17.6.22

La storia di Silvia dopo la condanna di Strasburgo all'Italia: "Ho fatto sette denunce contro il mio ex marito e avevo paura. Lo Stato non mi ha protetta"

 La   storia  d'oggi   è la   conferma      di quanto  dice  la mia utente  \  compagna  di viaggio   Madre  Vittoria     vedere   fra  gli articoli del nostro blog  (  non riporto l'url    perchè fa talmente  caldo che non  ho voglia  di starlo a cercarlo    e poi  potrebbe esservi di stimolo per navigare  in esso senza  avere  " la pappa pronta  "   )    che  in italia   non c'è  giustizia  e   che la giustizia  ha  fatto  sempre  schifo ed  i  giudici ed  magistrati  come si deve  si   contano  sulle dita  di  una mano     

da   Lorenzo Tosa 

Ci sono voluti sette lunghi anni e una vera e propria odissea giudiziaria, ma alla fine Silvia De Giorgi ha vinto la battaglia forse più importante della sua vita. Che è, al contempo, una delle più gravi sconfitte per la giustizia e i diritti del nostro Paese.44enne, padovana, De Giorgi è stata per anni minacciata, picchiata dal suo compagno, si è vista togliere tutto, ridotta ad essere nullatenente con tre figli da mantenere (anche loro vittime delle violenze dell’uomo).Lei ha denunciato tutto a più riprese. Lo ha fatto sette volte, sette, tutte puntualmente
cadute nel vuoto, esponendola così anche alle ritorsioni dell’uomo. Al punto che, nel 2019, a Silvia De Giorgi, sola e abbandonata da tutti, non è rimasto altro da fare che rivolgersi alla Corte europea dei diritti umani a Strasburgo. Che oggi, a distanza di tre anni, con una decisione a suo modo storica, ha riconosciuto alla donna di aver subito dalla giustizia italiana un “trattamento inumano e degradante” (oltreché un risarcimento in denaro) per non averla protetta, difesa. Questa donna ha dovuto uscire dall’Italia per ottenere quella giustizia che qui da noi le è stata negata, anche se a tutt’oggi quell’uomo non ha mai risposto davanti alle legge italiana.Grazie a Silvia De Giorgi per la tenacia con cui ha combattuto e vinto, sperando che la sua dignità e il suo esempio servano a tante donne ancora senza giustizia. E senza voce.

La sua vicenda è particolare perchè
[...] Le pratiche da lei aperte sono rimaste sotto la polvere per anni, “probabilmente – sostiene – perché il mio ex marito è nipote di un personaggio politico di un certo peso”. È stato il suo avvocato a proporle di appellarsi alla Cedu: “Mi ha detto che non sapeva  più come aiutarmi e l’unica strada  era quella di Strasburgo. Ha istruito  la  pratica. Contro ogni aspettativa, nel 2019 è stata accettata e ora è arrivata la sentenza che condanna la Repubblica italiana. Ho dovuto trovare giustizia fuori dal mio Paese”. Ora spera che questa storia si chiuda per sempre: “Per anni ho rincorso il mio ex, chiedendogli una firma per cambiare la carta d’identità, per la scuola. Si è sempre negato, non pagando nemmeno gli alimenti. Aspetto la decadenza genitoriale”. [...]   da https://www.nextquotidiano.it/silvia-de-giorgi-risarcimento-cedu-italia-ex-marito-violento/

e   la  repubblica    del  17\6\2022  

<< [...] I giudici di Strasburgo chiamano in causa l'inazione dei magistrati e per questo ora lo Stato italiano dovrà risarcire: 10 mila euro per danni morali. Nonostante i rapporti dei carabinieri e dell'ospedale, segnalano i giudici di Strasburgo nella loro sentenza, i magistrati incaricati di valutare il caso non hanno preso alcuna iniziativa per rispondere alle denunce. “La loro inazione ha creato una situazione di impunità per l'ex marito”, stabilisce la Corte di Strasburgo. In un momento storico in cui proliferano femminicidi e violenze di genere, questo caso non può non imporre una riflessione. [...] >>.  

  Infatti  ha     raccontato     sempre a  repubblica    la sua vicenda   

Silvia De Giorgi come è cominciato tutto?

“Come succede sempre: c’è un elemento debole, cioè una madre che sopporta per dare un futuro ai suoi figli. E per questo sono stata accusata di essere una madre poco tutelante. Poi invece hanno detto che denunciavo troppo. La verità è che io ho passato dieci anni d’inferno ma il mio caso è stato completamente ignorato”.

Com’è possibile che non le abbiano dato ascolto?

“Nessuno è intervenuto per salvaguardarmi e oggi io dico: sono una sopravvissuta. Se non ci fosse stata la volontà del mio legale Marcello Stellin di rivolgersi alla Corte, tutto sarebbe finito nel dimenticatoio. Sono viva, questa è la differenza tra me e le altre”.

