18.2.22

i giovani non solo revenge porn e simili ma anche lotta al femminicidio e ala cultura sessista il caso degli studenti e le studentesse hanno occupato l'istituto Valentini Majorana di Castrolibero in provincia di #Cosenza

 

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Gli studenti e le studentesse hanno occupato l'istituto Valentini Majorana di Castrolibero in provincia di #Cosenza per ottenere ascolto contro le #molestie sessuali del professore di matematica.
Al loro fianco le forze dell'ordine, che ora sono sul posto a indagare.
La denuncia parte da una ex studentessa - la chiamerò Chiara - che ha trovato il coraggio di denunciare pubblicamente gli abusi subiti.
Da quanto sta emergendo, il professore avrebbe fatto a diverse studentesse allusioni sessuali, apprezzamenti fisici, richieste esplicite di sesso; a una ragazza del primo anno avrebbe addirittura dato il suo cellulare e le avrebbe chiesto di andare nel bagno della scuola e scattarsi una foto del seno in cambio della sufficienza.
E la Dirigente?! Prima ha detto di non crederci, poi ha liquidato la denuncia delle ragazze dicendo che si trattava di battutine e anzi, avrebbe affermato che non sapevano stare agli scherzi.
In merito alla questione della foto Chiara racconta che la Dirigente si sarebbe messa a ridere, poi ha convocato i genitori della ragazza e insieme hanno formulato il testo per una denuncia alle forze dell’ordine. Denuncia che però non è stata mai formalizzata dalla Dirigente. Come mai? E quando ha scoperto che Chiara cercava testimonianze di altre ragazze molestate dal docente l'ha
pure denunciata per diffamazione. Ma, appunto, non ha mai denunciato il docente.
Chiara è stata forte, ha acceso i riflettori su una vicenda da cui l'istituzione scolastica esce veramente distrutta.
Fra l'altro risulta che la Dirigente, al momento, invece di cercare un dialogo, spiegarsi, parlare alla sua comunità scolastica si sia messa in aspettativa per malattia.[ vedere foto documentale a destra tratta da sito dell'Uff. Regionale della Calabria viene pubblicata una richiesta ufficiale per la ricerca di un/una Dirigente in sostituzione dell'attuale. ] Insomma, sparita!
Chiara nel frattempo ha scoperto che il professore, prima di insegnare nella loro scuola, lavorava in un istituto tecnico, da cui era stato allontanato per lo stesso motivo. E continua con fermezza nella sua lodevole battaglia.
"Tante ragazze hanno dovuto affrontare le sue molestie, molte le stanno ancora subendo, e non vogliamo che se ne aggiungano altre. Non vogliamo che questa persona continui a lavorare nella scuola e a contatto con le ragazze".
Chiara, sei una ragazza eccezionale, e in questa battaglia non siete sole, avete al vostro fianco gli inquirenti innanzitutto e tutti i vostri compagni che non si accontenteranno certo dei silenzi. Grazie a te e a tutti gli studenti e le studentesse per l'immensa dimostrazione di #coraggio e valori che state dando.
👏❤️

16.2.22

anche le olimpiadi invernali sono simbolo d'amore e pace o quanto meno di coesistenza il caso L'abbraccio tra le sorelle Delago, Nadia e Nicol, dopo la discesa libera e l'abbraccio tra l'ucraino Abramenko e il russo Burov





L'abbraccio tra le sorelle Delago per il bronzo di Nadia nella discesa libera di Pechinodi Claudio CucciattiL'abbraccio tra le sorelle Delago, Nadia e Nicol, dopo la discesa libera (reuters)
Al termine della gara Nicol, di quasi due anni più grande, si è buttata tra le braccia della sorella, ancora incredula per essersi piazzata alle spalle di Suter e Goggia. "È una fortuna fare questo percorso insieme e avere al tuo fianco una persona sempre pronta ad aiutarti"

La medaglia l'ha conquistata Nadia, ma Nicol, undicesima al traguardo, ha esultato come se quel bronzo fosse suo. La discesa di Pechino, oltre a un podio per due terzi azzurro, ha regalato all'Italia due storie da ricordare nel tempo. L'argento di Sofia Goggia23 giorni dopo l'infortunio al ginocchio nel SuperG a Cortina: determinazione, grinta, un pizzico di incoscenza. Un'impresa sportiva d'altri tempi. E poi l'abbraccio tra le due sorelle Delago, legate in pista e fuori. Urla e lacrime, una grande gioia condivisa per il primo podio della carriera di Nadia Delago (Coppa Europa esclusa), nella gara più importante della vita, la discesa libera olimpica.

Quasi due anni di differenza: Nadia è nata nel novembre 1997, Nicol nel gennaio 1996. Originarie di Selva, sono cresciute insieme nello Sci Club Val Gardena. Atleta delle Fiamme Oro Nadia, membro delle Fiamme Gialle Nicol. Nella tappa di Coppa del mondo sulla pista di casa a salire sul podio era stata la sorella maggiore, anche quel giorno ci fu una grande festa in famiglia.

