1.5.22

come si celebra la squadra maschile ( Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio “Tonino” Zugarelli) si ricordi anche la tennista Monica Giorgi che per protesta contro l'aphartaid fu espulsa dal FiT

 in  questi  giorni   dovrebbe uscire  il  documentario  Una squadra di Domenico Procacci  in  cui si  ricorda  la  vittoria   nel  1976  della  coppa  davis     della  nazionale maschile  di  tennis  .  certo  è un onore   perchè   Perché la vittoria di quella mitica insalatiera non è mai stata veramente e degnamente celebrata, ricordano a gran voce i campioni e protagonisti dell’impresa: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio “Tonino” Zugarelli, capitanati dall’inossidabile Nicola Pietrangeli. Avendo indossato   diurante  la partita  come  gesto doi protesta     contro il  regime  di
pinochet  una maglietta  rossa  la  vittoria non solo cade      nel   DIMENTICATOIO  quasi    totale  in quanto  perché percepita politicamente scorretta – il dibattito sull’opportunità che la squadra italiana di tennis andasse a casa dell’efferato dittatore di estrema destra a giocarsi la Davis era più acceso che mai – fu osteggiata dagli intellettuali dell’epoca, privata della diretta tv, “persino Modugno si mise in mezzo” ricorda il dream team, che invece partì – e vinse – nonostante il clima ostile. E non bastarono le magliette rosse omaggiate nel bel doc di Mimmo Calopresti del 2009, ma di cui a quel tempo “nessuno s’accorse” ricorda Panatta. E quindi   è giusto     che  Il mondo dello sport se l’è colpevolmente scordata, quello del cinema e della tv prova a risarcire.
Speriamo   che  si  faccia lo  stesso   ricordando  la  vicenda  ed il gesto politico a favore dei black della tennista Monica Giorgi nel Sudafrica razzista dei 70, un gesto che le costò la sospensione dalla Fit.


IN CAMPO COME NELLA VITA: STORIA DI MONICA GIORGI, LA TENNISTA RIBELLE CHE COMBATTEVA L'APARTHEID
Correva l’anno 1972 e a Johannesburg si disputava la Federation Cup.
Per la prima volta il governo Sudafricano concedeva la possibilità alle atlete di colore di partecipare ad una gara internazionale di tennis dentro i suoi confini. Questa scelta tuttavia non era affatto il preludio al miglioramento delle condizioni della popolazione nera, costretta a vivere
n un regime di violenta segregazione da cui sarebbe uscita solo molti anni dopo.
Nella delegazione italiana c’è Monica Giorgi, livornese classe 1946, che nel corso della sua carriera sarà per ben sei volte campionessa nazionale di doppio e parteciperà a quasi tutti i tornei del Grande Slam. Monica ha un’idea precisa sull’apartheid e sul razzismo. Li detesta. Così quando esce dagli spogliatoi dell’Ellis Park Stadium indossa una maglia in cui due coppie di piedi bianchi e neri sono sovrapposti, come a mimare un rapporto sessuale. Non solo, l’atleta italiana rivolge un saluto affettuoso agli spettatori di colore, rinchiusi in una piccola porzione di stadio più simile ad una prigione che ad una gradinata.
Il pubblico bianco non tarda a far sentire un lungo brusio di disapprovazione mentre quello nero resta ammutolito. La federazione Sudafricana invierà formale atto d’accusa a quella italiana, che al ritorno della Giorgi in patria decide di squalificarla per diverso tempo dalle gare internazionali.
Poco male per Monica, che prima e dopo questo gesto, resterà una tennista a dir poco controcorrente.
Fuori dalle righe tanto nell’estetica quanto nella costanza. Nel tennis di quegli anni in cui le ragazze portano sempre e solo la gonna, la Giorgi indossa irriverenti calzoncini. Fuori dal campo invece dei tradizionali party che i tennisti sono soliti benedire con la propria presenza, frequenta i circoli del movimento femminista di cui diventa un attivista instancabile.
È una che non sa stare in difesa Monica. Sempre all'attacco. Con la racchetta in mano diventa un simbolo di quel tennis che preferisce le giocate a rete e gli smash all’attendismo dei cosiddetti “pallettari”.
Con la penna invece si batte per i diritti delle donne e poi per quelli dei carcerati, fondando il collettivo “niente più sbarre”.
Sono prese di posizioni dure che le costano il biasimo e la scomunica di un ambiente, come quello del tennis di quegli anni, particolarmente classista. E soprattutto le costano un processo, con tanto di condanna in primo grado e assoluzione in appello, per un reato di sequestro che ovviamente non aveva mai commesso. È il prezzo che paga per frequentare circoli anarchici e ritrovi radicali, ma Monica lo paga senza problemi.
Con il tempo lascerà il professionismo ma mai la racchetta; né tantomeno abbandonerà i suoi ideali. Monica resterà per sempre “la ragazza con la racchetta in mano che sognava un mondo migliore.”

