25.9.21

buone notizie dagl incedi di quest'estate del nuorese ed nell'oristanese Murigheddu, l'asinello sopravvissuto all'incendio è guarito: "Rinato dalle sue ceneri" ed altre storie

   da  https://www.youtg.net/canali/storie/


Murigheddu, l'asinello sopravvissuto all'incendio è guarito: "Rinato dalle sue ceneri"


murigheddu

CUGLIERI. "Sei arrivato quasi arrostito, stordito, accecato dall’inferno che ha avvolto il tuo corpo e i tuoi meravigliosi occhi. Ora sei guarito". È una storia di resistenza e di amore quella di Murigheddu, l'asinello che è riuscito a sopravvivere al rogo di Cuglieri, e della sua veterinaria, che lo ha preso in cura dal primo giorno dopo quel terribile giorno di fiamme.
Paola Musio, la dottoressa che lo ha tenuto a Su Crastu Biancu per curare le sue ferite, ora può raccontare il lieto fine e lo fa con un lungo post sui social: "Mai avrei immaginato che in un mese esatto, potesse nascere un amore così speciale, nato da tanta sofferenza, paura, diffidenza", scrive, "Ma trasformato con la tua pazienza, in sollievo, fiducia, confidenza. Puzzavi di cenere, di carne putrida... non ti reggevi in piedi. Non muovevi la bocca, tanto avevi il muso carbonizzato. Avevi paura qui, un posto a te estraneo, da solo. Non una voce che ti fosse familiare. Ma piano piano, mi hanno insegnato a curare le tue piaghe.....ti ho triturato per giorni mele e carote e ti ho quasi imboccato. Ti ho lavato via la cenere dal corpo, ti ho dissetato con le mie mani e tu, lentamente, nonostante i tuoi 26 anni, hai imparato a fidarti di me. Hai imparato a chiamarmi quando vuoi una mela, quando vuoi una carezza".L'asino, la notte del rogo, aveva tentato di ripararsi raggiungendo una pozza d'acqua: lì ha aspettato che le fiamme si spegnessero. Ma il suo muso era rimasto bruciato.
"Asino rinato dalla sua cenere", lo definisce la veterinaria, "Asino vecchio saggio. Soffrirò quando andrai via. Lo so. Ma ti ringrazio per questa esperienza intensa che mi hai regalato, per l’esempio di coraggio, di resilienza e amore per la vita che hai dimostrato. Soffrirò. Avrei voluto tenerti, e mi piace pensare che anche tu saresti voluto rimanere con me, ma devi tornare a casa tua. Sei quasi guarito e le tue asine ti aspettano

Si taglia i lunghi capelli per donarli alle pazienti oncologiche: il gesto d'amore di Clara

capelli-donati




PIMENTEL. Aveva dei bei capelli: neri, lisci e, soprattutto, lunghi. Ora Clara, studentessa di Lettere con indirizzo Beni culturali, ostenta un bel caschetto corto. Perché ha decido di donare i suoi capelli per la realizzazione di parrucche destinate alle pazienti oncologiche.
Il bel gesto è raccontato dall'associazione "Il giardino di Lu" di Pimentel, fondata da Maria Fois Maglione (nota come la "signora dei tulipani") in memoria di Luena, sua figlia, strappata via dalla vita nel 2016 dal tumore ovarico.



Lei è Clara......
Ama l'arte e il bello.
Non cambierebbe mai l'indirizzo della sua facoltà : Beni culturali, perché ha voluto investire sulla sua passione.
Sensibile e determinata, sa cosa vuole.
Non smetterà di raggiungere i suoi obiettivi e non si fermerà davanti a qualsiasi ostacolo.
Oggi ha voluto fare un regalo al Giardino di Lu,🌻🌷 ha tagliato i suoi lunghi capelli perché diventassero parrucca per i pazienti in terapia oncologica.
Un bel gesto nei confronti di chi è meno fortunata e un gesto per incoraggiare tutte le donne che si trovano in difficoltà a non arrendersi mai.
Grazie CLARA,❤️
felice di averti incontrata. 🌻🌻
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"Un bel gesto", quelli di Clara, "nei confronti di chi è meno fortunata e un gesto per incoraggiare tutte le donne che si trovano in difficoltà a non arrendersi mai".