Pechino 2022, Nadia Delago, bronzo in discesa: "Il mio primo podio proprio qui. Sono fortunata"

"È una grande fortuna poter condividere questo percorso insieme, avere la certezza di avere qualcuno vicino che per te ci sarà sempre". Come lo è stata Nadia per Nicol, dopo la rottura del tendine d'Achille a fine 2020. E lo sci in casa Delago è un affare di famiglia: a dare consigli alle due sorelle il papà Norbert, maestro di sci, e gli zii Karla e Oskar Delago, discesisti di Coppa del mondo negli anni Ottanta.

Unite in pista, unite fuori. Insieme alla mamma coltivano la passione per la cucina. Nadia voleva diventare chef, poi ha deciso di seguire la sorella e continuare a sciare. Per fortuna, i fornelli possono aspettare. Tutte e due seguono una dieta da sportive, ma non si tirano indietro se c'è da preparare un primo o una specialità composta con frutta e verdura. Pizza e dolci sono le tentazioni che respingono sì, ma con grande difficoltà. I paesaggi della Val Gardena fanno da sfondo alle loro lunghe passeggiate, a cui si unisce spesso Mika, un bellissimo ed enorme cane di razza samoiedo. Come loro, ama correre sulla neve. Tutti insieme, uniti, così si costruisce una vittoria. E poi inizia la festa.

l'altra storia   dimostra  che  Lo spirito olimpico più forte delle tensioni internazionali. Mentre il mondo guarda con preoccupazione alla crisi in corso tra Russia e Ucraina e a una possibile guerra da scongiurare, alle olimpiadi invernali di Pechino due atleti fanno vincere il rispetto e l'amicizia: sono l'ucraino Abramenko e il russo Burov. I due si sono abbracciati sul podio della specialità aerials del freestyle skiing





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Oleksandr Abramenko medaglia d'argento e Ilia Burov di bronzo nella specialità aerials del freestyle skiing: al Genting Snow Park di Pechino 2022 di Zhangjiakou, l'atleta ucraino (avvolto nella bandiera nazionale) e quello russo si sono salutati tra sorrisi e battute, fino a posare insieme abracciati per le foto di rito sulla postazione più alta

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Un gesto di amicizia e di rispetto, nel solco dello spirito olimpico, che va oltre le forti tensioni tra i due paesi. Negli ultimi mesi la crisi tra Russia e Ucraina si è aggravata e il rischio di una guerra è ancora forte, nonostante il lavoro delle diplomazie internazionaliLo speciale di skytg24.it sulla crisi tra Russia e Ucraina

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A dispetto delle relazioni tesissime tra Ucraina e Russia, tra venti di guerra e minacce di invasione, Abramenko e Burov si sono ritrovati a conferma di un rapporto consolidato in nome dello sport che prosegue da PyeongChang 2018

sul fine vita ha trionfato l'ipocrisia di stato

Lo so che  «Il tema è complesso e forse bisognerebbe attendere le motivazioni integrali della Consulta prima di parlare »  come dice la mia amica Federica Raimondi . Ma  a   caldo  mi  è venuto    questo  commento  beati gli ignavi che hanno deciso di non concedere a chi soffre di morire con dignità loro si che hanno i soldi per poterlo fare ed andare in svizzera .  Quindi   non riuscendo  a trovare   altra  risposta   una  risposta   , e    volendo  sentire  altri  pareri  ho condiviso   da un  gruppo di facebook   quella  slide  


e mentre    aspettavo  le  vostre  risposte    ho letto questo interessante  articolo  di  MARTA PETTOLINO   su    https://www.thesocialpost.it/  del 16 FEBBRAIO 2022, 10:24

Cosa vuol dire “vita” quando nasconde la violazione del diritto all’autodeterminazione e alla dignità

