4.12.21

IL PRESEPE NON E' SOLO UN QUALCOSA DI RELIGIOSO “ ma un microcosmo, delineato, finito e quindi perfetto, che riproduce il mondo intero nel bene e nel male .”

leggere anche oltre ai colegamenti ed i link a fine post
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2021/12/la-pastora-etiope-uccisa-trova-posto.html


la mia aggiunta Facebook   al precedente post  
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Pina Sechi, Muscitta Aresta Valentina e altri 3
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 per pubblicizzare la nostra appendice ovvero  questo    blog ha creato polemiche tra i puristi ( quelli che vedono il presepe alla maniera classica cioè : Gesù bambino , Giuseppe e maria, bue ed asinello , pastori ed re magi e capanna senza altre contaminazioni ) buonisti d'accatto ( quelli  che  non  lo  fanno   o decidono di non farlo  fare  per non offendere le altre religioni ) del presepe .Ad  entrambi    dico  di ascoltare     quello che  dice  

Erasmo Silvio Storace   autore     di  : << Filosofia del presepe. Manuale laico per la costruzione del presepio perfetto  >> . Infatti    come  ho già  detto    nei  commenti al post   fb  riportato sopra uin particolare  in questa  discussione  


 E a quelli che mi dicono    che mi  contraddico e  mi rinfacciano  la mia laicità  perchè  dissi in passato   che  la  scuola , i  tribunali  ,   devono essere privi    di simboli   religiosi     di qualunque  confessione  essi siano . 
Vero in passato la  pensavo  cosi  perchè  l'istituzione  de crocifisso  nelle  scuole  italiane  era  imposta  dal  regime  fascista   con  i regi decreti 965/1924 e 1297/1928  poi confermata  tacitamente  :     dai patti lateranensi  del  1929 ,  dall'articolo  7  della nostra  costituzione   e  dagli accordi    del 1984   tra stato Italiano  e  Stato  Vaticano   .  Poi  dopo   aver  letto   cosa  disse  Natalia Ginzburg, scrittrice ebrea, a un perentorio ammonimento: «Non togliete quel crocifisso! .C’è sempre stato», disse. «È il segno del dolore umano, della solitudine della morte, dell’ingiustizia. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo».
Quindi    lasciarlo  pure       ma   come   dice  una  recente   sentenza  delle  cassazione   la  sua   messa al muro  sia  facoltativa    e  non obbligatoria  .Quindi    per  il presepe  ,  visto  che io  sono cresciuto    tra  i patti lateranensi   ed   l'accordo di Craxi  , ovvero quando   la religione a  scuole a  era  obbligatoria, fare il  presepe     non  mi  sembra  una  cosa  negativa  purché  : 1) non  venga   usato    strumentalmente  come  arma  politica  .È parte della nostra identità. Ma non va usato  per contrapporre noi e gli islamici. Come fanno,  a fine di consenso  propagandistico ed  elettorale certa  destra    2)   il  farlo  a  scuola    non  sia  obbligatorio ma  resti  facoltativo  . Quindi  non mi sembra  una  cosa    buona  cosa  ne  " vietarlo  o  rinunciarci per  una  falsa integrazione    \  falso rispetto   verso gli stranieri  . Infatti   come  noi  quando  andiamo nei loro paesi  ci  adeguiamo alle    loro usanze     \  tradizioni  , anche  loro dovrebbero  fare  cosi     quando  vengono da  noi  ,  magari  trovare  o  forme  di sincretismo   come   si    sempre  trovato  nella storia    o   confronto  dialogo  cercando  ciò  che unisce  \ punti  in comune     e  dialogare    come   sembra  proporre il bellissimo  film  bacio appassionato  di  ken loack .