Come avvenivano queste violenze?

“Il problema non è come sono avvenute le violenze, il problema è che nessuno ha tutelato la vittima. Normali conflitti tra coniugi in fase di separazione, dicevano. Invece c’è stata una progressione degli atteggiamenti: dal maltrattamento psicologico alle botte”.

Come si è sentita in questa situazione?

“Prima arrabbiata, poi disperata, infine me ne sono fatta una ragione. Ho pensato che non avrei mai avuto giustizia e oggi non ho giustizia. La Corte dice: la Procura ha lavorato male, ma nessuno ha condannato l’uomo che mi ha reso la vita un inferno”.

Le va di raccontare com’era la sua famiglia?

“La mia figlia più grande ha 20 anni, quindi ero una mamma molto giovane. Vivevamo a Cervarese Santa Croce, piccolo comune sui colli Euganei, nella provincia di Padova. Mio marito era un imprenditore e il dissesto finanziario sopraggiunto a un certo punto, non ha fatto che peggiorare la situazione”.

Dunque lei andava dai carabinieri e non la ascoltavano?

“Certo che mi ascoltavano, prendevano la denuncia. Ma poi tutto si fermava in Procura. Nessuno ha preso in carico la mia situazione”.

E’ cambiata la sua vita a causa di quei fatti?

“La mia vita è stata stravolta. Per anni ho dovuto rassegnarmi a vedere i miei figli un’ora al giorno, per lavorare e mantenerli tutti e tre. Non dormivo, avevo paura che lui arrivasse e ci facesse del male. Oggi vivo a Milano, ho un compagno nuovo ma non tornerei a Padova per nessun motivo al mondo. Ho ancora troppa paura”.

Quanto si è sentita sola in una situazione del genere?

“Ho sviluppato un senso di sfiducia nei confronti del mondo. Si va avanti ma è tanto faticoso. L’errore più grande della mia vita è stato affidarmi a quella persona”.

Ora cosa succede con la sentenza della Corte?

“Niente. La Procura di Padova sarà stigmatizzata e fine. Del resto, quante ne hanno ammazzate anche in questi ultimi mesi? Allora forse è il caso che qualcuno si dia una mossa. Io provo pena nei confronti di tutte le donne che si sono trovate nella mia situazione e disgusto per il sistema: capisco anche chi non va a denunciare, perché conosco il calvario che scatta dopo la denuncia. Ti guardano come dire: sei l’ennesima”.

Ha perso fiducia nelle istituzioni?

“Qua non si tratta di mantenimento, qua si tratta di portare a casa la pelle. Nessuno ha creduto a quello che ho subito e questo ha causato in me ina grande sofferenza. Se non ti senti creduto da chi ti deve proteggere, come fai a vivere?”.  


Alla fine Silvia ottiene giustizia e un risarcimento da parte della giustizia italiana di 10 mila euro. Secondo la Corte, infatti, le autorità italiane non hanno fatto il necessario per proteggere l'ennesima donna vittima di violenze domestiche nonostante le denunce. La Corte ha riconosciuto l'inazione dei procuratori che non hanno mai nemmeno aperto un'inchiesta.Speriamo  che  non debba   fare  un altro  ricorso  a Strasburgo   ma  sopratttutto   l'ex    non l'uccida    prima   conoscendo  la lentezza   della giustizia italiana  e  il menefreghismo , ovviamente  senza  generalizzare  , della  magistratura  italiana  

blocco 181 una favola nera, oscura, anche erotica e sentimentale.

  Finalmente    libero  di fare  Spoiler  ormai la  serie blocco  181    l'avranno vista   fra streaming  pirata  ed  abbonamenti    un bel  90%     di persone  . 