incuriosito ecco ulteriori news su di lei prese da wikipedia

Monica Giorgi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Jump to navigationJump to search
Monica Giorgi
MGiorgi PMarzano.jpg
Monica Giorgi e Piero Marzano agli "Assoluti" del 1979
NazionalitàItalia Italia
Tennis Tennis pictogram.svg
Termine carriera1979
Carriera
Singolare1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Miglior ranking
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros3T (19671969)
Regno Unito Wimbledon2T (1966)
Stati Uniti US Open
Doppio1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Miglior ranking
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros2T (1966)
Regno Unito Wimbledon3T (1973)
Stati Uniti US Open
Doppio misto1
Vittorie/sconfitte
Titoli vinti
Risultati nei tornei del Grande Slam
Australia Australian Open
Francia Roland Garros
Regno Unito Wimbledon3T (1970)
Stati Uniti US Open
1 Dati relativi al circuito maggiore professionistico.
Statistiche aggiornate al definitivo

Monica Cerutti-Giorgi, nota anche semplicemente come Monica Giorgi (Livorno3 gennaio 1946), è un'ex tennistasaggista e insegnante italiana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Carriera sportiva[modifica | modifica wikitesto]

Da junior ha vinto la Coppa Lambertenghi, a Milano (1960) [1].

Come singolarista, ha raggiunto il terzo turno al Roland Garros nel 1967 e nel 1969 e il secondo turno al torneo di Wimbledon nel 1966; in doppio ha raggiunto il secondo turno al Roland Garros, nel 1966, in coppia con Graziella Perna e il terzo turno a Wimbledon, nel 1973, in coppia con Daniela Marzano; mentre nel doppio misto ha raggiunto il terzo turno a Wimbledon, nel 1971, in coppia con Franco Bartoni[2].

Alle Universiadi di Tokyo, nel 1967, ha vinto due medaglie d'argento, nel doppio e nel doppio misto, in coppia, rispettivamente, con Alessandra Gobbò e Giordano Maioli.

È stata sei volte campionessa d'Italia nel doppio: nel 1964 e nel 1965, in coppia con Graziella Perna, nel 1968 con Roberta Beltrame, nel 1971 e nel 1979, con Anna-Maria Nasuelli e nel 1972, con Lucia Bassi. Ha vinto anche un titolo nel doppio misto, nel 1970, in coppia con Franco Bartoni.

Impegno politico e culturale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1972 per protesta contro l’Apartheid, Monica Giorgi si presentò in campo, a Johannesburg, in Sudafrica, indossando una provocatoria maglietta con due piedi bianchi e due neri sovrapposti come in un rapporto sessuale. Al ritorno, a seguito di un esposto della federazione sudafricana, fu squalificata per un certo periodo[3].

Dopo il ritiro, essendo laureata in filosofia, ha insegnato storia e filosofia nei licei[3]Femminista, atea e anarchica, ha costituito l’associazione “Niente più sbarre”, con la tematica delle condizioni dei detenuti in carcere[4].

Ha scritto un saggio sulla filosofa francese Simone Weil, intitolato La clown di Dio, edito da Zero in Condotta, nel 2013, e pubblicato in estratto anche da Rivista anarchica[4].

Curiosità[modifica | modifica wikitesto]

  • Nel 1970 Monica Giorgi ha partecipato alla trasmissione televisiva Rischiatutto, concorrendo per la vita e le opere di Franz Kafka[5].

Palmarès[modifica | modifica wikitesto]

AnnoManifestazioneSedeEventoRisultatoNote
1967UniversiadiGiappone TokyoDoppio femminileArgento Argento[6]
Doppio mistoArgento Argento[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ ALBO D’ORO, su tcmbonacossa.itURL consultato il 26 febbraio 2019.
  2. ^ Tennis Abstract: Monica Giorgi WTA Match Results, Splits, and Analysis, su tennisabstract.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  3. ^ Salta a:a b Campioni da non dimenticare – Monica Giorgi, su spaziotennis.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  4. ^ Salta a:a b MONICA GIORGI Tennis, studio e anarchia, su nazioneindiana.comURL consultato il 26 febbraio 2019.
  5. ^ La Stampa, 16 ottobre 1970
  6. ^ In coppia con Alessandra Gobbò
  7. ^ In coppia con Giordano Maioli

