Fa ancora discutere il rigore di Madrid che è costato alla Juventus l'eliminazione dalla Champions League. Nel post partita il difensore bianconero Medhi Benatia aveva parlato di "stupro" riferendosi alla concessione di quel penalty: una definizione su cui Maurizio Crozza ha pesantemente ironizzato durante il suo show 'Fratelli di Crozza' in onda su Nove. Benatia ha risposto in modo altrettanto volgare al comico genovese, affidandosi a una storia pubblicata su Instagram
Mi chiedo e chiedo a : Crozza ma si può fare comicità senza insultare ed usare in maniera gratuita la volgarità ? a Medhi Benatia bastava dirgli che è un semplice idiota o un semplice vaf non serviva essere cosi volgare come lui ?
MANTOVA. «Paolo, Paolo... apri la porta, ti prego, apri...». Ha bussato e implorato per venti, trenta interminabili secondi. Poi, capito che il ragazzino non avrebbe risposto, perché non poteva o non voleva, l’insegnante è corsa a dare l’allarme. Paolo (naturalmente non è il suo vero nome, ndr), studente dodicenne, è stato trovato a terra, nei bagni della scuola media, in stato di semincoscienza. La scena appariva come quella di un tentativo di suicidio per ingestione di farmaci. A farlo pensare sarebbe stato un biglietto lasciato dal ragazzo – circostanza questa che ufficialmente nessuno ha voluto confermare – una sorta di motivazione di un gesto, il suicidio, in realtà mai tentato.A smentire che ci sia stata un’ingestione di farmaci sono state le visite mediche a cui Paolo è stato sottoposto dal personale dell’elisoccorso durante il trasporto all’ospedale Poma e in seguito. Quale l’origine di quello che appare un suicidio simulato o, tradotto, una drammatica richiesta di aiuto? Presunti atti di bullismo di cui Paolo potrebbe essere rimasto vittima. Su questo si stanno interrogando sia la scuola che i carabinieri. Sulla vicenda al momento è stato sollevato – comprensibilmente, vista la delicatezza del caso – uno spesso muro di riserbo.«Non posso riferire nulla – è il commento laconico rilasciato dal provveditore agli studi, Novella Caterina – poiché i fatti e la dinamica sono ancora oggetto di accertamento da parte delle forze dell’ordine. Posso dire solo che provveditore e dirigente scolastica, in continuo contatto, stanno seguendo il caso con la massima attenzione e collaborazione con le autorità competenti».Paolo è stato ricoverato nel reparto di Pediatria. Le sue condizioni fisiche erano buone, non così invece il suo stato emotivo, sebbene lo abbiano subito raggiunto i genitori. Il ragazzino sarebbe stato anche visitato da uno psicologo. Sarà innanzitutto a scuola, comunque, che si scaverà sulle cause dell’accaduto. Ai carabinieri spetterà l’invio di una relazione alla Procura dei minori.
proviamo a metterci nei panni non solo dele vittime ma di chi ha praticato e il perchè lo ha fatto il bullismo o nonnismo o viceversa vedere il video di questo Cortometraggio sul tema del bullismo diretto dal regista Giuseppe Sorce di Bagheria realizzato a conclusione del progetto "Why not2" Crescere è confronto" dalla scuola media L. Pirandello e dalla scuola elementare F. P. Tesauro di Ficarazzi (PA). Testi di Loredana Caltagirone. Produzione Opera Fotografia. www.operafotografia.it
Perchè chi o ha subito lo ha fatto a sua volta come il sottoscritto non in maniera violenta ma psicologica
c.. quando io facevo lo stalker 😁🤗🙂😸 non c'era tutti questoi mezzi
Le vie della persecuzione possono essere infinite: chiesto il processo per un 53enne di Saonara di Cristina Genesin
SARMEOLA.
