Valerio Lo Muzio Centomila storioni e 15 tonnellate annue di produzione: terzo posto mondiale. Principali clienti: estremo Oriente e Russia. Reportage da Bovolone, nel cuore del Veneto
e https://www.jamesmagazine.it/food/cru-caviar-nero-italiano/ Il caviale più pregiato non viene dal Caspio o dalle steppe russe. L’oro nero’ si produce nel cuore della pianura lombarda. Dallo storione del Volga allo storione del Mincio, si potrebbe dire, parlando della sfida lanciata ormai alcuni anni fa dall’azienda agricola Naviglio, di Maglio di Goito nel Mantovano
. Un’ennesima eccellenza produttiva, che può vantare persino clienti dalla Russia ------
Duecento bottiglie conservate a duemila metri: uno studio promosso in Val Camonica vuole verificare come il clima di alta montagna influenzi l'affinamento dei sapori
di Chiara Nardinocchi
Incuriosito ho cercato notizie su tale progetto ed ecco cosa ho trovato
Il contesto è degno di «Frozen» o di qualche leggenda nordica e lo scenario si presta: il Corno D’Aola nella ski area di Ponte di Legno, nel Parco dell’Adamello. Più in basso, in Valle Camonica è stata riscoperta una tradizione vinicola diventata un punto di riferimento all’interno della produzione agroalimentare del territorio. Perché allora non unire i due elementi, la neve e il vino, per creare un prodotto unico nel suo genere? Da questa idea nasce un esperimento inedito: un igloo, una vera casa di ghiaccio realizzata a 2.000 metri di quota dall’artista camuno Ivan Mariotti, da utilizzare come originale cantina di affinamento dei vini. Al suo interno, all’inizio dell’inverno, sono state collocate circa 200 bottiglie. La Cantina Bignotti ha depositato in questa cantina speciale i suoi rossi Igt e gli spumanti Supremo e Brut metodo classico, mentre il Consorzio Vini di Valcamonica, che riunisce al suo interno 12 cantine, partecipa all’esperimento con una trentina di etichette tra rossi, bianchi e passito. L’iniziativa ha ovviamente anche uno scopo scientifico: servirà a capire meglio come l’alta quota e il freddo invernale possano contribuire a migliorare l’affinamento in bottiglia dei vini locali. Il contributo scientifico all’esperimento è stato affidato a Unimont, l’Università della Montagna, polo di eccellenza dell’Università degli Studi di Milano che ha sede a Edolo, nel comprensorio Pontedilegno-Tonale. Spiega Anna Giorgi di Unimont: «Verranno effettuate analisi chimico-fisiche e organolettiche sia sui vini collocati nell’igloo che su quelli lasciati nelle cantine delle aziende in fondo Valle, che consentiranno una prima comparazione necessaria a verificare l’effetto delle condizioni di quota e a meglio orientare la ricerca nei prossimi anni. Il coinvolgimento dei ricercatori e degli studenti del polo Unimont in questa esperienza è in piena coerenza con la “mission” della sede decentrata della Statale di Milano, ovvero trasformare le specificità dei territori montani in punti di forza anziché elementi di debolezza grazie ad approcci innovativi e collaborazioni strategiche con le forze territoriali». «Il turismo può essere una straordinaria fonte di conoscenza di un territorio e dei suoi prodotti e l’ambito agricolo a sua volta può essere un valido alleato delle strategie turistiche - spiega Michele Bertolini, direttore del Consorzio Pontedilegno-Tonale -. Riteniamo che unire questi due comparti possa rappresentare un’ottima occasione di sviluppo». •. L.Feb
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L'unico hangar dove osavano i dirigibili È ad Augusta, in Sicilia: un edificio colossale iniziato a costruire nel 1917 per contrastare i sommergibili tedeschi. Ora è abbandonato. E si litiga sul suo destino
di Salvo Catalano
la struttura è imponente. Sorprende il fatto che questa struttura sia stata fatta e abbandonata dal 1920 ed è ancora li intatta, volendo anche riutilizzabile; le costruzioni di oggi soprattutto pubbliche è già tanto se durano trent' anni manutentandole costantemente. Ľ idea di un sommergibile classe Totti li dentro mi sembra proprio una bella idea, come restituire alla comunità e a chi la sa valorizzare tutta ľ area.