23.9.21

“Sciolgo i cani”. Così lo zio dei fratelli Bianchi ha aggredito i giornalisti de La Vita in Diretta “Sciolgo i cani”. È la minaccia dello zio di Marco e Gabriele Bianchi contro la troupe Rai della trasmissione ‘La Vita In Diretta’, che è stata aggredita dalla famiglia dei due tra gli imputati

 di cosa stiamo parlando 


 
premetto che : non ho visto la trasmissione  ed la puntata incriminata  ., non mi piace  il giornalismo di quel tipo .Ma  se usi contro d'essa e i loro.giornalisti a violenza  fisica vuol dire  che  tu abbia qualcosa da nascondere  o  li difendi gli assasini  o presunti     tali  .  







“Sciolgo i cani”. Così lo zio dei fratelli Bianchi ha aggredito i giornalisti de La Vita in Diretta
“Sciolgo i cani”. È la minaccia dello zio di Marco e Gabriele Bianchi contro la troupe Rai della trasmissione ‘La Vita In Diretta’, che è stata aggredita dalla famiglia dei due tra gli imputati a processo per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte. La giornalista ha raccontato a Fanpage.it i momenti dell’aggressione.
           A cura di Alessia Rabbai


La giornalista de ‘La Vita In Diretta' Ilenia Petracalvina ha raccontato a Fanpage.it l'aggressione verbale e fisica subita dalla troupe della trasmissione Rai da parte della famiglia Bianchi, avvenuta durante un servizio nel territorio in cui un anno fa nella notte si è consumato il brutale pestaggio di Willy Monteiro Duarte. La giornalista e il cameraman si sono recati a Colleferro, dove i genitori e i parenti di due dei quattro imputati a processo per omicidio vivono, per chiedere spiegazioni sulla frase pronunciata un anno fa dalla madre dei due ragazzi in carcere riguardo il ventunenne ucciso di botte: "Lo hanno messo in prima pagina manco fosse morta la regina". "Un'aggressione violenta e inaspettata" così la definisce Petracalvina. Il tutto è accaduto in pochi attimi, minacce a seguito dei quali i componenti della troupe non hanno potuto fare altro che andarsene, preoccupati per possibili ripercussioni sulla propria incolumità fisica.
Il racconto dell'aggressione alla troupe Rai de La Vita In Diretta
"Quando siamo arrivati davanti all'abitazione per porre qualche domanda la mamma dei fratelli Bianchi era affacciata alla finestra. Accorgendosi che eravamo giornalisti ci ha aggrediti verbalmente, ripetendomi per due volte che non avrei dovuto fare l'intervista. Subito dopo è comparso suo marito, che ha preso di mira l'operatore intento a riprendere e gli si è avvicinato velocemente, dandogli uno schiaffo, colpendolo tra la guancia e l'orecchio sinistro". Un gesto che ha colto entrambi di sorpresa. La giornalista si è allarmata e ha capito che la situazione non si stava mettendo bene: "Mi sono spaventata quando lo zio di Marco e Gabriele Bianchi ha pronunciato la frase ‘Sciolgo i cani', perché ho subito pensato che ce la saremmo vista brutta, per questo ho detto all'operatore di andarcene. Lui ha ripreso tutto, poi siamo saliti in macchina". A seguito dell'aggressione il cameraman si è recato in ospedale per alcuni accertamenti e refertato in pronto soccorso ha ricevuto tre giorni di prognosi.


Il tutto in mezzo alla strada, fuori dalla sua proprietà e per la sola “colpa” di aver fatto il loro lavoro: domande. Di fronte a una tale brutalità, il pensiero è immediato: la mela non cade mai lontana dall’albero. O, per essere più chiari, come  dice  Lorenzo Tosa ,  dimostra la più incontrovertibile delle verità: che il mostro nasce in famiglia, nell’educazione (o nella sua totale mancanza), nel brodo culturale in cui si cresce. Nell’attesa, pene certe, eque e rapidissime, giustizia per Willy e poi l’oblio. Abbiamo sopportato anche troppo questo orrore.
Ora  sarò   impopolare, suonerà pure urticante, ma la verità è che non riesco a provare il minimo sollievo o se ci riesco e solo temporaneo né a placare alcuna sete di giustizia nel sapere che i fratelli Bianchi, i presunti visto che c'è un processo in corso assassini di Willy Monteiro, in carcere vivono sotto la minaccia di essere accoltellati.Né pietà né soddisfazione. Quello che provo è , lo stesso di Lorenzo Tosa , più simile a un senso di sconfitta nel vedere il punto a cui siamo arrivati: una tale sfiducia nei confronti della giustizia e dello Stato da spingere milioni di persone - in buona fede - a preferire, anzi invocare, la “legge del carcere”, la vendetta sommaria, il contrappasso dantesco.
Nel momento in cui il carcere assume i contorni della piazza di Colleferro in cui è stato massacrato Willy, nell’attimo in cui accettiamo - anzi, addirittura auspichiamo - questo passaggio logico, è come se stessimo accettando le regole imposte dai suoi assassini, l’idea di mondo delle bestie, la violenza come arma di soluzione, e implicitamente rifiutando e umiliando la civiltà che Willy fino all’ultimo respiro della sua vita aveva cercato di salvare.Quando fu arrestato Bernardo Provenzano, uno dei criminali più brutali e feroci di tutti i tempi, la prima cosa che fecero gli agenti fu trovargli rapidamente l’occorrente per un’iniezione per curare la sua malattia.“Gli dimostrammo la differenza tra noi e loro: non ci si abbassa mai al livello dei criminali che si combattono” ricordò anni dopo Pietro Grasso.Ogni volta che deroghiamo a questo principio, stiamo dando ragione a loro.Ogni volta che cediamo alla pancia, alle viscere, stiamo accettando un populismo che a parole pretendiamo di combattere.In cosa, in questo, diversi da un Salvini qualsiasi ?C’è solo un modo per restituire a Willy e alla famiglia giustizia: assicurarci che lo Stato protegga chi ha in custodia, che li processi con le sue regole, non quelle del branco, che sia più forte dei criminali che giudica, non più debole. E lo faccia una volta tanto in modo serio, rigoroso, il più possibile rapido ed equo, il cui verdetto non faccia mai dubitare a nessuno, neanche per un istante, che lo Stato non abbia fatto il suo dovere.Giustizia, non vendetta. Altrimenti abbiamo già perso.