Le vie della persecuzioni possono essere infinite. Non bastano pedinamenti, chiamate telefoniche e valanghe di sms. Non bastano neppure riprese fotografiche o video. L’ultima frontiera dello stalking passa attraverso il drone impiegato da F. Z. , 53 anni di Saonara, per spiare ogni istante di vita della donna di cui sperava di conquistare il cuore. Una donna 54enne che, fin da subito, era stata chiara: non era interessata a un legame con lui. Quando, dopo la seconda denuncia, era arrivata la nuova segnalazione della vittima che lamentava l’impiego del drone per spiarla, in procura faticavano a crederci. Nella foto trasmessa dalla signora il drone era ridotto a puntino nero nel cielo azzurro sopra la sua casa. Alcuni giorni più tardi, il 15 settembre scorso, la conferma che la donna aveva ragione: bloccato dalla polizia mentre la stava pedinando, nell’auto di F. Z. è stato sequestrato il drone oltre a due videocamere, due tablet, un coltellino. Ora l’uomo rischia di finire a processo: il pm Daniela Randolo ha chiesto il rinvio a giudizio per stalking, ovvero atti persecutori. L’imputato – sotto posto alla misura del divieto di avvicinamento alla vittima e ai luoghi da lei frequentati – è difeso dagli avvocati Michele Grinzato e Chiara Gaiani; la vittima è tutelata dal penalista Federico Bessega.
Nel 2016 inizia la persecuzione. Scatta una prima denuncia, poi ritirata di fronte a un impegno sottoscritto da lui davanti ai carabinieri di non ripetere quei comportamenti. Tempo qualche mese e lo stalker riprende a farsi vivo in modo più ossessivo: si piazza per ore davanti alla sede dell’ufficio della vittima benché ripreso dalle telecamere fisse; la segue quando esce di sera con le amiche; addirittura si stende per terra davanti alla sua auto in sosta mentre la donna va a riprendere
la vettura nel parcheggio dopo la serata in un locale. Viene riproposta la querela e poco dopo appare il drone che la vittima fotografa. Drone sequestrato nell’auto dello stalker la sera del 15 settembre scorso in occasione dell’ennesimo pedinamento
Io di formaziione cattolica prima confessionale poi laica , cresciuto nell'epoca di transizione fra : il primo concordato quello del 1929 ( patti lateranensi ) e quello del nuovo concordato o concordato bis ( L'accordo di Villa Madama ) 1984 , lo dico d'anni chela religione va iinsegnata in un modo diverso sopratutto visto che dal 1992 l'italia sta sempre diventando sempre più multi etnca . Ebbne eccoi che a Bologna , nella cattoliccissima Emilia Romagna , si sperimenta fra alti e bassi un modo nuovo d'insegnare religione . Un primo passo , se pur timido di laicizzazione ( che ancora tarda ad arrivare ) della scuola .
da repubblica d'oggi
ILaria Venturi
Patrick prende coraggio, è il faraone: legge la sua parte al centro dell’aula, sguardo basso e copione in mano, viene applaudito dai compagni, proprio lui ragazzino rom che nemmeno voleva recitare. Mario, il protagonista, è gasatissimo.
Afef è la narratrice, introduce poi si ferma mangiucchiandosi le dita: «Ma come sono andata?».
«Brava, solo alza la voce». I professori incoraggiano. Bruno Nataloni, insegnante di religione, è anche attore. Paolo Bosco, docente di italiano che fa l’ora di alternativa, ha scritto il canovaccio con gli alunni della seconda B tenendo insieme il racconto biblico sul figlio di Giacobbe e Rachele, ripreso anche dal Corano e rivisitato da Thomas Mann in una sua opera.
Dentro c’è tutto: l’amore, i sogni, la cacciata dello straniero, il bivio nella scelta tra vendetta e perdono. Prove di teatro in classe che in realtà sono prove di integrazione. È l’ora del dialogo.
Tra mondi, culture, religioni.
Alle medie Saffi, scuola nel quartiere popolare e multietnico di Bologna, l’ora di religione cattolica si fa insieme all’attività alternativa. Almeno, lo si sperimenta. È un progetto annuale votato dal collegio dei docenti, condiviso coi genitori.
