24.6.16

Il cinema fa sognare. La televisione dormire di Matteo Tassinari


Il cinema fa sognare.
La televisione dormire

                   di Matteo Tassinari
Tempi duri per i troppo “buoni”, recitava ad effetto uno spot televisivo di qualche tempo fa. Il sottinteso era, naturalmente, chiaro a tutti: nessuno poteva resistere all'appetibilità del prodotto reclamizzato. Ci perdoni il copywriter di questo spot se prendiamo a prestito il suo slogan per applicarlo al mondo della televisione dei giorni nostri.
La grande appetibilità del mezzo, dovuta alla sua capacità di raggiungere milioni e milioni di case, è diventata ironicamente anche il suo tallone d’Achille. Davanti ad essa fanno ressa i personaggi più disparati: mercanti, prestigiatori, uomini e donne di spettacolo, politici, medici, industriali, intellettuali, showgirl col seno rifatto alla 8° taglia,  e tanta gente comune e disperata della propria vita e allora si mette in cerca di una grande fuga che intorti gli stessi interessati di aver talento.
Tutti vogliono andare là, oltre lo schermo, entrare dentro la scatola magica, dove tutto accade e nulla procede. Per tutti il miraggio, è proprio quello di diventare, anche per un solo attimo, parte di questo mondo della rappresentazione, un mondo privo di ostacoli e carico di cocaina. Sembra quasi che solo la televisione sia capace di offrire una certa visibilità sociale, decretare la notorietà e il successo di una persona, di un prodotto e di un’idea sia essa sociale o politica. Conseguentemente l’individuo o il gruppo che rinunciasse ad esprimersi attraverso essa, rischierebbe di restare senza voce. Così si continua a far ressa davanti agli ormai numerosi salotti, piazze e teatri televisivi, curandosi di avvisare accuratamente parenti e amici sul giorno e l'ora in cui si apparirà nella scatola magica.
Marshall McLuhan
Poi si conserva la registrazione e la si rivede insieme a parenti ed amici, come si farebbe per altri eventi familiari, quali il battesimo o il matrimonio del figlio. E tanto è più solenne questo rito quanto più conosciuto è il programma, una legge che fa accapponare la pelle, ma è quella che impera tra gli autori ed i capostruttura, i veri burattinai dell’elettrodomestico più altezzoso. La Televisione? Una metafora della morte dell'intimità, sosteneva Anthony Burgess.













Internet ha ucciso
la televisione
Inutile, la Tv, quindi Rai e Berlusconi, ogni giorno fanno a gara a chi ruba più pane alla stupidità. Infatti sono in molti a preferire la televisione al cinema, perché l'elettrodomestico è più vicina al bagno a causa di alcuni programmi televisivi che sono gomma da masticare per gli occhi, al punto che è assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla Tv.
E questo il segreto per far sì che il teleutente creda a cosa vuole la Tv. Mandate in onda qualunque cosa alla TV e quella diventerà la realtà. Se il mondo fuori dal set televisivo contraddice le immagini in TV, la gente inizierà a tentare di cambiare il mondo per farlo collimare con le immagini televisive, Marshall McLuhan da "Gli strumenti del comunicare". 
La televisione si mostra sempre buona con tutti i suoi ospiti, nessuno escluso, sarebbe come darsi un calcio nei coglioni televisivi, fa dormire e mi lascia sempre insoddisfatto, come i veri sonniferi. Gioca insieme, regala premi, lecca, oppure offre loro la soddisfazione di aver esposto il proprio caso o di aver sostenuto la propria tesi di fronte a tutti, nella speranza che il proprio patetico caso sia ripreso più volte per poter dire: “Sono stato in Tv 4 volte!”. Cazzo! Una televisione molto elementare, ma molto remunerativa, perché lega grandi masse alla rete che organizza questi programmi e non c’è iato tra ciò che guardiamo e ciò che sono.
Robert "Budd" Dwyer (Saint Charles, 21 novembre 1939 – Harrisburg, 22 gennaio 1987) è stato un politico statunitense, noto per il fatto che, la mattina del 22 gennaio 1987, si suicidò sparandosi in bocca durante una conferenza stampa in diretta televisiva
Appagare l'emozioni

