Dal blog del mio amico Berlicche:
Il pentolone
Tutto cominciò un giorno di fine agosto, forse un poco prima. O anche molto prima: in fondo è da migliaia di anni che la gente butta in faccia agli altri i loro difetti, le loro manchevolezze. Ma quella volta fu diverso da tutte le altre volte. Perchè se l'uomo rimane più o meno lo stesso, sempre falso, cinico, bestiale attraverso i secoli, i tempi cambiano. Quello che una volta era confinato nel raggio d'azione delle pettegole di paese, in una società complessa, connessa, collegata in banda larga è alla portata di orecchio di ogni persona da Oslo a Sidney. E così anche la diffamazione, la diceria, l'indiscrezione diventano armi di distruzione di massa.
Fu la rapidità e la drammaticità dell'escalation che colse tutti di sorpresa. Polemiche politiche costruite ad arte, fatti presi e sbattuti in faccia per distruggere l'avversario furono ritorti e rimandati al mittente. In un'era in cui la tecnologia consente di ascoltare la conversazione delle formiche, di filmare chi butta una carta di caramella e riprodurre un documento infinite volte cosa impedisce che ciò che un tempo era considerato privato, proprietario, segreto divenga aperto a tutti?
Qualcuno, la cui visione del mondo era un calderone ribollente in cui versare ingredienti per ottenere un pasto gustoso, sorrise della piega presa dagli avvenimenti. I suoi ingredienti preferiti erano l'invidia, l'odio, la menzogna.
Così cominciò il gioco al massacro. Come si distingue il vero dal falso, la bugia dal vero? Quando non si hanno più criteri anche la menzogna più plateale può ingannare. Quando si è convinti di una menzogna, difficilmente una smentita riesce a farci cambiare idea; anzi, spesso la difesa viene presa per debolezza, opportunismo, conferma indiretta delle più nere ipotesi.
Si dice che l'insistenza possa far perdere la pazienza ai santi; figurarsi a chi santo non è. Alle insinuazioni seguirono le ritorsioni, a loro volta fonte di altro livore, in un rimbalzo di rabbia che acquistava di volta in volta nuova energia. E presto questo cerchio si espanse oltre il pensabile. Se un importante politico non è intoccabile, perchè deve esserlo un direttore di giornale? Se posso additare pubblicamente sbagli veri o presunti di personaggi importanti, perchè il mio vicino deve restare impunito? Perchè non posso rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi fasulla, la sua denuncia penale, lei che scarica i rifiuti nel mio giardino, lui che se la fa con la bidella?
La spuma nel calderone ribollente montava, con la soddisfazione del suo padrone. Questa volta, ne era certo, avrebbe inferto un colpo mortale al suo nemico.
Come sempre, ci fu qualcuno che fiutò l'affare. I giornali scandalistici campavano sui potenti: c'è chi capì che si poteva prosperare anche sui piccoli. Che qualcuno avrebbe pagato per potere vedere quello che si mormorava, per potere gridare alla luce quello che aveva sussurrato nell'oscurità. I tribunali, i garanti della privacy, furono in breve così subissati di richieste che dovettero cedere le armi e ammettere di essere impotenti. Impossibile proibire quello che tutti facevano. In-Your-FaceBook, la rete internet del pettegolezzo, divenne così famosa da surclassare la sua progenitrice. Ognuno ebbe il suo dossier; ogni archivio fu aperto, ogni ombra fu portata alla luce, ogni vizio scoperto in una gara a chi cadeva più in basso. Bastava consultare un'applicazione sul telefonino per apprendere le depravazioni di chi stava di fronte. Era una gara a chi fotografava la situazione più ambigua, chi riportava la magagna peggiore. Ogni casellario, ogni log fu rovistato e ribaltato. I ragazzini in classe facevano a gara tra di loro; gli uffici erano colmi di pugnali.
Qualcuno solo rideva, rimestando il pentolone, soffiando sulle fiamme, sicuro che nessuno avrebbe trovato mai niente su di lui, non perchè fosse lontano dal fuoco, ma perchè ne era l'origine stessa. Tra poco sarebbe stato il suo momento.
Quello che un tempo era nascosto ora era in fronte ad ognuno. Quello che era scandalo divenne ben presto abitudine. Poi l'abitudine generò noia. Si cominciò a inseguire platealmente quello che una volta generava vergogna, l'offesa, la malvagità gratuita, il proprio comodo a spese altrui. A vantarsi dei propri errori, sicuri di restare impuniti. Errori? E perchè, se così fan tutti? Il disprezzo per l'altro, ormai conosciuto per quello che era, divenne la norma. I rapporti, puro egoismo. Le riviste scandalistiche decaddero e fallirono, una dopo l'altra, perchè che gusto c'è a vedere il già visto? Che eccitazione, se l'oltraggio non è più oltraggio, se il vizio diviene sbadiglio, e poi orrore? Sempre meno consultavano le gogne informatiche: non interessavano più.
La spuma ribollente traboccò dal calderone, cadde sulla fiamma, che sfrigolò, si spense mezza. Il proprietario della pentola guardò perplesso la piega inattesa degli eventi.
Nauseati dal troppo male, alcuni cominciarono a guardarsi attorno. E videro persone che non erano migliori delle altre, ma che invece di essere presi dalla foga di demolire avevano costruito. Che continuavano a vergognarsi delle cose compiute, ma che non si fermavano ad esse. Che invece di tollerare il male altrui, lo perdonavano; e dopo era come se, stranamente, questo non fosse mai esistito. Come madri che perdonano ai figli, usando quella strana cosa dimenticata che un tempo veniva chiamata misericordia. Un termine che non nasconde l'errore, anzi, lo presuppone. Ma che dice che c'è altro, c'è qualcosa di più grande del proprio sbaglio. Qualcosa che non può venire dall'uomo, perchè era ormai chiaro a tutti com'è fatto l'uomo.
E in mezzo a tutta l'immoralità, il vizio esibito, la mancanza di ogni regola, scoprirono qualcosa che non era una regola ma la fonte di tutte le regole, di ogni virtù, dello stesso essere uomini. Di antico e sempre nuovo. Una compagnia di uomini ottusi come sempre, bestiali come sempre, ma uniti da qualcosa che viene prima, da qualcuno che viene prima. E cominciarono, ricominciarono a seguirla.
Il fuoco è quasi spento, una fiammella ormai. Il contenuto del pentolone si è riversato a terra. E' il suo proprietario che ribolle, adesso, di una rabbia eterna, per il suo progetto ancora una volta frustrato. Il tempo non è ancora giunto. Non ha ancora imparato a fare i coperchi.