduti nella prima guerra mondiale. Nel conflitto morirono altri tre giornalisti sardi che oggi sono tuttavia conosciuti e ricordati più per l'attività politica, sindacale e letteraria: il nuorese Attilio Deffenu, il sassarese Annunzio (“Nunzio”) Cervi e il cagliaritano Salvatore De Rosa.
Il dossier elaborato sin qui vede in prima fila nella raccolta di notizie diversi enti e istituzioni, tra i quali un gruppo scientifico della Sapienza di Roma guidato dal docente Luciano Zani . Uno degli studiosi più impegnati sul campo è stato comunque l'ex redattore di punta del "Corriere della Sera" e della "Stampa" Pierluigi Roesler Franz, presidente del gruppo giornalisti pensionati nell'Associazione stampa romanae. «Conduco questa ricerca da 3 anni e mezzo e ho già raccolto parecchio materiale, ma spero adesso di trovare nuovi elementi per raccontare meglio la vita di Butta, che mi pare ricca di spunti di estremo interesse», ha spiegato qualche giorno fa Franz, ancora citato come esempio nella categoria per le puntuali, dettagliatissime, ricostruzioni che hanno contrassegnato il suo lavoro nei due quotidiani nazionali. Oggi, attraverso un'indagine negli archivi della "Nuova" è stato possibile raccogliere nuovi elementi che permettono di colmare una lacuna. Per troppo tempo di Butta non si era parlato più. Ma ora che l'8 gennaio 2015 ricorrerà il centenario della morte è sembrato il momento più giusto per ricordare "le lieutenant BUTTA, du 4ème Régiment de Marche du 1er Etranger", come si legge testualmente nella lapide eretta in sua memoria nel cimitero di Bligny. (pgp)
Egli fu Schedato come sovversivo ma difeso dalla sua redazione Perseguitato dalla polizia con l’accusa di aver inviato una lettera minatoria al re. Dall’esilio a New York e Parigi alla scelta d’intervenire per la libertà della Francia
Sempre dallastessa fonte dei due precedenti articoli
SASSARI. Sguardo fisso rivolto all'obiettivo, rigido nella divisa militare, sciabola in pugno riposta nel fodero, stivali da cavallerizzo, portamento austero : così appare Ernesto Butta nell'unica foto sinora conosciuta. Una posa realizzata poco prima della partenza per le Argonne. Non è arrivata sino ai nostri giorni nessun'altra immagine riferita ad anni precedenti, neanche tra i banconi della tipografia Gallizzi che allora stampava "La Nuova". E visto che all'epoca soltanto pochi redattori firmavano sui quotidiani è quasi impossibile risalire ai suoi articoli per il giornale, scritti tra il 1901 al 1904 e poi in un secondo successivo periodo.Ma quali sono stati i tratti distintivi del giornalista sardo morto in Francia nel gennaio 1915? Descritto dalla polizia politica come un pericolo sovversivo nemico dei Savoia, ha avuto una vita breve e avventurosa: è stato in realtà un repubblicano convinto, impegnato nelle lotte antimonarchiche, tanto da pagare con l'esilio negli Stati Uniti e in Francia per questa militanza. Dopo la morte, la sua redazione, con un coraggio davvero inaudito per i tempi, ne difende la memoria con forza sulla prima pagina, raccontando le persecuzioni delle quali fu vittima e smontando una per una le accuse che gli erano state mosse .
Dopo aver ricordato come Butta fu accusato di aver inviato da Ginevra una lettera di minacce a re Umberto I e poi assolto, i giornalisti della "Nuova" aggiungono: «Non aveva altro torto che quello di professare liberamente, alla luce del sole, le proprie idee: torto tanto più grave in quei tempi della bieca reazione». E ancora: richiamato alle armi dopo la leva come sergente, «al comando fu presentato come un sovversivo pericoloso, processato e degradato: ma bisogna aggiungere, per la verità, che egli non se ne accorò… tanto». Anche da qui i nuovi viaggi all'estero: ancora in Svizzera e poi a New York, prima di Parigi.
Nato a Sassari il 26 luglio 1877, il cronista-garibaldino era figlio di un funzionario statale, Giovanni Battista Butta, e di una casalinga, Domenichina Mundula, anche loro sassaresi, nonostante l'origine del padre rimandi ad altre regioni. Se non per parte di madre, è difficile che oggi risiedano ancora nell'isola suoi parenti. Negli elenchi telefonici della Sardegna non risultano Butta. Alcuni discendenti di differenti ceppi dei Mundula, contattati nelle zone settentrionali dell'isola, hanno detto di non aver mai sentito parlare di lui, mentre altrove vivono all'incirca 250 famiglie con questo cognome, sparse in tutt'Italia, dal Nord sino alla Sicilia.