La prima stagione è terminata venerdì 10 giugno, e avrà un seguito: la notizia è stata ufficializzata e dunque i fan di Bea, Ludo e Mahdi potranno tornare a rivedere i loro beniamini sul piccolo schermo.<< [----] Qualcuno ha scritto che Blocco 181, al di là degli evidenti  >>  purtroppo   reali   . Infatti la   serie  in quetione  descrive   la realtà    invisibile per  chi non  vuole    guardare  affondo     dei  grossi centri    urbani   da    Roma
mafia  capitale    in    come riportano queste  I II  fra le tante  inchieste   in merito <<  elementi di finzione, mostra di Milano il volto che facciamo finta di non vedere: peccato che anche questa faccia nascosta abbia le sue pose, i suoi codici, il suo immaginario, i suoi riferimenti musicali (da cui la presenza di Salmo), i suoi giovani dall'aria annoiata (i tre interpreti principali sono Laura Osma, Alessandro Piavani e Andrea Dodero), soprattutto il suo narcisismo, e che di conseguenza gli otto episodi della serie scivolino progressivamente verso modelli prevedibili e risaputi [   vero  ma  non del tutto  aggiunta mia   ] , senza mai provare a uscire dal modello di messinscena dei soliti Gomorra e Suburra.  >>  ( da https://www.mymovies.it/film/2022/blocco-181/  )
 La  serie  è La risposta milanese a Gomorra e Suburra.  In essa  c' è una rivisitazione lontana dalle luci sfavillanti della movida meneghina e molto più simile a West Side Story, pellicola, e ancor prima musical, tratto dalla tragedia di William Shakespeare Romeo e Giulietta. Il tutto shakerato con la più classica delle rivalità di matrice criminale per il predominio di una zona per scopi di spaccio Ecco  quindi   che    Niente ,  in Blocco 181 ,  è nuovo ( ma  d'altronde     è da millenni  che non   s'inventa  niente  di  nuovo ed   d'originale  al 100 per  cento ), né la scelta di Milano come paesaggio metropolitano attraversato dai conflitti della società contemporanea - sperequazione della ricchezza, speculazione edilizia, dominio incontrastato della criminalità organizzata - che era già alla base Gommorra    e di Zero (anche se quest'ultima siamo a un livello produttivo decisamente superiore, come garantisce il marchio Sky rispetto a quello di Netflix); né il racconto delle giovani generazioni sedotte dal crimine come condizione di vita.  Ed  proprio   quando  sì arriva  alla    al finale di stagione, Blocco 181 conferma la sua capacità di creare un mondo, un affresco iperrealistico carico di colori saturi e oscuri come l'inchiostro su una graphic novel o il graffito su un muro.


 I creatori della serie, sceneggiatori, registi e tutto il comparto tecnico, sono stati bravissimi proprio a "disegnare": non solo gli ambienti, ma anche e soprattutto personaggi a tutto tondo, molto caratterizzati eppure estremamente credibili, vividi. La forza di una serie come Blocco 181 è proprio in questo, in come i disegni di luoghi e personaggi si fondono e si compenetrano, e in come l'influenza degli ambienti si sente sui personaggi 
sia  principali  che  secondari . Quando, ad esempio, sono nell'elegante appartamento al centro di Milano di Ludo, i protagonisti possono essere se stessi, liberi. Al contrario, quando sono al Blocco o alla Misa, questi ambienti li schiacciano, li costringono ad essere chi   sono    e nel  caso Mahdi e  di Lorenzo (  blocco 181 ) ed  Bea  ( Misa  )  ad  ritornare  da  quei posti da dove provengono  e  d a cuoi volevano  fuggire   per  avere  libertà  .È interessante soprattutto il percorso di emancipazione e di crescita di Bea, che avviene attraverso l'amore, il sesso, e anche il crimine. "Una segundera mujer?", "un vicecapo donna?", si chiedono tutti, increduli, alla Misa. Invece è possibile, per chi dimostra attitudine, carattere. È possibile se c'è chi crede in lei. Fate attenzione allo sguardo di Bea in quel momento. È incredulo, orgoglioso, ma anche dolce. È la possibilità di un potere declinato al femminile  come  Chanel  di  Gommorra ( LA SERIE ) . Quando si trova a punire Nacho per aver picchiato Celeste, è un passo avanti per tutte le donne. Un passo avanti che vale, al di là che ci si trovi in un contesto criminale. Bea, però, è sempre la "segundera" di un mondo al maschile, quello di Ricardo. I piani per la Misa sono quelli di un uomo. Ed è con il fratello, e con questa visione maschile, che Bea dovrà fare i conti. E in questo senso dovrà fare le sue scelte. INFATTI Negli ultimi due episodi Blocco 181 ha decisamente preso il largo. L’identità della serie è venuta fuori definitivamente e in modo sorprendente, mettendo in scena la spontaneità e l’innocenza con cui i protagonisti si approcciano ad un mondo pericoloso e difficile da pensare, pieno di insidie e trappole nascoste; d’altro canto Blocco 181 ha dimostrato di avere un piano ben preciso, un disegno logico destinato a sfociare in un finale di stagione che promette di essere ricco di colpi di scena e soprattutto di consegnare ai posteri un inizio inatteso, che porterà il prodotto, prima o poi, a far discutere parecchio    forse   più di  Subburra e  Gommorra .
Un romanzo criminale che diventa romanzo di formazione come  fa  notare   l'ottima  recensione   di  https://movieplayer.it/articoli/blocco-181-recensione-finale-stagione_27103/. Una serie     che  inizia  lenta    , per  poi accelerare  negli  ultimi 3  episodi  . Che dire     altro   che  guarderò la   seconda serie   per  vedere    se  è Salmo che   ha  ucciso \ ferito  Lorenzo  o  viceversa   visto  che la  telecamera  non l'ha  inquadrato completamente   lasciandolo in sospeso  . ma  soprattutto    per  vedere   come  si svilupperanno i     due    personaggi    principali  oltre a Salmo   Bea ( Misa  )  ed   Madhi ( blocco  )   i romeo  e  giulietta   ma   anche   gli altri    del cast  

