Ieri allo “Sportello” di Forum Barbara Palombelli, parlando della tragica ondata di femminicidi delle ultime settimane, è riuscita a dire qualcosa che neppure un Feltri ha mai osato pensare.“A volte è lecito anche domandarsi” ha detto. “Ma questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte?”Avete capito bene: non sono loro ad essere degli assassini ma le donne ad averli “esasperati” in modo “aggressivo”.Siamo ancora qui, nel 2021, alla colpevolizzazione feroce della donna, allo spostamento sistematico della responsabilità dal carnefice alla vittima.Che qualcuno pronunci queste parole è gravissimo. Che a farlo sia una donna è semplicemente drammatico. E dimostra la strada lunghissima che ancora abbiamo da fare.Chieda scusa a Vanessa, a Chiara, a Rita, a tutte le donne uccise per mano dei loro assassini, senza se e senza ma. E ne risponda.
Incuriosito sono andato alla ricerca del video incriminato ed eccolo
Mi ha colpito , ma non più di tanto in realtà visto che visto che ci sono donne che si abbassano sempre più al livello di certi uomini , il fatto che una simile teoria non sia arrivata da un vecchio e obsoleto maschilista o da qualche donna succube o disinformata , ma da una gornalista che ha fatto un discorso contro il femminicidio sul palco di San remo . << Le parole della #Palombelli >> come giustamente dice su twitter Adrian Fartade - Link4Universe << hanno avuto tanta risonanza anche perché toccano una ferita aperta che ci ostiniamo a ignorare, in cui culturalmente viene spesso data, esplicitamente o implicitamente, la colpa alle donne per come si vestono, come parlano, dove vanno Ed è un problema legato anche tanto all'educazione maschile e come continua ad essere piena di elementi di possesso, di violenza e con grandi carenze sulla cultura del consenso, del parlare delle proprio emozioni, cercare aiuto psicologico, etc. Non è solo #Forum il problema...>>
Quindi condivido lo sdegno di Tosa ed la bellissime risposte , Forse le risposte più belle,fra quelle giunte su tali dichiarazioni
le più intelligenti ( almeno per ora ) sono arrivate da Fiorella Mannoia. Che non si rivolge a Barbara Palombelli ma direttamente agli uomini.
Infatti : << Se ti stuprano forse te la sei cercata, se ti ammazzano forse te la sei cercata. Mi sono rotta di queste frasi. Mi rivolgo agli uomini: ribellatevi a chi vi disegna come dei primati che non riescono a tenere a freno gli istinti, fatelo voi perché NOI SIAMO STANCHE! BASTA! >> La chiave del problema, in fondo, al di là di tante parole, è tutta qui. Bravissima Fiorella!
e da Patrizia Cadu che lo ha ed lo subisce ancora e ho raccontato in questo blog la sua storia
dalla rete
Patrizia Cadau, picchiata dal marito, risponde a Barbara Palombelli: “Nessuna se la va a cercare”
Patrizia Cadau, vittima di violenza da parte dell'ex marito, ha voluto rispondere a Barbara Palombelli, dopo il suo discorso che ha scatenato la polemica.
Patrizia Cadau, vittima di violenza da parte dell’ex marito, ha voluto rispondere a Barbara Palombelli, dopo il suo discorso che ha scatenato la polemica.
Patrizia Cadau, vittima di maltrattamenti da parte dell’ex marito, tra il 2012 e il 2017, ha voluto rispondere a Barbara Palombelli con un post su Facebook. La conduttrice, durante una puntata de Lo Sportello di Forum, ha dichiarato chebisogna chiedersi se gli autori dei femminicidi siano fuori di testa o se ci sia stato un comportamento esasperante da parte delle donne. “Questa nella foto sono io. Ci tengo subito a precisare che no, non me la sono andata a cercare, non sono mai, mai, mai stata aggressiva, che non sono mai stata una donna esasperante. Ci tengo a sottolinearlo, a nome mio, e a nome di tutte le sopravvissute, perché l’aggravante dei violenti di casa è proprio quella di approfittare di donne che sono già mezzomorte, dopo anni di soprusi, fatica, intimidazioni, anche di fatica a mantenerli questi uomini violenti, perché sono parassiti che sanno come approfittare delle situazioni” ha scritto la donna, consigliera comunale di Oristano, mostrando il volto coperto di lividi.