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Monica Cerutti-Giorgi, La clown di Dio, Zero in Condotta, Milano, 2013.
  • Monica Cerutti-Giorgi, Franca Cleis e Karin Stefanski (a cura di), Alla luce del presente. Relazioni, pratiche e mediazioni di donne, Archivi riuniti delle donne del Ticino, 2010.
  • Monica Cerutti-Giorgi, (a cura di), Marirì Martinengo, Wanda Tommasi, Vita Cosentini, et. al., Il simbolico delle donne. Percorsi fra storia, filosofia e traduzione, Balerna. Ulivo, 2006.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

30.4.22

CONCERTO DI PIAZZA SAN GIOVANNI ROMA 1 Maggio dietro le quinte: gli aneddoti di chi lo organizza ma non è per le barracopoli il caso di Borgo Mezzanone vicino a Foggia, c’è una baraccopoli i


VITA DA BRACCIANTI

Buon 1º maggio,

(ma non per loro)

A Borgo Mezzanone, vicino a Foggia, c’è una baraccopoli in cui vivono 4 mila braccianti agricoli privi di tutto. Di posti così in Italia ce ne sono in 37 Comuni. Una condizione molto vicina alla schiavitù, che un gruppo di giovani filmaker ha raccontato in un film. Che però nessuno vuole

La speranza di una vita migliore può essere una trappola che la vita congela in un’attesa potenzialmente infinita. Almeno, è così che sembra andare a Borgo Mezzanone, ghetto (il nome giusto sarebbe “insediamento informale”) in provincia di Foggia, dove circa 4mila braccianti coltivano speranze nelle ore e nei giorni lasciati vuoti dai campi. A thing by, collettivo di ragazzi tra i 23 e i 28 anni, ci è entrato nel 2020 e ci ha vissuto per tre mesi spalmati su un anno, realizzando One day one day, racconto delle vite sospese di alcuni di quei 4 mila. Il regista è Olmo Parenti, il più “vecchio” del gruppo di filmaker,
che i soldi per il film li ha trovati girando i videoclip di Gabbani, Sfera e Basta e soprattutto Tananai, che firma le musiche del film. Da Sanremo a Borgo Mezzanone passando per George Floyd: «Nel 2020 ho visto un servizio sul ghetto a le Iene. Poco dopo, a Minneapolis hanno ucciso George Floyd e mentre ero in piazza a Milano a manifestare per lui mi sono detto: e per gli schiavi di casa mia cosa posso fare? Poco dopo eravamo a Borgo Mezzanone: non sembra Italia. 


Manca tutto, luce, acqua, diritti. Ma a colpire di più è l’immobilità sociale: non c’è redenzione, per quanto brutale il ghetto è l’unico posto che accoglie questi ragazzi

Ci siamo tornati nel corso di un anno per dare alle cose la possibilità di cambiare, invece abbiamo documentato fallimenti: ogni volta che i nostri “protagonisti” facevano un passo per migliorare la propria vita – affittare una casa, cercare un altro lavoro, aprire una
PostePay – trovavano un muro di gomma. La maggior parte di loro è arrivata in Italia tra il 2014 e il 2016, alcuni sono a Borgo Mezzanone da anni e senza possibilità di uscirne: non hanno il permesso di soggiorno, non possono andare in un altro Paese europeo  per gli accordi di Dublino, verrebbero rispediti in Italia, ndr), non vengono rimpatriati, come prevede la legge». Un limbo esistenziale, burocratico, legale, noto a tutti, da anni. George, Abu e gli altri intervistati, rispondono a ogni domanda sul futuro col mantra diventato il titolo del film: « One day, un giorno, le cose andranno meglio.Se lo ripetono per non impazzire all’idea di rimanere il tavolino su cui un intero Paese banchetta. Ma “un giorno” è anche la foglia di fico di un Paese che spera che il problema si risolva da sé. E invece, complice il cambiamento climatico, non potrà che peggiorare», dice   Olmo  Parenti.
Nel Pnrr, il Piano di Ripresa e Resilienza del programmaNext GenerationEu, ci sono circa200milioni di euro stanziati per lo smantellamento degli "insediamenti informali" sparsi in37Comuni italiani e la costruzione di insediamenti abitativi più umani. Per quello diBorgo Mezzanone, il più popoloso, lo stanziamento è di circa 50 milioni: «L’intervento rientra in un progetto di integrazione e regolarizzazione più ampio», dice Tatiana Esposito, Direttrice generale dell’immigrazione del ministero del Lavoro (foto), che dettaglia anche i tempi: «Entro marzo 2023 le amministrazioni locali devono presentarci il piano di intervento e, una volta che lo avremo approvato, avranno 2 anni per realizzarlo». C’è poi il problema della regolarizzazione dei braccianti che ci vivono: anche quando avranno una casa, come faranno coi documenti? «Abbiamo condotto una ricerca approfondita sulla composizione dei braccianti impiegati in agricoltura in Italia: la stragrande maggioranza di loro è composta da stranieri regolari». La quota di irregolari è però quella che popola i ghetti: «Per gli irregolari ci sono già due strumenti, poco utilizzati: l’art. 22 del Testo Unico sull’Immigrazione, che garantisce un permesso di soggiorno a chi collabora con la giustizia per contrastare lo sfruttamento; l’art. 18 dello stesso Testo, che assicura protezione e documenti anche a chi non denuncia, se vittima di tratta», spiega Espostito. È un limbo esistenziale e burocratico da cui non si può uscire. E che può solo peggiorare 