Polemica sul progetto del Comune di Augusta. Il sindaco vorrebbe realizzare un Museo nella rimessa per i dirigibili. Le associazioni si oppongono
di Salvo Catalano
Realizzare un Parco della memoria mettendo uno accanto all'altro un vecchio sommergibile militare e il barcone dove trovarono la morte circa 800 migranti, recuperato nel 2016 con una complessa operazione nel Mediterraneo. L'esposizione dovrebbe essere ospitata nell'area del colossale hangar per dirigibili di Augusta, l'unico rimasto in Italia e oggi semi abbandonato. È questa l'ultima idea
dell'amministrazione comunale della cittadina in provincia di Siracusa, meta di numerosi sbarchi, che da circa otto mesi ospita il relitto ormeggiato al porto. Un progetto ambizioso, tecnicamente complicato e fortemente criticato dagli attivisti locali: "Pensare di accostare un mezzo militare portatore di morte con il barcone è un'idea macabra", attacca l'associazione Punta Izzo Possibile. La giunta guidata dal sindaco Giuseppe Di Mare vorrebbe risolvere così tre problemi in una volta sola: trovare collocazione al relitto, ristrutturare l'hangar e valorizzare il vecchio sommergibile Mocenigo (gemello di quello in esposizione al museo della Scienza di Milano), che si trova in pessime condizioni nella zona militare del porto di Augusta. Con quali soldi? Grazie a un bando del Pnrr, a cui partecipare insieme all'università di Catania che farebbe da capofila. "Abbiamo ottenuto dal demanio l'affidamento dell'hangar e degli ettari attorno - spiega l'assessore comunale Pino Carrabino - e abbiamo pensato ad alcune modalità di fruizione per farlo diventare un grande Parco della memoria". Da una parte l'amministrazione ha chiesto al Comando Marittimo Sicilia di evitare la distruzione del sommergibile per inserirlo all'interno dell'hangar. Dall'altro intende spostare il barcone dalla nuova darsena, dove è attualmente parcheggiato, perché - precisa l'assessore - "su quell'area vogliamo incentivare le attività commerciali". Il barcone su cui viaggiavano tra i 700 e i 1000 migranti si inabissò nel Mediterraneo il 18 aprile del 2015. Sopravvissero solo in 28. Un anno dopo il governo Renzi, con un'operazione mai vista prima, decise di recuperarlo.
Il relitto fu portato inizialmente ad Augusta dove iniziò il lungo lavoro di ricomposizione dei corpi per arrivare a dare un'identità alle vittime. Poi, nel 2019, venne concesso in comodato d'uso per l'esposizione alla Biennale di Venezia, a opera dell'artista svizzero Christoph Büchel. Finita la mostra, lì rimase per mesi a seguito di un contenzioso rispetto a chi spettassero i costi per riportarlo indietro. Alla fine, il barcone tornò ad Augusta lo scorso giugno. Per l'occasione fu organizzata una cerimonia multi-religiosa patrocinata dalla Camera dei deputati, alla presenza anche di alcuni migranti.
"Il progetto - spiega Enzo Parisi, portavoce del Comitato 18 aprile - era quello di realizzare un Giardino della memoria proprio nella zona della darsena dove adesso si trova la barca. L'idea del parco all'hangar invece mi suona nuova, anche perché alcuni atti dell'amministrazione comunale andavano in direzione del Giardino nella zona a mare. D'altronde trasportarla fino all'hangar sarebbe un'impresa difficile e costosa, servirebbe un elicottero viste le dimensioni e il peso (23 metri per 70 tonnellate). Ma soprattutto l'idea di accostargli un mezzo di guerra è singolare. Quella barca è sacra e prima di spostare una cosa sacra bisogna pensarci bene". Dello stesso avviso anche l'associazione Punta Izzo Possibile: "È possibile ad Augusta immaginare una cultura che non sia necessariamente legata alle divise e ai mezzi militari? - chiede l'attivista Gianmarco Catalano - Secondo noi sì e l'hangar è il luogo perfetto per iniziare a costruire questa cultura altra".
La colossale casa dei dirigibili che sovrasta Augusta, costruita tra il 1917 e il 1920, e i suoi 20 ettari attorno sono stati dichiarati dalla Regione opera di interesse storico nel 2014. Al mondo ne esistono solo due esemplari e l'altro si trova in Francia. "Ha un'importanza inestimabile", spiega Ilario Saccomanno, portavoce di Hangar Team, l'associazione che tra il 2006 al 2012 ha gestito l'hangar aprendolo alla cittadinanza.
"Necessita di una ristrutturazione e già dieci anni fa, dopo un bando europeo a cui parteciparono 15 studi ingegneristici, grazie a un finanziamento di 600mila euro, venne redatto un progetto di recupero per realizzare uno spazio multifunzionale per eventi, non certo un museo statico dove ospitare un sommergibile. Ma quel progetto è rimasto nei cassetti del Comune". Oggi l'amministrazione sembra invece prendere un'altra strada.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente della Slovenia Borut Pahor a Basovizza (ANSA/Francesco Ammendola/Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)
l 10 febbraio di ogni anno, in Italia, è il “Giorno del ricordo” dedicato ai morti sul confine orientale d’Italia e al cosiddetto “esodo” italiano alla fine della Seconda guerra mondiale: un pezzo di storia nazionale a cui ci si riferisce spesso come “le foibe”. E ogni anno, nei giorni immediatamente precedenti e successivi, ci sono polemiche e scontri a vari livelli, dalla politica ai social network, caratterizzati spesso da una notevole aggressività delle argomentazioni, che nella maggior parte dei casi non riguardano tanto le ricostruzioni dei fatti – in massima parte condivise – quanto il giusto valore storico e le responsabilità morali da attribuire alle foibe, e all’opportunità dei paragoni con gli altri eccidi del Novecento.