“No, non avevo fatto niente, né quella volta né tutte le altre: eppure ciò non mi ha risparmiato dall’essere addirittura sequestrata in casa mia, di mangiare e dormire insieme ai miei figli chiusi a chiave di nascosto. Anche mangiare di nascosto, perché secondo il violento con i soldi di casa non si poteva mangiare. Noi, ovviamente, non lui. Non ho fatto niente, se non addirittura intestargli il mio patrimonio immobiliare e tutti i miei soldi, pur di sopravvivere, e sia chiaro, l’ho fatto con una pistola puntata alla testa e la minaccia che mi avrebbe ammazzato i figli” ha dichiarato Patrizia Cadau.“Palombelli, lei ha mai sentito la canna di un’arma premuta alla testa o in bocca? No vero? Si ritenga fortunata e non ci faccia la morale con tanta spocchia. Palombelli, ritengo che lei sia parte del problema, non me ne voglia: ritengo la sua cultura, causa di quanto è accaduto e continua ad accadere a me, la ritengo responsabile del silenzio e dell’omertà cui siamo costrette a vivere grazie a parole come le sue: di una violenza insopportabile. La ritengo responsabile e a questo punto dovrebbe solo chiedere scusa. A tutte. A tutte quelle che si alzano la mattina e non sanno se la sera saranno ancora vive per raccontare quello che le sto raccontando io” ha aggiunto la donna, rivolgendosi direttamente alla conduttrice.
Ora a mi si dirà la cultura sessista \ maschilista c'è sempre stata vedi nei cantieri e nei bar ed le donne sono sempre state uccise , dove stata la novità ? Niente di nuovo a parte il numero sempre più grande di casi . E' vero queste cose succedevano prima ma : 1) il numero delle donne uccise non era da quel che ricordo cosi elevato ., 2) c'erano sia nella tv pubblica di stato la cosidetta lottizzazione ed nelle prime tv private degli argini . ed la cutura alta ed a cultura bassa ( cioè quella che la critica modena definisce accomnandolo erroneament e ai programmi d'oggi ) trash condividevano Oggi " la diga " si è rotta con il servizio pubblico che ha smesso ( salvo rare eccezioni ) di combattere e proporre un alternatva alle tv private al 90 % di Mediaset \ Berlusconi abbassandosi allo stesso livello per di fare ascolti . E facendo da propulsore a tale cultura becera vedi il recente caso della Palombelli citato nelle righe precedenti sia che lo faccia perchè si è bevuta il cervelllo diventando stronza come un uomo " ( cit vecchioni ) visto che
Ho letto le parole di Barbara Palombelli sui femminicidi. Le ha pronunciate durante la puntata del 16 settembre di Forum. Sono queste.
“Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini. A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi”.Ora: Barbara Palombelli è una persona intelligente, una giornalista di successo, una donna che è riuscita ad emergere in un ambiente spesso maschilista e sessista. Per questo le sue parole mi paiono semplicemente allucinanti.
Cosa è successo a questo nostro mondo, e quanto ci stiamo inaridendo/incancrenendo/rincoglionendo, se perfino la Palombelli si iscrive al partito dei “forse quella donna un po’ se l’è andata a cercare?”.Quale sarà il prossimo passo? Sentire un altro volto televisivo affermare che forse lo stupro è causato da chi mette la minigonna? Non lo so, boh, ma mi sembra proprio che siamo alla canna del gas morale.
Ma c'è chi oltre a difenderla pochi per fortuna come : il caso umano di Mario Adinolfi , che anche stavolta è impossibile da ignorare
Annamaria Bernardini De Pace e Giampiero Mughini. L’avvocata ha spiegato che quella della Palombelli è «solo una delle spiegazioni possibili del femminicidio; si è ben guardata dal legittimarlo. Anzi. Gli ignoranti mossi da odio sinistro dovrebbero leggere il codice penale e soffermarsi a capire il concetto di provocazione. Nei tribunali se ne parla». «La parità è proprio nel concetto espresso dalla Palombelli che dimostra conoscenze giuridiche (a differenza di chi la critica bovinamente) giacché richiama il principio giuridico della provocazione, che non legittima il femminicidio, ma ne dà una possibile spiegazione». Per Mughini, che è intervenuto su Dagospia, Palombelli ha avuto molto «coraggio»: « Detto questo io penso che ciascuna storia per quanto atroce, e dunque i suoi protagonisti, vadano ogni volta studiati come un caso a sé ».
