Scandalizza di più l'imperfezione fisica che quella dell'anima. Tutti pronti a puntare il dito verso chi non è “perfetto” per questi stupidi canoni societari, seguiti da tante pecore - con tanto rispetto per le pecore - che si specchiano e si mirano dalla mattina alla sera davanti ad uno specchio, lasciando marcire l'anima. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé - ormai ovunque - ma per quello non perfetto. È l'imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa. Alda Merini
Ora sono un po' sconfortato perchè alcuni chiedono chi è o ci fano battute
Matteo Alfieri e Leveque Krisokiri Fiore non so che dirvi non seguo : reality , mode o i ..... degli influencer almen che non siano gravi come quello di Vacchi . Infatti so a malapena i nomi per non fare figuracce e farti sembrare un monaco di clausura o un asceta perchè sta zitto quando loro ne parlano o commentano tali trasmissioni con i figli\e di cugini e con gli amici che guardano quelle idiozie .
Matteo Alfieri non è dimagrimento rapido. Sono le smagliature tipiche da gravidanza. Ma il messaggio del post è appunto un altro
Ora concludo qui e Poiché due parole sono poche ed una è troppo lascio è chi vuole approfondire tali tematiche due miei url in cui ho affrontato siffatti argomenti
C’erano una volta gli album e le vendite. Ora, spiega Paola zkar lamanager che ha fatto da chioccia a Clementino, Fabri Fibra, Marracash e scoperto Madame, è tutto cambiato. Adecretare il successo di un brano può essere Tik Tok. Un computer. O un confessionale a un concerto
Ricorda che la svolta, per il rap in Italia, è stata nel 2016. Santo streaming. «Però, nei dieci anni prima era stata dura», ammette Paola Zukar, genovese, 54 anni, manager discografica che assomma due faticosi primati per il nostro Paese: è donna e si occupa di rap. Adesso sembra quasi facile parlare dei successi di Madame che di anni ne ha 20, si è fatta conoscere nel 2019, ha conquistato anche il grande pubblico a Sanremo 2020 con il brano Voce e nel 2021 si è imposta come artista dell’anno, in campo musicale. Fino al sold out del suo Madame in Tour, che, dalla primavera e per tutta l’estate 2022, sta diventando un appuntamento con la libertà per migliaia di giovani e giovanissime, ma anche giovanissimi. Che sia fiuto per il marketing o sentimento, Madame ha inserito nei suoi concerti un “momento confessionale”. Dopo aver rassicurato i presenti che sono al sicuro e per questo possono esprimersi liberamente e dire quello che non hanno mai voluto o avuto il coraggio di dire, cede loro il microfono. Funziona. È il paradosso tutto attuale dell’intimità collettiva, quasi uno specchio dal vero dei social: «Adesso i brani non si scaricano neanche più, si ascoltano sulle piattaforme come Spotify o Apple, fino a sfinimento, quando piacciono», spiega Zukar. «Ma anche chattare e connettersi, soprattutto dopo due anni di pandemia, è diventato insufficiente. I ragazzi vogliono condividere, ballare, stare insieme».
Da quando la musica si è smaterializzata, è difficile pure capire che fa una discografica come lei. In sintesi?
«Io sono un hub, una centrale di smistamento: seguo la parte discografica, ovvero ascolto nuovi artisti e brani e valuto quali possano funzionare. Adesso lo faccio meno, perché sono concentrata sui miei “ragazzi”: Madame, Clementino, Marracash e Fabri Fibra. Poi mi occupo di tutto il resto: dai rapporti con i promoter, che organizzano i concerti e i tour, a quelli con le agenzie di pubblicità».
Ed è sempre convinta che, in epoca Tik Tok, ovvero dei video di pochi secondi sui social, bisogna produrre album?
«Sì, è quello che gli americani chiamano “the body of work”, il “corpus di opere”: raccogliere i brani singoli sotto un unico titolo mette gli artisti su un altro livello. Dopodiché è vero che agganciare un album a Tik Tok è complicato. Però il brano Propaganda di Fabri Fibra, Colapesce e Dimartino è esploso proprio grazie a Tik Tok. Non ci avreimai creduto. Invece i ragazzi lo reinterpretano, lo fanno andare accelerato, lo reinventano. Non accade ovviamente con tutti i brani e a volte succede con pezzi vecchi, che vanno a ripescare. Ma poi è un vero volano».
