Violenze di massa sui detenuti, torture a opera degli agenti, è quanto avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Fatti gravissimi che si legano a un episodio di abuso di potere con cui, a vent'anni di distanza, l'Italia non ha fatto i conti: la scuola Diaz al G8 di Genova Detenuto nel carcere di Regina Coeli a Roma. (Foto: ALBERTO PIZZOLI/AFP/Getty Images)
La magistratura l’ha definito “uno dei più drammatici episodi di violenza di massa ai danni dei detenuti”. È la tragica descrizione di quanto avvenuto nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), che viene fuori da mesi e mesi di analisi delle chat degli agenti penitenziari, audio, videocamere di sorveglianza e referti vari. Gli indagati sono 117 e ora in 52 hanno ricevuto misure cautelari, come arresti ai domiciliari e interdizioni. Questo riguarda tanto i presunti autori delle violenze quanto chi ha provato a nasconderle, come alcuni medici Asl e dirigenti del carcere. Gli agenti avrebbero commesso abusi indiscriminati nei confronti dei detenuti, in una sorta di vendetta dopo una rivolta scoppiata la sera prima e rientrata in poche ore per la scoperta di un detenuto positivo al Covid-19. Si parla di botte perfino a un detenuto in sedia a rotelle, pugni, schiaffi e testate con i caschi a detenuti inginocchiati e denudati, tunnel umani al cui interno venivano fatti passare a uno a uno i condannati per picchiarli in massa. Nelle chat degli agenti si parla di “metodo Santa Maria”, mentre i detenuti vengono definiti come “vitelli da abbattere”, “bestiame” e altri deliri di esaltazione della violenza. Sono passati venti anni esatti da quando l’Italia fu teatro di quella che Amnesty International definì “la più grave sospensione dei diritti democratici in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Nel luglio 2001 a Genova, nei giorni del G8, si apriva una ferita che oggi ancora non si è rimarginata, con la macelleria messicana della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, la morte di Carlo Giuliani e la violenza indiscriminata delle forze dell’ordine nelle strade contro i manifestanti. Fu tortura su larga scala, come d’altronde ribadito di recente dalla Corte europea dei diritti umani, ma in Italia non esisteva nemmeno una legge che prevedesse questo reato, arrivata solo nel 2017. Gli abusi di potere commessi nel corso del G8 di Genova sono stati perlopiù coperti, i protagonisti delle violenze nella migliore delle ipotesi sono rimasti al loro posto, nella peggiore hanno ricevuto addirittura delle promozioni e oggi l’Italia continua a pagare il fatto di non aver saputo fare realmente i conti con quella tragedia di venti anni fa, di non aver fatto un passo oltre a quella vergogna. E il metodo Genova, con episodi di violenze indiscriminate delle forze dell’ordine, di insabbiamenti e omertà diffusa, di tortura à la Bolzaneto e Diaz, continua oggi a macchiare la quotidianità del Belpaese, in particolare delle sue carceri. Quanto emerso in queste ore nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere è infatti solo la punta dell’iceberg: da quando l’Italia si è dotata di una legge sulla tortura, si è scoperto che la tortura nel paese esiste, eccome se esiste. Associazione Antigone ha raccolto tutti i casi di applicazione di questo “nuovo reato” nell’ambito del sistema carcerario italiano. C’è l’agente di polizia penitenziaria condannato lo scorso gennaio per tortura contro un detenuto nel carcere di Ferrara. C’è la condanna in primo grado per tortura e lesioni aggravate a carico di dieci agenti del carcere di San Gimignano, arrivata lo scorso febbraio. Ci sono le misure cautelari, tra cui i domiciliari, disposte a gennaio per diversi agenti accusati di tortura contro i detenuti nel carcere fiorentino di Sollicciano. Ci sono altre misure cautelari emesse nel 2019 nei confronti di 13 agenti del carcere Lorusso e Cutugno di Torino, per un’inchiesta su presunte torture e altri abusi commessi nei confronti dei condannati. E poi ci sono fior fior di altre indagine in stato ancora più embrionale, dall’istituto milanese di Opera a quello emiliano di Modena, passando per Melfi, Pavia e altre carceri. C’è un problema di abusi di potere e violenze nelle carceri italiane che è figlio dell’impunità seguita ai tragici fatti del G8 di Genova di venti anni fa. Per tutto questo tempo si è continuato a chiudere gli occhi, si è dovuto aspettare ben 16 anni per una legge sulla tortura zoppa e che sta iniziando solo ora a fare il suo corso, ci si è continuati ad opporre a misure di buon senso come quella dei codici identificativi sulle divise degli agenti per meglio individuare eventuali abusi. Intanto, una fetta importante della politica ha spianato la strada a tutto questo, permettendo di fatto che il metodo-Genova oggi continui il suo corso. Dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha definito quella sulla tortura una legge che impedisce alle forze dell’ordine di fare il loro lavoro, al capo della Lega Matteo Salvini che ogni volta che scoppia un’inchiesta per tortura nelle carceri corre a dare la sua solidarietà agli agenti indagati – lo ha fatto anche in queste ore, annunciando una visita a Santa Maria Capua Vetere per offrire sostegno simbolico. L’Italia è ancora impantanata nell’orrore di venti anni fa e il contesto politico-sociale non sembra preannunciare miglioramenti imminenti.