16.6.22

CANALE 5 MANDA IN ONDA LA FICTION SUL GIORNALE ANTIMAFIA CHE NEL 1981 ACCUSÒ B. parlerà di come già nel 1981 aveva denunciato i rapporti della mafia con Berlusconi

 

  • Il Fatto Quotidiano
  • MASSIMO NOVELLI
  • Nel 1981 il quotidiano L’ora di Palermo pubblicò alcune parti di un rapporto della Criminalpol, in cui venivano evidenziati i rapporti fra Marcello Dell’utri, amico e collaboratore di primo piano di Silvio Berlusconi, l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancinimo, e altre persone a loro collegate, come il mafioso Vittorio Mangano, il famoso “stalliere di Arcore”. Il titolo di prima pagina del giornale diceva all’incirca che “Dagli affari di Ciancimino si arriva pure a Canale 5”. L’articolo e il titolo dell’ora non piacquero a Berlusconi (padrone, ovviamente, di Canale 5) e a Dell’utri, tanto che a Palermo si temette una querela miliardaria da parte del gruppo milanese. In ogni caso, da Milano si chiese un’intervista più
    o meno riparatrice, forse allo stesso Dell’utri. Io, all’epoca, lavoravo all’ora. Il direttore Nicola Cattedra e l’ex direttore Vittorio Nisticò mi mandarono quindi a Milano per quell’intervista. La missione però  fallì. Nel senso che, sebbene avessi contattato più volte Dell’utri e nonostante quest’ultimo mi avesse dato un paio di appuntamenti, alla fine tutto saltò. Evidentemente la Fininvest ritenne che sarebbe stato preferibile non riprendere l’argomento. L’episodio mi viene in mente adesso, nei giorni in cui proprio Canale 5 sta trasmettendo la fiction L’ora. Inchiostro contro piombo , dedicata alla storia del coraggioso quotidiano di sinistra e antimafia, chiuso per sempre nel 1992. Una fiction, peraltro, che non è stata per niente apprezzata dagli ex dell’ora, già prima ancora che venisse mandata in onda, al punto che alcun cognome vero dei suoi giornalisti, eccetto uno, compare nel film tv. Infatti nessun ex del giornale, e neppure i familiari di chi nel frattempo è morto, hanno concesso la liberatoria affinché potessero essere utilizzati i nomi reali dei cronisti e del leggendario direttore Nisticò. Al di là della fiction, tuttavia, è singolare, o paradossale, che sia Canale 5, i cui “affari” – per la Criminalpol e per L’ora – “portano” nel 1981 “alla mafia”, a diffondere una serie su un giornale antimafia. Questo perché a controllare la tv milanese è pur sempre la famiglia Berlusconi, quella del 1981. I casi, allora, sono due. O Canale 5, e i suoi padroni, sono stati colti sulla cosiddetta via di Damasco della mafia e soprattutto dell’antimafia, e il medesimo Dell’utri non considera più Vittorio Mangano “un eroe”. Oppure, come pare, di antimafia ce ne sono tante. Ce n’è una vera, seria, ma ai margini. E poi ci sono le altre: magari un po’ troppo “buoniste”, certamente retoriche, in realtà solo di facciata. Il dubbio intanto potrà essere sciolto, per quanto riguarda Canale 5, dal seguito della fiction. Si parlerà anche di quel titolo del 1981? O di quando, il 12 ottobre 1984, Fabrizio Ravelli rammentava su Repubblica: “C’è un filo che lega Vito Ciancimino al gruppo Berlusconi? L’articolo del quotidiano palermitano L’ora, che ha ipotizzato questo collegamento, ha provocato un gran trambusto a Milano. I magistrati milanesi che indagano sulla ‘mafia dei colletti bianchi’ si son visti tempestare di domande alle quali non hanno dato soddisfazione. E la Fininvest, capofila del gruppo Berlusconi, si è affrettata a diramare una durissima smentita”?



    piccola e meglio . le grosse catene librarie chiudono ed aprono quelle piccole ed indipendenti

     




    Antisemitismo e simboli «inamovibili» Il caso del bassorilievo offensivo che adorna la chiesa di Wittenberg che Michael Düllmann vuol far rimuovere

    Comprendo le ragioni di chi si sente offeso e  ha  provato  ed prova  sulla propria   pelle   tali ideologie    che ancora    , nonostante  siano state  condannate   dalla storia   continuano  a  resistere  ed  essere  praticate . Ma chiedere ed pretendere di cancellare i simboli della storia mette a rischio la storia stessa e questo, a mio avviso, è ancora  più pericoloso dei simboli stessi.