Invece di dividere gli studenti, i quattro insegnanti dell’istituto dove sei ragazzini su dieci hanno genitori stranieri (l’80 per cento in alcune classi), hanno deciso di unire le lezioni stando in aula in due. Un modello che ricorda la cattedra dei non credenti del cardinale Martini, in linea con la pastorale di Bergoglio e del vescovo Matteo Zuppi designato sotto le Torri, che sul progetto non si è ancora espresso. Una sfida in un istituto di frontiera dove cresce tra i banchi un mondo: dal Pakistan alla Romania, dall’India al Marocco.
La sperimentazione prova a tenere insieme ciò che fuori dalla scuola si divide. «Nel quartiere i nostri studenti vivono in mondi separati tra famiglie italiane e immigrate. Noi che facciamo intercultura in tutte le materie, anche quando insegniamo matematica, non potevamo continuare a dire in queste nostre ore di religione e alternativa: tu con me, tu fuori con gli altri. La società corre in fretta, da noi è già multietnica: ci devi fare i conti», racconta Paolo Bosco. Anche perché in alcune classi chi fa religione cattolica è davvero una minoranza, se non un solo alunno. «Così abbiamo deciso di prendere di petto la questione gettando ponti tra pensiero laico, ateo, di altre fedi e quello cattolico. Nell’insegnamento a scuola la religione è comunque un fatto culturale», spiega Bruno Nataloni.
Nella terza A fanno lezione Giampaolo Pierotti e Francesca Matrà. Tommaso mostra la mano che ha disegnato sul quaderno: ogni dito rimanda a valori come amicizia, fiducia, lealtà. «Il pollice è potere: cosa io posso essere».
Sull’idea di pace nelle religioni la classe ha musicato un rap.
Una strofa l’ha scritta Hamza: «Lo straniero non deve essere costretto a camminare con lo sguardo basso». Bibbia e Costituzione. Precetti religiosi e laici a confronto. L’insegnamento di Gesù, “amate gli altri come voi stessi”, viene visto anche nelle altre fedi e calato nella vita di dodicenni. E allora c’è chi si racconta: «Alle elementari quando mi chiamavano ficcanaso mi nascondevo sotto al banco».
Damiano si accoda: «Mi chiamavano Ciccio pasticcio. Mi infastidiva molto, non devi fare agli altri quello che ferisce te stesso». Alzano la mano. «Se tu aiuti un altro, magari poi quello si ricorderà e farà lo stesso con te», ragiona Sara. «Se mia madre non fosse nata io non ci sarei», suggerisce Nahim. Ale dice la sua: «Anche gli stranieri vanno accolti». Diritto di cittadinanza, osserva l’insegnante di alternativa, mentre il collega di religione mostra la foto di suo nonno emigrato in Colorado.
Ridono: «Non ti somiglia». Poi capita che si parla di Abramo e allora è Iman, musulmana, ad alzare la mano: «Prof, questa storia la so anch’io, posso raccontarla?».
Bologna: ora di «religioni», la bimba costretta a lasciare l’aula Don Minzoni, la piccola è l’unica a non partecipare al progetto sperimentale sul dialogo interreligioso. La madre: «Mia figlia è sempre stata iscritta all’ora di alternativa che adesso non esiste più. È stato leso un suo diritto» di Daniela Corneo
BOLOGNA - Il Comitato Scuola e Costituzione incontrerà a breve la preside dell’Ic 11 Filomena Massaro per avere chiarimenti sull’ora di «religioni» alla primaria don Minzoni in San Donnino e alle medie Saffi al Pilastro. «Con noi porteremo due famiglie con i figli alle don Minzoni che nutrono dubbi sul progetto e a cui non è stata garantita l’attività alternativa. E inviteremo anche i rappresentanti di altre confessioni religiose», dice il presidente, Bruno Moretto.