Un sogno che si è avverato quello che hanno vissuto alcuni ragazzi a San Pantaleo (frazione di Olbia, in Sardegna). Mentre stavano giocando in piazza, si è improvvisamente avvicinato a loro Robert Lewandowski. L'attaccante del Bayern Monaco, in vacanza insieme alla moglie,
non ha resistito al richiamo del pallone e ha scambiato alcuni passaggi con i ragazzi, visibilmente emozionati. Il video è stato pubblicato tra le storie di Instagram dallo stesso centravanti polacco. Ecco la come riporta la notizia il portale locale https://www.galluraoggi.it/cronaca/
Ha visto alcuni bambini giocare in piazza e probabilmente si è rivisto lui da piccolo e non ha resistito al richiamo. Così, con assoluta disinvoltura, è entrato nella mischia dei ragazzini che correvano dietro il pallone, ha iniziato a palleggiare e a sbalordire con alcuni dei suoi numeri. Fuori programma inatteso ieri sera a San Pantaleo, frazione del comune di Olbia, per il centravanti del Bayern Monaco e capitano della nazionale polacca, Robert Lewandowski.Il calciatore hascambiato qualche passaggio, ma non è stato immediatamentericonosciuto dai presenti. L’azione è stata seguita da una piccola folla incuriosita seguendo itunnel e dribblingdella stella del Bayern. Un bel momento,soprattutto per i bambini, che potranno raccontare di aver sfidatouno dei giocatori più forti al mondo.
Mi ricorda la bella storia di
Paperino e il dribbling del tombino che trovate qui
ero cosi giù che mi facevo le solite elucubrazioni mentali del tipo : a che serve vivere e lottare se cadi o vieni tradito .ho trovato la risposta in questo stato fb di un mio contatto
La vita, a volte non è tenera e ti mette davanti prove davvero difficili. Per questo capita che a coloro che hanno vissuto e vivono situazioni complesse, il vedere calpestati i diritti dei più fragili, è motivo di rabbia infinita. Ovviamente non si pretende comprensione da tutti indistintamente, si capisce che per altri la vita ha riservato prevalentemente situazioni positive e di questo dobbiamo
essere tutti felici, ma da coloro che si candidano a rappresentare le istanze di tutta la popolazione, dobbiamo pretendere un interessamento ancora più pesante e concreto, per quelle condizioni che necessitano di assistenza e più certezze.
Spesso, invece, capita il contrario di quanto la logica e il buon senso dovrebbe suggerire e ad essere “aiutati”, sono soprattutto coloro che hanno fatto dell’interesse privato, prevalentemente dei più forti, una condizione e una filosofia di vita.
Il disprezzo per l’indifferenza verso i più deboli, non basta e in questo momento storico, non sembra nemmeno una opzione tra le più gettonate, occorre invece che chi ancora crede in certi valori e certi principi, faccia sentire sempre più forte la sua voce e combatta con tutti gli strumenti possibili e disponibili questa apatia strumentale e collusa con un mondo che non rappresenta più la società reale.