I migranti raccontati nel film provano a riscattarsi  in molti modi: c’è chi, dopo dieci ore nei campi, prova a imparare l’italiano, chi studia la frequenza con cui escono i numeri al Lotto per capire quali giocare: «Nel ghetto è successo che qualcuno vincesse. Io ne ho conosciuto uno che però con quei soldi ha perso il suo fragile equilibrio; ne ha mandati la metà nel suo Paese e l’altra metà l’ha bevuta e spesa in prostitute. È andato via di testa perché ha avuto la prova che il problema, qui dove manca tutto, non sono i soldi: per quanti ne potrai vincere, continuerai a non poter avere documenti, quindi una casa e un lavoro regolari», dice Parenti. È per questo che anche quando viene data loro la possibilità di lasciare il ghetto alla fine non lo fanno: «È un limboma anche una rete di protezione. A ottobre scorso, un neurochirurgo del policlinico di Bari mi ha telefonato perché Abu, uno dei ragazzi del film, era stato colpito con un’ascia alla testa e appena arrivato in ospedale aveva dato il mio numero. Sono sceso a Bari per aiutarlo con le denunce e gli ho proposto di tornare a Milano con me, per sottrarsi al ghetto. Mi ha detto di sì, poi ci ha ripensato: in quel posto non hai nulla ma quel posto è l’unica cosa che hai; lì ti senti al sicuro anche se ti piantano un’ascia in testa, perché lì le persone sono come te, non ti giudicano, parlano la tua lingua. È un’assurda comfort zone in cui c’è posto persino per la gratitudine: i ragazzi che ho conosciuto ci sono grati per averli salvati dalmare e in cambio di questo accettano di essere, come dicono loro, “cittadinidi serieC”. Qualcuno di loro lo ritiene persino giusto. Ma lo accettano finché possono coltivare la speranza di diventare almeno di serie B. Ed è lecito chiedersi se frustrare questa speranza non renda esplosive situazioni come quella di Borgo Mezzanone». Persino la storia di One day one day parla di lavoro: il collettivo di Parenti lo ha prodotto e girato, ma non ha trovato nessuno che volesse distribuirlo: «Così, via Instagram tramite Will Media, abbiamo lanciato la campagna Vietato ai maggiori. Il senso era: “gli adulti” non lo vogliono? E noi portiamo i filmnelle scuole che ne faranno richiesta, dai ragazzi». Le scuole che rispondono sono 500 in pochi giorni: «Siamo partiti allora per un tour di unmese che, da Foggia, ci ha portati in tutta Italia, toccando 52 scuole e facendo vedere il film a oltre 6.700 ragazzi. A quel punto, abbiamo fatto un altro passetto: abbiamo invitato i maggiorenni a firmare una “dichiarazione di interesse” nei confronti del film dicendo che a 5 mila richieste avremmo fatto in modo di far arrivare il film nelle sale. Ne sono arrivate più del doppio, quindi ora lo proietteremo nei cinema delle città da cui provengono quelle mail. E tramite cinema@ willmedia.it altre sale possono chiederci di averlo», dice Parenti. Che si è inventato la distribuzione popolare, fai da te, porta a porta e on demand.



Faldoni, proteste e multe: come nasce il concertone Dal 1989 a oggi è sinonimo di 1 Maggio. Pochi, però, conoscono le 'grane' che si celano dietro le quinte: gli aneddoti di chi lo organizza

di Camilla Romana Bruno

 


 
 Nel museo del lavoro tre chilometri di ricordi
                                Andrea Lattanzi

 

 I manifesti del 1 Maggio sono tra i documenti conservati nell'Archivio Storico del Lavoro di Sesto San Giovanni, che racconta le battaglie per i diritti in Italia.