Elena Bonora è la mamma di una bimba di terza elementare alla primaria Don Minzoni. L’unica alunna nella sua classe a non partecipare al progetto sperimentale sul dialogo interreligioso avviato quest’anno su proposta della docente di religione e dei suoi colleghi. «Mia figlia — racconta Bonora — è sempre stata iscritta all’attività alternativa e avremmo continuato anche quest’anno, se non ci fosse stato questo progetto che ci è stato presentato come inclusivo. Ma non è inclusivo, perché non contempla il punto di vista degli atei». Quindi la famiglia è rimasta sulla propria posizione, ma la bimba, quando c’è l’ora di «religioni» con l’insegnate di religione cattolica e la collega di attività alternativa in compresenza, lascia l’aula e va in un’altra terza a seguire le lezioni che si stanno facendo in quel momento. «Di fatto — continua Bonora — l’ora alternativa per lei non esiste più. Ho visto leso un mio diritto e siamo stati accontentati con una toppa, senza contare che mia figlia adesso chiede di stare con i suoi compagni, quando per tre anni questo problema non si è mai posto».
Adesso la famiglia dell’alunna si farà affiancare nella sua battaglia da Scuola e Costituzione che sta ricevendo diverse testimonianze di genitori contrari al progetto. A bussare alla porta del Comitato, qualche giorno fa, è arrivata anche Ilaria Bonato, una figlia in quarta alle Don Minzoni. Lei, a differenza di Bonora, al progetto proposto a inizio anno ai genitori ha dato il proprio consenso. «L’ho fatto laicamente — racconta — anche se alcune cose non mi hanno convinta da subito, però avevo notato che l’anno scorso le proposte dell’ora alternativa erano un po’ sfumate ed era diventata un’ora per fare i compiti. Quest’anno ci hanno prospettato di unire la classe e visto che per noi era importante il tema del dialogo interreligioso, abbiamo aderito». Ma Bonato, come altre famiglie atee che hanno aderito alla sperimentazione, avevano chiesto che ci fosse, proprio in virtù della sperimentazione, un maggiore coinvolgimento delle famiglie. «E invece — continua Bonato — non c’è stato e quello che noto è un po’ l’estemporaneità di un progetto che va invece a toccare delle corde molto sensibili. Vorrei fosse un progetto interculturale, più che interreligioso, e che fossero resi noti contenuti, strumenti e programmazione. In caso contrario, l’anno prossimo non aderirò più».
Ma secondo ---- sempre dal corriere --- il Circolo Uaar, che riunisce gli atei e gli agnostici razionalisti: «Ben venga lo studio delle religioni, dell’ateismo e dell’agnosticismo, ma senza docenti scelti dal vescovo per insegnare “in conformità della dottrina della Chiesa”».
Quindi si è sulla buona strada . meglio tardi che mai .
è vero che non ci si possa pronunciare sentendo una sola campana, per esprimere un parere anche solamente sommario dovrei conoscere le motivazioni della scuola. Ma essendo figlio e nipote d'insegnanti fra cui ( mia zia ) specializzata sull'handicap e avendo una cugina in secondo grado handicappata penso che la madre abbia ragione . da http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2018/04/08/
Mia figlia Anna ha 15 anni ed è affetta da grave disabilità. Frequenta la terza media di una scuola livornese, ambiente in cui si sente oramai integrata nonostante i limiti imposti dall’handicap e quelli, altrettanto tangibili, di un sistema-scuola non ancora a misura di disabile. È lei stessa a dimostrarmelo ogni giorno, con l’entusiasmo contagioso che mette nel salire sul pullman e nel raccontarmi, a suo modo, le mattine trascorse a scuola, le attività svolte e piccoli aneddoti su insegnanti e compagni.
Anna alle medie è serena, ha trovato la sua dimensione e, per questo, vorrei prolungare quanto possibile la sua permanenza: per non sottrarle una routine che le offre riferimenti saldi (una continuità indispensabile a ogni ragazzo portatore di handicap) e per rinviare un futuro denso di incognite che, da madre, non può non turbarmi. Incognite legate al prossimo passaggio alle superiori, in un ambiente meno raccolto, e soprattutto al futuro di lungo periodo, quando le prospettive di tutela sociale per Anna si faranno più incerte.