Sebastiano vitale in arte Revman È nato a Palermo ed è cresciuto a Lecce, ma la voglia di imparare, di studiare e di migliorarsi lo hanno spinto ancora più lontano dalla sua città di nascita, infatti grazie al suo lavoro oggi Sebastiano vive a Milano. Un rap secondo https://fai.informazione.it/
Sicuramente, il cantante rap Revman è riuscito a catturare l'attenzione di un
asto pubblico con i suoi giochi di parole e le frasi veloci e accattivanti. Il suo vero nome è Sebastiano Vitale e di professione fa il poliziotto a Milano. La sua candidatura a Sanremo e la successiva ingiustificata esclusione ha fatto alzare i toni ai suoi fans.
Il rapper Revman ha un parlare veloce e accattivante che va oltre il rap.
Revman è certamente una delle più grandi sorprese della musica per ragazzi e anche per i meno giovani, poiché sta ottenendo grandi successi sulle piattaforme digitali a partire da Youtube, Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin e tanti altri, grazie alle sue canzoni belle e appassionanti e, soprattutto ai sapienti testi caratterizzati da un vasto uso di termini "polizieschi" che vanno contro la malavita.
«Ho cominciato ad appassionarmi al movimento artistico e culturale definito Hip Hop all’età di 16 anni, ballando
break dance insieme ad altri ragazzi vicino ad una chiesa, precisamente in una piazzetta che un sacerdote ci aveva messo a disposizione. A causa di un lieve infortunio procuratomi durante gli allenamenti, dopo anni di movimenti rotatori caratteristici di questa danza ho dovuto mettere in pausa la mia attività di ballerino. In quel breve periodo, però, non mi sono fermato e ho iniziato a canticchiare le canzoni sulle quali prima ballavo, capendo che cantare sulle note Hip Hop mi piaceva di più che ballarci su, così ho iniziato a scrivere i miei primi testi rap. Mi sono sempre piaciutii messaggi sociali contenuti in quel genere musicale, soprattutto quelli affrontati nel rap più antico».
Così è nato Revman, il tuo nome d’arte: cosa vuol dire?
«Non ha un significato particolare. L’ho creato perché mi piace la sonorità che produce, nel tempo però ho pensato che potesse essere un acronimo in cui R sta per Rispetto, E per Energia, V per Verità, M per Musica, A per amore, N per Natura, parole che per me sono molto importanti».
Cosa vuoi comunicare?
«Sono cresciuto in Salento, dove la musica popolare è ricca di significato e questo ha influenzato molto il mio modo di scrivere: in effetti i miei testi sono ricchi di contenuti e sensibilizzano su vari temi. Voglio trasmettere dei messaggi positivi, con la speranza che possano essere di sostegno a chi si trova in difficoltà».
Tu sei diventato anche poliziotto. La divisa, come la musica, può essere un’alternativa alla strada?
«Far appassionare i ragazzi a qualcosa come l’arte, la cultura e la musica può dare loro un obiettivo e quindi non farli finire in brutte strade. Il rap racconta la strada mentre un uomo in divisa la vive, ci lavora. Quindi, più che un alternativa, entrambe le cose possono rappresentare degli strumenti per vedere la vita in modo differente, dalla parte della legalità».
La tua attenzione alla legalità si evidenza anche da uno dei primi brani che hai composto.
«Esatto. Uno dei primi brani che ho scritto è intitolato “Musica contro le mafie”. Con questo singolo ho riscosso un discreto successo e tanti sono venuti a conoscenza della mia passione per la musica rap e del mio lavoro di poliziotto. Quando pubblicai questo brano fu molto condiviso da amici, colleghi, associazioni e vari utenti del web. Con quell’estratto ho partecipato al concorso “Musica contro le mafie” dell’associazione Libera. Una parte del singolo l’ho utilizzata per dare il mio contributo per la premiazione del premio denominato Annalisa Durante, conferitomi dall’omonima associazione a febbraio 2021. L’evento attraverso diverse metrologie ha trasmesso messaggi di giustizia e rispetto delle regole».
Nei tuoi brani tratti il tema della legalità e non solo.
«Sì. Ho scritto un brano sull’inquinamento ambientale causato dal rilascio spropositato di plastiche in natura, di Cyberbullismo e in un brano intitolato “Il gelo” ho parlato anche di quest’ultimo, intimo e freddo anno».
