Ho letto da qualche parte , mi pare sulla gazzetta dello sport tale frase :
Il corpo degli altri è un mistero in divenire, che si scopre in piscina oppure sotto le lenzuola. Il corpo degli altri è un oggetto, una forma d’arte, povera oppure no, che guardiamo a distanza nella conformità perfetta delle nostre misure standard. Il corpo degli altri è un’idea, costruita sulle riviste patinate, costruita usando i filtri fotografici, costruita sul castello di carta dei pareri non richiesti. Il corpo degli altri è soltanto “quello degli altri”, e per questo non è chiamato a seguire le regole del buon senso, dell’amor proprio e dell’umana compassione. Mai.Inziamo con quella di Ellie May Challis, argento a 17 anni dietro l’italiana Srjola Trimi nei 50 stile libero, ha cominciato a correre con una protesi grazie a una colletta e all’esempio di Pistorius
Ellie è a Tokyo. Prima Paralimpiade. Una medaglia d’argento in piscina, battuta dalla nostra Arjola Trimi nei
50 stile. Già un successo. Ha 17 anni e a Parigi sarà ancora
giovanissima. L’importante però era esserci. Perché pochi mesi dopo la
sua nascita era vicina a morire. La hanno salvata bravi medici, una
bella famiglia e poi Oscar, Ellie e Winter. Due campioni paralimpici e un delfino con una protesi invece della pinna.
Ellie May Challis è nata a Little Clacton, nell’Essex, in Inghilterra, nel 2004. A 16 mesi è stata colpita dalla meningite,
che portò la setticemia: gambe amputate sopra il ginocchio e braccia al
gomito. Trascorse due anni usando protesi convenzionali. «Non riesco a
correre come Sophie», la sorella gemella, si lamentava lei. Le protesi le portavano anche piaghe dolorose.Vide in televisione degli spot con Oscar Pistorius.
Chiese a mamma e papà di poter avere quelle gambe così strane. Il
direttore di un centro ortopedico britannico, il Dorset, fu d’accordo a
creare delle mini protesi in fibra di carbonio,
tipo quelle che usa Pistorius. Per Ellie. Costo fra 10 e 15 mila
sterline. L’intera comunità del luogo dove Ellie abitava fece una
ricerca fondi. Quattro anni dopo, lui era a Manchester.
Incontrò Ellie in un centro sportivo di Enfield, a nord di Londra.
Corse con lei, insegnandole. Quattro gare sui 15 metri fra Ellie e il
più famoso atleta paralimpico della storia: vinse sempre Ellie. Poi
cominciò a crescere. In un documentario vide
uno strano delfino con la coda amputata e una protesi al suo posto,
Winter: «Nuota in maniera diversa da tutti gli altri». Come lei. Senza
vergogne. Ancora davanti alla tv. Channel 4 trasmetteva la Paralimpiade
di Londra, la più bella di sempre: «C’era Ellie Simmonds a vincere
l’oro». È una campionessa paralimpica con bassa statura, idolo in Gran Bretagna.
«Volli provare anche io». Sette anni dopo erano insieme al Mondiale di
Londra: «Fu esaltante». Ora ha vinto una medaglia alla Paralimpiade.
lo so che le storie che riporto sotto possono essere considerati da più come fatti di cronaca rosa e quindi rilegati o nel gossip o nei giornali da parrucchieri . Ma il fatto è che l'amore fra disabili , handicappati , autistici , ecc viene visto o come tabù o come ridicolo . E quindi faccio lo stesso discorso, fatto nella citazione riportata all'inzio del post
Daniel Dean Pembroke, oro alle paralimpiadi di Tokyo con il cuore in Sardegna
Il 30enne britannico, campione nel giavellotto, ha una compagna sarda, di Cala Gonone, Martina Mula: “Qui nell’Isola ha ritrovato le giuste motivazioni”
C’è un po’ di Sardegna alle paralimpiadi Tokyo 2020, e a rivendicare con orgoglio questa appartenza è Daniel Dean Pembroke, trentenne inglese medaglia d’oro maschile cat. F13 nel giavellotto. Sardo d’adozione per ragione di sport e di cuore, Daniel si trova ancora in Giappone con la sua nazionale paralimpica, in attesa di tornare in Inghilterra per riabbracciare la sua compagna sarda, Martina Mula. A spulciare la biografia di Daniel sembra di vedere la stessa parabola di un giavellotto, da quasi atleta olimpico fino al ritiro, nel 2013, a causa di un grave infortunio. Poi la rinascita, con un nuovo “lancio” che parte proprio da Cala Gonone.“Dan ha iniziato a praticare il giavellotto a 11 anni, conquistando tanti record mondiali juniores”, racconta Martina. “Si stava per qualificare per le Olimpiadi di Tokyo 2012, ed in quel periodo la sua retinite pigmentosa non gli impediva di gareggiare con i normodotati”.Ma come in una storia bella e tragica, la carriera di Daniel si interruppe a causa della rottura del legamento del gomito, a pochi mesi dalle Olimpiadi. "I medici gli dissero che aveva solo il 50% di possibilità di recuperare e questo lo portò ad abbandonare gli allenamenti”. Era il 2013 ed approfittò di questa pausa per viaggiare: puntando un dito a caso sulla cartina trovò la Sardegna, isola a lui sconosciuta."Sbarcato a Olbia – continua Martina - una hostess di terra gli consigliò di visitare Cala Gonone, il mio paese, e lì nacque l’amore per la nostra terra”.Da quel momento le occasioni per tornare in terra sarda si ripeterono più volte, fino alla decisione, nel 2015, di fermarsi in Sardegna per 6 mesi."In Inghilterra ero stato abbandonato atleticamente ed avevo smarrito me stesso – ha raccontato Daniel – a Cala Gonone ho “pulito” la mente e i cattivi pensieri, lavorando come istruttore di fitness e passando lunghe giornate in kayak nelle calette del Golfo”. Presa la residenza nella frazione dorgalese, Daniel catturò da subito l’attenzione e le simpatie della Polisportiva Gonone-Dorgali, con cui si tesserò per la Fidal, ritrovando le motivazioni per allenarsi.
"In una delle sue prime uscite agonistiche – racconta Martina - fece un lancio storico che stabilì il record sardo, rimasto imbattuto per diversi anni. Non si era mai visto in Sardegna un lancio del genere! E sempre nel 2015 lo conobbi e iniziammo la nostra relazione”.Nel frattempo l’ipovisione di Daniel peggiorò fino a compromettere le sue ambizioni sportive. "Decidemmo di prenderci una pausa e viaggiare intorno al mondo per 4 anni: Nuova Zelanda, Australia, fino a ristabilirci, due anni fa, in Inghilterra”. Il resto è storia recente, la voglia di ricominciare come atleta paralimpico e poi il successo, di nuovo, con quel lancio che gli è valso l’oro, stabilendo un nuovo record paralimpico mondiale: 69,52 metri, quasi quattro metri oltre il precedente.