siti  consultati oltre  gli url    citati







Ombretta, una donna che amava troppo. Lui, lei, l'amante di lui: il delitto Nigrisoli, celebre caso di cronaca nella Bologna degli anni 60




dal venerdi di repubblica  del  3\12\2021


Ombretta non sta bene. Non dorme più, non mangia più, ha i nervi a pezzi. Sempre triste, nessuno si ricorda più l'ultima volta che l'abbiano vista sorridere. Ha sposato un dottore che viene da una famiglia di luminari della medicina, vive in un appartamento sopra la loro clinica, una delle più note di Bologna, farsi visitare è un attimo, e infatti il medico di famiglia conclude che è depressa, ma niente di grave. Basta un calmante, allora si chiamavano così, siamo agli inizi degli anni Sessanta, nel febbraio del 1963.
Ombretta Galeffi e Carlo Nigrisoli il giorno delle nozze.
 Lui è stato condannato per l’omicidio della moglie.
 
GiacominofoTO / fotogramma 

Il marito, però, non è d'accordo. È medico anche lui e pensa che la situazione sia più grave, ci vuole qualcosa di più forte, un sedativo in fiale, una iniezione al giorno, ci pensa lui, è medico, no? Famiglia di luminari, eccetera eccetera.
Poi, nella notte tra il 14 e il 15 marzo, Ombretta si sente male davvero. Non respira più, e per quanto sia già in una clinica, i medici di turno non riescono a salvarla. Accanto, sul comodino, ha la siringa e la fiala di tutti i giorni, ma dentro non c'è il sedativo, c'è un'altra cosa che si chiama sincurarina, e che è a base di curaro, uno dei veleni più potenti.Si è suicidata, dice il marito dottore, era depressa, non stava bene, ma non ci crede nessuno. Ombretta era depressa perché il marito la tradiva. La tradiva da sempre, e lei lo sapeva, ma da un po' di tempo si era innamorato di una ragazza bella come un'attrice del cinema, che aveva la metà dei suoi anni e lo faceva impazzire.
Ombretta sapeva anche questo, anzi, era andata a parlarle, perché la ragazza aveva deciso di troncare la relazione, e lei l'aveva supplicatadi non farlo, perché lui sarebbe stato troppo male e lei non sopportava di vederlo soffrire. Lo amava troppo, diceva, e troppo, a questo punto, diventaun termine in grado di suggerire una dolorosa e tormentata complessità.
O lei o la moglie, insiste la ragazza col medico, e la situazione si fa così tesa che gli amici di Ombretta le suggeriscono di andarsene, ma lei non vuole. Lo ama troppo.
Poi, siringa, sincurarina e Ombretta muore. Il processo a carico del dottor Carlo Nigrisoli si apre nel 1964, e dopo una serie di indizi e di testimonianze, tra cui quella del suo stesso padre, che lo indicano come l'assassino della moglie, il medico viene condannato prima all'ergastolo e poi, in appello a ventiquattro anni di carcere. Da quando lo hanno arrestato fino al giorno della sua morte, nel 2005, ha continuato a proclamarsi innocente.


3.12.21

La pastora etiope uccisa trova posto nel presepe In Trentino Agitu era un simbolo di integrazione: un anno fa il femminicidio che ha sconvolto Ossana. E ora il paese le dedica un tributo nella sua rassegna tradizionale

Agitu  è passata  da   vittima di un femminicidio protagonista del presepe. Così A Ossana, piccolo borgo della trentina Val di Sole, rende omaggio ad Agitu Ideo Gudeta, la pastora etiope che proprio in questa valle si era stabilita dopo esser fuggita dall'Etiopia, nella sua manifestazione più importante: la mostra dei presepi, inaugurata ieri. Agitu era un vero simbolo di integrazione: costretta a lasciare il suo paese dopo aver denunciato il 'land grabbing' che sottraeva terra ai contadini, in Val di Sole aveva avviato un allevamento di capre di razza mochena, salvandole dall'estinzione. Un progetto complesso, difficile e che aveva richiesto grande passione e determinazione. Un esempio reale di inclusione ed integrazione : Agitu era entrata nel cuore della popolazione locale. A ucciderla lo scorso 29 dicembre un collaboratore della sua azienda, reo confesso, che aveva respinto.