Sei un ragazzo di periferia: quanto può essere pericolosa?
«Le periferie di solito sono un po’ più abbandonate e trascurate. Il Sud ha le sue trappole e penso sia difficile affermarsi se il luogo dove vivi è limitante. Alle nuove generazioni, però, voglio dire che c’è sempre un’alternativa a quella vita priva di significato che alcuni luoghi propongono. Tutti abbiamo la possibilità di essere migliori e di essere utili al prossimo e per fare questo bastano piccoli gesti quotidiani. Insieme possiamo acquisire sane abitudini che portano un beneficio comune. Io vengo dalle periferiae ho studiato in un istituto professionale alberghiero e, pur non avendo chissà quali studi alle spalle, sono riuscito a vincere il concorso nella Polizia di Stato con il massimo dei voti in tutte le prove. Inoltre, ho continuato a fare musica e ho avuto tante soddisfazioni. Ho vinto vari premi come quello dedicato a chi tramite l’arte e la cultura ha portato lustro alle forze dell’ordine, denominato “Premio Apoxiomeno”. Un’altra grande soddisfazione è stata cantare al teatro Massimo di Palermo, il terzo teatro più grande d’Europa dopo quello di Vienna e Parigi».
Senti che c’è stato un momento in cui la tua vita è cambiata?
«Un cambio di passo sicuramente è arrivato quando ho raggiunto la mia stabilità economica e sono arrivato a Milano. Prima però ho vissuto a Bologna, dove ho fatto il militare per due anni, questi ultimi fondamentali nel mio percorso di vita, perché mi hanno permesso di vivere in una città universitaria che mi ha fatto crescere tanto. Per un breve periodo della mia vita ho anche vissuto in Canada per poi trasferirmi definitivamente a Milano: questa città dà tante possibilità e a me piace molto».
Vai anche nelle scuole?
«Prima del Covid sì. Faccio l’insegnate di musica rap, insegno ai ragazzi a scrivere dei testi riguardanti l’ inclusione e insieme affrontiamo diversi temi sociali. Nell’ultimo anno ho provato a incontrare i ragazzi attraverso la Dad, ma è difficile trasmettere questi messaggi a distanza. Con alcuni di loro abbiamo scritto un brano sultema del bullismo, sono stati bravissimi perché hanno espresso i propri pensieri, io ho sistemato i loro versi e insieme abbiamo creato una canzone. L’intero progetto è stato realizzato nell’ambito del progetto LexBulli del Comune di Milano. Quando vado nelle scuole non dico subito che lavoro faccio, rompo prima il ghiaccio attraverso la musica rap: utilizzando un linguaggio molto vicino a loro riesco a conquistarli e alla fine quando svelo che sono un poliziotto tutti i pregiudizi verso la divisa vengono abbattuti. Questo è importante perché avvicina i ragazzi alle istituzioni».
oltre a ver ascoltato la canzone
che A febbraio ha ricevuto il Premio Annalisa Durante categoria Istituzioni
“Non mi aspettavo di essere contattato per un premio così importante. Sono onorato di averlo ricevuto. Il quadro che mi è stato spedito ha un significato simbolico molto forte. Ricorda lo splendido sorriso della piccola Annalisa Durante, giovane vittima innocente di Camorra. Quella di Annalisa è una storia di profonda tristezza e che deve farci riflettere perché questi fatti non accadano mai più..