che : stia usando , il mezzo televisivo , visto che non è la prima volta come furbizia da giornalista in calo di interesse.... 😏 ed ha fatto la boutade per smuovere l'audience.... ., che È pagata dal padrone del vapore, non può mettersi contro di lui, i soldi servono. Cosa voleva dire davvero Barbara Palombelli ? Davvero pensa che un comportamento esasperante possa causare un omicidio o ha usato una sintesi troppo estrema per spiegare , agli analfabeti funzionali e non , un concetto più complesso? Qualsiasi fosse il suo intento è riuscita solo a provocare sdegno e indignazione dai tantissimi che si sono sentiti offesi dalle sue parole econe uno a caso :
mentre stavo chiudendo il post leggo sul https://www.ilfattoquotidiano.it/
Ora la conduttrice replica all’ondata di polemiche scoppiate in seguito alla diffusione sui social del video della puntata del programma di ieri 16 settembre, in cui fa questa inammissibile presentazione. Ma non chiede scusa: “La violenza familiare, il crescendo di aggressività che prende il posto dell’amore, l’incomprensione che acceca e rende assassini richiedono indagini accurate e ci pongono di fronte a tanti interrogativi – scrive in un post sul profilo Facebook Barbara Palombelli Rutelli – Quando un uomo o una donna (ieri a Forum era la protagonista donna ad esercitare violenza sul coniuge) non controllano la rabbia dobbiamo interrogarci. Stabilire ruoli ed emettere condanne senza conoscere i fatti si può fare nei comizi o sulle pagine dei social, non in tribunale. E anche in un’aula televisiva si ha il dovere di guardare la realtà da tutte le angolazioni”.
Una toppa addirittura peggiore del già gigantesco buco. E le reazioni alla puntata di Forum sono state durissime. “Quando i mezzi di comunicazione sostengono che un femminicidio possa essere l’effetto del comportamento delle vittima, siamo nel pieno del victim blaming, che è proprio una delle cause dei femminicidi e della mancanza di sanzioni e leggi adeguate”: le parole su Twitter Amnesty International Italia, usando l’hashtag Palombelli che è primo tra gli argomenti più discussi. Anche Lia Quartapalle del Pd adopera toni duri: “Come si fa a dire che se una donna viene assassinata dal partner forse è anche a causa sua? La frase di Palombelli è uno sfregio alle donne che cercano la forza di denunciare è una offesa a chi si impegna ogni giorno contro la violenza di genere. Palombelli si scusi”. Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, la rete nazionale dei centri antiviolenza, commenta: “Chiediamo le pubbliche scuse, che non bastano certo, di chi ha messo sullo stesso piano le donne morte per mano maschile e il presunto atteggiamento ‘esasperante e aggressivo’ di chi oggi non c’è più. Mentre si discute di inserire la violenza di genere tra le nuove aree di criminalità elencate nel trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ci troviamo a contrastare con forza in Italia un pensiero che offende e lede la dignità di tutte le donne”. E conclude: “Non è accettabile che passi in silenzio il messaggio che a provocare la morte delle donne per mano maschile sia ‘altro’. Niente e nulla può giustificare la violenza alle donne. Di questo bisogna che tutte e tutti siano consapevoli”. E il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti del Lazio “condanna le gravi parole di Barbara Palombelli sulla recrudescenza dei casi di femminicidio che costituiscono un’offesa non solo alla dignità di tutte le donne che subiscono violenza, ma trasgrediscono lo spirito delle regole deontologiche che ogni iscritto all’Albo dei giornalisti è tenuto a rispettare”.
Forse stando zitta avrebbe fatto più bella figura e le polemichè sarebbero cessate , invece andranno ad alimentarsi ancora di iù e continueranno chissà fino a quando . forse unnpaio di giorni visto che altro ad aver ricevuto un esposto all'ordine dei giornmalisti e iterventi critici delle donne ministrohttps://www.open.online/2021/09/17/barbara-palombelli-femminicidio/
con questo è tutto almeno fin quando non replicherà e dirà : sono stata frainteda , le mie parole decontestualizzate. ...bla...bla ...o qualcun altro a lei vicino
leggevo oggi la nuova sardegna , e cme sempre arriva in ritardo , la storia di Mimmo Peruffo . Un nome che avevo già sentito da qualche parte per una storia particlare , avvenuta durante la prima fase diella pandemia . Poi la rete ed gli articoli,compreso il vieo , fortunatamente gratuiti , sotto riportati trovati in rete hanno il mio ricordo .
Mimmo Peruffo Maestro cordaio e proprietario della ditta Aquila corde armoniche , durante la quarantena imposta dal Coronavirus ha messo in pratica il motto latino appreso da giovane quando faceva parte degli Scout: estote parati ! E ha temporaneamente riconvertito la produzione della sua azienda per dare un contributo a chi ne aveva bisogno.Ed ha finito per essere l’unico in Italia a produrre il filo che serve alle stampanti 3D per realizzare le valvole che servono alle mascherine da sub, riconvertite in respiratori. Ecco la sua vicenda racontata . ecetto il video , sia da questo articolo di https://www.adnkronos.com/
Venticinque chili di filo per i respiratori a Monza, settantacinque a Bergamo, quarantadue a Roma. In pochi giorni, senza capire ancora bene la portata di quello che sta accadendo, ma con una pazzesca, potentissima energia che gli sgorga dal cuore nel poter aiutare il suo paese. Questa è la storia di Mimmo Peruffo, produttore di corde di chitarra a Caldogno, il paese di Roberto Baggio, ritrovatosi da un giorno all’altro ad essere l’unico in Italia a produrre il filo che serve alle stampanti 3D per realizzare le valvole che servono alle mascherine da sub, riconvertite in respiratori.