Le foibe di cui si parla, letteralmente, sono delle cavità naturali molto profonde tipiche dei territori al confine tra Italia, Slovenia e Croazia. Il termine “foiba” deriva dal friulano, derivato a sua volta dal latino fovea, che significa fossa: si usa per indicare delle grandi conche nel terreno, al cui fondo di solito si formano quelli che vengono definiti inghiottitoi, cioè una voragine a forma di pozzo verticale nel terreno attraverso la quale defluiscono le acque che si accumulano nella conca. Ma nel linguaggio corrente, con “foibe” si indicano i massacri di civili e soldati italiani avvenuti alla fine e subito dopo la Seconda guerra mondiale nei territori sul confine orientale italiano, compiuti in larga parte dai partigiani jugoslavi.
La discussione sulle foibe si è polarizzata sempre di più negli ultimi anni a causa dello spazio e del consenso acquisiti dalla destra radicale rispetto al passato, e ha assunto connotazioni politiche che rendono difficile – leggendo i report giornalistici – comprendere cosa sia avvenuto davvero tra il 1943 e il 1945 in Istria, in Dalmazia e nella Venezia Giulia, i territori al confine tra Italia ed ex Jugoslavia. A questo si aggiunge una conoscenza diffusamente superficiale del contesto storico e sociale che caratterizzava quei territori e le persone che li abitavano all’epoca e li avevano abitati nei decenni precedenti.
Il cosiddetto confine orientale, chiamato anche regione dell’Alto Adriatico, è un territorio in cui per secoli si sono incrociate e sovrapposte culture diverse, principalmente quella germanica, quella slava e quella italiana. Le identità culturali delle persone che abitavano in queste regioni erano (e in parte sono ancora) complesse, legate all’appartenenza locale e non nazionale. Era così soprattutto in passato, quando le nazioni ancora non esistevano nella forma in cui siamo abituati a intenderle oggi.
Dopo essere stati sotto il dominio dell’Impero Romano, della Repubblica di Venezia e dell’Impero
Austro-Ungarico, nel 1918 una parte consistente di questi territori – l’Istria e una parte di quella che oggi è la Slovenia – passò sotto il dominio italiano, in conseguenza del trattato di pace della Prima guerra mondiale. Nei territori annessi, i governi italiani e in particolare il regime fascista iniziarono un’estesa opera di assimilazione culturale, spesso usando la forza e la violenza per italianizzare i popoli e negare la loro appartenenza a culture diverse da quella italiana. Per questo motivo molte persone del Nord-Est italiano ancora oggi hanno il cognome italianizzato che termina in “ich” al posto dello slavo “ić”, e alcune città slovene sono conosciute da noi con il loro nome in italiano (per esempio San Pietro del Carso).
Questa italianizzazione forzata e in generale l’occupazione italiana creò una tensione che poi si acuì durante la Seconda guerra mondiale, in particolare a partire dal 1941, quando l’esercito nazista tedesco invase la Jugoslavia. A seguito dell’occupazione, una parte ancora più ampia di territorio sul fronte orientale passò sotto il controllo dell’Italia fascista. Nel frattempo, già dal 1941, aveva cominciato a formarsi la Resistenza jugoslava guidata dai comunisti del maresciallo Josip Broz, soprannominato Tito, che puntava a riconquistare i territori controllati dagli italiani e a riunire i popoli slavi in un’unica federazione. Tra il 1941 e il 1943 la tensione che si era accumulata negli anni precedenti
sfociò in una lunga serie di violenze tra i partigiani slavi e gli occupanti italiani.
Era un periodo in cui le violenze efferate erano continue, in cui omicidi, esecuzioni sommarie e deportazioni erano il risultato della guerra in corso. L’occupazione fascista cercò di reprimere la Resistenza jugoslava con ogni mezzo, seguendo uno schema codificato da una nota del generale Mario Roatta, comandante delle truppe stanziate nei territori occupati. I villaggi venivano distrutti, le donne, gli anziani e i bambini erano internati nei campi di prigionia, e gli uomini partigiani venivano fucilati.
È in questo contesto di prolungata violenza che sul confine orientale si venne a conoscenza della firma della resa italiana, annunciata l’8 settembre 1943. La Resistenza jugoslava prese coraggio e si rafforzò grazie a nuove adesioni. Nelle settimane successive all’armistizio si crearono un clima di rabbia e un desiderio di vendetta che portarono a continue violenze e regolamenti di conti. I partigiani slavi in Istria decisero di ordinare l’arresto di centinaia di rappresentanti o collaboratori dell’ex regime, che vennero processati sommariamente e fucilati. I loro corpi furono poi gettati nelle foibe intorno a Pisino, in Istria.
La scoperta di una fossa comune in Friuli Venezia Giulia (ARCHIVIO/ANSA)
È stato calcolato che le persone uccise in questa circostanza furono circa duecento. Se a questo numero si aggiungono tutti gli scomparsi e i morti in circostanze a oggi sconosciute ma attribuibili a quelle ritorsioni, si arriva a circa 400-500 morti, una stima condivisa da quasi tutti gli storici che si sono occupati di questo tema.
Nel 1945 ci furono poi altre uccisioni commemorate a loro volta nel “Giorno del ricordo”, in una fase della guerra e in un contesto però assai diversi: a fine aprile la Germania nazista era ormai quasi del tutto sconfitta e il clima da resa dei conti era ancora più intenso rispetto all’autunno del 1943. Nell’Alto Adriatico i partigiani slavi capirono che bisognava muoversi il più velocemente possibile verso ovest per poter avanzare più pretese sui territori al momento delle trattative, e quindi l’esercito jugoslavo arrivò a Trieste già il primo maggio.