C’è da chiedersi cos'è la vita per la Corte costituzionale. E soprattutto perché perpetuare nella sofferenza
irreversibile significa tutelare una persona togliendole anche la dignità di se stesso
Ti sei mai chiesto come ti sentiresti chiuso in gabbia? O peggio ancora incatenato e chiuso in gabbia? Senza avere nessuna possibilità di cambiare la situazione se non convivere ora dopo ora, giorno dopo giorno, con il tuo aguzzino nell’impossibilità di abbandonare una sofferenza insopportabile?
Mi auguro di no. Pensaci adesso: cosa proveresti ad essere totalmente paralizzato e a poter muovere solo gli occhi? Oppure poco altro. Cosa proveresti a pensare che domani mattina, all’improvviso, ti svegliassi in un corpo che non è più il tuo. Cosa proveresti a non avere una via d’uscita.
Eutanasia legale: quando non si ha via d’uscita
Eppure alla via d’uscita siamo stati molto vicini, ma la Corte Costituzionale ha sentenziato che dare agli italiani la possibilità di scegliere la legge sul proprio fine vita è inammissibile.
La Corte ritiene che il referendum non preserverebbe la tutela minima della vita “in particolare delle persone deboli e vulnerabili”.
Oltre 1 M I L I O N E 200 e 40 persone si sono recate ai banchetti per la strada per informarsi e firmare la petizione al referendum. Più di milione di persone che vengono ignorate, a cui viene negato il diritto di votare per il proprio futuro.
L’autodeterminazione che ci rende unici come specie viene sepolta da falsi bigottismi e i diritti ancora calpestati.
Referendum eutanasia: cosa prevedeva
La richiesta era quella di abrogare l’art. 579 del codice penale e quindi abolire il reato di omicidio, punito da 6 a 15 anni, per chi aiuta a morire una persona, con il consenso della stessa, in condizioni di sofferenza insopportabile e irreversibilità della patologia. Mantenendo però le disposizioni relative all’omicidio, contenute nell’articolo originario come aggravanti, se il fatto è commesso:
Contro una persona minorenne;
Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
L’eutanasia non è un suicidio, ma è la libertà di non soffrire più in determinate condizioni
Per rientrare in un caso di eutanasia ci sono delle regole, non è, come spesso sento dire da non informati e sostenitori della libertà di espressione ad ogni costo, una legalizzazione del suicidio, parola inserita anche dal nostro codice penale, che andrebbe riformato anche sul linguaggio.
La società cambia, il linguaggio pure, il codice penale a quanto pare no.
Le regole che ci dice Marco Cappato, politico italiano e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, promotrice della raccolta firme per il referendum sono:
quella della sofferenza insopportabile
quella della malattia irreversibile
e quella della volontà esplicita della persona
E non vada invece inclusa la quarta condizione che è quella di essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali. Io penso che non debba essere necessario essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale per ottenere il diritto a morire.
Ma la Corte ritiene che il referendum non preserverebbe la tutela minima della vita “in particolare delle persone deboli e vulnerabili”. C’è da chiedersi fino a che punto bisogna tutelare non la vita ma le funzioni vitali, non più autonome, ma garantite da apparecchiature mediche, nelle condizioni in ci non esiste la speranza di un miglioramento e l’unica certezza è la sofferenza insopportabile. C’è da chiedersi allora cosa significa la vita per la Corte. E soprattutto perché si pensa che perpetuare nella sofferenza significhi tutelare una persona togliendole la dignità della sua volontà.
Ho visto da vicino che cosa è capace di fare la strada e invito i membri della Corte a farsi un giro negli ospedali, dove ci sono i pazienti con gravi traumi cranici acquisiti con danni irreversibili, li invito ad andare a trovare le persone che hanno chiesto l’eutanasia e li invito ad accompagnarle in altri Paesi per porre fine alle loro sofferenze. Paesi che sono capaci di ascoltare e di tutelare la vita senza aggrapparsi a false ideologie, che non dovrebbero essere parte di uno stato laico e democratico. Valori che ci hanno raccontato essere importanti anche per il nostro di Paese, stesso Paese che poi impedisce a noi, ormai sudditi, di votare per la nostra vita.

Il campione di pattinaggio che vuole aiutare gli altri a batterlo Dopo aver vinto due ori a Pechino, Nils van der Poel ha spiegato per filo e per segno come si è allenato e cosa lo ha motivato





Nel 2018, alle Olimpiadi invernali di PyeongChang, il pattinatore di velocità svedese Nils van der Poel, allora ventunenne e alle sue prime Olimpiadi, arrivò 14° nei 5.000 metri, con quasi dieci secondi di ritardo dal vincitore. Non riuscì nemmeno a qualificarsi nei 10mila, una gara affascinante e sfibrante. Per un paio di anni lasciò quindi il pattinaggio di velocità su ghiaccio e si dedicò ad altro: l’esercito, il ciclismo e le ultramaratone, per esempio. Dopodiché riprese a pattinare e nel febbraio 2021 vinse due ori Mondiali, nei 5.000 e soprattutto nei 10.000, la “gara regina” del pattinaggio su ghiaccio, in cui stabilì un nuovo record del mondo.
Pochi giorni fa, alle Olimpiadi di Pechino, van der Poel ha vinto l’oro nei 5.000, distanza su cui da dicembre detiene il record del mondo, e pure quello nei 10.000, peraltro migliorando il suo record precedente su una pista considerata tutt’altro che veloce. Dopo i suoi due ori, van der Poel ha pubblicato un dettagliatissimo documento di 62 pagine che riporta rigorosissime informazioni sui suoi allenamenti, unite a considerazioni generali sullo sport e la sua vita da sportivo: alcune sono serissime e piuttosto profonde, altre sono invece divertenti e scanzonate. Il documento, ha detto van der Poel, vuole essere d’aiuto a chi voglia provare a ottenere risultati simili ai suoi. Visto che, a quanto pare, lui vuole ritirarsi dal pattinaggio: almeno per ora. Ma è uno sportivo eccentrico e fenomenale, e quindi chissà se, quando e dove, risalterà fuori.