Ora Non sono un granchè amante di questo genere e delle sue corrennti ma questi due brani sono molto belli
Infatti Solo chi lavora in strada( forze dell'ordine o disordine dipende da casi , 118 , associazioni per i senza tetto , ecc ) capisce queste parole !! ma soprattuttto uno di quelli che non è usa violenza verbale gratuita , misoginia , ecc come quelli del genere trap . Sta riscutendo ottime recensioni tra i fruitori del genere . Infatti secondo <<
Rappa meglio della maggior parte degli emergenti e chi lo nega è solo perché guarda la sua divisa piuttosto che la sua abilità. Poi per carità, ha molto da migliorare ma ho sentito molto di peggio. Parliamo del testo? Bel testo, dice cose oggettivamente giuste e condivisibili che i finti gangsta non possono capire a causa della loro ignoranza. Tutti gangsta a chiacchiere, ma per lo più siete minchioncelli che, come fa intendere nella canzone, appena si trovano spalle al muro cantano tutto piangendo.>>ironitaly961
l'altra storia è quella degli EMOTIONAL COLOR
Simone, diplomato in architettura e design, e Leonardo, affetto da un ritardo cognitivo con aspetti dello spettro autistico, vivono a Rozzano (Milano). Il progetto di gioco-arte “Emotional Color”, ideato da Simone, sostiene e attiva progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi affetti da disabilità, attraverso attività, mostre ed eventi organizzati nelle scuole, locali, gallerie d’arte e associazioni. Dal 2018 sono state realizzate più di 200 opere personali e oltre 20 opere collettive. Sulla pagina Facebook e Instagram _emotionalcolor_ Simone condivide video e immagini dei momenti di pittura con Leonardo, i quadri realizzati e notizie degli eventi. Il sito è www.emotionalcolor.com.
sempre da ioacquaesapone giugno\luglio
Mio fratello non è figlio unico
La disabilità li aveva allontanati, l’arte li ha riuniti. La storia di due fratelli che hanno trovato il modo di superare le barriere
Una stanza riempita di tele, barattoli di vernice e pennelli, e un unico ordine: divertiti! Nasce così Emotional Color, un progetto di arteterapia destinato a finanziare progetti di inclusione sociale e autonomia per bambini e ragazzi disabili, che ha avuto la forza di ricucire un legame tra due fratelli reso difficile dal ritardo cognitivo del più piccolo, incapace di esprimere le proprie emozioni. Simone Manfreda, 26 anni, e Leonardo, 17, sono sempre stati molto uniti, ma con il trascorrere del tempo le diverse esigenze e interessi li hanno allontanati. «Non condividevamo le stesse cose come fanno due fratelli “normali”. Io non frequentavo le sue numerose visite in ospedale e lui non frequentava il campetto da calcio con me. Vedevo gli amici che con i fratelli facevano di tutto, io invece con il mio non riuscivo a relazionarmi. Appena maggiorenne, ho iniziato a viaggiare, ho vissuto in Spagna e a Londra, anche per evadere da questa situazione».
Fino al 2018 quando hai deciso di affrontarla.
«Ero tornato dalla Spagna, stavo per ripartire, ma non me la sono sentita. Dovevo trovare qualcosa che mi permettesse di relazionarmi con Leo. Ho cominciato a sperimentare varie attività, dalla piscina alle carte da gioco, ma senza risultati. Poi un pomeriggio ho provato a coinvolgerlo in una mia passione: l’arte. Con lo scotch ho plastificato pareti e soffitto di una stanza della casa, ho comprato tele e colori e ho chiamato Leonardo. I suoi occhi si sono illuminati appena ha visto la stanza. Non ho avuto il tempo di dirgli “dai Leo entra” che c’era già colore ovunque. Io giravo le tele, gli passavo i colori e lui si è divertito a sporcarsi di colori. Per la prima volta ero suo compagno di giochi».
A ispirarti è stata una mostra vista a Londra.
«L’artista credo fosse un papà che faceva una cosa simile con il figlio in una stanza grande. Ho provato a farlo a casa. Non avevo mai visto prima Leo divertirsi così tanto. Senza rendermi conto tramite quel gioco Leo stava dando vita a tele coloratissime, piene della sua energia. Parenti e amici hanno iniziato a chiederci se i quadri fossero in vendita, da lì ho pensato che poteva nascere qualcosa di bello per tanti ragazzi come Leo».
Quali sono gli obiettivi e i progetti in corso?
«L’obiettivo è finanziare, attraverso il ricavato dei quadri e la nostra partecipazione a eventi pubblici, progetti di inclusione sociale e autonomia per ragazzi disabili. Per seguire con più costanza il progetto nel 2019 mi sono licenziato. Abbiamo sostenuto delle iniziative sociali con alcune associazioni e stiamo coinvolgendo le scuole per sensibilizzare i ragazzi al tema. Sogno di avere un atelier nostro, con una parte adibita a galleria dove esporre i quadri di Leo e quelli realizzati da altri ragazzi durante gli eventi, e un laboratorio, dove realizzare eventi e ospitare chiunque voglia esserci».