In questa fase Tito non era più a capo di una Resistenza in difficoltà, ma di uno stato vero e proprio, con un governo e un esercito (sarebbe poi stato presidente della Repubblica jugoslava fino alla sua morte nel 1980). Per consolidare il governo e il regime comunista che sarebbe nato di lì a poco, quindi, decise di procedere con una serie di arresti tra collaborazionisti del nazismo, ex fascisti e oppositori politici, o presunti tali: circa 10mila in tutto. Di questi, circa un migliaio furono uccisi dall’esercito comunista jugoslavo e gettati nelle cosiddette “foibe giuliane”, nella Venezia Giulia.
Secondo una stima per eccesso, anche questa condivisa dalla maggior parte degli storici, in quest’altra fase gli italiani uccisi furono tra i tremila e i quattromila. Molti di questi non morirono nelle foibe, ma nei campi di prigionia dove le condizioni di vita erano ai limiti della sopravvivenza. Vennero uccise o imprigionate anche persone che non erano esplicitamente legate al regime fascista, ma che erano sospettate di essere potenziali oppositori politici del regime di Tito.
Negli stessi mesi praticamente in tutta Europa erano in corso violenze e ritorsioni simili a quelle dell’Alto Adriatico, sospinte dalla sconfitta della Germania nazista e dal desiderio di vendetta. Le stragi jugoslave del 1943 e del 1945 non ebbero come movente principale un accanimento specifico nei confronti degli italiani in quanto tali, e gli storici ritengono che non sia il caso di parlare di “pulizia etnica”. Molte delle persone uccise avevano un’identità mista o non erano italiane (erano per esempio tedeschi o collaborazionisti sloveni), e gli ordini delle autorità slave erano chiari: «epurare non sulla base della nazionalità, ma del fascismo».
La connotazione di queste violenze era quindi soprattutto politica e ideologica, risultato di anni di occupazione straniera da parte dei regimi italiano e tedesco, entrambi con un’ispirazione politica diametralmente opposta rispetto a quella della nascente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Manifestazione organizzata da Casa Pound a Torino il 10 febbraio 2020 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
I tentativi di contestualizzare gli eccidi delle foibe, nelle discussioni contemporanee, vengono spesso accusati di attenuare o addirittura di negare la gravità di quello che accadde. È tendenzialmente la posizione di chi, da destra o da estrema destra, sostiene che le foibe non siano abbastanza ricordate. Ogni anno avanzano accuse simili partiti come Fratelli d’Italia e la Lega, ma anche movimenti più estremisti come Forza Nuova e CasaPound, che in queste occasioni organizzano con frequenza proteste, manifestazioni e incontri.
Uno degli argomenti più utilizzati è che esisterebbe la volontà di oscurare e mettere a margine il racconto delle violenze sul confine orientale. Alle vicende del confine orientale sono stati dedicati in realtà una gran quantità di incontri, approfondimenti, cerimonie ufficiali, fiction e film della Rai. Tutte le occasioni pubbliche di riconoscimento e racconto delle foibe, però, sono avvenute di recente, perché per decenni, dopo la guerra, c’è stata una grande ritrosia degli ambienti politici e culturali di sinistra a raccontare pubblicamente le vicende del confine orientale, per un’indulgenza in parte storica e in parte ideologica nei confronti di atrocità ritenute il risultato di quelle che le avevano precedute, e per evitare di fornire argomenti alla destra.
Dopo la fine della Guerra Fredda e la scomparsa del Partito Comunista Italiano, questa ritrosia diminuì e infatti il “Giorno del ricordo” venne introdotto solo nel 2004, quando era in carica il secondo governo Berlusconi, di centrodestra. In parte, la commemorazione fu istituita nel tentativo implicito e a volte esplicito – poco storico, molto politico – di “compensare” la festa del 25 aprile, quella della liberazione dal nazifascismo, e la Giornata della memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno per ricordare i sei milioni di ebrei morti nell’Olocausto e gli altri milioni di persone sterminate dalla Germania nazista e dagli alleati, compresa l’Italia fascista.
Per il “Giorno del ricordo” fu scelta la data simbolica del 10 febbraio, giorno in cui nel 1947 fu firmato il trattato di pace con cui l’Istria e una parte della Venezia Giulia divennero parte dell’ex Jugoslavia. La maggior parte dei firmatari della legge erano parlamentari di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, il partito erede della tradizione neofascista del Movimento Sociale Italiano. Ma fu votata e condivisa da quasi tutti i partiti in Parlamento, dalla Lega ai Democratici di sinistra, con l’eccezione di Rifondazione comunista.
il resto lo sapete già . come dicevo nel post sull'altra giornata rompi ( quella nel 27 gennaio \ giornata della memoria ) 😥 si dovrebbe ricordare /celebrare senza retorica e ideologia . ma se per la prima è un po' più facile e qualcuno riesce anche a realizzarlo con la giornata del ricordo / 10 febbraio è più difficile . visto il complesso periodo storico sia pre foibe sua post foibe in cui quella zona si è venuta a trovare in cui si sono svolte tali vicende ed il silenzio pubblico tranne che per gli specialisti e poche persone coraggiose che più o meno graziosamente affrontavano tale argomento fino all'istituzione della giornata del 10 febbraio .