Vivo mia figlia nel quotidiano e l’esperienza mi insegna cosa è meglio per lei. È quanto ho fatto presente al consiglio di classe chiedendo di “bocciarla” per rallentarne ulteriormente il percorso, pregando di tener conto delle difficoltà legate alla mia condizione di madre separata e lavoratrice e del contenuto della legge 104/92, che ammette la possibilità di una terza ripetenza in singole classi. Percependo, viceversa, l’intento di non accogliere a priori la mia richiesta. Ho consultato un legale per vedere tutelati i diritti e il benessere di mia figlia. Ma al di là degli aspetti legali e del mero bilancio didattico, mi amareggia che le mie ragioni di madre siano state considerate marginali, così come le esigenze specifiche. Mi sono sentita inascoltata e lasciata a me stessa proprio da chi dovrebbe offrire il primo supporto a me e a mia figlia; da
chi dovrebbe far sì che i valori di solidarietà, empatia, risposta ai bi-sogni specifici dell’alunno disabile richiamati dalle normative non restino lettera morta. Comunque vada spero si decida il meglio per Anna, lei e il suo sorriso sono la mia priorità. Una priorità, mi auguro, condivisa.
Castellarano, durante la funzione nella chiesa di San Valentino Meris Corghi, figlia del comandante partigiano che uccise il seminarista, ha chiesto perdono dal pulpito per il delitto del padre
di Paolo Riuini
Meris Corghi bacia Rosanna Rivi, sorella del seminarista ucciso
CASTELLARANO. Il 73° anniversario del martirio del beato Rolando Rivi passerà sicuramente alla storia. Non tanto per le centinaia di persone che hanno riempito la chiesa e il piazzale antistante per partecipare alla funzione, e neppure per le tante autorità presenti. Ma per il fatto che per la prima volta c’è stata una riconciliazione per quell’evento gravissimo di sangue commesso 73 anni fa.
Quella di ieri rimarrà una data importante per San Valentino perché, fra le navate della pieve matildica, la figlia del comandante partigiano che ha sparato al giovane seminarista, Meris Corghi, ha chiesto il perdono per l’uccisione di un ragazzo che aveva deciso di rimanere fedele alla fede in Cristo fino al martirio.
Due famiglie si sono riconciliate dopo oltre settant'anni e il perdono con la sua grande dose di amore ha avuto la meglio su tutto
La messa è stata celebrata dal vescovo di Reggio Massimo Camisasca che nell’omelia ha sottolineato l’importanza di andare contro le ideologie che rinnegano Dio e la fede. «Per questo ogni cristiano deve impegnarsi e lottare e non va mai dimenticato che negli anni fra il 1944 e 1946 sono state ben undici i parroci che sono stati uccisi nelle varie rappresaglie fatte sia dai tedeschi che dai partigiani».
Per il vescovo il messaggio di Gesù: “pace a voi”, letto dal Vangelo di Luca che è stato al centro della messa, è sicuramente molto importante «per poter avere un mondo migliore – ha detto – e lontano dalle malvagità». Così come il fatto che molto spesso vengono compiuti gesti negativi senza nessun senso e il perdono può essere la soluzione per poter superare i momenti peggiori. Ed è quello che è accaduto ieri.
Ogni angolo dell’antica pieve era stracolmo di fedeli e i volontari che dovevano mantenere l’ordine hanno faticato non poco per cercare di mantenere dei passaggi liberi. Alla fine, per dare a tutti l’opportunità di poter assistere alla funzione religiosa, ognuno ha cercato di occupare uno spazio più piccolo. C’è stato anche chi, prima della funzione religiosa, si è spinto, forzando i cordoni, fino alla tomba del beato che si trova sotto l’altare per poter andare a dire una preghiera o per farsi il segno della croce per poi tornare indietro soddisfatto.