Venticinque chili di filo per i respiratori a Monza, settantacinque a Bergamo, quarantadue a Roma. In pochi giorni, senza capire ancora bene la portata di quello che sta accadendo, ma con una pazzesca, potentissima energia che gli sgorga dal cuore nel poter aiutare il suo paese. Questa è la storia di Mimmo Peruffo, produttore di corde di chitarra a Caldogno, il paese di Roberto Baggio, ritrovatosi da un giorno all’altro ad essere l’unico in Italia a produrre il filo che serve alle stampanti 3D per realizzare le valvole che servono alle mascherine da sub, riconvertite in respiratori. Una storia incredibile che Mimmo racconta in esclusiva all’Adnkronos, dove gli elementi principali sono una piccola fabbrica di produzione di corde per strumenti musicali (“Mi sono ritrovato a fare l’imprenditore grazie alla passione per la musica, poi ho cominciato a produrre un milione di corde che fino a due mesi fa mandavo in Cina alle fabbriche che fanno ukulele, la chitarrina hawaiiana”, ci racconta), un figlio che ama lavorare quanto lui e un’enorme generosità di cui l’Italia ora ha davvero bisogno. “Molto prima della pandemia -racconta Peruffo- avevo fatto questa piccola ‘follia’ di prendere un impiantino ad estrusione, lungo una quindicina di metri, che serve per produrre il filo. E’ una piccola macchina che però, ho scoperto poi, non ha quasi nessuno”. Poi scoppia l’emergenza, e lui legge un articolo dove si dice che “avevano trovato il sistema per modificare le mascherine da sub in respiratori, e che usavano una stampante in 3D per fare una componente essenziale che è una valvolina, per la quale serve il filo che produco”, ricorda.
La sua fabbrica è chiusa, e lui con le mani in mano non ci sa proprio stare. Così, contatta un ospedale di Brescia, per chiedere se hanno bisogno di aiuto. "Volevo dargli il mio filo, ma a loro non serviva perché usavano un altro sistema", racconta. Poi, l’occasione arriva. “Ho letto che c’era un’azienda di Napoli che produceva queste valvole, li ho contattati, e loro mi hanno ringraziato in tutti i modi. Poi mio nipote, che ha una piccola azienda che usa la stampante 3D, aveva sentito che servivano questi fili, e mi ha rivelato che c’era una chat di coordinamento per tutta Italia chiedendomi se potevo produrlo”. Mimmo non ci pensa due volte. Si sveglia alle 5 del mattino, rimette in moto tutti i macchinari, chiama il figlio. "Vieni a lavorare, che abbiamo da farci un mazzo così”. Il nipote incalza. "Zio, servono 100 chili, e io mi sono messo subito al lavoro. Poi mi arriva la sorpresa: stamattina mi arriva una lista, richieste da ospedali di Roma, 42 chili, Bergamo, 75 chili, Monza 25 chili… non potevo crederci -rivela Mimmo- Il coordinatore della chat che mi dice ‘non troviamo più il filo in Italia, dobbiamo ordinarlo in Cina e non ce lo mandano più. In questo momento, sei l’unico in tutta la nazione che lo produce”. Gli chiedono quanto devono pagarlo, ma inutile dirlo, la domanda cade nel vuoto. "Sto facendo solo il mio dovere. Stare seduto sulla sedia a vedere gli altri lavorare, non è da me: sono un tipo d’azione. Essere impotente e non rendermi utile, non mi faceva sentire bene, ora ho l’opportunità per fare qualcosa per la mia nazione -dice Mimmo- Stiamo cinque giorni in questo pianeta, se posso fare qualcosa è una vita spesa bene. La cosa più bella? Vedere mio figlio che lavora con me. Voglio vedere l’impianto scoppiare, andare a mille. Piccolo, ma così utile al mio paese”.