   da https://www.gediwatch.it/


La comunità trentina di cui Agitu faceva parte è ancora scossa per quanto accaduto e soprattutto non la dimentica. E così nella 'Mostra dei presepi', la manifestazione locale più importante, la pastora etiope è la protagonista. Nel presepe dedicato a lei e a tutte le vittime di femminicidio è raffigurata intenta nella sua quotidianità, mentre accudisce le sue capre. Al suo fianco, una panchina rossa: il simbolo delle donne uccise per mano di un uomo violento.
"Abbiamo scelto di fare di Agitu la protagonista dei nostri presepi per non far calare il silenzio sulla sua fine e per tenere alta l'attenzione su un fenomeno che rischia sempre di scivolare in un pericoloso cono d'ombra" commenta la sindaca di Ossana, Laura Marinelli.La mostra dei presepi di Ossana proseguirà fino al 6 gennaio.Le oltre 1.600 opere sono collocate nei cortili dei più bei palazzi del centro storico del borgo medievale, dove i visitatori troveranno anche i tradizionali mercatini di Natale distribuiti tra la piazza centrale e il Castello di San Michele, oltre a concerti, spettacoli itineranti, e decine di casette per il mercatino. Tutto, ricordando Agitu: la pastora etiope-trentina.

di Chiara Nardinocchi

roberto soldatini Il violoncellista che vive in barca a vela

Un nuovo ritmo alla proprio vita. Roberto Soldatini dieci anni fa ha deciso di lasciare la carriera da direttore d’orchestra e vendere la propria casa romana per vivere in barca, per riscoprire se stesso e la musica. Adesso il lavoro segue il suo nuovo approccio e la scelta del conservatorio presso cui accettare un incarico è dettata esclusivamente dal nuovo porto da scoprire. Dopo anni a Napoli e Venezia ora tocca a Trani, ospite della locale lega navale, come punto d’appoggio per il conservatorio di Bari. E il rapporto col mare ha prodotto nuova ispirazione con cui ha scritto quattro libri e un concerto.





 da  suo  blog  https://www.robertosoldatini.com/

Roberto Soldatini navigatore solitario alterna sei mesi di navigazione e sei mesi in cui sverna nella laguna di Venezia nella sua barca-casa .
Suo compagno di viaggio è un violoncello del Settecento, Stradi , che trasforma la pancia della sua barca in una cassa armonica della cassa armonica. Roberto Soldatini è il sito ufficiale del direttore d'orchestra, violoncellista e scrittore che al giro di boa dei cinquant' anni ha deciso di liberarsi di quei sassi dalle tasche che gli impedivano di fare un salto e di lanciarsi di bolina verso una nuova dimensione.
Per fare il salto ha venduto casa e comprato in Inghilterra un Moody 44 che da sette anni è la sua unica dimora, liberandosi di tutti gli orpelli che appesantiscono la vita, alla ricerca dell'essenziale, di se stesso e dell'armonia. E quale posto migliore se non nel mare ?

 concludo con un suo  concerto  


2.12.21

La ragazza che voleva il Polo Nord A 18 anni Léonie d'Aunet si imbarcò su una nave diretta allo Spitzberg...



dal venerdi di repubblica del 26\11\2021



"Tornerete imbruttita", minacciarono la deliziosa Léonie d'Aunet che voleva, a 18 anni, essere la prima donna a esplorare il Polo Nord; con caldi abiti da uomo, partì. Era il 1838; ma solo nel '54 pubblicò il resoconto del viaggio, perché nel frattempo era intervenuto un incidente. Il 5 luglio 1845 il marito, il
Léonie d’Aunet (1820-1879) (Alamy / Ipa) 