(Richard Heathcote/Getty Images)

Nils van der Poel è nato il 25 aprile 1996 a Trollhättan, nel sud della Svezia. I nonni materni arrivarono lì dall’Ungheria, il nonno paterno dai Paesi Bassi: motivo per cui sebbene sia svedese van der Poel ha un cognome tipicamente olandese (tra l’altro uguale a quello di Mathieu van der Poel, grandissimo ed eclettico talento del ciclismo). Iniziò a dedicarsi al pattinaggio di velocità su ghiaccio (un’attività molto olandese e non granché svedese) da ragazzo, con l’iniziale obiettivo di diventare un miglior giocatore di bandy, uno sport di squadra perlopiù scandinavo, piuttosto simile all’hockey su ghiaccio. «Il bandy era per l’80 per cento pattinaggio» ha raccontato «quindi a otto anni iniziai il pattinaggio su velocità, perché ero molto motivato nello sport».
Ebbe un’ottima carriera giovanile e poi arrivarono le Olimpiadi del 2018, dopo le quali ha ricordato di aver pensato: «il pattinaggio di velocità non fa per me, diventerò un soldato». Dopo le Olimpiadi e dopo aver già deciso di arruolarsi, nel marzo 2018 andò comunque ai Mondiali di Pattinaggio di Amsterdam e vinse l’oro nei 10.000, davanti a due olandesi. «Fu una grande esperienza, ma sapevo che non avevo in me l’ispirazione necessaria per fare altri quattro anni» ha detto alla Federazione mondiale del pattinaggio su ghiaccio (ISU). «Mi serviva una pausa».

Essenzialmente la “pausa” ha consistito in un anno da militare, seguito da «una ventina di ultramaratone» (gare di corsa su distanze superiori ai 42 chilometri della maratona), «un migliaio di salti col paracadute» e – parole sue – «tante feste». Sempre van der Poel ha detto, di quel periodo: «ho fatto tanto snowboard, molto scialpinismo, e ho girato in bici la Svezia». In un’occasione da Riksgränsen, duecento chilometri a nord del Circolo polare artico, fino a Smygehuk, il punto più a sud della Svezia.
Van der Poel ha detto che nel periodo di assenza dal pattinaggio gli capitò di pensare più volte: «perché mai dovrei volere pattinare in tondo su ovali di 400 metri più veloce che posso?». Capì poi che se era uno dei più bravi al mondo a fare una cosa valeva la pena provare a diventare il più bravo di tutti, per «ispirare altri a fare lo stesso». Sempre all’ISU, van der Poel ha detto: «gli atleti sono clown e ballerini, siamo intrattenitori e figure di riferimento, è l’unica spiegazione ragionevole che trovo per voler fare sport».
Dopo il ritorno, van der Poel si è effettivamente dimostrato più forte di tutti, più volte. Il record del mondo del 2021 lo fece peraltro al livello del mare, che come ha scritto il giornalista Rai Stefano Rizzato è «qualcosa di inconcepibile, in uno sport che da anni vede tutti i propri record realizzati in altura» dove l’aria è più rarefatta e quindi c’è meno attrito. Ha vinto sempre, talvolta stravinto staccando gli avversari di alcuni secondi: come ha notato il New York Times, «un’eternità, in uno sport che spesso si decide per centesimo di secondo».
Subito dopo i due ori di Pechino, per la Svezia i primi in quelle discipline in oltre trent’anni, van der Poel ha dato alcune interessanti interviste (una delle quali con Rizzato) in cui, tra le altre cose, ha detto: «quando sei un un atleta professionista in uno sport che fa così schifo come il pattinaggio di velocità, devi trovare un modo per riuscire a renderlo meno schifoso».
Poi, soprattutto, van der Poel ha pubblicato quel suo documento di 62 pagine dal titolo: “Come pattinare i 10mila …e metà 10mila». La cosa migliore, per chiunque sia appassionato – allo sport e all’allenamento in generale, non solo al pattinaggio sul ghiaccio – è leggerselo. Anche perché, come fa notare Rizzato, «è scritto in inglese impeccabile, molto dettagliato e di approccio assolutamente scientifico».
Altrimenti, il Wall Street Journal lo ha sintetizzato così: «c’è dentro tutto, spiegato con dovizia di particolari, dagli allenamenti a intervalli a come si sentiva dopo ogni sessione», ed è «una ricetta completa per un oro olimpico nel pattinaggio su ghiaccio».
Il testo pubblicato da van der Poel racconta come, anzitutto, per un anno non fece nulla su ghiaccio, concentrandosi invece a sviluppare la sua capacità aerobica, per esempio pedalando per oltre 30 ore settimanali. Spesso imprimendo sui pedali una potenza che, ha scritto il Wall Street Journal, «non era lontana da quella dei ciclisti professionisti». Il documento parla delle 7mila calorie di cui van der Poel aveva bisogno in certi giorni e di come, tra le altre cose, tutte quelle calorie – poi consumate con ore e ore di allenamento quotidiano – creino però problemi ai denti.
Van der Poel poi si è dedicato solo al ghiaccio, senza alternare al pattinaggio attività di altro tipo, per esempio – come fanno gli atleti di quasi ogni sport – con sessioni in palestra. «Non illuderti» scrive van der Poel nel documento di cui è autore analizzante e protagonista analizzato, «non sacrificare ore di sessioni essenziali per fare altro che suona più facile o più piacevole: sì, vero, la palestra è calda e accogliente, ci sono specchi ovunque così che tu veda la tua bella faccia e i tuoi muscoli attraenti […]. Ho tagliato completamente quello che pensavo fosse sub-ottimale così da aumentare le sessioni ottimali». Ammette però che, col senno di poi, un poco più di stretching non sarebbe stato una cattiva idea.
Gran parte degli allenamenti di van der Poel è stata fatta e gestita da solo, con rigorosa dedizione e con grandi attenzioni alla parte tecnica del pattinaggio. Ma il documento parla anche della possibilità di svagarsi– «a volte tutto quel che mi serviva era una birra, o otto birre» – e della necessità di alternare lunghi giorni di allenamento con altri di distensione, fisica e mentale. Molto semplicemente, ogni settimana van der Poel si allenava per 5 giorni e si riposava, uscendo e vedendo persone, per 2 giorni.
Tra le tante riflessioni, divise e organizzate per argomento, van der Poel ha scritto: «non ho mai pattinato un 10.000 senza essermi chiesto perché abbia deciso di diventare un pattinatore di velocità».
All’inizio del suo resoconto, scrive:


«Un mio amico pensa che il mio successo sia basato soprattutto sul mio talento. Che i piani di allenamento che mi hanno divorato non darebbero gli stessi risultati con chiunque non sia me. Forse ha ragione, forse no. Io penso che abbia un po’ ragione e un po’ no. Mi piace pensare di essermi guadagnato il mio successo. E mi auguro che questo sport continui a migliorare e che i miei record possano essere battuti».

Van der Poel aggiunge di non credere che sarà lui ad abbattere il muro dei 6 minuti nei 5.000 metri e quello dei 12 minuti e 30 secondi nei 10.000 metri (due soglie importanti e significative, i cui record ora sono a poco più e poco meno di un secondo), «ma che forse qualcun altro ci riuscirà».
Cosa farà lui nei prossimi mesi o anni è ancora più difficile dirlo. Sembra voglia ritirarsi, e ha detto a Rizzato: «ora tornerò in Svezia, ma non so nemmeno a quale indirizzo. Finirò la stagione [di pattinaggio], poi tornerò a fare le ultramaratone o le adventure race [corse su percorsi non battuti]».

15.2.22

J-Ax risponde alle accuse e gli insulti a Emma, Michele Bravi e Grignani

Anche J-Ax è intervenuto sui giudizi, in alcuni casi gli insulti, piovuti addosso su tre artisti diversissimi tra loro come Emma Marrone, Michele Bravi e Gianluca Grignani.
E in quattro minuti le ha suonate veramente a tutti, cogliendo esattamente il punto. potrà alle  male  lingue  specialmente    sembrare  un radical  chic  ma  qui dice  una  cosa  importante    , cosa  rara  nel mondo  dello spettacolo . Una  rarità  . 

Un video quasi perfetto in cui il cantante ripercorre parti della sua vita e analizza quel mondo che si perde dietro al bullismo da tastiera. Anche contro gli artisti

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J-Ax

Quattro minuti e una manciata di secondi. Questa la durata dell’intenso video registrato e pubblicato sui suoi canali social da J-Ax per sintetizzare – e ci riesce benissimo e co grande profondità – tutta quella sequela di insulti e commenti su Emma Marrone, Michele Bravi e Gianluca Grignani dopo la loro apparizione sul palco dell’Ariston durante l’ultimi Festival di Sanremo. Parole che vanno a toccare esattamente tutte quelle spigolature, con un’analisi approfondita di dinamiche che in passato hanno portato a eventi tragici.

Su Yiming, il 'principino' è diventato re: "Per lo snowboard ho smesso di fare l'attore

dopo  Il primo oro di Eileen Gu, la principessa che incanta la Cina (  foto sotto a  sinistra  )  ecco un  altro  oro  baby  cinese  


Su Yiming, il 'principino' è diventato re: "Per lo snowboard ho smesso di fare l'attoreSu Yiming (reuters)
A pochi giorni dai 18 anni, il cinese conquista uno storico oro nel big air. Una ascesa divisa con la carriera di attore: è stato Shuan Zi in The taking of Tiger Mountain, uscito pure in Italia,