#LorenaCesarini, con uno straordinario mix di sorrisi e lacrime, forza e fragilità, racconta il #razzismo sul palco dell'#Ariston. L'importanza di portare sul palco più popolare d'Italia un pezzo di realtà che in troppi fingono di non vedere e un libro fondamentale come quello di Ben Jelloun.
"Mi presento, sono nata a #Dakar e cresciuta a #Roma. Ho una laurea in storia contemporanea, per un po' ho lavorato all'Archivio Centrale di Stato e poi ho iniziato a recitare. È diventato il mio
lavoro, direi una vita tranquilla, come quella di tante ragazze italiane. Poi succede una cosa bellissima, ovvero che Ama rivela al Tg1 i nomi delle partner che lo accompagneranno a Sanremo quest'anno, facendo il mio nome. Succede anche che subito dopo questo annuncio scopro una cosa, ovvero che a 34 anni non sono una ragazza come tante, io resto nera. Fino ad oggi nessuno aveva mai sentito l'urgenza di dirmelo, invece appena Amadeus ha dato questa notizia splendida per me, certe persone hanno sentito questa urgenza. Evidentemente per qualcuno il colore della mia pelle è un problema, al punto da averlo voluto far sapere a tutti. Vi leggo alcune frasi lette sui social: "Non se lo merita, l'hanno chiamata lì perché nera/È arrivata l'extracomunitaria/Forse l'hanno chiamata per lavare le scale e i fiori.Mi chiedo perché ci si indigni per la mia presenza qui, perché ci siano persone che hanno un problema con il colore della mia pelle. Non sono qui per darvi una lezione, non ne sarei capace. Sono una persona che quando non sa una cosa va a informarsi, leggendo cose scritte da persone che ne sanno più di me."
Talana, non ha soldi per il mangime: consegna al Comune i suoi 700 maiali
Allevatore affida al sindaco le chiavi di un’azienda modello nella lotta alla psa: «Mi spettano 65mila euro di premi Ue ma in assessorato non rispondono»
TALANA. «Questo è l’ultimo carico di mangime che posso permettermi. I premi comunitari che mi spettano non arrivano, l’assessorato regionale all’Agricoltura tace e io non so come dar da mangiare agli animali la cui sorte, d’ora in poi, è affare dell’amministrazione comunale».
L’ allevatore di Talana Stefano Arzu è un fiume in piena. Non smette di parlare neanche quando dal camion scarica un sacco di granturco e legumi e lo distribuisce ai maiali che gironzolano tranquilli nelle campagne di Arbuleu, la località nel territorio talanese dove, da anni, manda avanti un
allevamento modello, certificato con tutti i crismi nel campo della biosicurezza contro la psa e del benessere animale. Questa è l’incombenza che gli spetta poco prima di recarsi in paese per consegnare i registri e le chiavi dell’azienda al sindaco del paese, Cristian Paolo Loddo. Avrebbe voluto dare tutto ai carabinieri ma, i militari che lo ricevono in caserma alle 10 in punto di una domenica soleggiata, non possono far altro che ascoltare il drammatico resoconto dell’allevatore e la preoccupazione del primo cittadino. «L’ultima fornitura di mangime durerà non più di una decina di giorni, dopo di che altri dovranno trovare una soluzione al disastro favorito dall’inadempienza della Regione» asserisce Arzu che si trova a dover sfamare oltre 700 maiali tra adulti e lattonzoli, questi ultimi quasi tutti invenduti. «Molte attività – racconta infuriato l’allevatore – sono ferme e nelle scorse festività natalizie ho venduto solo 49 maialetti a fronte dei 350 del periodo pre pandemia. Anche la vendita degli esemplari per vita, quelli da riproduzione, nel 2021 si sono limitati a 3 mentre gli scorsi anni erano 60, 70». Nel frattempo il costo del mangime continua a salire da 40 a 50 euro a quintale e l’unico ristoro che potrebbe consentirgli di tirare una boccata d’ossigeno stenta ad arrivare: l’ultimo contri-buto è del novembre 2020. «Con i 65mila euro dei fondi per il benessere animale e della Pac riuscirei a dar da mangiare ai maiali per un anno ma in assessorato continuano a non dare risposte. Per questo sono stato costretto a consegnare le chiavi dell’azienda al sindaco». L’alternativa? Finire nei guai lasciando liberi i suini o consentire che la natura faccia il suo corso. Decisione che equivale a lasciare che gli animali, affamati, si sbranino tra loro. Chiamato in causa dall’iniziativa di Arzu il sindaco Loddo pensa ad un intervento immediato in grado, quantomeno, di tamponare questa emergenza che rischia di trasformarsi in un problema di sicurezza sanitaria. «Il Comune sta pensando di anticipare una somma per l’acquisto del mangime. Devo verificare con la segretaria che questo passaggio si possa fare, nel frattempo segnalerò la situazione di Stefano e degli altri allevatori talanesi al prefetto di Nuoro» dichiara il primo cittadino, forte delle rassicurazioni dei carabinieri. «Il capitano ci ha assicurato che anche l’Arma si farà carico di segnalare il problema nelle dovute sedi» dice Loddo che, alla guida del picco borgo ogliastrino da pochi mesi, insiste su un ragionamento più articolato. «Questo è uno dei tanti segnali dell’allarme sociale che vive la nostra comunità. I tagli ai servizi ormai non si contano più e anche le attività in regola come quella di Arzu, che da mesi non riesce ad avere quanto gli spetta, non vengono supportate. Se i paesi dell’interno devono morire – è la sua conclusione – ce lo dicano chiaramente».