Streaming, social e pandemia: è con questi “complici” che è riuscita a far esplodere il rap in Italia, il Paese del Belcanto?
«Il rap è l’anti-Italia: obbedisce ad altri canoni estetici. Da noi non lo consideravano neanche musica. La gente si indignava: è pieno di parolacce, non cantano, non hanno una bella voce…».
E lei insisteva?
«L’ho scoperto negli anni ’80 negli Stati Uniti. Per me è necessario per esprimere un certo mondo giovanile e una certa rabbia. Certo, ci abbiamo messo tempo per adattare l’italiano alle metriche rap. Non è una musica autoctona. Ma esistono anche il rap giapponese, tedesco e francese e nascono dallo stesso bisogno di esprimere concetti brutali».
Un recinto per giovani?
«Marracash ha appena compiuto 43 anni: fa una musica adulta. Fabri Fibra ne ha 45: per i ragazzi è una specie di macchina del tempo».
Per le femministe, invece, è stato un nemico. In Su le mani canta: «Non conservatevi datela a tutti anche ai cani/ Se non me la dai io te la strappo come Pacciani». Come faceva a sopportarlo, da donna?
«Non è stato capito: lui raccontava un mondo. Brutale, appunto. Il rap è questo. AncheMadame ha una penna affilata. I testi sono complessi. Alcuni li ho capiti dopo anni. Dentro c’è un po’ di tutto, ma certo non è un genere accomodante. E contiene cose artisticamente pregevoli. Non è facile scrivere in rima rispettando la metrica. Kendrick Lamar, tra i miei preferiti, ha vinto il Pulitzer per la musica nel 2018. Noi non abbiamo un premio equivalente. Però adesso i testi rap vengono studiati anche all’Università».
Eppure molti rapper sono passati al pop.
«Già, da Jovanotti in poi. È una tentazione legittima e forte: magari il pop lo sanno fare meglio».
È la sirena Sanremo-Eurovision?
«Il rap entra poco in questi mondi. Non è arrivato in tv. È difficile da raccontare. Ma poiché i media tradizionali sono invecchiati e spenti, forse non è così importante: non si può fare a meno di radio e tv, ma ci sarà un ricambio».
Può spiegare a chi è di un’epoca precedente a Madame perché alcuni artisti, come Kina, Zef e Marz, si chiamano “produttori”?
«Perché sono compositori che utilizzano i computer e chiamano spesso altri musicisti per i loro brani e fanno scrivere ad altri i testi. Sono i moderni compositori, direi. Ma gestiscono tutta la filiera musicale».
Sia che che si condivida o meno è sempre interessantissimo ascoltarla ed leggerla per imparare. Una delle figure più importanti di tutto il game, colei che ha mediato tra artisti e discografia, un merito è che essendo donna ha saputo districarsi in un ambiente maschio e colmo di machismo anche fine a se stesso.
Ragazzi con disabilità e strumenti riciclati. La banda fondata nel 2009 da Federico Alberghini ha sconfitto i pregiudizi e anche un terremoto. E ora coinvolge duemila giovani in tutta Italia. Ma come ha fatto? «Con un metodo...»
Oggi
di Elisabetta Soglio
Sdeng, pum, catascciac. Un bidone, tre coperchi, il cesto di una lavatrice. Rumoracci e ferraglie trasformati in armonia, sostenibilità e inclusione. Non fosse parola abusata, verrebbe da scrivere miracolo. Un miracolo con la divisa da marinai a strisce bianche e blu e il nome di Rulli Frulli, la banda musicale nata nel 2009 a Finale Emilia, che, strumento dopo strumento, giovane dopo giovane, nei giorni scorsi ha inaugurato la sua nuova, bellissima, sede: la Stazione Rulli Frulli. Una festa di popolo per celebrare questo luogo dove si fa musica ma soprattutto si danno spazio e valore alle capacità di ragazze e ragazzi con disabilità mescolati a compagne e compagni “normali”. Una grande famiglia che è stata benedetta, il giorno del taglio del nastro, dal Presidente Sergio Mattarella.