27.4.22

bellezza a tutti i costi ed il caso di samntha migliore


 leggi  prima 
 https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/04/samantha-migliore-morta-due-volte-per.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/04/il-vero-empowerment-femminile-e-quando.html


 canzoni  suggerite  


Fabrizio De Andrè - NELLA MIA ORA DI LIBERTA'

Afterhours - Voglio Una Pelle Splendida
Cccp-   Per Me Lo So
Afterhours - Pelle (live acustica)




Ogni volta che parlo di canoni estetici imposti,ricevo tantissimi attacchi, anche di una cattiveria  (  metaforicamente    parlando  😀 ) inaudita,  da  uomini    che :  1)   amano  le  donne   con tali canoni  imposti., 2) che ricorrono anche essi a  cerette ,   depilazioni   di peli  e  di ciglia ,   ecc  . Ma   soprattutto  ,   ed  è  questo    che mi lascia perplesso,  da   proprio da donne  sia  che  praticano   tali pratiche .  Mi s'accusa    di  predicare   la libertà  e poi    di  reprimerla  . Certe persone     che  non   collegano il  cervello prima  di parlare   in quanto   io non  sto  vietando  niente  a   nessuno o  imponendo  una mia  scelta     ma solo facendoli   notare   poi facciano quello che  vogliono perchè   ogni  uno  di noi    è libero  di  scegliere  o meglio : <<  Di respirare la stessa aria\di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare\ alla mia ora di libertà  ( .....  )  cit  Fabrizio De Andrè >> di     liquidarli  con  un Vaff  o  con questa    canzone   della  colonna  sonora del post    

Ma   al " grido " di  alcune  di  voi   “lo faccio per me stessa” e “decido io cosa fare del mio corpo”  che    sono  o   diventano paladine della chirurgia estetica a  tuttii  costi , della depilazione, delle diete,  tatuaggi  di moda  ,   persing  , ecc o di qualsiasi altra cosa volta a modificare il corpo in nome di un'ideale di bellezza promosso dai media.Ed è proprio per questo che tale imposizione è talmente forte e subdola, perché ci convincono che sia una libera scelta e siamo noi a volerlo.Se ci fosse imposto per legge, ci sarebbe la rivolta e nessuna persona   vorrebbe modificarsi il corpo.Ma se ci bombardano di immagini di donne con determinate sembianze lontane da un corpo “medio” (estremamente sottopeso come andava di moda negli anni ‘90/2000 o con curve maggiorate innaturali come sta andando di moda adesso) ci instillano la convinzione che come siamo non va bene (quindi facendoci diminuire l’autostima e portandoci ad insicurezza), ma che, guarda caso, c’è una soluzione (costosa, ovviamente) che ci renderà magicamente belle (proprio come VOGLIAMO NOI !) ed ecco che siamo disposte a tutto e lo facciamo all’urlo di “lo faccio per me stesso” e “decido io cosa fare del mio corpo”.Tutte quelle che dicono che è una scelta personale, quindi, come mai , e qui  mi riferisco ale  donne  principalmente  ,  il boom del ritocchi alle labbra è arrivato negli ultimi anni quando c’è la moda della bocca a canotto? Perché quasi nessuna se le rifaceva 10/20 anni fa? Come mai 20 anni fa la nostra preoccupazione maggiore era non avere il sedere troppo grosso, mentre adesso è non averlo abbastanza grosso ?  Dov’è la nostra libertà? Ve lo dico io dov’è: è influenzata dalla moda estetica di turno.La storia ci ha insegnato le aberrazioni del  :  1)   busti ed  i  corpetti   da done   in occidente  :, 2)   piede di loto, in oriente i  cina  soprattutto   . Esso  le     deformava  soprattutto  il  secondo    rendendole  incapaci di camminare, e proprio le donne erano poi diventate quelle che si battevano per mantenere quella moda. L’imperatore ha dovuto mettere una legge per impedire la prosecuzione di quella barbarie, ma a sentire le dirette interessate, a loro piaceva, lo volevano, lo consideravano un loro diritto, una libera scelta, si sentivano belle così, coi piedi deformi.Questa è la potenza della persuasione a livello inconscio che i canoni estetici sociali impongono su di noi. No, non siamo liberi .No, non vogliamo veramente modificare il nostro corpo.Nessuna di noi nasce con la convinzione di non piacersi. Avete mai visto dei bambini piccoli guardarsi allo specchio e lamentarsi per il loro aspetto? No, nessuno lo fa  se  non  ha  visto  in tv  e  ora  i  cellulari  e  pc    influencer  e   modelli  imposti .Infatti  La percezione della propria bellezza o bruttezza cresce in noi rapportandoci nella società in cui viviamo, paragonandoci col prossimo e con gli esempi proposti dai media.Ecco  tre    esempi personali      che   riporta la  pagina fb  di    I.have.a.voice 