E da l'unione sarda
Quella di Mimmo Peruffo è una storia incredibile fatta di studio, ricerca e un pizzico di alchimie che lega in qualche modo un antico liuto rinascimentale a un ukulele hawaiano, la tradizionale chitarrina a 4 corde, che ha segnato il successo di "Somewhere over the raimbow". Anni di lavoro e letture nei musei italiani ed esteri per scoprire il mistero delle corde basse del liuto.Mimmo Peruffo, oggi, è un artigiano che ogni santo giorno degli ultimi vent'anni risponde a migliaia di richieste da mezzo pianeta. Gli chiedono corde. Corde da musica. Ma anche consulenze, partecipazioni a seminari sugli antichi budelli utilizzati per i bassi dei liuti, o sulla sua scoperta innovativa sui nuovi materiali per quei filamenti sonori. Peruffo ha 61 anni, ha lasciato Arborea molti decenni fa, da quando più o meno ha smesso di indossare i pantaloni corti. Ha invece mantenuto la stessa insofferenza per chi offende il suo orgoglio di sardo nonostante i genitori veneti. È titolare in provincia di Vicenza di "Aquila corde armoniche", azienda leader nel mondo nella realizzazione appunto di corde per strumenti ad archi, moderni e antichi.E soprattutto corde per ukulele, la chitarrina hawaiana. All'origine c'è una missione. Uno di quei fatti che la vita ti butta davanti e a cui non sai dare un perché. A lui viene chiesto di portare a termine la ricerca avviata da un liutaio di Firenze, Riccardo Brané, sull'enigma dei bassi in budello del liuto. «Inizialmente non sapevo proprio nulla di corde. Le compravo».». Il diciassettenne di origine sarda aveva iniziato a suonare la chitarra, grazie al nonno Dario, che nel 1932 arrivò a Mussolinia Il vecchio nome di Arborea ) .«Era la seconda ondata di emigrazioni dopo quella del '28, in massima parte costituita credo da vicentini, del Polesine e veronesi. Mio nonno era commerciante, poi falegname e appassionato da sempre di musica. Ad Arborea aveva costituito una scuola amatoriale di musica e la banda musicale». Alla fine degli anni '60 la famiglia di Gianni e Agnese Peruffo, genitori di Mimmo, torna nel Veneto. «Non avevo interesse per la musica, divenni perito chimico a Padova e mi affascinava l'elettronica, mio padre era un bravo riparatore di radio e televisori».Da adolescente seguì un concerto di chitarra classica e fu amore a prima vista. «Decisi di imparare a suonarla». Il nonno gliela costruì. «Ma il mio maestro mi disse che quella non andava bene perché non seguiva i criteri spagnoli». Comprarne una con appena 10 mila lire fu un'edificante umiliazione. «Il rivenditore mi derise un poco e io gli risposi: qui non ci torno più e la chitarra, a costo di farmela con i denti, me la costruisco da me». Fu provvidenziale.Ma a segnare la fortuna di Peruffo fu il mistero delle corde gravi del liuto. Dopo una decina di anni di ricerche, interpretazioni di testi in musei di mezza Italia ed esteri ecco la svolta. «Lavoravo in un laboratorio di analisi delle acque e durante le pause cercavo di capire perché le corde di budello per i bassi dovevano essere rivestite d'argento o comunque appesantite per poter farle suonare». La soluzione era nel loro peso specifico. «Quando trovai la quadra, andai davanti alla tomba di Branè, il liutaio di cui avevo mio malgrado ereditato le ricerche e osservandola fissa dissi: Riccardo, sardo sono e ho la testa dura ma sappi che ho sudato dieci lunghi anni e ora ci siamo. Ecco il liuto con le corde come tu lo desideravi» . Può succedere però che anche una visita in una piccola fabbrica di fili per scope possa cambiarti la vita. «In quel capannone presi un scarto di filamento di poliestere destinato alla famosa scopa e lo misi tra i denti. Lo pizzicai e mi accorsi che aveva un suono meraviglioso. Era quello che cercavo. Suonava come il budello. E non serviva più la polvere di rame per appesantire il budello di pecora. Esisteva quel poliestere sconosciuto ai fabbricanti mondiali di corde ma utilizzato per le scope». Da quel momento il telefono di Mimmo Peruffo non ha smesso più di suonare. Nel 1997 viene brevettato il Nylgut una sorta di budello sintetico (nylon-budello) con lo stesso peso specifico del budello naturale «ma molto più resistente, ha una perfetta performance sonora ed è economico: la versione migliorata del famoso filo da scopa». Il resto è cronaca.Aquila corde armoniche è l'azienda di Peruffo nata circa vent'anni fa. Con lui lavorano poco meno di trenta dipendenti, per sfornare oltre 2 milioni di corde al mese in Cina per l'ukulele. «Corde bianche per distinguerle da quelle hawaiane che sono nere. Bianche - dice - come la spiaggia di Is Arutas. Mi scrissero persino dalle Hawaii pregandomi di farle nere come da loro tradizione perché le loro spiagge sono scure per la sabbia del vulcano ma io risposi che sono anche io nato in un'isola come loro ma che la spiaggia che ho in mente ha la sabbia bianca e che per nessuna ragione al mondo avrei cambiato il colore bianco delle corde». Le richieste arrivano oggi da tutto il mondo: Londra, Vienna, Norimberga, Innsbruck, Tokyo Sidney ...E poi Los Angeles, consulenze in almeno 10 musei musicali europei. «Il nostro magazzino è di circa 7000 ukulele (oltre alle corde vendiamo anche gli strumenti), sia delle nostre brand (Mahimahi, Mahilele, Shortbassone) che di altro assortimento proveniente da Usa e Hawaii. Molti li destiniamo però per scopi umanitari no profit in certe aree del mondo soggette a guerre, povertà e altro ancora. Eccolo il viaggio partito da un ragazzino di Arborea capace di immaginare. Pronto a sentire il motore di un Tir da un trabiccolo in legno con quattro ruotine sbilenche, davanti ai suoi amici.