Lo so che mi ripeto ed mi arriveranno ancora email in cui mi s'accusa d'essere passatista e di dedicarmi ad anticagli , ecc
Ma se ancora tali eventi drammatici vengono strumentalizzati e messi sullo stesso piano d'altri ( ecco il perchè della mia provocazione di rimuovere la giornata del ricordo \ 10 febbraio non il ricordo e la sua celebrazione di cui ho scritto precedentemente ) si rischia la banalizzazione e lo svuotamento di tali tragedie
Ecco quindi che la decisione di quelle amministrazioni e scuole che celebrano per problemi organizzativi ( non solo per motivazioni ideologiche ) con un’unica cerimonia l’olocausto del popolo ebraico soprattutto e i martiri delle foibe, non può assolutamente essere condivisa.
Tale scelta si tratta, di un errore culturale, storico e politico. Non a caso il legislatore ha infatti voluto tenere ben distinte le due date. La celebrazione di queste ricorrenze non è solo un doveroso e commosso ricordo per lo più pulicoscienza di tutti gli scomparsi in questi tragici avvenimenti.
La Giornata della Memoria deve essere l’occasione per riflettere sulle persecuzioni razziali e sulle cause culturali, religiose e politiche (che in alcuni casi purtroppo ancora permangono) dell’antisemitismo e della xenofobia . Per ripensare a come, e perché, larghi strati di popolazione – non solo in Germania – siano stati accecati da una ideologia così assurda ed abbiano sostanzialmente avvallato una politica di sterminio del popolo ebraico e di tanti altri cittadini ritenuti “diversi”, inferiori, nemici. Per ricordare come anche l'Italia da prima minoritaria , poi dal 1936 e con l'apotesi 1938 con le leggi razziali , in , abbia purtroppo visto episodi di progressivo antisemitismo culminati nell’arresto e nell’assassinio di nostri concittadini ed la collaborazione con l'alleato \ poi occupante tedesco nella deportazione e nella soluzione finale unicamente colpevoli di essere, secondo la delirante propaganda nazista e fascista, di “razza ebraica” . Con diversi cha purtroppo, collaborano con delazioni e non solo alla persecuzione e con molti che finsero di non vedere o per paura non reagirono e stettero zitti .
Il giorno del ricordoovvero La tragedia delle foibe, seguita poi dalle persecuzioni del regime di Tito e dall'esodo dalle loro terre , periodo storico finalmente riportato al ricordo di tutta la nazione e non solo di una ristretta cerchia di persone studiosi \ specialisti er lo più , ha cause – aberranti motivazioni – che sono diverse da quelle dell’olocausto e che richiedono meglio dovrebbero momenti di meditata riflessione senza reticenze né strumentalizzazioni. Per troppi anni, su questo tema, si è taciuto facendo calare il silenzio totale ( o quasi ) su immani ecatombe.
Occorre ora svegliarsi da questo “sonno della memoria” mirando però a superare la visceralità di un ricordo in qualche modo ancora inquinato proprio da quelle ideologie totalitarie – fascismo e comunismo – che hanno determinato il dramma della Venezia Giulia o meglio di quello che alcuni chiamano confine orientale L’odio sciovinista, i sentimenti anti-slavi e quelli anti-italiani, le violenze mussoliniane e quelle titoiste, hanno creato un groviglio di contrasti che ancora oggi non è superato ed è difficile superare.
Ma tacere, rimuovere, non ci aiuta: solo il parlare ed il raccontare in maniera obbiettiva tali eventi ci farà finalmente liberi. Ci vogliono però analisi storiche e politiche serie, serene e senza secondi fini. Ecco quindi che Celebrare la Giornata della Memoria dell’olocausto insieme a quella del Ricordo delle foibe non aiuta a capire le diverse motivazioni dei due drammi, rischia ( scusate la retorica celebrativa , ma è a volte davanti a tali ricorrenze storiche non è semplice non esserlo ) solo di togliere valore e sacralità a ciascuna delle due commemorazioni. Perché, se è vero che è la morte di tanti innocenti che le accomuna è pur vero che proprio a queste vittime e sopravvissuti noi dobbiamo un contributo di verità. Perché tutto ciò non si possa mai più ripetere. Si tengano ben distinti, quindi, i due diversi momenti di approfondimento nelle istituzioni civiche, nelle scuole, anche nelle chiese e sui media .Per evitare che la melassa della retorica, quella dei buoni sentimenti che durano un giorno, l’abbia vinta – ancora una volta – sulla forza della ragione.