Nonostante il maltempo e la pioggia che è caduta per tutta la giornata molte persone hanno assistito alla celebrazione all’esterno sul piazzale della chiesa. La messa è stata celebrata oltreché dal vescovo anche dai parroci del comune di Castellarano: don Vittorio Trevisi e padre Antonio Maffucci. Fra i rappresentanti istituzionali presenti c’erano il sindaco di Sassuolo Claudio Pistoni e il sindaco di Castellarano Giorgio Zanni insieme al vice sindaco Paolo Iotti. Non va dimenticato che a Rolando Rivi è stato dedicato, nel sassolese, l’ingresso della traversa sul Secchia e che a San Valentino di Castellarano vi è la piazza delle opere parrocchiali che porta il suo nome.
Un'altra novità, che il vescovo Massimo Camisasca ha accettato, è quella dell’intitolazione di santuario della chiesa di San Valentino. Una proposta avanzata dall’associazione “Amici di Rivi”. L’edificio religioso che risale all’anno mille e che conserva una pala del Garofalo, oltre ad essere dedicata a San Valentino ed Eucladio, sarà anche santuario dedicato al martirio del beato Rolando Rivi che proprio fra quelle navate venne battezzato. Ora il suo corpo giace in un sarcofago sotto all'altare principale e il 29 maggio, giorno scelto per ricordarlo come beato, le sue spoglie vengono esposte pubblicamente
Lei di Porto Torres, lui siriano: l’incontro a Damasco, poi la fuga in Turchia
di Manolo Cattari
Elisabetta e Mamhoud insieme a Damasco, dove si sono conosciuti
«Chi piange sono sempre le persone comuni... sembra che stiano giocando a Risiko con le vite umane». Così Elisabetta e Mahmoud da Porto Torres, a 2500 km di distanza, vivono la tragedia che si sta consumando nelle loro terra. La Siria. La loro è una storia iniziata in un tempo lontano e in uno spazio che ormai non c’è più. Quando nel marzo del 2011 Moaawya Lssyasn, di 13 anni, scrive su un muro a Daraa in Siria “Il popolo vuole la caduta del regime”, nei paesi vicini la Primavera Araba ha già rovesciato diversi governi. Moaawya probabilmente non immagina che con quella scritta darà il via ad una serie di eventi, che porteranno ad una guerra civile che molti definiranno come il “tragico fallimento dell’umanità”.
Quando Moaawya scrive sul muro, Elisabetta vive a Damasco. Ha lasciato Porto Torres e la facoltà di lingue per imparare l’arabo. «Il prof mi aveva avvisato che il Medioriente è un posto un po’ instabile, ma io ho pensato: ma cosa vuoi che succeda?!». D’altronde che ne può sapere della guerra una ventenne sarda? «Adesso so che non bisogna dare per scontata la nostra pace». Quando Moaawya scrive sul muro, Mahmoud lavora come commerciante; era semplice lavorare in Siria prima del 2011. Ha 26 anni, quando oggi gli chiedono l’età, deve pensarci per non sbagliare: gli otto anni a seguire è come se non fossero trascorsi, in realtà sono stati una fuga e uno spostamento continuo fino ad arrivare a Porto Torres.
La coppia ha un figlio di tre anni
Elisabetta e Mahmoud. Erano fidanzati da un paio di mesi. Lei aveva 22 anni e voleva restare lì per imparare la lingua, amava Damasco. Nell’estate di quell’anno, ritorna in Sardegna per qualche settimana, su richiesta dei genitori preoccupati. Al rientro in Siria, Damasco si era svuotata, gli stranieri erano andati tutti via. Entrambi si raccontano piano e lentamente, consapevoli del peso emotivo che hanno le parole su di loro e su chi li ascolta. Per questo le scelgono con cura: «C’era tensione, si sentiva tanta paura e non si vedevano che uomini armati in giro. Quando chiedevo ai miei professori informazioni sulla situazione di tensione, mi rispondevano che non stava succedendo niente. Banalizzavano e mi dicevano di non credere a ciò che raccontano i TG internazionali. Erano tutti pro il regime di Assad, e chi si azzardava ad andare contro poteva essere fatto fuori dai servizi segreti».