PECHINO - Da giovane promessa del cinema a imperatore dello snowboard. Ad appena 17 anni. Su Yiming, il "principino", si è fatto grande tutto d'un colpo. Dopo l'argento della settimana scorsa, questa mattina si è superato vincendo uno storico oro nello snowboard big air, staccando il norvegese Roisland e il canadese Parrot. "Era il sogno più grande che avevo fin da bambino", dice. Il bambino diventerà maggiorenne tra tre giorni, il 18 febbraio: non male queste due medaglie come regalo di compleanno. "Per questa", dice mostrando l'oro, "ho dovuto smettere al momento di recitare, per concentrarmi meglio".
Una carriera di attore accantonata, per ora... Sì perché Yiming si è trovato di fronte ad una scelta non facile: proseguire con la promettente carriera da attore (tre serie tv e due film all'attivo) o dedicarsi esclusivamente allo snowboard per prepararsi alle Olimpiadi proprio qui in Cina?
I piedi sulla tavola Yiming li ha messi a 4 anni a Jilin, nell'estremo nordest dove è nato, spinto anche dai genitori, Qun e Lei, veri appassionati. Dieci anni dopo entra nel giro della nazionale, dopo aver recuperato da un brutto infortunio. A seguirlo arriva il campione giapponese Yasuhiro Sato. "Mi alleno 320 giorni all'anno", disse un mese fa in una delle rare interviste. Anche se il cinema però non lo vuole abbandonare del tutto. "Voglio che le persone vedano che non c'è soltanto questa parte di me, che non sono soltanto uno snowboarder e che non ho paura di nessuna sfida".
Amici con Eileen Gu sin dall'infanzia
Primo cinese a compiere un backside triple cork 1620, due anni fa. A gennaio 2021 primo cinese a completare un Cab 1800 e in ottobre entrato pure nel Guinness World Records con un backside 1980 Indy Crail. Il grande pubblico che lo snowboard non lo mastica lo ha conosciuto otto anni fa nei panni del piccolo Shuan Zi in The taking of Tiger Mountain, uscito pure in Italia, del regista hongkonghese Tsui Hark, tratto dal romanzo di Qu Bo. Ruolo guadagnato proprio al talento di questo ragazzino sulla neve. Poi di film ne è arrivato un altro, Rock Kid, e pure tre serie televisive.
Amico d'infanzia di Eileen Gu, l'altra eroina di casa nelle acrobazie con gli sci ai piedi (un oro e un argento finora pure lei), la diciottenne nata in America che tre anni fa decise di gareggiare per la Cina, patria della mamma. I social sono impazziti la settimana scorsa quando Eileen ha postato su Instagram una foto di lei e Yiming da piccolini, sci e tavola rispettivamente in mano, sorridenti. "Congratulazioni, ti voglio bene", scriveva lei dopo l'argento dell'amico. Eccoli i baby campioni che la Cina aspettava.

Sofia Goggia, Valentino, Totti e gli altri: quando l'impossibile diventà realtà

 


Pechino 2022, Goggia d'argento, l'ortopedico del Coni: "Vi spiego perché la sua è un'impresa" Ai Giochi di Pechino Sofia Goggia ha conquistato l’argento olimpico nella sua specialità, la discesa libera, quattro anni dopo l’oro di Pyeongchang nella stessa disciplina.

La campionessa bergamasca ha recuperato in soli 23 giorni da una lesione al legamento crociato del ginocchio sinistro. Abbiamo chiesto a Francesco Franceschi, professore associato di Ortopedia all’Università Unicamillus di Roma e ortopedico dell'istituto di Medicina dello Sport del Coni i come e i perché del suo recupero prodigioso. infatti Quella della bergamasca, argento olimpico a soli 23 giorni da un grave infortunio, è solo l'ultimo dei tanti recuperi in extremis di grandi campioni che hanno caratterizzato la storia dello sport

Ci si spezza per vedersi ritornare. I 23 giorni che separano l'infortunio di Sofia Goggia dall'argento che vale più dell'oro nella discesa libera delle Olimpiadi di Pechino segnano il confine tra l'impossibile e il possibile. Oltre il dolore e prima del trionfo, ricca è la lista dei campioni interrotti da un ginocchio che salta, un muscolo che si strappa, un incidente di percorso, un destino cattivo. Non escludono il ritorno, mentre in testa il martello che batte è quello di una sola domanda: tornerò quello di prima? Valentino Rossi al Mugello, 2010: frattura esposta di tibia e perone. Il Dottor Costa della Clinica Mobile disse: "E' molto grave, la gamba si è spezzata, è uscito fuori l'osso che ha lesionato la pelle. Non tornerà prima di tre mesi". Trenta giorni dopo Vale era in sella alla Yamaha, ne erano passati 41 quando si presentò in pista. Al Sachsenring giunse quarto.

Pechino 2022, Goggia in gara nei Giochi tre settimane dopo l'infortunio: quando il recupero è lampo

Totti e il Mondiale del 2006

Tenacia, quella cosa lì. Tackle di Vanigli su Totti, frattura del perone: drammone azzurro, al Mondiale manca poco. Ma poco è abbastanza per recuperare. Da catalogo: cinque mesi. Totti tornò dopo 100 giorni secchi, andò al Mondiale, segnò contro l'Australia il gol che ci aprì le porte della semifinale e alzò la coppa del mondo. Impresa non riuscita a Franco Baresi nel 1994, in campo nella finale contro il Brasile a 24 giorni dall'infortunio al menisco che l'aveva bloccato ad inizio torneo. Il Ritorno contempla la perseveranza e mette in conto l'azzardo. Mika Hakkinen nel 1995 entrò in coma, quando si svegliò gli dissero: ce l'hai fatta, ora però spegni il motore e scendi dall'auto. Eh, come no. Campione del Mondo 1998, campione del mondo 1999.

Pechino 2022, Sofia Goggia, argento nella libera: "Il sogno olimpico mi ha fatto guarire presto"

Lauda e Hakkinen al limite dell'incoscienza

Sottrarsi all'evidenza, fuggire la mala sorte. Niki Lauda finì nel fuoco di Nurburgring, era il 1° agosto del 1976. La pelle ustionata, l'anima ferita. Quaranta giorni dopo era in pista per difendere il titolo Mondiale, ma le favole ogni tanto prendono deviazioni inattese: sotto il diluvio di Fuji Lauda decise di ritirarsi. Scrissero che Niki "aveva avuto il coraggio di avere paura". Nel 1995 Marco Pantani venne investito da una macchina mentre correva la Milano-Torino. Cartella clinica da far paura, però nove mesi dopo era di nuovo alla partenza.