Per raccontare i Rulli Frulli si parte dal quarantenne Federico Alberghini, anima, fondatore, direttore: a 8 anni entra nel laboratorio musicale di Luciano Bosi che gli improvvisa un assolo con due bacchette picchiate sui tomi delle Pagine Gialle. Musica e riciclo: è la folgorazione. Alberghini si diploma al Conservatorio e insegna batteria: propone ai suoi studenti della scuola di musica Andreoli di dare vita a una “marching band” battezzata Rulli e Frulli (che poi perde la “e”). Un luogo aperto ai ragazzi con disabilità: «Mia mamma lavorava con loro, per me è stato naturale fare attenzione a quelli che sono un passo indietro», spiega Alberghini. Ecco la sala prove, ecco i primi strumenti ricavati da materiale di recupero: i ragazzi sono 7, poi 15, poi 30. Cominciano le esibizioni e sempre più famiglie chiedono di inserire i propri figli. Tutto bene? Insomma.
Trema la terra e la notte del terremoto del 2012 è un’altra svolta: Alberghini si sveglia di soprassalto, prende al volo il figlio che aveva allora pochi mesi e con la compagna scende le scale un attimo prima che rovinino al suolo insieme alla facciata della casa. Il piccolo Gabriele sorride nel passeggino «e ho capito che non era finito tutto». Il sisma ha distrutto anche la scuola dove il pomeriggio prima i Rulli Frulli si erano esibiti e fatto crollare la sala prove: il sindaco di Finale Emilia gli dice «Federico, non puoi mollare», quelli di Mani
Per me è stato naturale fare attenzione a quelli che sono un passo indietro
— Federico Alberghini
Tese gli mettono a disposizione un tendone in aperta campagna. I Rulli Frulli ricominciano da lì. «Suonavamo mentre la terra tremava», ricorda Alberghini, «e avevamo nelle orecchie il boato delle scosse, quello sì che ti rimane dentro per sempre».
Ma «la musica più forte del terremoto» vince e i successi continuano: Mika li vuole in tv ad accompagnarlo durante un suo spettacolo; dallo studio di registrazione vengono sfornati 5 album (il sesto è appena uscito) che raccontano ogni volta una tappa di questo viaggio. La metafora è il mare: loro sono i marinai di una nave che affronta ogni difficoltà.
Poi c’è la chiamata di Papa Francesco, per aprire il Sinodo dei giovani, il palco del concerto del Primo Maggio e tantissime esibizioni in tutta Italia. L’Università Cattolica studia questo “metodo” di inclusione e capacità generativa di bene per una intera comunità: sì, perché nel frattempo le bande Rulli Frulli sono diventate 11 in tutta Italia, con oltre duemila giovani coinvolti. «Uno di noi tre insegnanti», spiega Alberghini, «va e mette le basi del progetto e poi si torna una volta al mese per verificare che tutto funzioni». Sul metodo, appunto, è da pochi giorni uscito un libro: Al ritmo della vita, scritto dai professori Patrizia Cappelletti e Davide Lampugnani e legato alla ricerca della Cattolica.
Intanto la Stazione, muri messi a disposizione da Comune e Regione, è la nuova sede: sala registrazione, laboratorio per costruire gli strumenti, web radio, bar, punto ristoro e quello dove si vendono i prodotti realizzati in legno. Perché i marinai non si sono fermati nel mare della musica: la loro imbarcazione adesso è una AstroNave che vuole dare lavoro ai giovani. Nessuno escluso.
Capisco che il matrimonio omosessuale possa creare scandalo ed turbare benpensanti e quindi si possa essere contrari ed obbiettare . Ma perchè tu comune \ istituzione debba rendere difficile se non impedirlo . Un ultima cosa prima di lasciarvi alla storia in questione , La cosa sconcertante è che bisogni andare all'estero per coronare un sentimento e un proprio sogno. Ed è per questo che cosi rispondo a quelli come
Mah i sentimenti, se c'è lealtà e rispetto, non si discutono né si ostacolano, ma tutta questa pubblicità è fuori luogo per rispetto di loro stessi, come così pure la battute pruriginose e irriverenti.
dall'unione sarda di qualche giorno fa
Più forte del pregiudizio, della burocrazia, del muro di gomma contro il quale si sono scontrati. «L'amore supera qualsiasi ostacolo». Così è stato: dopo sei mesi di battaglia contro il «no» del Comune di #PortoTorres a rilasciare il via libera necessario per convolare a giuste nozze, Airicki Rubiu e Tiziano Demartis, 47 e 50 anni, il primo originario di #Sinnai, il secondo della cittadina turritana, hanno coronato il desiderio di unire in una sola le loro due vite: sabato scorso si sono sposati a Gran Canaria, l'isola spagnola al largo delle coste africane sulla quale vivono da 13 anni e dove, lo scorso
novembre, era già in programma l'approdo naturale di un rapporto cominciato 24 anni fa.
