a confermare quanto dicevo qui e nella prima parte per la quale venivo accusato di stucchevole nazionalismo ed eccessivo patriotismo o di buonismo solo per aver descritto, vedere i collegamenti delle righe precedenti , l'italia un italia multi etnica ovvero un paese reale più avanti di quello politico ci sono queti due articoli del corriere dei giorni scorsi
Olimpiadi delle sorprese: gli ori dell’Italia sono stati quasi tutti imprevedibili
Atletica, scherma, ciclismo, calcio, arti marziali: cadono i favoriti, schiacciati dalla pressione. Anche così nascono le medaglie più imprevedibili
Dovevamo vincere con il quattro di coppia che aveva già pronta la dedica più dolce, è arrivato il primo oro delle donne nella storia del canottaggio all’Olimpiade, Valentina Rodini-Federica Cesarini, le laureate del doppio pesi leggeri che fanno tirare un sospiro di sollievo al Coni quando c’è già qualcuno — siamo al 29 luglio e sembra passato un secolo — che storce il naso di fronte al medagliere. Ci hanno tradito tutte le squadre — guidate dalla pallavolo femminile di Paola Egonu, la più forte giocatrice al mondo scelta dal Cio per portare la bandiera olimpica, nello stesso giorno in cui ci lascia orfani anche la certezza Settebello —, e si è svegliata dal letargo sua maestà l’atletica, con gli ori che da soli possono bastare a iscrivere Tokyo nella memoria collettiva di una nazione, «ti ricordi dov’eri quella sera in cui abbiamo vinto i 100 metri?», la Giamaica siamo noi, gli Stati Uniti siamo noi, gli uomini più veloci al mondo, che saltano più in alto, che marciano meglio (e per la prima volta anche una donna) siamo noi. E nessuno, davvero, lo avrebbe detto.Davamo quasi per scritta la vittoria di Filippo Ganna nella cronometro (è campione del mondo in carica, al Giro non ha tradito, ha il motore di una Ferrari: arriva quinto) e, appena il tempo di far fuori il c.t. Cassani per i soliti regolamenti di conti, che Ganna e i suoi fratelli si prendono del tutto a sorpresa l’oro nell’inseguimento a squadre (non accadeva da Roma ’60).Si sono esauriti i filoni aurei di scherma (che ancora è lì che litiga per l’oro che manca, come a Mosca ’80) e tiri, compresa la portabandiera Jessica Rossi, che in tante edizioni ci hanno salvato il medagliere; sono crollati Frank Chamizo, il grande favorito della lotta che dopo Rio fallisce anche a Tokyo, e il numero 1 nel ranking mondiale del judo, Manuel Lombardo, ma abbiamo tutti iniziato l’Olimpiade con il sorriso del più forte al mondo nel taekwondo che vive a Mesagne e si chiama Vito dell’Aquila. Gregorio Paltrinieri è stato per mesi il favorito: poteva vincere tre ori in tre specialità diverse, poi ha preso la mononucleosi, molti medici avevano messo in dubbio la sua partecipazione all’Olimpiade, nuota male la batteria degli 800, sembra escluso dalla corsa per le medaglie, ha finito per vincerne due, solo lui sa come. Nel nuoto siamo stati in grado di portare una staffetta mista sul podio ed è comunque una piccola barriera che cade: mai successo. Prendete gli ori azzurri e, a parte il karateka Busà e forse la coppia della vela Tita-Banti (che è comunque la nostra prima volta in una gara mista) non troverete un favorito.È l’Olimpiade degli outsider, di quelli che non ti aspetti, che navigano sottobordo, schivando attenzioni, maneggiando con cure le pressioni (e mica solo per l’Italia: il Canada ha vinto l’oro nel calcio femminile, le ragazze Usa di Megan Rapinoe si sono fermate al bronzo per la gioia di Trump che dà loro delle estremiste di sinistra e però si deve essere perso il fallimento nello sprint), nell’edizione che ricorderemo anche per le cadute clamorose di Nole Djokovic, Naomi Osaka, Simone Biles. È l’Olimpiade delle debolezze condivise e delle aspettative che schiacciano tutti quelli che si sentono in dovere di vincere. E che fa vincere tutti quelli che riescono ancora a divertirsi.D’altronde non si era mai vista un’Olimpiade rinviata di un anno, con gli atleti costretti ad allenarsi in garage e in salotto per mesi. Chi si è adattato, si è organizzato, ha modificato per tempo preparazione e routine di allenamento, ha maturato più rabbia, oggi è qui a farci gridare alla sorpresa. E all’Olimpiade più bella di sempre.