    Antisemitismo e simboli «inamovibili»
    Paolo Salom corriere  della sera   | 15 giugno 2022

    Il caso del bassorilievo offensivo che adorna la chiesa di Wittenberg e che secondo i giudici tedeschi deve rimanere come monito a quello che è stato



    È durata due anni la vicenda legale intorno al bassorilievo che adorna la chiesa di Wittenberg (dove Lutero aveva affisso le sue 95 tesi) ma promette di andare avanti ancora per molto. I giudici della Corte suprema federale tedesca hanno infatti respinto il ricorso avverso a due sentenze di tribunali minori
    stabilendo che la «Judensau» deve rimanere dov’è. Judensau, ovvero «scrofa ebraica» (in Germania ce ne sono una trentina), figura medievale che rappresenta due ebrei nell’atto di suggere il latte dai capezzoli dell’animale, mentre quello che dovrebbe essere un rabbino ne ispeziona il deretano sollevando la coda. Un’opera «educativa» ai tempi che raffigurava gli ebrei come «corpo separato e bestiale» e contribuiva così ad alimentare l’antisemitismo popolare.
    Nel Paese della Riforma e dell’Olocausto, era forse venuto il momento di mostrare un atteggiamento differente. La causa era stata intentata da un membro della comunità ebraica di Bonn, oggi settantottenne, scandalizzato dalla presenza di quell’immagine, accompagnata soltanto da un avviso che la contestualizza. 


    Certo le motivazioni dei giudici federali tedeschi appaiono anche condivisibili. In un mondo ideale, considerare l’opera non più un’istigazione all’odio ma un monito a quello che è stato può apparire giusto, efficace addirittura.
    Ma altrove l’opinione pubblica si solleva per molto meno. La cosiddetta cancel culture arriva ad abbattere monumenti a personaggi storici del passato lontano per il loro ruolo nella società del tempo (quando, tanto per fare un esempio, era «normale» avere schiavi o promuovere il colonialismo). Per una figura, la Judensau appunto, che resta altamente offensiva per gli ebrei contemporanei, all’indomani dello sterminio di un mondo intero (la Shoah non può essere sganciata dai sentimenti che hanno permeato la società europea, e tedesca in particolare, nel corso dei secoli), il silenzio che ne ha accompagnato il percorso nelle aule di tribunale appare quanto meno sospetto. Per fortuna, l’autore della denuncia, Michael Düllmann, ha promesso di non arrendersi.

    “Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia Grasso nel giorno di festa

      La  prima reazione    che  è venuta  al sottoscritto leggendo  tale  articolo   ( eppure   condivide  , riporta   storie  simili     ,  storie   normali  per  gente   speciale  storie  speciali  per  gente   normale  ) è stata

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    Ci siamo passati tutti, sottoscritto compreso che si laureato a 35 anni , ma nessuno si è mai guadagnato un articolo sul Corriere della Sera . dove sta la novità ?.

    Mai poi leggendo meglio ( li trovate sotto ) sia l'intero articolo del corriere della sera sia l'articolo di fanpage s'accorge che essa non è come può sembrare ad una normale lettura un qualcosa di ridicolo , di banale . Ma è proprio una di quelle storie speciali per gente normale , normale per gente speciali

    La speciale dedica di Giulia, laureata a Bari: «A chi ha mollato, a chi si è tolto la vita per l'università»

    di Alessandro Vinci

    La 23enne Giulia Grasso, neodottoressa in Lettere Antiche, ha sofferto di ansia durante gli studi: «Mi sono immedesimata in chi ha preferito dire basta. La colpa è anche dei media e all'estero è diverso»