  1 Sono cresciuta negli anni in cui andava di moda essere praticamente pelle e ossa, ma io ero muscolosa e, nonostante il mio peso fosse al limite del normopeso appena sopra il sottopeso, mi sono sempre considerata grassa, vergognandomi, seguendo diete ferree, nascondendo il mio corpo. Poi sono andata a vivere all’estero, dove le donne erano normopeso e spesso molto più in carne di me: magicamente il mio senso di disagio era sparito, non mi sentivo più grassa, e ovviamente non facevo più la dieta ferrea. Era una mia decisione libera essere a dieta? Evidentemente no, subivo inconsciamente la pressione sociale.2. Ho sempre avuto delle labbra considerate carnose, ben più voluminose della maggioranza delle altre donne. Ho sempre ricevuto complimenti e sono sempre stata felice delle mie labbra. Da qualche anno vedo sempre più spesso bocche grossissime, a volte anche il doppio rispetto alla mia e più di qualche volta mi sono guardata allo specchio pensando se fosse il caso di fare una punturina anche io. Sì, proprio io, quella che scrive post contro i canoni estetici. Poi mi ripiglio sempre e mi rifiuto di modificarle, ma il pensiero viene, proprio perché, più persone seguono una moda, più la pressione sociale diventa talmente forte che ci si sottomette.3. Io detesto la depilazione, mi fa male, è uno spreco di tempo infinito, piuttosto di depilarmi mi chiuderei in casa, ma se esco in gonne o devo avere un rapporto con un uomo, purtroppo cedo al canone estetico e mi depilo, perchè so che se non lo facessi sarei insultata e mi vergognerei.>>

Esistono donne   ed  uomini  che se ne sbattano altamente e fanno quello che vogliono? Sì, certo, ma la verità è che quando si vive all’interno di una società si acquisiscono e si seguono le regole sociali, anche se inconsciamente. Ed  non  farsi  influenzare     cioè non conformarsi  non    semplice . Quindi ogni volta che una donna o un uomo  si fa la chirurgia per assomigliare ad un canone estetico, non cambia solo  la sua  persona  , ma rende la pressione sociale maggiore anche per   gli altri  che   ben presto inizieranno a voler seguire quel canone, via via sempre di più, fino ad essere tutte (o quasi) schiavi dell’ideale di bellezza imposto secondo le varie mode. Quindi no, non solo non modifichiamo il nostro corpo per libera scelta, poiché lo facciamo spinti dalla pressione sociale, ma, nel farlo, rendiamo quella pressione ancora più forte, spingendo a nostra volta anchegli altri   a cadere in questa trappola.Se domani tutti ci svegliassimo felici di come siamo e la smettessimo di spendere centinaia di migliaia di euro per la nostra fantomatica “bellezza”, non solo saremmo tutti molto più felici, ma saremmo anche molto più ricchi non solo economicamente.  Mi  permetto di suggerire   di  nuovo come     fa  ( vedere   il leggi anche    )  un libro per bambini, ma utile anche per i più grandi, contro la   contro la superficialità e gli ideali di bellezza imposti, per far capire che quello che veramente conta nella vita è altro, e insegnare l’amore proprio e il rispetto per gli altri : “Maddy e la ricerca della Bellezza "  . 

 con questo è tutto 

Tenta il furto e muore schiacciato dai bancali: si scatena l'odio sul web. La famiglia: "Quereliamo"



Un po' di silenzio non guasterebbe quando s'è davanti a fatti come questi . I genitori hano fatto benissimo .

  repubblica  27\4\2022


Lo sdegno affidato al legale della famiglia di Umberto Sorrentino: "Vergogna, che degrado umano e civile". La sindaca di Cattolica: "Una tragedia di fronte alla quale non c’è sentimento di pietà nè di rispetto"



RIMINI - Si era intrufolato nel retro di un supermercato chiuso nel giorno di Pasquetta, a Cattolica, per rubare qualche bottiglia d'acqua, è morto schiacciato dalle casse che si sono ribaltate. Lo hanno trovato solo il giorno dopo, una tragedia quella di Umberto Sorrentino, 47 anni. Una esistenza ai margini, la sua.