"Devo dire che in realtà ho sempre amato cucinare, da quando avevo 4 anni. Sin dal liceo, ho preso lezioni di pasticceria. Quello è stato un periodo difficile per me. Non avevo amici, non avevo una vita sociale. Sono stata vittima di bullismo, sempre presa di mira. Ed è per questo che ho preso queste lezioni.La mia missione oggi è lavorare e creare posti di lavoro per le persone con disabilità. Ce ne sono davvero tante che vogliono solo avere un lavoro. Non importa chi tu sia, puoi fare una grande differenza in questo mondo. A loro dico: 'Non lasciate che le persone vi buttino giù… Non concentratevi sulle vostre disabilità, fatelo sulle vostre capacità'". Così Collette, ragazza di 31 anni, dopo le tante porte in faccia ricevute nel cercare un lavoro è riuscita non solo a costruirsene uno tutto suo, ma anche a dare una mano a chi ha vissuto e vive la sua stessa situazione. La sua è molto più che una rivincita.
Essa era stata Respinta da tutti, scartata. Anche Collette Divitto, 31enne americana affetta da sindrome di Down, ha sperimentato sulla sua pelle le difficoltà della vita. Nel 2016 però ha aperto la sua pasticceria a Boston e da allora è davvero tutto cambiato
Al liceo è stata vittima di bullismo. Poi dopo il college, è stato difficile trovare un lavoro. In tutti questi momenti difficili, però, c'è stata sempre una cosa che ha reso felice Collette Divitto: cucinare. La 31enne americana, affetta da sindrome di Down, ha deciso di trasformare la sua passione in carriera, aprendo la sua pasticceria specializzata in biscotti a Boston, in Massachusetts. "Devo dire che in realtà ho sempre amato cucinare, da quando avevo 4 anni. Sin dal liceo, ho preso lezioni di pasticceria", ha raccontato Collette alla
idem foto precedente
CBS. "Quello è stato un periodo difficile per me. Non avevo amici, non avevo una vita sociale. Sono stata vittima di bullismo, sempre presa di mira. Ed è per questo che ho preso lezioni di pasticceria".Dopo la scuola, la giovane si è iscritta alla Clemson University nella Carolina del Sud, ma dopo il diploma si è accorta di quanto fosse difficile trovare un'occupazione. È stato a questo punto che sua madre l'ha aiutata a creare quello che oggi è il suo lavoro: Collettey's Cookies. L'azienda, che ha sede a Boston, è stata fondata da Collette nel 2016 e ha già generato entrate per oltre 1 milione di dollari negli ultimi cinque anni. E se avviare un'attività in proprio a 20 anni non è abbastanza impressionante, Collette Divitto è anche autrice di due libri per bambini, è presente nella docuserie "Born for Business" dedicata agli imprenditori con disabilità e gestisce un'organizzazione no profit. "Sono successe molte cose incredibili!", ha ammesso la 31enne.
Le aveva promesso di sposarla quando sarebbe guarita dal cancro. Purtroppo le cose non sono andata proprio come avrebbero sperato. I medici, infatti, le hanno dato soltanto pochi mesi di vita. Lui, per tutta risposta, ha deciso di rimboccarsi le maniche riuscendo a organizzare tutto in meno di 3 settimane. E l'ha sposata.
Dietro il dolore, dietro la paura, ma comunque il il giorno più felice della loro vita. Una settimana dopo lei non c'era già più, ma questa foto ancora oggi, riesce a strappargli un sorriso. Una storia intensa, emozionante, che ho letto e volevo condividere con voi. Attimi di felicità anche nei momenti più bui, anche davanti alle ingiustizie della vita.
L'immagine qui a sinistra ha provocato un ,secondo https://www.lastampa.it/torino/ 31 gennaio 2022 << Temporale politico in vista della Giorno del Ricordo, che si terrà il prossimo 10 febbraio, istituito nel 2004 per ricordare la vicenda dell'esodo giuliano-dalmata. Il tutto dopo che la Regione Piemonte, per l'occasione, ha pubblicato un manifestino di dubbio gusto. [... ] anto che il capogruppo di Luv parla di «una locandina che ha l’aspetto di un manifesto di propaganda nazista >> qui l'articolo completo . Tale locandona èin realtà una vignetta estrapolata e decontestualizzata del fumetto Anime in transito di Vanni Spagnoli uscito nel 2021 per Youcanprint; Pagine 52; ISBN 9791220314008 che potete trovare : sotto a destra la copertina il fumetto per chi vìfosse interessato lo può trovare in pdf su http://www.anonimafumetti.org/ più precisamente qui oppure se volesse approfondire e con backstage qui dove si discute del fiumetto con gli autori ( la prima parte ) e con ( la seconda parte ) lo storico MILETTO Enrico ( qui il suo curriculum ) esperto di tale periodo ( fra i suoi libri : Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo, FrancoAngeli, Milano 2020 ., gli italiani di Tito. La Zona B del Territorio Libero di Trieste e l’emigrazione comunista in Jugoslavia (1947-1954), Rubbettino, Soveria Mannelli 2019 )