I produttori della serie di netflix la regina di scacchi confermano che non ci sarà un sequel . cambiamento dei tempi , rifuto della logica dei sequel o mancanza d'idee ?

Nei  giorni  scorsi usando  dei   giornali vecchi   per   non sporcare    durante  i lavori    alle  finestre  ho trovato     questo articolo     di cui   non ricordo:nè il  giornale   nè la  data  in quanto  era  macchiato dalla  vernice  .  Ecco  la  parte   leggibile  



 [...] In molti dunque, si sono chiesti se un simile successo possa tradursi in una seconda stagione in arrivo prossimamente su Netflix.La risposta definitiva a questa domanda è giunta dal team creativo de La Regina degli Scacchi. Ritirando uno degli Emmy vinti nella serata di domenica, il regista Scott Frank ha detto: "Mi dispiace così tanto. Odio deludere le persone, ma no. Sento che abbiamo già raccontato la storia che volevamo raccontare e che non c'è molto altro da dire. Temo che se provassimo a raccontare di più, potremo rischiare di rovinare quello che abbiamo fatto fin qui".Il produttore esecutivo William Horberg ha poi aggiunto: "Continueremo sicuramente a lavorare insieme e troveremo altre storie da raccontare con la stessa passione e la stessa squadra di artisti straordinari".Insomma, stando a queste parole, non rivedremo Anya Taylor-Joy nei panni di Elizabeth "Beth" Harmon, la ragazza con un prodigioso talento negli scacchi. L'attrice però continua ad essere impegnata su molteplici fronti e presto potremo ritrovarla sia al cinema che in tv.

 Ora non e la prima volta  , vedi il caso della serie comma22\catch22 che grandi produzioni  artistiche  cinematografiche    annunciano al pubblico  che alla loro serie (  originale o meno   ) non ci sarà  un seguito .



 Ora  mi chiedo   ma  sta cambiando  il  metodo  di fare tv\  cinema   o si tratta di casi scelte isolate  ? Mah  sarà  il tempo a dirlo  . Qualunque sia la motivazione  Sono  d'accordo  con loro   . Quando    un  film ,  una  serie   \  fiction  , ecc    originale  o  deliberamente  tratta   da qualche  opera letteraria   non  ha  più niente  da    dire   è  inutile  usare   le  tecniche   del  sequel  , prequel, reboot , spin off ,  o del remarque   Si rischia nella maggior parte  dei casi  di  fare  film da  cassetta   o  con lo stampino   o   di deludere    e  rovinare   quellì 'opera   da  cui è tratta  vedi  ad esempio   la storia   infinita   3  e 4   . Il problema   è che    le  nuove  generazioni   più di noi che   con tali  tecniche   soprattutto  i sequel   ci  siamo cresciuti    vedi   vari Rambo    o  Rocky ,   non   sono    abituati  ad  accettare   che  una storia    abbia fine  o  rimanga in  sospeso   ed    non sono  capaci  di crearsi     film  o  parodie    da  soli    non  sanno   lavorare  con la fantasia     come ha    fatto paperino nella  storia  Cugino Duck   ( foto  a destra  e  Per quanto riguarda autori, ristampe eccetera trovate  tutto nella pagina INDUCKS: http://coa.inducks.org/story.php?c=I+TL+1633-B )    per  immagginarselo da  soli  .
 