Fuga in Turchia. Ma le cose cambiano rapidamente: il prezzo dei beni di prima necessità, come pane e acqua, schizza alle stelle e le ambasciate invitano a non uscire di venerdì, perché è giorno di preghiera e la popolazione si raduna nelle moschee, diventando luoghi sensibili per rivolte. «Non potevamo avvicinarci a questi luoghi né girare per il paese. Nel corso dei mesi successivi le ambasciate in Siria hanno cominciato a chiudere e quella italiana è stata quasi l’ultima a cessare la sua attività. Io sono partita dalla Siria poco prima che chiudesse» ricorda Elisabetta.
La coppia riesce a scappare in Turchia nel 2012, dove si sposa. A Istanbul aprono un negozio d’abbigliamento e soffrono la discriminazione contro il popolo siriano: «Non ci volevano. Una volta su un taxi l’autista si è girato verso di noi e ci ha detto di tornarcene a Damasco che non eravamo graditi. In alcuni posti neanche rispondevano al saluto e ci incolpavano di rubargli il lavoro». Non tutta la famiglia di Mahmoud se l’è cavata nello stesso modo.
L’Esercito Libero Siriano ha occupato la casa della sorella mentre lei, marito e due figli erano fuori. Non vi faranno più ritorno. Vivranno in una stanzetta insieme ad altre persone fino a quando Elisabetta e Mahmoud non riusciranno a farli scappare in Turchia. «Al loro arrivo a Istanbul i nipotini, 3 e 4 anni, sembravano zombie. Erano sensibili al più piccolo rumore e quando vedevano aerei si nascondevano terrorizzati». In Siria i bambini disegnano gli elefanti nel cielo, non perché credono che volino, ma perché i suoni delle bombe sembrano barriti di elefante. Da questa esperienza Elisabetta si dice trasformata: «Si riscoprono i veri valori della vita. Vedi alcune cose che sono così superficiali, che possono sembrare indispensabili. Invece quando vedi le persone che lottano per vivere ti dici… A cosa mi serve questo?».
Il dramma dei bambini. Per quella scritta Moaawya Lssyasn verrà torturato e suo padre, che tenterà di difenderlo, arrestato e ucciso. L’incipit del conflitto siriano racchiude la tragedia che avverrà: i bambini prime vittime. A noi arrivano le immagini di bambini morti o dentro valigie. Quando si colpiscono i bambini si uccide la speranza. La storia di Elisabetta e Mahmoud è una storia d’amore, che vince sull’odio e sulla disperazione: tre anni fa dalla loro relazione nasce un bambino. È sardo, siriano e incarna un messaggio di speranza: dalla follia della guerra solo i bambini ci possono salvare. Perché è vero quanto dice Ibu Robin Lim che “La pace si costruisce un bambino alla volta”
.....è molto più vicino a Dio che certi prelati . si vede più verità nei suoi dipinti che nelle parole diu certi integerrimi difensori non solo uomini di chiesa ma anche politicanti convertiti sulla via di damasco ed ipocriti difensori della fede .