Ma il "sì" finale era rimasto strozzato in gola perché il Municipio di Porto Torres, contrariamente a quello di Sinnai che aveva provveduto subito a dare il proprio benestare, non aveva rilasciato il documento di "capacità matrimoniale" che attestava l'assenza di impedimenti a compiere quel passo. Quindi, niente matrimonio. Però i sentimenti saldi sono inscalfibili e vanno oltre ogni ostacolo. Così i due innamorati hanno trovato il modo di aggirare - legalmente - il diniego arrivato dalla Sardegna e due giorni fa si sono sposati. Una cerimonia, civile, celebrata in forma privata da Eduardo Armas Herrera, consigliere comunale di Maspalomas en San Bartolomè de Tiranaja, dopo il via libera del Tribunale spagnolo arrivato il 27 aprile. «Abbiamo lottato per realizzare un sogno e un nostro diritto. Ci siamo riusciti».
L’aggressione delle sei giovani amiche che tornavano in treno da Gardaland, e che sono state molestate da un gruppo di giovani di origini nordafricane, rappresenta qualcosa di estremamente grave. Tanto più che alcune delle frasi urlate alle ragazze, in particolare: “Le donne bianche qui non salgono”, ricordano in maniera imbarazzante le parole che, per secoli, sono state scagliate contro le persone nere. Un fatto molto grave, come dice La marzano su repubblica dicevo. Esso illustra bene quel senso di impunità che alimenta la logica assurda e violenta del branco, quella logica che si scatena quando un gruppo di individui – spesso giovani, si ritrovano insieme e, dopo aver designato una o più vittimesi accaniscono brutalmente contro di loro. Con l’aggravante che, in questo caso, si è trattato di un branco di ragazzi neri convinti di poter trattare un gruppo di adolescenti come oggetti, non solo perché femmine, ma anche perché bianche. Una logica di violenza alimentata senz’altro dall’atavica cultura dello stupro. Sebbene oggi siano spesso i più giovani a insegnare ai più grandi che le molestie legate al sesso, al genere e all’orientamento sessuale sono un retaggio del passato. << A meno che >>Marzano << le la Marzano << non crescano all’interno di ambienti gretti, misogini e omofobi, non leggano gli stessi libri che leggono i propri contemporanei, non vedono le stesse serie e non ascoltino la stessa musica. >>Oppure vengano da paesi in cui il radicalizzarsi dell’Islam fondamentalista giustifica l’umiliazione e la cancellazione delle donne. La violenza è sempre inaccettabile, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dal sesso o dall’orientamento sessuale dei carnefici e delle vittime. Esattamente com’è inaccettabile che tante ragazze e tante persone omosessuali e trans debbano ancora oggi crescere sapendo che dovranno fare attenzione a come si vestono, a quanto bevono, a dove vanno e alle persone che frequentano, per evitare di subire stupri o molestie. Quand’è che anche le donne e le persone omosessuali e trans saranno libere di non dover sempre cercare di tenere tutto sotto controllo? Ma è anche inaccettabile che i seminatori di odio, e tutte e tutti coloro che hanno contribuito ad affossare la legge contro l’omotransfobia e la misoginia, vengano adesso a fare la morale a “quelli di sinistra”, come dicono loro, perché non avrebbero, sempre secondo loro, dato sufficientemente rilevanza al fatto che i molestatori erano ragazzi neri. Il tutto, ovviamente, con toni estremamente violenti. Senza capire che, in questo modo, alimentano l’odio e la violenza, e non contribuiscono affatto a smantellare la cultura dello stupro. >>Anzi ne diventano, in fondo, i principali promotori e divulgatori .Penso che possa esistere una ostilità nei confronti del bianco ma pensiamo forse che dopo secoli di razzismo e violenza non possa esistere un razzismo al contrario? Riguardo invece alla violenza sessuale qui non c'entra il colore della pelle qui entra in campo la categoria maschile, il maschio che non rispetta la categoria femminile, che usa violenza, sostenuto nello specifico dal branco, per continuare a dettare l'oppressione e la supremazia degli uomini.