22.9.21

Lo storico Raoul Pupo: Esodo e foibe furono una violenza di Stato ma le polemiche non rispettano quei drammi

 

Basta polemiche. Ne sono fiorite troppe, attorno al dramma degli italiani dell’Adriatico orientale e

litigare ancora, sulle piazze mediatiche e virtuali, non è certo segno di rispetto per chi ha dovuto provare sulla pelle sua e dei suoi cari una delle tante fini del mondo, per gli individui e le comunità, di cui è cosparsa la storia.

Questo non significa che tutti debbano pensarla allo stesso modo: se ciò avvenisse, sarebbe un bel guaio, sintomo probabilmente che nella società e nelle istituzioni qualcosa sta andando storto. Per questo, rabbrividisco nel sentir invocare censure di stato o private su prodotti scientifici, libri di testo e pubblici interventi, a prescindere dal consenso o meno sui loro contenuti.Certo, i parenti di quanti hanno perduto casa, terra e affetti, se non la vita, hanno tutto il diritto di inalberarsi quando sentono qualche gaglioffo proclamare che nelle foibe è stata gettata solo immondizia o che gli esuli giuliano-dalmati sono partiti per far fortuna. Ma cosa diversa è prender pretesto da isole di negazionismo, magari pateticamente jugonostalgico, per bollare come riduzionista, giustificazionista e quanto di peggio, qualsiasi opinione si discosti da una vulgata nazionalista sulla storia del confine orientale che da qualche anno a questa parte è stata rimessa in circolo a profusione. Così il circolo vizioso non fa che alimentarsi, con gran soddisfazione degli opposti estremisti che spesso campano l’uno dell’altro; e finisce pure che le obiettive torsioni cui l’estrema destra sottopone di continuo una ricorrenza pur voluta e celebrata da quasi tutte le forze politiche come il Giorno del Ricordo, alimenti disagi anche fra chi i fatti li conosce e riconosce, instillando dubbi sull’opportunità stessa di mantenere la giornata memoriale. Questa alcuni limiti ce li ha, eccome, ma non vanno disgiunti mai dal grande e tardivo merito di offrire un riconoscimento morale dello Stato italiano a quei suoi cittadini d’Istria, Fiume e Zara che, pur di rimanere italiani, hanno rinunciato a tutto il resto. Guardando tali derive, una sorta di malinconica assuefazione agli abusi politici della storia spingerebbe ad alzar le spalle e passare avanti, ma la tentazione va respinta. Prima di tutto, perché al peggio non conviene mai rassegnarsi e poi perché, assolutamente clamoroso è ormai il divario fra i risultati della ricerca storica e le versioni di comodo in nome delle quali molti ancora preferiscono scambiarsi anatemi. Facciamo solo un paio di esempi.Le foibe, intese come stragi: delle loro logiche sappiamo tutto, perché conosciamo gli ordini, mica tiriamo ad indovinare! Palesemente, quella che si abbattè nella primavera estate del ’45 sulla Venezia Giulia fu la coda occidentale della terrificante ondata stragista che coprì tutti i territori della Slovenia e Croazia appena liberati dai tedeschi per mano partigiana. Stiamo parlando di stime che vanno dai 60 a più di 100mila morti, di cui alcune migliaia in quelle province giuliane che le truppe jugoslave consideravano già annesse fin dall’autunno del 1943 e dove si comportarono come altrove, in casa propria. Le modalità della repressione non è che si somiglino, sono proprio le medesime, perché stiamo parlando di un fenomeno unitario di eliminazione dei “nemici del popolo”.Ovviamente, nella Venezia Giulia del ’45 non c’erano né ustascia né cetnizi e solo qualche domobranzo, ma i “nemici del popolo”, dal punto di vista dei partigiani jugoslavi, abbondavano egualmente: tutti i fascisti, termine dal significato assai ampio; i rappresentanti del potere, che era tutto italiano, nelle istituzioni e nella società; quanti si erano opposti al movimento di liberazione; che in qualsiasi modo avevano partecipato, durante il ventennio, all’oppressione di sloveni e croati; ed anche quanti, antifascisti non comunisti, si opponevano all’annessione alla Jugoslavia.Potenzialmente, si trattava di una quantità enorme di bersagli, fra i quali venne data la priorità a quelli più odiati o più pericolosi: ecco dunque gli arresti di almeno 10/12 mila persone, le fucilazioni sommarie e le deportazioni dalle quali alcune migliaia di italiani non fecero ritorno. Una cifra esatta delle vittime non l’avremo mai, ma