Infatti :
[....] Famoso e ammirato in vita, Caravaggio fu quasi completamente dimenticato nei secoli successivi alla sua morte. In realtà dopo la sua scomparsa, il duro giudizio sul suo modo - così crudo - di rappresentare la realtà fu presto utilizzato dai suoi detrattori per denigrarne il valore e la memoria. Basti pensare alle parole di un celebre pittore del Seicento,Nicolas Poussin, giunto a Roma quattordici anni dopo la morte di Caravaggio, che lo apostrofò con parole lapidarie: "Era venuto per distruggere la pittura".[80]Questo lungo periodo di oblio fu interrotto solo a metà delXX secoloe la validità della sua opera fu universalmente riconosciuta solo grazie al contributo di alcuni dei più importanti storici dell'arte del tempo, tra cui spicca il fondamentale apporto critico diRoberto Longhi, che mise in luce la sua importanza nello sviluppo dell'arte pittorica moderna e le sue profonde influenze sull'arte europea dei due secoli successivi, dimostrando la profonda influenza di Caravaggio soprattutto sulla successivapittura barocca(lo stile pittorico che emerse dalle rovine delmanierismo).[81]
André Berne-Joffroy, autore di Le Dossier Caravage, disse di lui: «ciò che inizia con l'opera di Caravaggio è molto semplicemente la pittura moderna.»[82][-----]
Concordo con questa bellissima citazione con cui conludo i post : << [....] ci sono uomini che non possono morire . Uomini che ne' il ferro nè le malattie possono ucidere . Perchè ciò che hanno fatto continua a tenerli iun vita anche quandoi la carne si decompone . E a dare gloria al loro nome . [...] >> da questo ottimo fumetto Bonelliano
https://youtu.be/aAqKkoqGtwk la filiera del parmigiano ( la produzione: la lavorazione dalla frantumazione del caglio alla sistemazione nelle forme; la rintracciabilità: dall'identificazione del latte di produzione alla classificazione delle forme; l'automazione: i macchinari utilizzati per la produzione e la rifinitura delle forme ) oppure https://www.youtube.com/user/ParmigianoReggianoIT/featured
IL caseificio Razionale Novese nasce nel 1952 a Novi di Modena. Da 65 anni controlla tutta la filiera della produzione del Parmigiano Reggiano, dall'allevamento delle mucche alla raccolta del latte. Una singola forma di formaggio ha bisogno almeno di tredici mesi di tempo prima di arrivare sul mercato. Il 29 maggio del 2012 una scossa di terremoto di magnitudo 5.9 colpisce la bassa modenese in una zona compresa tra Mirandola, Medolla e San Felice sul Panaro. Il sisma fa crollare, con effetto domino, le scalere del magazzino dove riposavano 75 mila forme per la stagionatura. Un danno quantificabile in più di 12 milioni di euro. Il terremoto azzera la produzione, ma non la voglia di ripartire.
I dipendenti si uniscono per ricostruire quello che è andato perso, guardando al di là delle difficoltà post sisma. Gli aiuti della Regione e della Provincia, oltre alla catena di solidarietà messa in moto dai cittadini, hanno permesso allo stabilimento di tornare in piena efficienza produttiva a fine 2012. Da allora la crescita è stata continua: le 100 mila forme prodotte all'anno rendono il caseificio Razionale Novese il più grande della zona del comprensorio.
Nel 1835 in Piazza Duomo, a L’Aquila, nasce il Bar Nurzia. L’attività della piccola azienda a conduzione familiare si tramanda di padre in figlio per sette generazioni. Il locale, a cui è annesso il laboratorio per la produzione del torrone morbido al cioccolato, diventato il prodotto simbolo della città, attraversa più di un secolo di storia, resistendo a guerre e terremoti senza mai abbassare la saracinesca. Dopo il terremoto del 6 aprile 2009,
che ha distrutto il capoluogo abruzzese e messo in ginocchio l’economia cittadina, i Fratelli Nurzia, non si sono dati per vinti e, per primi, hanno chiesto e ottenuto l’agibilità parziale dello stabile situato in zona rossa e quindi inaccessibile fino all’8 dicembre 2009. Grazie alla caparbietà della famiglia, alla solidarietà dei concittadini e agli aiuti arrivati anche da fuori regione, il torrone ha continuato ad essere prodotto e venduto. Ora, a nove anni dal sisma, ricordato nell’anniversario con una lunga fiaccolata, il vecchio bar è in ristrutturazione. Nel nuovo locale, provvisorio, Giuliana, Francesco e Natalia continuano a servire i clienti di sempre e i ‘turisti delle macerie’ che visitano la città per ricordare il tragico evento. “Io non lascerò mai L’Aquila. Dovrà tornare più bella di prima e noi ci saremo” è la promessa di Nurzia.