Da hobby a business: «Vendo cavalli arabi agli sceicchi»
La bella avventura di una coppia teresina e del loro allevamento
DI LUCA URGU17 SETTEMBRE 2021
SANTA TERESA. Un cavallo che conquista per armonia e fascino. Destrieri che hanno appeal e che soprattutto si vendono. In alcuni casi diventano leggenda come Nopoli, un vero fenomeno negli Emirati arabi che per il palmares sconfinato viene chiamato appunto Legend. Ovviamente tutto questo ha un prezzo, i puledri allevati e addestrati con cura raggiungono quotazioni importanti. Alcune volte quelle necessarie per acquistare metà di un bell’appartamento in città. Un gioiello per pochi dunque e non per tutti. A Santa Teresa Gallura c’è un’azienda, l’allevamento del Ma, di Maurizio Muntoni e di Anna Teresa Vincentelli, che lavora e in silenzio produce eccellenze. Cavalli di razza araba che riforniscono le scuderie degli sceicchi più ricchi del pianeta che non badano a spese per portarseli a casa. Sembra il classico caso in cui l’impresa fa molto, molto di più della politica nell’esplorare nuovi e appetibili mercati. E l’apertura di un canale commerciale con gli Emirati Arabi si deve a intuito, passione e al lavoro piuttosto che ad accordi economici o patti bilaterali troppo spesso validi solo su carta ma in realtà ben poco efficaci.
Maurizio Muntoni, 60 anni portati benissimo, racconta il suo ingresso dalla porta laterale in questo mondo complesso che ha imparato a conoscere e a decifrare nel tempo grazie ad una dose fuori dal comune di passione ma anche di pazienza. Quella virtù che possiede chi sa attendere e non ha fretta di avere tutto subito. «L’avventura iniziò con un asinello che da bambino mio padre mi comprò per accontentarmi, poi a vent’anni il primo cavallo per le passeggiate. Iniziai il percorso sportivo agonistico con le gare di trek che mi diedero tante soddisfazioni e mi portarono a girare mezza Europa e a partecipare anche ai campionati del mondo», racconta Muntoni scavando nel libro dei ricordi. La vera svolta avviene intorno al 1990, quando rompendo gli indugi le attenzioni dell’allevatore si concentrano esclusivamente sul cavallo di razza araba. «Sono sempre stati un mio pallino. La mia prima cavalla araba la acquistai a Parma. Era versatile ed equilibrata lasciai il trek e abbracciai l’endurance (Le competizioni consistono in corse di resistenza su percorsi di varia natura ed un chilometraggio che varia dai 30 ai 160 km a seconda delle categorie) e la cavalla mi diede subito degli ottimi risultati». Erano gli anni pionieristici dell’allevamento e occorreva aumentare gli animali seguendo però l’unica direttrice possibile: la qualità. «Incrociai la cavalla con uno stallone dell’Incremento ippico e il puledro diede subito ottime performance sia nelle corse, che poi nell’endurance. Vincemmo i campionati europei con Mara Feola, un’amazzone di Santa Teresa molto brava e altre competizioni».