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«A vedere le cose fuori dagli schemi convenzionali e scoprire che la disabilità può essere un’opportunità di confronto e crescita».
Da ex simpatizzante ed aderente al gruppo cittadino locale del m5 dopo il 2001 perché ... ma questa è un altra storia .... posso dire che la verità sta nel mezzo. infatti se da un lato è vero che dopo il g8 del 2001 è stato un crescere di populismo ed demagogia di cui molti grillini ed
ex grillini confluiti nel centro destra sono l'esempio e qui concordo con Giovanni Mari autore -- da me intervistato per il nostro blog -- di Genova,vent'anni dopo il g8 del 2001, storia di un fallimento e Damilano . Ma allo stesso tempo come dice Salvatore Cannavò in
CARO DAMILANO, DOPO GENOVA NON ARRIVÒ L’ANTI-POLITICA
Il Fatto Quotidiano 5\7\2021
C’è una sinistra intellettuale talmente ossessionata dal M5S che non riesce a guardare nemmeno dentro la propria storia. Si prenda l’espressoe l’editoriale che il suo direttore, Marcodamilano, dedica a Genova 2001 e alla Diaz. Che se ne trae da quella storia? Che la dura repressione poliziesca, di cui Gianni De Gennaro non si è mai scusato, e la contestuale violenza dei Black bloc hanno distrutto quel movimento rendendolo un ’ 68 “durato 48 ore”. E quella potenzialità politica, quella speranza, finendo in un buco nero, ha consegnato giovani e meno giovani all’antipolitica. A Beppe Grillo. Solo che il G8 è del 2001, il Vaffaday è del 2007. In mezzo? Dopo Genova c’è la stagione dei Social forum, un movimento contro la guerra indicato dal New York Times come “la seconda potenza mondiale”, soprattutto c’è la sinistra al governo. Prodi e Bertinotti, Agnoletto eurodeputato e deputati che vengono da quel movimento eletti da Rifondazione. Semmai è la delusione di quell’esperienza, la sinistra che si fa casta e potere, a spingere milioni di elettori verso i 5 Stelle. Ma quell’energia non si spegne ancora: realizza il referendum per l’acqua pubblica nel 2011, scende in piazza con gli Indignados in quello stesso anno, dopo che aveva manifestato contro il governo Berlusconi. E solo dopo l’ennesima mazzata politica, il governo Monti, favorito ancora da quella pseudo-sinistra rimasta in campo, si dilegua. Dieci anni dopo. Ora, possiamo capire l’acrimonia versogrillo,la foga di voler costringere tutto in una chiave di lettura precostituita arriva a negare la vita e la realtà di quelle centinaia di migliaia di persone che attraversarono Genova venti anni fa. E offrirono una chance di rinnovamento alla sinistra, che questa si guardò bene dal raccogliere. Allora si spiega meglio perché la sinistra italiana e gli “spiegoni” dei suoi cantori non ne azzeccano una.
non c'è stata l'antipolitica vera e propria ma al più antipartitismo o dei tentativi poi naufragati nelle paludi dellla politika ( ho usato la k per differenziarla da quella vera ) o per parafrasare uno slogan del m5 degli esordi nell'olio della scatola di tonno da cui si volevano togliere i tonni .
Dopo aver letto su segnalzione della rivista free dell'omonima catena di centroi commerciali https://www.ioacquaesapone.it/ di luglio 2021 di unno studio condotto da Skuola.netche una importante influencer è per gli studenti italiani uno dei principali modelli da seguire, ho deciso di provare a capirne di più , e di non limitarmi a quello che vedo in mia nipote \ cugina di 2 grado adolesciente .