Di Pozzomaggiore, il brano “Anima mia” ha già raggiunto 250mila visualizzazioni. Pecore e cavalli protagonisti di video virali durante la protesta per il prezzo del latte
SASSARI. Il nuovo idolo dei social si chiama Andrea Rosas, è di Pozzomaggiore, ha 35 anni, 200 pecore, sette cavalli, un numero imprecisato di mucche e maiali e tre lavori: impiegato della Asl (igiene e sanità animale, manco a dirlo), pastore-allevatore e cantante. La sua giornata tipo comincia alle 4 del mattino con la mungitura, d’estate la fine coincide con il nuovo inizio, dal palco di una piazza direttamente alla campagna. Una settimana fa ha pubblicato il video del nuovo pezzo “Anima mia”, in collaborazione con il Tenore Su Remediu di Orosei: una dichiarazione d’amore verso la Sardegna che in brevissimo tempo ha conquistato 200mila visualizzazioni e la patente di nuovo inno alla sardità. Pure lui si stupisce di un successo simile, nonostante da qualche anno ci sia abituato, perché altri suoi post e video sono diventati virali. Il primo nel 2017, quando Andrea Rosas conquistò il popolo del web con il “decalogo della transumanza”, subito dopo con i video di Caterina e Filomena, due delle sue adorate pecore: «La prima purtroppo non c’è più, Filomena invece ha 9 anni, neanche un dente ma produce ancora latte». E poi fu la volta di Imboscata, la cavalla che durante la protesta dei pastori nel 2019 sorseggiò con gusto il latte di pecora. Ma perché si chiama Imboscata? «Perché è nata nel 2003 e per i cavalli di razza anglo arabo sarda era l’anno della I. E mi venne in mente di chiamarla Imboscata: oggi ha 19 anni, non corre più e ha avuto 6 puledri».
Pastore e cantante. La polemica sul prezzo del latte pagato troppo poco ribolliva già quando Andrea Rosas iniziò a raccontare nei suoi video le difficoltà che un pastore deve affrontare ogni giorno, in balìa di una costante incertezza economica, delle bizze del tempo, di ristori non versati, di pagamenti al ribasso e spese che lievitano. Il giovane pastore spiegò quanto è complicato «fare un mestiere così importante» e lo scrisse pure ad alcuni politici, chiedendo un’attenzione diversa per la categoria. E poi lo disse in musica: il brano “Cantende che pastore” (testo e musica di Maria Luisa Congiu) fece il botto: circa 160mila visualizzazioni e più di 4mila condivisioni «per una canzone che rappresenta l’orgoglio di un categoria simbolo della Sardegna da secoli, antica e fiera come i nuraghi. E che ha voglia di riscatto». Poi a febbraio del 2019, alla vigilia delle elezioni regionali, scoppiò la protesta sulle strade, il blocco dei camion che trasportavano il latte e lo stesso latte versato sull’asfalto dai pastori: «Era giusto, aveva un senso: meglio gettarlo che regalarlo agli industriali, a quel prezzo era veramente un regalo». Qui entra in scena Imboscata: «Ci accusavano di sprecare il latte invece di darlo a chi ne aveva bisogno – racconta Andrea Rosas –. Ma quando mai? Queste persone io le chiamo i “fenomeni” perché parlano a vanvera: non sanno che il latte di pecora non è come quello vaccino, è molto più grasso e viene trasformato in formaggio. Per questo lo feci bere a Imboscata, fu una provocazione la mia». Ma soprattutto, in un periodo di tensione alle stelle, tra scontri, atti di violenza ed esasperazione, «ho cercato di sdrammatizzare, raccontando la protesta sacrosanta in maniera più leggera, ironica, cercando di spargere un po’ di sano ottimismo». La strategia ebbe effetto: il giovane pastore-cantante attirò l’attenzione dei media nazionali «vennero a intervistarmi, alcuni trascorsero una giornata con me e mio padre in campagna, sono fiero di avere smontato la convinzione che i pastori sardi siano semi analfabeti che non sanno coniugare un verbo». Poi la protesta del latte finì, furono raggiunti degli accordi mentre all’orizzonte spuntava la pandemia che avrebbe cambiato il mondo: «Un periodo durissimo, ma il brutto doveva ancora venire». Il giorno prima della fine del lockdown Andrea Rosas chiamò a raccolta Filomena e le altre: «Allora ragazze, Conte (l’allora premier ndr) ha detto che la quarantena è finita, siamo liberi». Anche qui pioggia di like, una ventata di freschezza rigenerante grazie a quelle pecore in festa. E liberazione fu, ma la tranquillità è ancora da conquistare. «Il prezzo del latte è aumentato, ora lo pagano da 1 euro a 1 euro e 20 al litro. Ma nel frattempo sono arrivati i rincari: tutto costa di più, dai mangimi al carburante all’energia. Il caro prezzi ha di fatto annullato l’aumento del latte e nelle campagne si vivacchia, esattamente come prima, anzi come sempre. Ma quello del pastore resta il mestiere più bello del mondo: dopo due o tre giorni lontano dalla campagna mi prende la nostalgia, è qualcosa di incontrollabile, sento il bisogno di stare tra i miei animali, anche dopo una giornata di lavoro durissimo, anche dopo avere cantato sino alle due del mattino».