pittore Biard, portandosi dietro la polizia, la sorprese in albergo allacciata a Victor Hugo. Il poeta era pari di Francia: non perseguibile; lei finì in prigione tra le prostitute - ma visitata dalla paziente moglie di Hugo, Adèle. In cambio di importanti commesse, la regina di Francia persuase il gelosissimo marito (ma il flagrante adulterio serviva a non pagare gli alimenti) a "un atto di clemenza" verso Léonie d'Aunet. E così, da fedifraga, è passata alla storia. Però, raccomandata da Adèle, cioè da Hugo, Léonie pubblicò su rivista, e poi a stampa, il Viaggio di una donna allo Spitzberg (arcipelago a poche miglia dal Polo Nord); era divertentissimo, e nacque dall'incidente una carriera letteraria.La commissione scientifica che cercava al Polo Nord un passaggio verso l'America aveva Biard come pittore (non c'erano all'epoca foto), e Léonie, unica donna. A Rotterdam, nota lei, le cucine sono linde come a Parigi si vedono solo al Louvre, nei quadri olandesi; a Delft, di notte, davanti alle porte luccicano le pipe. Dalla Norvegia in poi, si mangia salmone: sommarie anche le case di legno, tutte tinte; nel guardaroba comune gli abiti da uomo, stesi su corde che si incrociano in ogni direzione, sono in stile Luigi XV; le donne ricche imitano la moda francese, ma studiata sulle riviste: perciò si basano sull'anno successivo, e mettono tutto insieme (dio solo sa quanto riescono a risparmiare, nei lunghi inverni). A bordo, un signore gira con una caraffa: innaffia un raro mazzetto di rose da portare alla mamma, che è inglese (del sud, cioè). A Hammerfest, ultimo centro abitato d'Europa, le case rosso vivo sono coperte d'erba, e si fanno salire le capre sul tetto, a brucare. Ai salatori di pesce è stato offerto lavoro a Copenaghen; nessuno è andato; come mai preferiamo la nostra terra - la memoria - al benessere? Le culle dei Lapponi sono un incanto, una scarpa foderata di pelliccia di lepri bianche; anche gli edredoni si strappano le piume per tenere al caldo i piccoli; così, per i piumini, senza ucciderli, basta prendere i nidi.


Il disgelo, a Capo Nord, è sfavillante, e il chiasso dei ghiacci, di tutti i colori, spaventoso. Biard, che intanto ha dipinto cupe aurore boreali, viene nominato dalla moglie una sola volta (a pagina 113 dell'edizione italiana, pubblicata da Voland con il titolo Oltre Capo Nord): come darle torto?

Sul Venerdì del 26 novembre 2021

Insulti razzisti all'aspirante Miss Italia: "Sei una meticcia" Dopo i messaggi d'odio ricevuti sui social, la 18enne di Terni Anna Giulia Fossatelli ha denunciato un utente anonimo: "Mi ha minacciato anche in privato"

Anna Giulia Fossatelli 

Si credeva     che    dopo   il  caso  Denny Mendez    non si dovessero ripetere    simli vergogne  . Infatti  
 Quando Denny Mendez, allora diciottenne, conquistò corona e fascia di Miss Italia era il 1996 è il nostro paese   stava iniziando  a fare  i  conti     con   quella  trasformazione   sociale  e  culturale    che    cioè   s'apprestava a diventare sempre piùà multi etnico .Infatti   da   quel  che  ricordo   la Mendez     fu  
 Una perla di bellezza, asciutta, occhi vispi, mora, riccia, carnagione scura: un modello femminile diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto. Le cronache raccontano, come poi confermato nel corso degli anni dalla diretta interessata, che a non tutti piacque quella ‘svolta’.Ed  ora  la storia amplificata dai social   si ripete  

  da  https://luce.lanazione.it/
Denny Mendez, Miss Italia 1996, con Enzo Mirigliani,
patron della manifestazione  (Ansa)