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    Più e più volte Giulia Grasso, 23 anni, ha pensato di gettare la spugna. L’ansia, le notti insonni, l’emozione a tradirla sul più bello. Alla fine però non ha mollato, laureandosi mercoledì scorso in Lettere Antiche all’Università di Bari. Memore delle difficoltà incontrate, tuttavia, ha voluto mettere nero su bianco sulla sua tesi – «La censura nel cinema italiano da Totò e Carolina a Totò che visse due volte» – una dedica speciale: «A chi non ce l’ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all’altezza, a chi ha trovato solo porte chiuse, a chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando a quell’esame, a chi non è riuscito a respirare per l’ansia, a chi si è dato la colpa di ogni fallimento, a chi ha preferito morire invece che fallire ancora. A me, che alla fine ce l’ho fatta».
    Il post sui social
    Sì, Giulia ce l’ha fatta. Ed è anche riuscita a dare ampio risalto al suo messaggio. È stata infatti lei stessa a farlo diventare virale su Instagram, con oltre 2.700 «Mi piace» e centinaia di commenti (in continua crescita): «Nessuno parla mai di loro – ha scritto in riferimento ai destinatari della dedica –. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell’esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura». E ancora, come un fiume in piena: «La mia tesi, la mia laurea, tutti i miei sacrifici, li ho dedicati a chi ha passato notti intere a piangere, notti insonne a domandarsi: “ne vale davvero la pena?”, giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza. Ma non è così».Nelle righe successive Giulia si è poi rivolta direttamente agli studenti in difficoltà: «Non siete l’opinione di uno sconosciuto – si legge –. Non siete il voto che vi dà un docente che arriva stanco alla fine dell’appello e vuole tornare a casa. Non siete la performance che date all’ultimo appello di luglio, dopo aver atteso 10 ore il vostro turno. Voi siete quel pezzo di focaccia barese che avete bramato per così tanto. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno in mano. Siete i sorrisi dei vostri amici. Siete i vecchietti che vi fermano per strada per farvi gli auguri. Siete il profumo di alloro che sentirete per giorni. Siete la sensazione di libertà che provate quando vedete l’ultimo esame convalidato sul libretto. Siete l’ultimo sguardo che date a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. Siete tante cose, ma non siete quel fallimento che vi fanno pensare di essere. Perché la colpa non è sempre dello studente. E un bravo docente sa anche questo».

    «Mi sono immedesimata in chi ha detto basta»

    Se la 23enne è arrivata a maturare queste riflessioni, è anzitutto perché lei stessa ha incontrato determinate difficoltà: «Da persona molto ansiosa quale sono ho sempre vissuto in maniera terribile l'avvicinamento a ogni esame – racconta al Corriere –. Anche io, quindi, mi sono spesso chiesta "Ma chi te lo fa fare?". Anche a me è capitato di essere bocciata solo perché l'emozione dell'esame aveva improvvisamente cancellato tutto quello che avevo studiato. Al momento di scrivere la dedica mi sono quindi immedesimata in chi ha preferito dire basta». A contribuire a questa particolare sensibilità, anche la sua esperienza Erasmus a Zara (Croazia): «Lì mi sono resa conto che le cose non devono per forza andare così – spiega –. L'ho visto nel rispetto che i professori portano nei confronti degli studenti. Nello sviluppo di rapporti che in Italia non ci sono. Poi certo, non faccio di tutta l'erba un fascio: qui per esempio mi sono trovata molto bene con il mio relatore Federico Zecca, ma dovrebbe trattarsi della regola, non dell'eccezione».

    La pressione del confronto

    A giudizio di Giulia, a contribuire al problema è anche il mondo dei media: «Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano più volte e/o in tempi record – osserva –. Questo tipo di confronto crea molta pressione, perché ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà. Penso per esempio a chi ha ridotte disponibilità economiche ed è costretto a lavorare per permettersi gli studi». Pensieri evidentemente condivisi anche da numerosissimi utenti del web: «Sono stati gentilissimi, mi sento davvero grata per tutti i commenti ricevuti – dice –. Qualcuno mi ha perfino scritto raccontandomi la sua storia».

    Futuro in Inghilterra?

    Nel futuro della neolaureata potrebbe esserci ancora l'estero: «Ho il pallino della scrittura e mi piacerebbe diventare una giornalista o un'insegnante. Sto già scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare nuovamente fuori. Per via della lingua mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra, ma la Brexit e il costo delle università locali sono ostacoli non da poco. Si vedrà». Forte di aver perseverato fino in fondo, non c'è sfida che ora senta di non poter affrontare. 

     https://www.fanpage.it/attualita/dedico-la-mia-laurea-a-chi-si-e-suicidato-per-luniversita-la-scelta-di-giulia-nel-giorno-di-festa/


    16 GIUGNO 2022 10:58

    “Dedico la mia laurea a chi si è suicidato per l’università”: la scelta di Giulia nel giorno di festa Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata in Lettere Antiche all’Università di Bari. La studentessa ha dedicato la sua testi ai colleghi universitari di tutta Italia: “A chi non ce l’ha fatta e si è tolto la vita per gli esami. Non siete il fallimento che vi fanno credere di essere”

    A cura di Gabriella Mazzeo


    Una dedica per tutti coloro che non ce l'hanno fatta, ma anche per tutti gli studenti che ancora stanno cercando la loro strada. Giulia Grasso, 23 anni, si è laureata nella giornata di mercoledì scorso in Lettere Antiche all'Università di Bari. Memore delle difficoltà incontrate sul suo cammino, ha voluto mettere nero su bianco una dedica speciale. "A chi non ce l'ha fatta, a chi ha mollato, a chi non si è sentito all'altezza e a chi ha trovato solo porte chiuse – ha scritto Giulia sui social network -. A chi non crede più in se stesso, a chi ha pianto notti intere pensando un esame e a chi si è dato la colpa di ogni fallimento".