Ammetto che non è un mondo che mi attira e spesso mi nausea quello degli influencer: forse perchè essendo della generazione degli anni '70 è avendo vissuto in prima persona la trasfornmazione , ne ho parlato nel primi post del blog , del passaggio dagli stazzi ( maiali , galline ,l'orto , api , vigna ed i loro prodotti ed la loro produzione ) ala azienda florovivivasitica sono un po’ vecchia scuola cioè ho conosciuto il periodo di transizione fra la ribelle e il riflusso ed l'edonismo \ il craxismo \ berlusconismo sintetizzato da Italiano medio un film del 2015diretto ed interpretato da Maccio Capatonda . Ma, per comprendere i ragazzi d'oggi , ho deciso di proivare a superare questo mio limite e di andare in perlustrazione, iniziando proprio a seguire su Instagram il modello di cui sopra. E così, all’improvviso, sono entrata nella vertigine dei post. Post dei figli, post delle inaugurazioni, post della casa, post delle vacanze, post dei momenti romantici, post ancora dei figli. E poi video e best of della giornata. Tutto in funzione della pubblicità a brand. Brand di bibite, di gioielli, di abiti, di scarpe, di locali, di location, di abbigliamento per i neonati, di parchi , << [...] ad onor del vero >> come dice Angela Iantosca l'editoriale IOACQUASAPONE citato << tutto questo influire serve a volte anche per ‘spingere’ le persone alla cultura, ma questa è un’altra storia ... [....] >>
L’ho seguita qualche giorno e mi sono immedesimato sia nei ragazzi (ma anche negli adulti), in ciò che tutto questo può suscitare in loro: desiderio di emulazione? Smarrimento? Rabbia? Frustrazione? Tanto più in un momento in cui quel mondo patinato che arriva dai social e che riguarda pochissime persone risulta lontanissimo dalla realtà che ci racconta tutt’altro, perché ci parla di un Paese in affanno, in cui sono aumentati i poveri e che si prepara ad affrontare lo sblocco dei licenziamenti.
Lo ammetto era più semplice vivere quando ero io adolescente: non c’erano o almeno erano appena all'inzio tutti questi input social (io ho avuto il mio primo cellulare a 20 anni beh avendo una mandre ansiaoios a ed andando fuori casa aper l'università eras ovvio ) e i disagi si gestivano in altro modo. Il confronto \ scontro era con i compagni di classe e non con un mondo che troppo spesso schiaccia. Che manda continui stimoli dall’esterno senza avere la capacità (e la volontà) di creare strumenti utili a difendersi e ad essere critici da tutto questo. Strumenti che forse dovremmo creare( ricreare vedere il post di Cristian Porcino sintesi del suo libro Ciao Prof copertina in alto a sinistra ) noi adulti, a nostra volta schiacciati , ovviamente senza generalizzare perchè c'è ancora chi non ha mandato il cervello all'ammasso \ in cassa integrazionme ,dallo stesso meccanismo di frustrazione …
Anch'io come Angela Iantosca nel suo editoriale
Sarò anacronistica, ma trovo molta più autenticità in un paesino di 150 abitanti che gioisce per il caciocavallo ottenuto dalle mucche podoliche delle montagne di cui è circondato e per le caprette che si incontrano nei campi.
che altro aggiungere se non buona lettura alla prossima
A 24 anni viene selezionato da Vittorio Sgarbi per partecipare alla 54ª Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia (Padiglione Italia – Roma – Palazzo Venezia).[1] Nello stesso anno, in occasione dell'esposizione Vanitas. Lotto, Caravaggio, Guercino nella Collezione Doria Pamphilj, presenta cinque ritratti di marmo della famiglia.[2]
Il 21 novembre 2012 riceve dal papa la Medaglia del Pontificato, a seguito della realizzazione di un busto in marmo raffigurante papa Benedetto XVI coperto dalla veste pontificia, ispirandosi al ritratto di papa Pio XI di Adolfo Wildt.[3] A seguito delle dimissioni del papa, modifica il busto originale, rappresentando il papa emerito a torso nudo e intitolando la scultura Habemus Hominem, immagine del rappresentante di Dio tornato a essere uomo.[4]
Nel 2013 vince il primo premio al Galà de l'Art di Montecarlo.[5] Nel 2015 vince il premio Catel con l'opera Containers.[6] Nel 2016, all'interno della cripta della Basilica dei Santi XII Apostoli, ha luogo la sua prima esposizione personale a Roma, intitolata Memorie, una selezione di opere realizzate in marmo di Carrara.[7][8]
Nel 2017 con l'opera Eataly si aggiudica il premio del pubblico presso Arte Fiera di Bologna.[9] Nel 2018 espone all'interno del Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese a Roma, con l'opera Venere, e alla Biennale Internazionale di Arte Contemporanea Sacra e delle Religioni dell'Umanità a Palermo.[10][11][12] Espone all'Armory Show nello stesso anno con l'opera Donald e nel 2019 con Memoria di sé.[13][14][15]
incuriosito ho fatto delle richerche che confermano l'idea che mi sono fatto un grande artista anche se il paragone fra il passto e il presente mi sembra astruso ed fuorviante , è un nuovo michelangelo
.