un ordine di grandezza fra i 4 ed i 5.000 è attendibile. Chi dice 10.000 o non ha idea di come si trattano le fonti oppure mente sapendo di mentire.Le medesime fonti ci parlano con assoluta chiarezza di una violenza di stato, decisa dai massimi vertici politici jugoslavi fin dall’estate del 1944 e poi pianificata ed eseguita da un organo dello stato, cioè la polizia politica, il cui operato venne certo facilitato dal clima di rivincita nazionale e politica diffuso fra sloveni e croati, che gonfiò l’onda delle denunce. Tuttavia, anche se i quadri dell’Ozna indulsero mica di rado all’equazione italiano = fascista, gli ordini escludevano esplicitamente la matrice etnica della repressione. Se un leader come Edvard Kardelj ingiungeva di “epurare non sulla base della nazionalità ma del fascismo”, noi non siamo autorizzati a baloccarci ancora con categorie di fantasia, come quella di “pulizia etnica”, malamente copiate da altri contesti. Il colmo dell’assurdità viene raggiunto quando si tenta di equiparare le foibe alla Shoah. Al fondo ci sta un grande equivoco, fra pietà e giudizio storico. Con lo sguardo della pietà tutti i morti sono uguali, tutti i dolori degni di rispetto. Sul piano storico-critico i giudizi invece sono diversi. Comparazioni utili sono quelle tra fenomeni della stessa famiglia: ad esempio, le stragi delle foibe possono venir paragonate – con somiglianze e differenze – agli eccidi nazisti, alle violenze del “triangolo della morte” nel 1945, ovvero ad episodi analoghi lungo tutto il fronte orientale. La Shoah – dove le vittime si contano a milioni e non a migliaia – rimanda invece ad una categoria completamente diversa, quella dei genocidi. Anch’essi possono venir fra loro confrontati, ma nessuno si sognerebbe mai di paragonare le stragi di mafia con lo sterminio degli armeni. Anche alla storia va applicato il buonsenso.Per l’esodo, fenomeno assai articolato, il discorso è più complesso. Limitiamoci dunque a notare come l’incrocio, finalmente possibile, delle fonti italiane con quelle ex jugoslave, ci consente di sciogliere alcuni dubbi interpretativi. Non risulta esser proprio mai esistito alcun progetto di espulsione totale degli italiani dall’Istria, Zara e Fiume. Al contrario, è esistito un progetto di integrazione selettiva concordato fra comunisti jugoslavi ed italiani in cambio del sostanziale appoggio del PCI alle rivendicazioni jugoslave. Tale integrazione, conosciuta come politica della “fratellanza italo-slava”, riguardava però solo una minoranza della componente italiana, con l’esclusione degli italiani di origine slava, dei “fascisti”, degli “imperialisti” che preferivano il mantenimento della sovranità italiana e dei “borghesi”. Pochi restavano quindi e per giunta quella politica, elaborata ai vertici, venne applicata da una classe politica locale estremista sotto il profilo nazionale ed ideologico, che non ci credeva affatto. Mettiamo poi nel conto i traumi legati alla costruzione accelerata del socialismo senza risorse ma con molta violenza, ed infine la crisi del Cominform che trasformò di colpo i comunisti italiani da “onesti e buoni” in “nemici del popolo”. Ce n’è abbastanza per dire che la causa fondamentale della fuga degli italiani non furono le mai documentate pressioni della propaganda italiana o il desiderio di benessere, bensì le politiche attuate sul territorio dal regime di Tito, rispetto alle quali l’esercizio del diritto di opzione costituì una valvola di sfogo e via di salvezza.Insomma, senza andare anche qui a scomodare categorie estemporanee, quello dei giuliano-dalmati fu un “esodo”, cioè una particolare forma di spostamento forzato di popolazione, che si distingue dalle deportazioni e dalle espulsioni perché il potere non caccia direttamente i membri del gruppo bersaglio, ma crea le condizioni ambientali che spingono i membri del gruppo medesimo a “scegliere” di andarsene.Fin qui la storia, ovviamente con molti più dettagli e sfumature, su cui liberamente e proficuamente discutere. Sarebbe simpatico se anche l’uso pubblico ne tenesse conto.

l'attrice israeliana Noa Cohen, per interpretare Maria di Nazareth: furia dei pro-Pal contro il film “Mary” di DJ Caruso su netflix

  Pochi giorni fa   Netflix  ha pubblicato il trailer (  io  prefrisco  chiamarlo  promo  ma  fa lo stesso ) del film   “Mary” , un’epopea b...