    Il messaggio della 23enne è diventato virale su Instagram con oltre 2.700 "Mi Piace" e centinaia di commenti. Nella sua dedica, Giulia fa riferimento anche alle decine di studenti che si sono tolti la vita a causa del libretto universitario. "Siete tante cose – ha scritto – ma non siete quel fallimento che vi fanno credere di essere. Nessuno pensa mai a chi non ce la fa più e si porta l'esame dietro per anni non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota in fondo alla pagina vale la bocciatura". "Non siete l'opinione di uno sconosciuto – ha continuato la neolaureata – né il voto che vi dà un docente stanco alla fine dell'appello o la performance dell'ultimo esame di luglio. Siete quei fiori che i vostri cari vi danno, i sorrisi dei vostri amici, i vecchietti che vi fermano per strada per farvi gli auguri e il profumo di alloro che sentirete per giorni. Siete la sensazione di libertà che si prova quando viene convalidato anche l'ultimo esame sul libretto.

    Siete l'ultimo sguardo che date a quel posto che per anni è stato il vostro incubo. La colpa non sempre è dello studente e un bravo docente sa anche questo". La neolaureata ha poi sottolineato di aver incontrato molte difficoltà sul suo cammino. Ha raccontato al quotidiano Corriere della Sera di essere molto ansiosa e di aver vissuto in maniera terribile l'avvicinarsi di ogni esame. "Mi sono spesso chiesta perché lo stessi facendo. Anche a me è capitato di studiare ed essere bocciata solo perché l'emozione aveva improvvisamente cancellato tutto quello che sapevo – ha dichiarato -. Quando ho scritto la dedica mi sono immedesimata in chi ha detto basta. Sui giornali capita spesso di leggere di studenti che si laureano in tempi record o che iniziano a lavorare giovanissimi. Questo tipo di confronto crea pressioni perché nella vita reale ognuno ha i suoi tempi e le sue difficoltà". Dopo la laurea, Giulia Grasso ha intenzione di raggiungere l'Inghilterra. "Sto scegliendo la magistrale, ma non essendomi trovata bene in Italia sto valutando l'opzione di studiare fuori. Mi piacerebbe trasferirmi in Inghilterra ma la Brexit e il costo delle università sono ostacoli non da poco".

    Loreni, funambolo zen “Sono salito sul cavo in cerca della libertà”

       canzone    in sottofondo  \  consigliata
    La tuà libertà - Francesco Guccini



    Ma  prima    d'iniziare  il post  d'ogg    ripeto a  scanso di equivoci     onde  evitare      ulteriori    accuse o shitstorm   come  quelle  ricevute  per il post  precente   ( trovate  url  sotto )  devo  fare una precisazione  :

    N.b
    NON  STO   FACENDO NESSUN   ELOGIO   O PANEGIRICO   DEL SUICIDIO   , PERCHE'   ESSA  E'   UN SCELTA  PERSONALE    ED  PRIVATA . MA  STO SEMPLICIMENTE  DICENDO    CHE  PER   ALCUNI\E 
     IL SUICIDIO , ATTO   CHE  PER  NOI SOPRATTUTTO QUANDO SI TRATTA  D'AMICI \ CONOSCIENTI  O FAMILIARI   PUO' SEMBRARE  EGOISMO , PER LORO   E' UNA SCELTA   DI LIBERTA' 

    la libertà non è solo partecipazione ma è anche : << [...] Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà. [...] cit Musicale >> ma anche : 1) scegliere di come morire , morire con dignità o s'è una scelta consapevole suicidarsi quando si è vicini ad una malattia incurabile o di grave discriminazione come la storia racconta qui su questo blog nei giorni scorsi : << La solitudine di Cloe Bianco, la prof transgender che si è uccisa dando fuoco al suo camper  >> .    2)    salire   su  un   cavo     come  la storia     che  riporto sotto 



    repubblica  13 GIUGNO 2022 ALLE 07:46

    Loreni, funambolo zen “Sono salito sul cavo in cerca della libertà”

    Si esibirà alla Mole dal 24 giugno al 3 luglio Ogni sera chiuderà lo spettacolo per i vent'anni di Cirko Vertigo


    Il teatro di strada è l’inizio della sua storia. La passione si è accesa all’improvviso. Un giorno di dicembre, a Milano, durante la visita a una fiera. Era il 1996, aveva ventun anni. Frequentava Filosofia. Il padre voleva diventasse ingegnere, lui ha cercato un compromesso e si è iscritto a Fisica. « Ma c’erano troppi numeri, troppa matematica, dopo due mesi sono passato a Filosofia. Mi aveva affascinato il professore del liceo. Mica sapevo cosa avrei fatto nella vita!».