Una persona in difficoltà che, da morta, è stata presa di mira dagli hater nei social: "Adesso un ladro di meno", "se l'è cercata", sono solo alcune delle espressioni usate e che ora l'avvocato della famiglia riporta in una lunga lettera che scuote le coscienze. E condanna i leoni da tastiera riservandosi querele: "Che schifo, che vergogna, non c'è pietà umana".
«Chiunque ha potuto leggere sui social giudizi su Umberto del tipo: “Era un ladro”, “adesso un ladro in meno”, “morire per una bottiglia d’acqua, se aveva sete poteva andare ad una fontanella”. E così di seguito ed anche peggio. In poco tempo queste espressioni sono diventate virali, ponendo in seconda luce i pochi commenti positivi che mostrano comprensione e reclamano pietà e rispetto per una morte atroce». Inizia così la lettera firmata dall’avvocato Massimo Vico, il legale che aveva assistito Umberto Sorrentino«Chiunque ha potuto leggere sui social giudizi su Umberto del tipo: “Era un ladro”, “adesso un ladro in meno”, “morire per una bottiglia d’acqua, se aveva sete poteva andare ad una fontanella”. E così di seguito ed anche peggio. In poco tempo queste espressioni sono diventate virali, ponendo in seconda luce i pochi commenti positivi che mostrano comprensione e reclamano pietà e rispetto per una morte atroce». Inizia così la lettera firmata dall’avvocato Massimo Vico, il legale che aveva assistito Umberto Sorrentino"Chiunque – si legge nella lettera che la famiglia di Sorrentino, attraverso l'avvocato Massimo Vico, ha indirizzato agli organi di informazione – ha potuto scorrere in questi giorni sui social giudizi su Umberto di questo tipo: ‘era un ladro’, ‘morire per una bottiglia d’acqua, se aveva sete poteva andare ad una fontanella’. E così di seguito ed anche peggio. In poco tempo queste espressioni sono diventate virali, ponendo in seconda luce, i pochi commenti positivi che mostrano comprensione e reclamano pietà e rispetto per una morte atroce. Che desolazione! Che Schifo! Che vergogna! Che ignoranza! Che volgarità! Che degrado umano e civile! I moderni strumenti di comunicazione sono di grande aiuto per l’umanità, ma se finiscono nelle mani degli ignoranti è come aver buttato le perle ai porci”.
Per i famigliari di Sorrentino, per la mamma Rosaria che ha perso suo figlio, "il gruppo degli haters non è interessato a considerare Umberto come persona, rifiuta di conoscere le condizioni di salute fisica e mentale, le sofferenze, le difficoltà affettive, i rapporti famigliari, le cause della sregolatezza, in sintesi la vita vera. Per questi ‘leoni da tastiera’, odiatori, Umberto è morto perché ha tentato di rubare qualche bottiglia d’acqua: tanto basta per farlo diventare un bersaglio di odio e di scherno".
Nella lettera la famiglia spiega la situazione di Sorrentino: "Umberto ha passato alcuni periodi della sua esistenza in comunità terapeutiche anche con limitazioni della libertà personale anche a seguito di azioni giudiziarie che lo sottoponevano all’obbligo di cure, assistito con scrupolosa competenza professionale e vera disposizione affettiva, dall’avvocato Massimo Vico, che continuerà ad assisterlo nelle conseguenze del tragico evento".
Non tutto il web ha reagito così. E nemmeno lo hanno fatto le istituzioni. "Sono molto amareggiata per quanto letto sui social – dice la sindaca Franca Foronchi –. E’ morta una persona, giovane, conosciuta in città. Una tragedia di fronte alla quale non c’è sentimento di pietà nè di rispetto". La vicesindaca di Rimini Chiara Bellini reagisce: "Bieco frasario dell’orrore scatenato sui social locali alla notizia della tragedia in cui ha perso la vita un uomo a Cattolica".
Parole di sdegno che ci sono state anche nei social, con diverse testimonianze: "Ero i comune, mentre attendevo il mio turno ho incrociato gli occhi della mamma di Umberto Sorrentino, sono andata verso di lei , l'ho abbracciata, le ho fatto le mie condoglianze e mi sono sentita di chiederle scusa: una mamma che ha subito il più grosso dei drammi ha anche dovuto subire violenza verbale, mi sono vergognata". E ancora: "Sono veramente sconcertata e indignata per i vari commenti che ho letto sui social".

finalmente Consulta: illegittime le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre


Con una decisione storica la Corte Costituzionale ha stabilito che non sarà più automatico il cognome del padre e che ai figli potrà essere dato sia il cognome della madre sia quello del padre, a meno di diversa decisione dei genitori.Si tratta di una svolta radicale che spazza via con un tratto di penna decenni di norme giudicate “illegittime” e secoli di retaggi patriarcali e maschilisti che non hanno senso di esistere (e resistere) nel 2022.Infatti fino a qualche tempo fa La trasmissione del cognome paterno non era una "imposizione", era una "garanzia". Dal momento che "mater semper certa est, pater numquam", il padre, dando al figlio il proprio cognome, lo "riconosceva". Riconoscimento che da parte della madre non era necessario per evidenti motivi. A chi dice che non è con questi particolari che si cambiano le cose… È ANCHE così che si cambiano le cose, e non sono certo particolari visto che prima di ciò una donna non poteva scegliere di poter dare , se non ( magari ricordo male . se dovessi sbagliare correggetemi e fatemelo notare ) dare il doppio cognome , il proprio cognome ai figli\ e . E no, non c’è nessun vincolo o obbligo. Si chiama libera scelta, si chiama uguaglianza, si chiama parità di genere. Quindi se ne facciano una una ragione i pillon e gli adinolfi.
finalmente un ulteriore retaggio delle discriminazioni femminili viene meno . Ecco quindi che ogni Ogni volta che qualcuno maledice e vede solo nell'Europa, cole negative , dobbiamo ricordare che su molte questioni nelle quali noi italiani siamo impantanati, per pigrizia e retaggio, l'esempio e l'incoraggiamento di altri Paesi sono uno spintone salutare.