Italia, penisola d'oro: 39 medaglie alle Olimpiadi per un record storico Da dove nascono
Con i primi posti della 4x100, di Palmisano e Busà, polverizzato il record di medaglie in una singola edizione dei Giochi. L'atletica è la vera regina di questa spedizione azzurra
Se è un’Olimpiade di transizione tra vecchio e nuovo mondo, se Tokyo 2020 è un ponte gettato verso un futuro post-pandemico che forse non ci troverà migliori dentro ma di certo più vincenti fuori, beh l’Italia è il Paese che più di ogni altro mostra evidenti i sintomi della guarigione. La Palmisano sceglie il giorno del 30° compleanno per regalarsi il diamante che desiderava da una vita, a Rio era stata quarta tra le lacrime, qui si riprende tutto, con gli interessi. Busà è un raro esempio di favorito che mantiene le promesse: drago della specialità kumite, doveva vincere e ha vinto. Ma è la staffetta 4x100, quell’esercizio furibondo per cui otto gambe e otto braccia devono sembrare un corpo unico per un giro di pista, che più di ogni altra medaglia — in un’edizione dei Giochi infelice per basket, volley e pallanuoto — ci restituisce il senso della squadra, perché se è vero che per battere l’Inghilterra a Wembley all’Europeo erano serviti undici uomini fedeli agli schemi di Mancini, a Tokyo bastano quattro ragazzi per condannare all’ergastolo di un centesimo di secondo di ritardo la Gran Bretagna. Panta rei, tutto scorre, e alla fine la coppa la alziamo noi.
La perfezione della 4x100 made in Italy che porta in dote all’atletica azzurra il quinto oro di questi Giochi marziani e commoventi è difficile da rendere in parole. Mancano gli Usa pessimi in semifinale, ma comunque sui blocchi ci sono gli orfani di Bolt della Giamaica, la Cina, il Canada e la Gran Bretagna, gente che non ha fatto i conti con l’intraprendenza di Lollo Patta in prima frazione, con la potenza di Marcell Jacobs in seconda (il giaguaro del 9”80 nei 100 approfitta del rettilineo più lungo per schiacciare il cambio e guadagnare metri preziosi da sfilare al cronometro), con la curva di Fausto Desalu che pare pennellata da Giotto e mette Pippo Tortu in posizione di sparo. È lì, davanti a uno di quei sottilissimi bivi dell’esistenza tra trionfo e fallimento capaci di definire un destino, che Piè Veloce imbocca il lato giusto della storia, bruciando sul posto il cinese Wu e lanciandosi all’inseguimento dell’inglese Mitchell-Blake con la fame d’aria e d’amore con cui Pietro Mennea aveva agguantato un altro britannico, l’allora campione olimpico in carica dei 100 Alan Wells, in una finale altrettanto leggendaria, i 200 a Mosca ‘80 (il margine per l’Italia quella volta fu di 2 centesimi), quando era inimmaginabile che quarantuno anni dopo da una galassia lontana arrivasse un manipolo di azzurri in canottiera e scarpette chiodate a restituirci il gusto di essere squadra, gruppo, Paese.
Tortu è il finalizzatore del lavoro collettivo, il capitale umano che si fa carico dei secondi altrui e li trasforma in una caccia all’oro di successo, l’ennesimo in quest’abbondanza da far girare la testa. Jacobs nello sprint, Tamberi nell’alto, le due marce trionfali di Stano e Palmisano, la staffetta prima con il nuovo record italiano (37”50), la quinta più rapida della storia dopo Giamaica (36”84, record del mondo, correva ancora Bolt), Usa (37”10), Gran Bretagna (37”36) e Giappone (37”43). Poiché a Tokyo nulla, in questi giorni, accade senza lasciarsi dietro un retrogusto dolce di prima volta, è importante sottolineare che la 4x100 azzurra non saliva sul podio da 73 anni (Monti-Perucconi-Siddi-Tito bronzo a Londra ‘48), mai aveva vinto un oro, al massimo un argento a Berlino ‘36: Mariani-Caldana-Ragni-Gonnelli dietro agli Stati Uniti di Jesse Owens. Pagine nuove di un libro in divenire, insomma, scritte a otto mani dal quartetto che ora il mondo ci invidia, nel medagliere di Tokyo 2020 l’atletica azzurra ha tanti ori quanti gli Usa e uno in più della Giamaica dopo averne conquistati tre in un paio di circostanze remote: Mosca ‘80 (Simeoni, Mennea, Damilano) e Los Angeles ‘84 (Cova, Andrei, Dorio), le Olimpiadi boicottate.
C’è evidentemente un incantesimo su questo stadio olimpico che ormai ci appartiene, dove non è strano finire la serata cantando Volare-ò-ò insieme ai volontari giapponesi e a quattro italiani abbracciati alla bandiera con patriottismo d’altri tempi. Da quassù, il mondo è una favola.
e per questo che come Malago sono d'accordo come ho già detto sui miei ( e vostri social e nei precedenti post in particolare qui per anticipare iter ius soli sportivo . Infatti
Sullo ius soli "faremo una proposta. Noi non chiediamo qualcosa di diverso rispetto alla legge attuale, ma solo di anticipare l'iter burocratico, che è infernale, un girone dantesco. Sul nostro tavolo ci sono decine di situazioni che ogni federazione reclama perché per una serie di motivi si perde tempo, 2-3 anni di gestazione. Nel frattempo l'atleta a 18 anni cosa fa? O smette, o viene tesserato dal suo paese di origine oppure arrivano altri paesi, studiano la pratica e gli danno la cittadinanza, oltre ai soldi".
con questo è tutto chiudo la serie dei post olimpici