Ma la vera svolta si concretizzò incrociando le fattrici sarde in Francia con i ceppi migliori, soprattutto sui cavalli arabi e all’incontro fortuito ma solo fino ad un certo punto con il mondo degli sceicchi Hamdan e Mohamed che attraverso alcuni loro osservatori videro da queste parti l’argento vivo per le loro passioni sportive. «Nel 2001 vendemmo i primi tre puledri. Li acquistarono in blocco e non se ne pentirono, anche perché uno di loro è diventato una vera leggenda. Si tratta di Nopoli del Ma’, quello che loro chiamavano e chiamano Legend, un cavallo che negli Emirati arabi ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Da allora posso dire che con loro si aprì un varco con la Sardegna, non solo con il mio allevamento. Scoprirono che qui si allevavano cavalli all’altezza. Un movimento importante di cui abbiamo beneficiato tutti», spiega l’allevatore nella struttura di Santa Teresa che ospita una settantina di cavalli. Quella di Nopoli è davvero una bella storia di cui Muntoni va giustamente orgoglioso anche perché condensa la sua filosofia di vita e un approccio all’allevamento dei cavalli fatto del giusto mix tra ragione e sentimento. «Il puledro quando aveva 5 mesi iniziò a zoppicare, il problema non cessava. Così il mio veterinario mi consigliò di andare a Perugia dove c’era una dottoressa molto brava e strumentazioni tecniche all’avanguardia. Lo ascoltai e seppi aspettare. Il cavallo aveva il menisco rotto, lo tenemmo fermo per un anno ma dopo scalpitava, o meglio volava e ottenne tutti quei risultati che ne hanno fatto una autentica star e quell’appellativo di Legend non arrivato per caso». Quella dell’infortunio poi per fortuna rientrato fu una grande lezione per l’allevamento (oggi costituito da 70 cavalli con la produzione di 10 puledri all’anno) che ha impostato il lavoro seguendo gli standard più all’avanguardia. «Abbiamo un metodo particolare. Li seguiamo durante l’arco della giornata. I puledri fino all’anno e mezzo mangiano la loro razione nei box, per evitare che il più forte sottragga il cibo a chi lo è meno. Facciamo noi il fieno con quattro tipi di erba e diamo il supporto con i mangimi con il giusto supporto di calcio. Poi li seguiamo con le telecamere e il momento del parto ha tutte le attenzioni del caso. “Eccetto lo scorso anno per il covid, vado sempre negli Emirati Arabi. Vedere i nostri cavalli comportarsi in maniera egregia è una soddisfazione enorme». E se dall’Isola, dove sono nati e allevati molti puledri raggiungono le grandi scuderie, questa volta grazie al Sardegna Endurance Festival 2021 ormai alle porte, con il suo Campionato mondiale per giovani cavalli organizzato all’Horse Country Resort di Arborea, il gotha è alle porte del regno di Eleonora.
Lo che l'8 settembre è passato e quuindi secondo alcuni\e di voi ed la celebrazione rituaslistica sarei fuori tempo . Ma storie e vicende non hanno una data fissa e sono perchè anche chi le usa come mezo strumentale o ideologico sono ancora vive a prescindere dal calendario . Ma sopratttutto
Anche la disperazione impone dei doveri E l'infelicità può essere preziosa
Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio
Geniali dilettanti in selvaggia parata Ragioni personali, una questione privata
Geniali dilettanti in selvaggia parata Ragioni personali, una questione privata
La facoltà di non sentire La possibilità di non guardare Il buon senso, la logica, i fatti, le opinioni, le raccomandazioni Occorre essere attenti per essere padroni di sé stessi Occorre essere attenti
Ma ora bado alle ciancie ecco le storie
8 settembre 1943: la città che salvò i soldati Il giorno dell’armistizio, i rastrellamenti dei nazisti. E il racconto di come Mantova si mobilitò con ingegno e coraggio per aiutare i militari abbandonati nelle caserme
di Nicola Saccani
La rinascita di Paraloup, prima borgata partigiana La seconda resistenza delle baite che nel settembre '43 furono quartier generale delle bande di Giustizia e Libertà: tornano a popolarsi per salvare memoria e ambiente
di Francesco Doglio
Seppellire 2000 partigiani, la missione di Nicola Grosa La storia del comandante piemontese che dopo la guerra recuperò le spoglie dei compagni scavando a mani nude “per dar calore ai resti”. Un’impresa che lo portò alla morte
Esclusa dal concorso perché part-time, la Cassazione le dà ragione: "E' discriminazione di genere
Attribuire un punteggio più basso per l'avanzamento di
carriera a chi ha un contratto di lavoro part-time diventa una
discriminazione di genere, dal momento che sono soprattutto donne ad
avere un orario ridotto. È questa la conclusione a cui sono arrivati i
giudici della Cassazione partendo dal ricorso di una dipendente
dell'Agenzia delle Entrate del Piemonte, assistita dagli avvocati
Alberto Biscaro e Roberto Marraffa - che aveva fatto causa davanti al
tribunale di Torino dopo essere stata scartata nel bando di concorso a
cui aveva partecipato per passare di livello.