La Sardegna sul palco. In Anima mia c’è tutto questo: «Volevo raccontare il mio amore per la Sardegna. Ho buttato giù un po’ di pensieri, Nicola Cancedda li ha trasformati in un testo bellissimo, Davide Guiso e Francesca Lai hanno pensato alle musiche. Abbiamo registrato a Nuoro alla fine del 2021, una settimana fa ho pubblicato il video e non riuscivo a credere a quello che stava succedendo..... più di 250mila visualizzazioni, una valanga di complimenti. La spiegazione c’è: il mio orgoglio è quello di tantissimi sardi, perché la bellezza della nostra terra è qualcosa che ti rapisce». Anima mia è l’anticipazione del disco (omonimo e autoprodotto) in uscita nel mese di giugno: tra gli altri brani, duetti con Maria Luisa Congiu, con Gigi Sanna degli Istentales e un pezzo dedicato all’Ardia di Pozzomaggiore. Il suo paese, dove il pastore-cantante ha mosso i primi passi «a 10 anni, quando mi esibii alla festa di San Cristoforo». Poi, sfumato il sogno di entrare ad Amici «arrivai vicinissimo a occupare un banco nella scuola», l’ingresso nella scuderia dell’agenzia Applausi di Oristano, con cui Andrea porta in giro lo spettacolo itinerante di musica pop sarda Iskidos . Serate su serate in piazza, la musica che si spegna a notte fonda. Giusto in tempo per la mungitura.
Poteva esserci un epilogo completamente diverso, perché l’inizio della storia non era delle più promettenti.
Cattive amicizie, desideri sbagliati, ambiente difficile, inquietudine e solitudine.
Poteva finire male. E infatti a soli 15 anni Flavio è finito al carcere minorile Beccaria.
Poteva essere l’inizio della fine, perché tante, troppe volte è difficile cambiare strada una volta entrati in giri pericolosi, che non si perdono nemmeno entrando in prigione.
E invece la storia di Flavio è una storia positiva, che dimostra come l’articolo 27 della Costituzione non sia solo una formula vuota: le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. E Flavio ha avuto la fortuna di incontrare adulti che hanno avuto il coraggio di credere in lui e di metterlo alla prova, consentendogli di uscire dal carcere per entrare in comunità. E così è tornato a scuola, si è diplomato, e poi si è iscritto all’università: giurisprudenza.
E poche settimane fa Flavio Patriarca si è laureato a pieni voti in diritto penale con una tesi sulla giustizia riabilitativa. E ora fa il praticante in uno studio legale a Milano.
Un epilogo che non avrebbe mai immaginato, quando a 15 anni varcava le soglie del carcere minorile. Eppure, c’è sempre una possibilità, perché come ha dichiarato: “si può cambiare, ma dipende dalle persone che incontri”. Lui ha avuto la fortuna di incontrare diverse persone che gli hanno cambiato la vita: la giudice che aveva firmato la prima ordinanza di custodia cautelare in carcere, la giudice che lo ha seguito nel programma di “messa alla prova”, l’assistente sociale che lo ha sempre incoraggiato, la professoressa di diritto penale che lo ha seguito nella tesi. Tutte insieme il giorno della laurea.
“Nessun ragazzo è perduto”, finché c’è qualcuno che crede in lui.