Ernesto Butta, comunque, studiò nella città natale e poi a Nuoro e in Piemonte, dove conseguì la licenza liceale, prima di tornare a Sassari e iscriversi all'università mentre lavorava alla "Nuova". Nel 1915 il giornalista aveva lasciato a Roma un fratello più giovane, Ettore, classe 1890, impiegato delle Poste, e una moglie, Ernesta Contini, nipote dell'attore del cinema muto Dillo Lombardi, allora notissimo. Di quest'ultimo suo periodo "La Nuova" scrive: «All'epoca corrispondente del Giornale di Sicilia e della Patria degli italiani di New York e redattore della Regione, emerse come polemista forte e come brillante resocontista. Ebbe duelli e processi». Appunto dopo una condanna a 10 mesi per diffamazione, Butta arriva in Francia. Si arruola tra i garibaldini. E lì trovverà nelle Argonne quella che il suo primo giornale, “La Nuova”, descrive come "la bella morte". (pgp)
Dopo aver ricordato come Butta fu accusato di aver inviato da Ginevra una lettera di minacce a re Umberto I e poi assolto, i giornalisti della "Nuova" aggiungono: «Non aveva altro torto che quello di professare liberamente, alla luce del sole, le proprie idee: torto tanto più grave in quei tempi della bieca reazione». E ancora: richiamato alle armi dopo la leva come sergente, «al comando fu presentato come un sovversivo pericoloso, processato e degradato: ma bisogna aggiungere, per la verità, che egli non se ne accorò… tanto». Anche da qui i nuovi viaggi all'estero: ancora in Svizzera e poi a New York, prima di Parigi.
Nato a Sassari il 26 luglio 1877, il cronista-garibaldino era figlio di un funzionario statale, Giovanni Battista Butta, e di una casalinga, Domenichina Mundula, anche loro sassaresi, nonostante l'origine del padre rimandi ad altre regioni. Se non per parte di madre, è difficile che oggi risiedano ancora nell'isola suoi parenti. Negli elenchi telefonici della Sardegna non risultano Butta. Alcuni discendenti di differenti ceppi dei Mundula, contattati nelle zone settentrionali dell'isola, hanno detto di non aver mai sentito parlare di lui, mentre altrove vivono all'incirca 250 famiglie con questo cognome, sparse in tutt'Italia, dal Nord sino alla Sicilia.
Ernesto Butta, comunque, studiò nella città natale e poi a Nuoro e in Piemonte, dove conseguì la licenza liceale, prima di tornare a Sassari e iscriversi all'università mentre lavorava alla "Nuova". Nel 1915 il giornalista aveva lasciato a Roma un fratello più giovane, Ettore, classe 1890, impiegato delle Poste, e una moglie, Ernesta Contini, nipote dell'attore del cinema muto Dillo Lombardi, allora notissimo. Di quest'ultimo suo periodo "La Nuova" scrive: «All'epoca corrispondente del Giornale di Sicilia e della Patria degli italiani di New York e redattore della Regione, emerse come polemista forte e come brillante resocontista. Ebbe duelli e processi». Appunto dopo una condanna a 10 mesi per diffamazione, Butta arriva in Francia. Si arruola tra i garibaldini. E lì trovverà nelle Argonne quella che il suo primo giornale, “La Nuova”, descrive come "la bella morte". (pgp)
Invito quindi tutti\e i contro l'attivismo Lgtb , pur non condividendone completamente il pensiero , oltre al rispetto ed a fare quanto dice Stefano Zecchi in questa intervista sul quotidiano avvenire perchè come dice , uno dei commenti più belli lasciati sulla pagina fb di Viviana , Roberto Berruti << Vorrei aggiungere una riflessione personale: la mia visione è che il mondo non è diviso tra etero omo o bi o transgender... Il mondo è fatto di persone. Ed è fatto per funzionare con l'amore. La violenza della prevaricazione , dell omologazione per combattere la paura della diversità , la rassicurante sensazione che viene dall illudersi di essere tutti a pensarla bello stesso modo...tutto ciò genera paura ... Etero che hanno paura dei gay, gay che detestano la fisicità etero, trans che esaltano la loro ambiguità , bisex che fanno da raccordo restando spesso incartati... E tutto ciò genera paure e distanze , rende meno "persone di amore"... L' amore non ha colore ne genere ... Oggi siamo ancora specie in Italia in situazioni in cui darsi un bacio per strada può generare più reazioni che darsi uno schiaffio. Basta !!!! La paura è il contrario dell amore !!! >>
P.s
Cari fans \ lettori telematici , accusatemi puree d'essere anti illiberale e poco democratico . Ma la democrazia vera parte dal rispetto della persona e della sua " diversità " sessuale, etnca , culturale , religiosa ,fisica , ecc