                  Anna Giulia Fossatelli 

Una studentessa liceale, anche lei diciottenne, ternana, tra le reginette di bellezza delle prefinali di Miss Italia e già Miss Sorriso Umbria, finita sui social nel mirino di un hater per quella carnagione olivastra che, secondo l’utente, ne farebbe una “non italiana”. Quanto a basta a scatenare odio, razzismo, discriminazione. Un dettaglio, ovviamente, che i genitori siano italiani e lei ternana di nascita, mora e naturalmente abbronzata, più o meno dello stesso ‘colore’ di chi si sottopone alle lampade o trascorre una giornata estiva al mare. “Iscriviti al concorso del tuo Paese, sei una meticcia“, se n’è uscito anche così l’hater sul profilo della ragazza. Lei reagisce alla situazione con una calma olimpica, ben oltre la sua giovanissima età. “È una vicenda spiacevole ma che a me personalmente non tocca proprio per niente – spiega Anna Giulia usando il giusto piglio -. I miei genitori, per dire, sono italianissimi, ma naturalmente non è questo il punto. Penso a chi può avere un genitore straniero o un carattere più fragile del mio e che quindi può risentire di una cosa del genere. È per loro che intendo denunciare e andare in fondo a questa vicenda, affinché situazioni del genere non si verifichino più. Andrò alla polizia postale a presentare la denuncia – puntualizza Fossatelli -. Ripeto, la vicenda non mi sfiora minimamente, ho bloccato subito questa persona, che ha scritto sempre via social anche a mamma e papà. Tutte cose che non stanno né in cielo, né in terra. Con papà ha postato riferimenti religiosi, a mamma ha contestato che io avrei sfilato nuda, quando tutti sanno che Miss Italia è al massimo in costume. Che dire. Denuncio affinché non accada più”.E non è l’unica, Anna Giulia, a denunciare. Il papà, Fabrizio, è un noto avvocato ternano. “Sinceramente all’inizio non ho dato alcuna importanza alla cosa – racconta -, ho pensato si trattasse di pura e semplice invidia.  Poi però anche io sono stato contattato in privato, sempre via social, con quelli che sembrano riferimenti religiosi. Quindi mi rivolgerò alla polizia, nonché ad un collega, affinché sia fatta chiarezza sulla vicenda”. Intanto la città si stringe intorno ad Anna Giulia e ai suoi genitori, con tanti messaggi di solidarietà. Tra questi, quello del sindaco Leonardo Latini, della Lega: “Terni si sente orgogliosamente rappresentata da Anna Giulia Fossatelli, alla quale va il mio pieno sostegno per gli insulti ricevuti. Dispiace leggere certi commenti idioti e beceri nei suoi confronti.Ad Anna Giulia e ai suoi genitori va il mio abbraccio e la  mia solidarietà”
Così il Pd ternano: “Esprimiamo affetto e vicinanza a questa giovanissima ragazza, vittima dell’ignoranza e della grettezza dei soliti leoni da tastiera. Le persone viaggiano, si spostano per motivi di lavoro o di studio, ma alcuni, troppi evidentemente, ancora non sanno che esistono infinite sfumature di colore della pelle e altrettanto infinite combinazioni di caratteristiche somatiche, e attribuiscono caratteristiche negative a chi è diverso da loro“.



La giovane fa benissimo a fare come ha dichiarato di voler sporgere denuncia: «Non tanto per una questione personale, essendo italiana - spiega -, ma per le ragazze che hanno realmente origini straniere e che per questi fatti possono avere seri problemi. Queste cose devono essere denunciate perché non possono accadere» . Soperiamo che serva e questoi imbecilli razzisti lo capiscano

imparare dale piccole cose e dai classici










Impariamo dalle pietre di Roma Nascondono la nostra storia e rappresentano anche la relazione indissolubile tra l’elemento naturale e la cultura umana
                                          di   Emanuele Coccia