Lorenzo in pista a 35 ore dall'operazione, Paltrinieri e la mononucleosi

Talvolta invece la paura è un fantasma, basta fargli "Buuu" e scompare: Jorge Lorenzo, anno di grazia 2013, cade nelle libere del giovedì, si frattura la clavicola, la stessa sera si opera, il sabato - a 35 ore dall'operazione - è in pista. Follia? Claro que sì. Prima delle Olimpiadi di Tokyo Greg Paltrinieri aveva contratto la mononucleosi e - di conseguenza - sospeso gli allenamenti. Si era presentato in acqua come un bambino che rivede il mare dopo un anno. Argento negli 800 stile libero, 4° posto nei 1500, bronzo nella 10 km., a dimostrazione che certi campioni danno il meglio quando il mondo si mette di traverso. E comunque ogni storia si carica di simboli, sta a noi dargli un significato.

L'incredibile Eriksen

Prendete Christian Eriksen. Il 21 giugno, all'Europeo, il suo cuore aveva smesso di battere. Il 14 febbraio, in un'amichevole, quello stesso cuore batteva il tempo della più imprevista delle felicità: un'ora in campo, nell'amichevole che il Brentford ha giocato contro il Southend United, a porte chiuse e orizzonti aperti. Che poi, a pensarci, non conta poi molto alzare una coppa o baciare una medaglia. Più del traguardo, la traccia che resta è quella del viaggio. A spingere Roberto Baggio verso la convocazione al Mondiale di Corea - in quel tardo inverno del 2002 - era tutta l'Italia. Il 31 gennaio si ruppe il legamento. Aveva 35 anni, le sue ginocchia martoriate somigliavano allo scarabocchio di un ragazzino ipercinetico, poteva anche finirla lì. Invece no. Decise di operarsi il 4 febbraio, 76 giorni dopo era in campo a segnare una doppietta e a mandare segnali al CT Trapattoni. Non servì a garantirgli il Mondiale, il Trap lo lasciò a casa. Ma servì a fare di Baggio ciò che amiamo nei campioni eterni: uomini che hanno attraversato il dolore e ne sono usciti forse migliori, di sicuro testimoni di quanto lo sport esalti l'uomo e lo spinga a fare cose impensabili.


Saviano criticato dalla madre di Claudio Domino, il bambino ucciso dalla mafia a 11 anni



La madre del piccolo Claudio Domino, ucciso dalla mafia a soli 11 anni, si è scagliata contro il giornalista Roberto Saviano, tornato sul piccolo schermo con un nuovo programma d’inchiesta.

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Nella serata di sabato 12 febbraio, Roberto Saviano è tornato in televisione con il suo nuovo programma Insider, faccia a faccia con il crimine. Il format, composto in totale da quattro puntate, si articola attraverso una serie di “faccia a faccia” con le organizzazioni criminali. Vengono mostrate agli spettatori, infatti, interviste a pentiti, agenti infiltrati e testimoni di giustizia che hanno vissuto simili realtà in prima persona, dall’interno.
In seguito alla messa in onda della prima puntata del programma, dedicata al clan dei Casalesi, il giornalista è stato aspramente criticato da Graziella Accetta, madre del piccolo Claudio Domino, il bambino di 11 anni morto per un colpo di pistola alla testa il 7 ottobre 1986. La donna, che da 36 anni insieme al marito Ninni continua a cercare la veritàsull’assassinio del figlio, ha commentato il lavoro dello scrittore con le seguenti parole: “Roberto Saviano è un personaggio di spettacolo, tanti altri giornalisti che hanno la scorta fanno vera lotta alle mafie senza fare spettacolo”.
Il post condiviso da Graziella Accetta sui suoi canali social contro il giornalista

Graziella Accetta, poi, soffermandosi sui bassi risultati della trasmissione in onda su Rai 3 che in termini di ascolti ha registrato 941.000 spettatori e uno share di 4.7%, ha scritto sui social: “La gente non lo segue perché non ha fiducia in lui, non gli crede – e ha aggiunto –. Se la stessa trasmissione fosse stata fatta da un giornalista credibile e con familiari che non si sono arricchiti, ma che hanno fatto vera lotta alla mafia, saremmo stati davanti alla tv”.
Rispondendo a un commento di una donna che difendeva Roberto Saviano e la attaccava con forza, Graziella Accetta ha dichiarato: “Questo imprimere il proprio pensiero e il modo di pensare non è una bella cosa, rispetto tante altre persone che rischiano la vita senza fare ‘pomata’ e stai tranquilla che io sono proprio l’ultima persona che possa favorire le mafie, e non faccio figli e figliastri – e ha ribadito –. Saviano è l’ultima persona che possa capire e non sta proprio dalla mia parte. Io sono rimasta in prima linea a Palermo a combattere e non voglio soldi. Lo faccio a titolo gratuito sempre, sai perché? Perché il sangue di mio figlio non ha prezzo e tanti anni fa ho rinunciato alla scorta, invece… lui?”