    Che cosa avrebbe fatto nella vita, Andrea Loreni lo ha cominciato a scoprire quel giorno, vedendo uno spettacolo di strada di Rodrigo Morganti, che poi sarebbe diventato suo amico. «Sono stato colpito dalla libertà della strada. C’erano molte persone strette l’una all’altra che guardavano l’esibizione di questo ragazzo. Ridevano, vivevano emozioni comuni. E poi il lato economico: l’artista dà quello che vuole e quello che riesce e, a sua volta, anche il pubblico dà quello che vuole, quello che può».






    Comincia con la giocoleria anche lui: clave, palline, torce infuocate, corda molle, frusta. « Ho iniziato nel 1997 –racconta- Più che uno spettacolo, il primo, al mercato di Cuorgnè, è stata una figura di merda. Non si è fermato nessuno. Anche il secondo, a Ivrea, una figuraccia! Però mi sono serviti per capire le dinamiche della strada. E a poco a poco mi sono messo a frequentare i festival: Certaldo, Ferrara, Pergine, Schio. Il posto migliore per fare cappello (passare fra gli spettatori con il cappello sperando che ci infilino qualche euro) per me è stata Aosta. In estate, invece, l’ideale era la Versilia. A Torino si è lavorato bene fino a dieci anni fa».




    Ma nel frattempo Loreni si è laureato ed è già passato al cavo. Come scrive in “ Breve corso di funambolismo per chi cammina nel vento”, il curioso libello uscito per Mondadori lo scorso anno: « Sono salito sul cavo in cerca della libertà » . All’inizio è diventato filferrista. Poi, quasi subito, funambolo:cavi lunghi e bilanciere. « La differenza tra filferrista e funambolo la fa la lunghezza del cavo –spiega- Il funambolo cammina su cavi lunghi, tesi a grandi altezze, con un bilanciere in mano, andando in cerca della verità. La trova nel corpo. È una verità fattuale, non speculativa. In quei momenti non puoi che essere autentico. Il gesto deve risultare essenziale. Non c’è spazio per fronzoli e menzogne. A grandi altezze, su un cavo, hai paura, ma nonostante la paura vai avanti. La accetti e cerchi di camminare con grazia, in armonia con il contesto».
    Andrea Loreni è l’unico funambolo italiano. In Europa sono una decina e si conoscono tutti. La prima volta ha provato in Val d’Aosta. Un amico gli ha trovato un prato e hanno steso un cavo per quaranta metri fra due alberi. Lui è salito e ha cominciato ad andare, passo dopo passo, in equilibrio. La prima uscita pubblica è del 2006: a San Sebastiano Po ha scavalcato il fiume, 120 metri di cavo teso fra due scavatori a 12 metri di altezza. L’anno successivo ha camminato attraverso l’Arco olimpico al Lingotto. Poi a Pennabilli, in Romagna, fra due colli: 260 metri di lunghezza a 90 metri d’altezza. A Roma cammina sopra Castel Sant’Angelo, a Firenze sopra piazza della Signoria ed entra nel Museo degli Uffizi dalle finestre dell’ultimo piano. E ancora, in Israele, Serbia, Giappone, Irlanda. Infine, il primo agosto 2021 sul lago di Ceresole, a 35 metri di altezza sopra la diga, percorre 320 metri in 25 minuti.






    Quando ha cominciato a camminare sul cavo, ha cominciato anche con lo zen.
    « Mi accorgo adesso che zen e funambolismo sono due modi per stare nel qui e ora. Essere presenti sul cavo è una necessità. Non vuole dire che non pensi, non si può smettere di pensare, ma si può smettere di ascoltare i pensieri. Li lasci venire, ma non ti fai trascinare dove tendenzialmente loro ti porterebbero: nel passato o nel futuro, fra rimorsi, nostalgie e preoccupazioni. Che cosa c’è nel presente? Il corpo. Il corpo è la nostra succursale nel presente. Ti appoggi alle sue sensazioni. Stai saldamente nel respiro. È il corpo che conta, sono i piedi che fanno camminare sul cavo!». Dal 24 giugno al 3 luglio si esibisce alla Mole. Ogni sera chiude lo spettacolo per i vent’anni di Cirko Vertigo, ‘ Cinema e circo una lunga storia d’amore’. Ripete l’impresa due volte al giorno. Appeso al vuoto nella pancia della Mole, il vuoto deve farlo come sempre prima di tutto dentro di sé. Deve affrontare anche una difficoltà in più. «Nella Mole – spiega- sarà differente rispetto a tutte le volte all’aperto. Attorno è pieno di informazioni visive. Il rischio è di deconcentrarsi. Sarà un’esperienza nuova». Come prepararsi e reagire? Mettendo a frutto ciò che ha imparato in quindici anni di passi nel vuoto: lasciare da parte la mente e concentrarsi sul respiro. Affidarsi ai piedi. E al cavo.



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