da https://caffebook.it/2017/10/25/
Jacopo Cardillo, in arte Jago, è un eccellente scultore italiano di origine ciociara, nato ad Anagni nel 1987.Mentre lui sin da giovanissimo si è ispirato al grande Michelangelo, cercando di confrontarsi con il maestro del movimento e dell’anatomia scolpita, io mi sono innamorata delle sue opere, del suo talento e del suo estro.Come ben sappiamo non sempre i geni vengono riconosciuti e apprezzati nell’arco della loro epoca, spesso per ignoranza, a volte per mera invidia.Anche Jago ha già attraversato le sue difficoltà, tanto da aver lasciato l’Accademia di Belle Arti e aver proseguito il suo cammino da
autodidatta.L’episodio da lui stesso raccontato è stato il dissenso da parte del suo professore a presentare i suoi lavori alla Biennale, sebbene avesse ricevuto l’invito da Vittorio Sgarbi.Fortunatamente il mancato riconoscimento del suo valore non ha fermato la sua vena creativa, così che oggi noi possiamo godere di sculture che sembrano vive, corpi perfetti nelle loro imperfezioni precisamente riportate, figure scolpite nella dura pietra e nel marmo pesante, ma che sembrano leggere, create da materiali più duttili e morbidi.Ecco il genio, ecco colui che piega il marmo al suo volere.Jago è un Artista e in quanto tale il suo lavoro comunica un messaggio importante, come riportato dalle sue stesse parole:
“Vedere una persona che sa scolpire, che sa mettere al mondo qualcosa, dà coraggio e di questo hanno bisogno le persone, di coraggio.”
Il modo innovativo con cui lavora pietra e marmo dimostra un apprezzamento per la cultura pop, influenzata però dalla tradizione classica.Impossibile non apprezzare questo giovane scultore anche attraverso i video che generosamente posta sui vari social.Scopriamo quindi una persona in un certo senso umile, che non si incensa davanti alla telecamera, anzi spiega come le sue opere nascano dall’utilizzo di materiali e attrezzi comuni, che puoi comprare in una qualsiasi ferramenta, non pensando forse che proprio questo suo semplificare e semplificarsi fa di lui un grande artista e una grande persona.Jago ci permette di guardare il dietro le quinte, il parto della sua scultura perché a suo parere:
“Il dietro le quinte a volte è più importante dell’opera stessa”,motivo per cui utilizza i social per mostrare il suo making of.
Ogni sua scultura ha una storia, un intento, una fonte.Il Papa ad esempio non fu accettata dal Vaticano, che la respinse definendola disdicevole perché al posto degli occhi c’erano due fori. Il fatto che il Papa non la vide mai, quindi non espresse il suo giudizio in merito, passò in secondo piano…
Quando il Pontefice si dimise Jago spogliò la statua, proprio come si era in un certo senso spogliata Sua Santità e gli diede due occhi, profondi, vivi, che sembrano seguire ogni movimento di chi la guarda.Un comportamento coerente e coraggioso quindi da parte dell’artista, che infatti sostiene che “L’arte è una grande opportunità per dare coraggio alle persone”.In tutte le sue sculture è evidente il lavoro, simil-michelangiolesco, per mostrare i vari strati e aspetti della materia che compone la realtà che ci circonda. Anche le opere più surreali superano in un certo qual modo il soggetto stesso, per comunicare attraverso la morbidezza e i particolari minuziosi.
Massi squarciati, elefanti, cuori, bambini immersi in una testa come nel grembo materno, si ammantano così di un’individualità e specificità che li rendono inimitabili ed eterni.
“Anche se vieni giudicato perché da bambino volevi assomigliare a Mozart, tu continua a suonare e non smettere mai di sognare, perché male che andrà, alla fine in un modo o nell’altro diventerai te stesso.”