La via Appia a Roma 


C'è qualcosa di strano e di magico nella traiettoria delle pietre a Roma. Come in nessun altro luogo al mondo, in questa città la memoria delle pietre sembra eguagliare quella delle montagne o delle valli: i palazzi, i templi i monumenti vivono così a lungo da avere la stessa età di un fossile e l'arte improvvisamente diventa geologia. È come se bastasse allungare la prospettiva temporale per accorgersi che quello che chiamiamo cultura è solo una degli infiniti modi attraverso cui la natura produce forme.
È come se a Roma fosse impossibile pensare che l'uomo sia qualcosa di diverso dalle forze che muovono le grandi placche tettoniche e che ridisegnano il volto del pianeta: è solo una loro versione locale e accelerata. C'è qualcosa di liberatorio in questa scoperta. La geologia contemporanea ha da qualche anno avanzato l'idea che l'eccesso di operazioni distruttive compiute dalla specie umana sul pianeta ne ha cambiato radicalmente il volto: non c'è più un solo centimetro quadrato della sua pelle che non sia direttamente il frutto della manipolazione umana o che non testimoni della presenza dell'uomo.
Si è chiamato Antropocene quest'epoca in cui guardando il pianeta si scorge solo e soprattutto una delle sue specie. A Roma è possibile fare un'esperienza simile e opposta: passeggiando tra le sue rovine si scopre che ciò che è in gioco in qualsiasi manufatto umano è qualcosa di planetario, che in ogni nostro minimo artefatto è sempre la Terra ad esprimersi e a prendere forma.
Nella scoperta che arte e natura sono non solo coetanee ma sorelle gemelle nate di una stessa madre, ne va qualcosa di più del solito piatto di lenticchie per la conquista della primogenitura. Perché, se il Colosseo è fatto della stessa sostanza dei sette colli e viceversa, allora la divinità o almeno la sacralità che siamo abituati a riconoscere alle nostre rovine passa da queste al suolo che occupano e da questo di nuovo a uno qualsiasi degli oggetti che fabbrichiamo.
Quello a cui è difficile resistere a Roma è la fede nella divinità delle pietre: la vaga intuizione che tutta la materia della Terra è qualcosa di divino, e che la sua divinità non dipende dal fatto di essere una montagna, una donna, un monumento ai caduti o un albero. È come se in questa città in cui mille religioni si sono incontrate si scoprisse che gli dei più importanti sono le pietre di cui è fatta. È forse a causa di questa strana prossimità magnetica con Roma e allo sguardo sul mondo umano che questa città impone a chi ci vive e la frequenta che il pensiero in Italia oggi sembra fortemente caratterizzato da una nuova vena naturalista, almeno osservato da chi, come me, in questo Paese non ci abita.
È come se un insieme di voci delle età più diverse (che quindi non sono l'espressione di una generazione in particolare, ma di un movimento più profondo), provenienti da discipline e pratiche molto distanti come possono esserlo la chimica dei materiali o l'architettura, la filosofia o l'arte si fossero date un appuntamento segreto per poter esprimere da punti di vista diversi una medesima idea: quella medesima intuizione che Roma incarna nelle sue pietre.
Non si tratta della versione locale e quasi folklorica della moda ecologista che sta attraversando tutto il pianeta. Non lo è per una ragione precisa: perché per queste voci la questione è meno quella dell'armonia dei viventi e delle loro comunità che quella della vita della materia, indifferentemente da tutte le opposizioni con cui possiamo provare a pensarla. In questa materia Laura Tripaldi, giovanissima studiosa di nanotecnologie all'università di Milano Bicocca, è sicura di riconoscere l'esistenza di una mente e non in senso metaforico. La materia non è mera estensione geometrica che si oppone a un io pensante, come avevano preteso Cartesio e quasi tutti gli occidentali con lui: è una forma di intelligenza, certo diversa dalla nostra, ma non per questo meno spirituale, meno complessa, meno libera. In un libro edito recentemente da Effequ (Menti parallele. Scoprire l'intelligenza dei materiali) Tripaldi chiede di spiegare cosa sia la materia a un ragno che secerne seta. In questo modo ottiene due grandi rivoluzioni.