Infatti sarebbe ora toglierCi quella polvere di dosso, indossare scarpe comode e correre in avanti, come ci dicono da più parti
Per stare al passo con le persone più giovani ed il mondo d'oggi , per non ritrovarsi a difendere idee consunte, pensieri inutilmente arrovellati. E svecchiarsi è sempre salutare.

26.4.22

Il vero empowerment femminile è quando si sta bene col proprio aspetto, esattamente com’è, non dopo aver speso migliaia di euro in chirurgia estetica per trasformarci in corpi totalmente innaturali.


 leggi  anche
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/04/samantha-migliore-morta-due-volte-per.html


 fra  gli articoli  più  interessanti   sul caso di  Samantha Migliore, e     che  più condivido finalmente   qualcuno chela pensa  come  me   è  questo  di Ihaveavoice


La settimana scorsa una donna di 35 anni, madre di cinque figli, è morta per un intervento estetico al seno.
Il suo nome era Samantha Migliore, lavorava come addetta alle pulizie, un lavoro semplice probabilmente poco retribuito, e con 5 figli a carico non è difficile immaginare che non vivesse una vita agiata.Il suo desiderio di avere un seno prosperoso, soprattutto dopo le gravidanze, non l’ha fermata, nonostante i costi di questi trattamenti estetici siano molto elevati. Così si è affidata alle mani di una sedicente “estetista” che le ha iniettato una sostanza in casa per 1.200 euro.Si possono valutare diversi aspetti di questo caso: da come sia possibile affidarsi a persone non qualificate per un intervento tanto pericoloso come quello al seno, dalla disonestà della sedicente estetista, ecc. Ma la cosa che più mi ha colpito è una: una donna di 35 anni, quindi non una ragazzina, con 2 matrimoni pregressi e un terzo avvenuto pochi mesi prima, già vittima di violenza da parte di un ex, con 5 figli da mantenere e quindi presumibilmente anche con certe difficoltà finanziarie, come fa a mettere in pericolo la sua vita per un intervento estetico? Quando apro i social (la tv non la guardo mai, ma penso sarà lo stesso) vedo ormai donne completamente rifatte, con corpi totalmente innaturali. La pressione sulle donne di avere determinate sembianze è enorme e colpisce non solo le più giovani, ma anche donne che dovrebbero aver raggiunto una certa maturità e sicurezza in loro stesse. Molti uomini non hanno nemmeno più la consapevolezza di come sia un corpo/viso di donna vero, naturale. Questa donna non è stata solo vittima di una sedicente estetista irresponsabile, e nemmeno della sua ingenuità a fidarsi di persone non esperte. Questa donna è vittima in primis dei canoni estetici innaturali imposti alle donne. E no, la favola del “lo faccio per me” o dell’“empowerment femminile” è solo una manipolazione raccontata alle donne per spennare loro soldi in costosi trattamenti estetici. Il vero empowerment femminile è quando si sta bene col proprio aspetto, esattamente com’è, non dopo aver speso migliaia di euro in chirurgia estetica per trasformarci in corpi totalmente innaturali.
Questa donna avrebbe dovuto essere orgogliosa del suo seno che ha allattato 5 figli, avrebbe dovuto spendere quei soldi per farsi un viaggio, godersi la vita, e invece li ha spesi per firmare la sua condanna a m*rte, per rincorrere una bellezza inventata, irreale.
L’ho detto e ridetto più volte: dobbiamo ribellarci a queste imposizioni estetiche, dobbiamo apprezzare il nostro corpo così com’è. L’ossessione alla bellezza è subdola, malata, devastante. Devasta la nostra autostima e amor proprio e l’unica cosa che fa è arricchire i chirurghi che si riempiono il conto in banca con le nostre insicurezze. Care donne, ribelliamoci a questa oppressione. Basta chirurgia. Basta filtri e immagini manipolate sui social. Basta sentirci brutte e modificarci per rincorrere canoni estetici imposti. Abbiamo scritto un libro per bambini, ma utile anche per i più grandi, contro la superficialità e gli ideali di bellezza imposti, per far capire quello che veramente conta nella vita: “Maddy e la ricerca della Bellezza” ( copertina a destra ) . Insegniamo fin dalla giovane età l’amore proprio e il rispetto per gli altri e cerchiamo di impararlo anche da adulti. >>


«Il patriarcato è finito. Violenze in aumento per l’immigrazione illegale»: il discorso di Valditara alla Fondazione per Giulia Cecchettin. se stava zitto faceva più bella figura

«Occorre non far finta di vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza, in qua...