"Questa è stata una causa pilota che è andata avanti per dieci anni ma
ce ne sono molte altre che ora ci auguriamo che seguano questo iter, ora
che la Suprema Corte ha dato precise indicazioni giurisprudenziali è il
commento dell'avvocato Biscaro - E soprattutto apre una strada a tutte
quelle donne che, soprattutto negli enti pubblici, hanno scelto un
orario ridotto ma sono state mortificate nelle loro carriere".La donna, inquadrata come funzionario di terza area F1, aveva
partecipato al bando del 30 dicembre 2010 per la progressione economica
alla posizione F2 ma la sua selezione non era andata a buon fine perché
era stata penalizzata nel criterio di "esperienza di servizio maturata"
che per i lavoratori part-time veniva calcolata in proporzione
all'effettivo tempo lavorato e non all'anzianità raggiunta.Nella sentenza della Corte d'appello piemontese (in dissenso con
quanto era stato stabilito dal tribunale di Torino) non si era
evidenziata in questo criterio una discriminazione di genere, dal
momento che il calcolo dell'esperienza di servizio si applicava a tutti i
dipendenti in part-time, indipendentemente dal fatto che fossero uomini
o donne. Ma secondo la dipendente "nonostante la neutralità del
criterio adottato, l'istituto del part-time è collegato in misura
preponderante al genere femminile, che se ne avvale quale modalità più
compatibile con le necessità familiari"."Pertanto - prosegue il ricorso - la scelta di ridurre il punteggio
per il lavoro part-time incideva astrattamente su entrambi i sessi ma
realizzava una discriminazione indiretta di genere". Inoltre la
selezione era fatta sulla base dei titoli di studio e dell'esperienza di
servizio, ma "il punteggio per i titoli era attribuito una volta sola -
si denunciava ancora - mentre quello per l'esperienza aumentava in
ragione di ciascun anno di servizio, sicché la sua riduzione per il
part-time non poteva essere compensata dai titoli posseduti".La Cassazione ha confermato che nel giudizio sulla causa "non andava
compiuta una verifica riguardo al trattamento, ma all'effetto
discriminatorio", che è proprio quello che la legislazione intende con
"discriminazione indiretta" ovvero l'effetto negativo su un determinato
sesso rispetto all'altro determinato da un atto o una prassi
apparentemente neutri.Secondo la Cassazione, che ha accolto il ricorso della donna e
rinviato la causa alla Corte d'appello di Torino, "l'obiettivo di
apprezzare in maniera puntuale l'esperienza di servizio è di per sé
legittimo - si legge nella sentenza - ma il giudice di merito dovrà
valutare se nel contesto delle mansioni della ricorrente esista o meno
un nesso tra l'esperienza acquisita con l'esercizio della funzione e il
numero delle ore di lavoro svolte".
Gli ortaggi estinti che tornano a tavola
Un architetto di 33 anni ha lasciato tutto per riportare in vita (e in cucina) specie vegetali. Come il peperone quadrato della Motta e il carciofo astigiano del Sorì
di Giulia Destefanis
Un architetto di 33 anni ha lasciato tutto per riportare in vita (e in cucina) specie vegetali. Come il peperone quadrato della Motta e il carciofo astigiano del Sorì
di Giulia Destefanis
Vita da prof di montagna, odissea da 140 km al giorno per insegnare (e per strada c'è anche l'orso)
Si riparte. Tornanno in classe milioni di studenti. Ma anche quasi 850mila insegnanti. E alcuni di loro affronteranno tragitti di ore per arrivare a scuola: chilometri di stradine di montagna, o lunghi viaggi in traghetto. Nei piccoli centri - in montagna o sulle isole - sopravvivono centinaia di scuole, che spesso sono molto difficili da raggiungere. Tanto che c'è chi decide anche di trasferirsi (e in quei casi una buona parte dello stipendio se ne va per affrontare le spese).
Dopo Alicudi, pubblichiamo la storia inedita (il reportage è stato girato nel febbraio del 2020) di un'altra scuola sperduta. Stavolta tra i monti del Parco Nazionale d'Abruzzo: l'istituto di Barrea e Villetta Barrea, in provincia dell'Aquila. Pochi bambini e insegnanti appassionati, a tratti eroici. Che affrontano anche 140 chilometri al giorno (tra andata e ritorno) su strade gelate per molti mesi all'anno, e che, se serve, si mettono a spalare la neve (e per arrivare a scuola incontrano cervi, lupi e perfino orsi)
di Valeria Teodonio
immagini di Valeria Lombardo e Leonardo Meuti
montaggio di Mariagrazia Morrone
grafica di Riccardo Pulvirenti
Prima del calcio, gli sport più amati dell'800 Dagli anelli al badminton, nei palazzi nobiliari si sperimentavano le discipline antenate delle Olimpiadi: a Mantova la casa di un conte espone i cimeli più curiosi
di Nicola Saccani
Si chiama Nemo's Garden, l'Orto di Nemo, ed è il primo esperimento al mondo di agricoltura subacquea, agricoltura terrestre trasferita sott'acqua. Dentro biosfere, cupole riempite di aria in cui le piante crescono con acqua dolce ottenuta dall'evaporazione dell'acqua salata. Uno studio avveniristico portato avanti a Noli, in provincia di Savona, da un'azienda, la Ocean Reef, gruppo italiano che produce attrezzature subacquee. L’obiettivo? Aprire nuove frontiere per l'agricoltura in zone del mondo dove quella tradizionale è difficilmente praticabile, da quelle desertiche alle isole. di Giulia Destefanis
Ritrovati 75 anni fa, hanno fatto litigare a lungo Pergola e Ancona che volevano ospitarli. E come i guerrieri di Riace conservano un alone di mistero sulla loro origine