In primo luogo, si capisce che l'intelligenza e la sopravvivenza del ragno è legata all'intelligenza della materia che usa - la seta appunto. In secondo luogo, la seta, una fibra proteica capace di adattarsi in maniera inedita in funzione dei contesti, dimostra che la materia ha un comportamento e dovrebbe per questo essere oggetto dell'etologia più che della chimica. La chiave per comprendere il comportamento della materia è la nozione di interfaccia.
Qualche anno fa, un libro di Branden Hookway aveva dimostrato che l'idea di interfaccia viene dalla meccanica dei fluidi e definisce la soglia in cui una materia è assieme soggetto e oggetto di sé: uno stato in cui la materia ha la stessa postura di un vivente autocosciente. Tripaldi sviluppa un'idea simile: la materia è intelligente quanto più diventa interfaccia nei confronti di se stessa e del resto del mondo perché, così facendo, aumenta la sua capacità di adattarsi al contesto e quindi la sua stessa libertà.
È solo pensando la materia come mente e madre che ci genera che riusciremo a capire la nostra stessa intelligenza: a partire da questa stessa tesi, Ingrid Paoletti, professore associato di tecnologia dell'architettura al Politecnico di Milano invita a un vero e proprio "attivismo materico". Nel manifesto Siate materialisti!, pubblicato da Einaudi, Paoletti articola le conseguenze politiche di questa nuova sensibilità: piuttosto che preoccuparsi di distinguere moralmente le buone e le cattive materie, sentirsi vicini o gemelli di qualsiasi materia significa ammettere che "non esistono demoni e santi tra le materie".
A chi pensa che la soluzione del problema ecologico sia l'economia delle materie e la separazione netta tra ciò che vive e ciò che non lo fa, Paoletti oppone la necessità di riconoscere "il continuum tra materiale e immateriale che si influenzano a vicenda", "l'omeostasi tra naturale e artificiale, tra corpo e spirito". L'equazione inedita del libro è quella che per immaginare una società più equa è necessario imparare a sentire che la materia "è viva nella sua microstruttura, viva quando è realizzata con materiali viventi, veramente viva quando la investiamo con la nostra intenzionalità". Ma si farebbe male a confondere questa svolta radicale del pensiero italiano, finalmente lontano dalle risacche della filosofia sociale a cui il Novecento l'aveva spiaggiato, con una forma banale di materialismo. Cercare di far coincidere l'intelligenza, la vita e persino lo psichismo con tutto quello che si trova davanti a noi e non dentro di noi è il sintomo di un atteggiamento che ha in filosofia un nome diverso: "panteismo".
Un libro di Emanuele Dattilo mostra che si tratta di qualcosa di molto più antico e diffuso di quanto si possa credere. Panteista, spiega Dattilo, è chi mette al centro della propria esperienza del mondo l'idea di materia non per negare lo spirito o l'anima, ma per ritrovare l'unità viva e dinamica del cosmo. Non si tratta più di opporre la materia alla coscienza ma di fare del pensiero, come aveva suggerito Poe, la materia che permea ogni cosa ed è in sé ogni cosa: e in nulla questa coincidenza si dà a conoscere in modo più trasparente che nel desiderio. Panteista è chi riconosce che il desiderio - "l'essenza della religione" secondo Feuerbach - è la materia di cui sono fatti gli dei: filosofo - letteralmente colui che conosce grazie al desiderio - è allora solo chi riesce a cogliere in ciascuna delle forme della materia uno degli infiniti nomi di Dio.
Questi tre libri sembrano rinnovare l'antica tradizione alchemica che faceva dello scopo del pensiero la sintesi della pietra capace di trasformarsi in tutte le materie del mondo. Le pietre di Roma, in fondo, ne sono un esempio perfetto. Abbiamo bisogno di una nuova età della pietra - o forse non ne siamo mai usciti. Siamo tutte e tutti Flintstones, e non è affatto una cattiva notizia.

"Io, Babbo Natale dei bambini meno fortunati"

da  Quotidiano.Net  tramite  msn.it  Guido Pacelli è un Babbo Natale davvero speciale. Conosciuto come l’aggiustagiocattoli, lavora tutto l’...