Ha un malore sulla tomba del marito a cui fa visita ogni giorno da quarant'anni: la signora Erminia muore a San Valentino

 Lo  so che  san  valentino   è passato  ma   la leggo ora   . e poi  l'amore  è anche  questo    non  è solo  sbaciucchiamenti ,  coccole   e  .....   ci  siamo  capiti  😀🙄😏😛.


Ha un malore sulla tomba del marito a cui fa visita ogni giorno da quarant'anni: la signora Erminia muore a San Valentino L'85enne viveva a Treviglio, nella Bergamasca. Era rimasta vedova con sette figli tanti anni fa, ma non mancava mai di portare un fiore a suo marito. Il malore ieri, inutili i soccorsi

Ogni giorno, da quarant’anni, andava al cimitero, sulla tomba di suo marito, per portargli fiori, fare una preghiera, mantenere quel filo che li aveva legati per tanto tempo. E ieri sulla tomba del marito Giacomo,

nel giorno di San Valentino - ed è una coincidenza che sembra essere parte di questa storia - la signora Erminia Dossi, 85 anni, ha avuto un malore ed è morta.
La storia, raccontata dall’Eco di Bergamo, avviene a Treviglio. La signora Erminia era rimasta vedova giovane, con sette figli, ma non aveva mai dimenticato suo marito, tanto da trasferirsi in un condominio nei pressi del cimitero di via Abate Crippa, così da poter andare ogni giorno a salutarlo. Così ha fatto anche ieri: subito dopo pranzo ha percorso il centinaio di metri che separano casa sua dal camposanto per la visita quotidiana. A trovarla riversa per terra, davanti alla lapide del marito, una donna che stava andando a portare fiori a una parente. Prima un operatore cimiteriale, poi i soccorritori del 118 hanno provato a rianimarla, senza però riuscirci.

14.2.22

Lei ha 100 anni, lui 103: Pasqua e Marco festeggiano 83 anni di matrimonio. "Dal primo bacio alla guerra, quante vite insieme"



Se non è record, poco ci manca. Marco Milo e Pasqua Palmieri si sono sposati il 15 gennaio del 1938, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. 

E ora la coppia di centenari - quasi 103 anni lui e 100 lei - che vive a Palo del Colle, nel barese, festeggerà 83 anni di matrimonio. Nozze d’argento, rubino, oro, diamante, ferro, fino a superare quelle di quercia. “Con la mano di Dio siamo arrivati a quest’età”, ripete Pasqua, che non svela il “segreto” di un matrimonio così duraturo. Ma preferisce raccontare, per filo e per segno, grazie a una memoria invidiabile, ciò che la coppia ha dovuto affrontare, dal primo bacio all’amore condizionato dalla guerra: Marco combatté da bersagliere a Zara, in Croazia (e non ha dimenticato la marcia, che canta con il cappello piumato in testa). E infine la pandemia: una questione che, dopo le testimonianze sull’atrocità della guerra, si guarda inevitabilmente da un’altra prospettiva. “Non sappiamo niente sul Covid, quando Dio vuole ci chiama e siamo sempre pronti”. Pasqua è serena. Ma Marco, con lo sguardo corrucciato, subito la blocca: “Sto bene, perché dovrei andare al cimitero?”


alle olimpiadi viene bandoito il dissenso il caso Pechino 2022, atleta ucraino mostra un cartello contro la guerra. Ma il Cio lo bacchetta




Il Cio ha reso noto di aver “avvertito” con un'ammonizione l'atleta ucraino dello skeleton Vladyslav
da  
Vladyslav Heraskevych - Wikipedia
Heraskevych che, al termine di una delle sue prove, aveva mostrato alle telecamere un cartello con la scritta «No War In Ukraine». Lo ha reso noto il portavoce del comitato olimpico Mark Adams nel corso del briefing con la stampa. Adams ha precisato che il comitato ucraino è stato messo al corrente della cosa, e ha rivelato che «quando il fatto è accaduto, abbiamo subito conversato con l'equipe dell'atleta, al quale abbiamo spiegato la questione. Lui ha capito, e infatti nell'ultima sua discesa non ha ripetuto il gesto
Tutti noi vogliamo la pace, ma gli atleti stessi, a suo tempo, hanno concordato sul fatto che il podio e i momenti della gara non sono il luogo per lanciare certi messaggi, perché abbiamo bisogno di rimanere politicamente neutrali. Così il fatto di Heraskevych non si è ripetuto, e ora andiamo avanti». Heraskevych, da parte sua, si è limitato a un breve commento: «Io voglio la pace, nel mio paese e nel mondo. Questa è la mia posizione, e io lotterò per questo, e quindi per la pace».

l'attrice israeliana Noa Cohen, per interpretare Maria di Nazareth: furia dei pro-Pal contro il film “Mary” di DJ Caruso su netflix

  Pochi giorni fa   Netflix  ha pubblicato il trailer (  io  prefrisco  chiamarlo  promo  ma  fa lo stesso ) del film   “Mary” , un’epopea b...