L'utilizzo della grafica, contenuta nel manifesto, tradisce il significato originario del graphic novel "Anime in transito" realizzata dall'Anonima Fumetti - si legge in una nota diffusa dell'Istoreto.<< [... ] Già a dicembre "quando fu proposta dall'assessore Marrone una riedizione del graphic novel, fu concordemente respinta dagli enti e dagli autori che l'avevano promossa, contrari all'uso strumentale, ravvisabile nelle nuove pagine introduttive. Tale uso strumentale --- secondo repubblica del 1\2\2022 ( qui l'articolo integrale ) ---- è purtroppo riconfermato dal manifesto che circola in questi giorni". Già a dicembre, infatti, il presidente dell'Istituto Paolo Borgna aveva chiesto alla Regione di sospendere il progetto di ripubblicazione del fumetto con la nuova prefazione, a firma Marrone, perché ne cambiava "l'orientamento e la collocazione, sottraendola al ruolo che in origine la caratterizzava", e per l'uso "di concetti errati, come genocidio e pulizia etnica, propri della polemica politica \ ideologica " e "interessati a riproporre la contrapposizione con gli avversari di un tempo e alleggerire le responsabilità del fascismo italiano, promotore di una guerra sbagliata e perduta". [...] >>
Infatti , già di per se foibe e l'esodo senza contare quello che c'è stato prima è un argomento che per svariate ragioni ( voglia di dimenticare il terribile periodo del fascismo e del 2 conflitto mondiale , incapacità di fare i conti \ autocritica sui crimini commessi dal 1919 al 1945 in quelle zone , il volerli nsabbiare \ nascondere , lapolitica della guerra fredda ) molto doloroso e delicato da trattare storicamente in modo obbiettivo che fa si che non si riesca a ricordare nè a 360 gradiin maniera obbiettiva e non ideologica la complessa situazione in cui siu svolsero le foibe e l'esodo nè al di fuori dei classici schemi retorico o strumentali da cui destra e sinistra non sono immuni .
Ecco perchè propongo di abolire l'istituzionalizzazione. Infatti è manifestazioni come questa sembrano darmi ragione ancora non è pronti a celebrarlo senza cadere nel bieco ed nostalgico nazionalismo ormai condannato dalla storia ) della #giornatadelricordo ovvero i #10febbraio ed lasciare il ricordo di quest eventi la cui ferita ( causa #guerrafredda ed poca voglio di fare i conti con essa legata per i crimini italiani ad essa è ancora una ferita aperta, al ricordo privato o pubblico ma senza patrocini istituzionali . Ormai il seme in questi 18 anni di celebrazioni istituzionali e non solo è stato gettato e quindi tutti sappiamo cosa si ricorda e cosa tali eventi significhino sia che li si ricordi da una parte sia da un altra . Ma soprattutto , ovviamente senza generalizzare perchè in mezzo alla 💩 ci posso essere delle perle e delle cose fatte bene o abbastanza bene come il fumetto citato , se pur intrise di retorica patriottarda , La commemorazione del 10 febbraio è da tempo occasione di scontro
politico, è innegabile. Perché tale data viene usata per approfondire un’orribile pagina storica
dimenticata, messa in un angolo per mezzo secolo anche da un pezzo di mondo
intellettuale legato al Pci e dalla Dc ( punto di riferimento per la Nato e gli Usa ) insomma dalla guerra fredda che preferironotacere o sminuire tali fatti per non toccare certi equilibri di geopolitica dei due blocchi contrapposti Inoltre è al 90 % dei casi l’occasione per riscrivere la
storia, equiparando il comunismo al nazismo, colpevole della Shoah e mettere in un unico calderone due diversi genocidi .
Come dice Matteo Grimaldi uno degli account fb da me seguiti I dati suggeriscono che almeno il 5%-10% di adolescenti sono gay o lesbiche, questi ragazzi vivono questa fase di vita in profonda solitudine e in maniera molto più complicata e contorta la definizione di sé. Il senso di solitudine e la vergogna li portano a restare più isolati e a comunicare meno con le famiglie e con i pari. Ogni tanto si legge su qualche giornale notizie di ragazzi che muoiono suicidi, il rischio è doppio in adolescenti gay. Tra i fattori di rischio ci sono l'ambiente socio culturale, le discriminazioni tra pari, sentimenti di disgusto verso sé stessi e stati depressivi. Un importante fattore di rischio è l'accettazione all'interno del nucleo familiare, fattore che diviene protettivo quando vi è un buon rapporto tra genitori e figlio/a. Cari genitori, siate tanto tanto vicini ai vostri figli e alle vostre figlie. E questa storia presa sempre dal sui account n'è l'esempio
Un #Papà con la P maiuscola, che non solo ama sua figlia, ma combatte al suo fianco perché possa vivere la propria vita senza giudizi e amare chi vuole!
Ora sarà come dice il commento , sempre dal suo account , diAlessia Ronza << Matteo Grimaldi mi permetto di suggerire che quelle percentuali potrebbero essere incomplete o erronee, in quanto l'omosessualità non è scientificamente calcolabile e non è il solo orientamento sessuale esistente oltre all'eterosessualità. Alle volte mi pare che i numeri siano contenitori razionali di fenomeni, ma in alcuni casi troppo limitatori. >> Detto ciò, vorrei rinnovare il mio sentimento di stima verso di lui per l'impegno che hai nel diffondere un po' di umanità, per quanto sia possibile su un social come Facebook. Bisogna avere la pazienza di un Buddha. >>