Da tutto questo non sono risparmiati neppure i bambini, anzi. Una struttura di materiale trasparente si allunga, e come il fumo entra in ogni fessura. Uguale la tv che permette alla telecamera di indugiare a lungo sugli ignari protagonisti che a casa pensano di essere i padroni della situazione per il banale fatto che abbiamo, noi, il telecomando, capirai. Loro non si mettono in posa e, forse, non se ne accorgono neppure di essere guardati. E una scena spettacolare ed efficace dal punto di vista emotivo.
Ma è - altrettanto fuori dubbio - che il tutto è costruito per l’adulto che da casa appaga il suo sguardo. Tuttavia questa invasione televisiva da parte della gente comune è tutto sommato anche la più innocua e la meno interessata. Molto più preoccupante è il caso di chi lo spazio televisivo se lo compra. Non mi riferisco qui ai venditori di tappeti, di impianti stereo, di idromassaggi e di attrezzi ginnici, di pellicce, di salotti e di gioielli e via dicendo, ma ai maghi, agli estetisti, alle mediatrici di agenzie matrimoniali, ai cartomanti, ai chiromanti e agli operatori del 144.









In tutti questi spazi vengono esplicitamente applicate tutte quelle strategie commerciali persuasive, che permettono di vendere sé stessi, il proprio fisico, le qualità personali, le idee, le conoscenze e gli affetti, facendo addirittura spettacolo. La televisione rispecchia così quell'idea sempre più diffusa nella nostra società secondo la quale tutto ha un prezzo. L'importante è presentare bene il prodotto. La legge protegge lo telespettatore, imponendo l'obbligo di rendere visibile che si tratta di un messaggio promozionale.










Politicamente televisivo 
Meno regolato e molto più complesso è invece il rapporto dei politici con la televisione. Si va dagli spot pubblicitari con chiaro contenuto politico, all'uso delle star del video come testimonial. Per i leader di partito, poi, ogni occasione è buona per apparire in televisione. Non c'è show televisivo dove non se ne trovi uno. Tra il piccolo schermo e i politici si è infatti instaurato un rapporto di reciproca complicità: la televisione, serve al politico come vetrina e il politico la compensa favorendone la sua stessa esistenza.
Detto in altri termini, si prendono due piccioni con una fava: da una parte si fa audience e dall’altra si orienta il voto o le indicazioni di comodo. Viviamo comunque in un tempo in cui c’è un abuso di sondaggi che non s'era mai visto. Non tutti sono scientificamente attendibili e quindi un certo dubbio resta sempre salutare, anzi, un centinaio di dubbi. La conclusione di tutto, è questa: la televisione è un'arma di distrazione e distruzione di massa.

23.6.16

Padre, madre e figlia: maturità per tre

anchequesta  è maturità  .

Padre, madre e figlia: maturità per tre

                             La famiglia Di Canito (Foto di Maurizio Bosio, Reporters Srl)

la  stampa.it   del  23/06/2016

di  Massimo Gramellini



Siamo la famiglia Di Canito, abitiamo a Piossasco in due camere e cucina e ieri abbiamo sostenuto l’esame di maturità. Padre, madre e figlia. Tre in un colpo solo. Chissà se era mai successo. Di sicuro è successo a noi.
Ci presentiamo. Carmine ha 52 anni, viene dalla provincia di Foggia e fa l’operaio al centro ricerche della Fiat. Arrivando da una famiglia povera ha dovuto mettersi presto a lavorare e gli è rimasto un conto aperto con la cultura. Gli piace capire, parlare, essere all’altezza della situazione. La moglie Cinzia, di sei anni più giovane, è cresciuta a Messina e ha fatto l’operaia alla Merloni, prima che la spingessero in cassa integrazione. Tre anni fa. È stato allora che Carmine se n’è uscito con quel discorso strano: «Adesso avrai più tempo libero: puoi passarlo a piangerti addosso oppure a prenderti un diploma che potrebbe aiutarti a trovare un lavoro migliore». La moglie ha detto soltanto: «Ma sei pazzo?». E lui, serissimo: «Sì. Talmente pazzo che non ti lascerò sola. Se ti iscrivi alle scuole serali, le farò con te».
E così noi, la famiglia Di Canito, ci siamo iscritti alla Polis per ottenere il diploma in economia aziendale. A lezione tutte le sere dalle cinque alle nove, che quando andava bene si cenava alle dieci con il mal di testa, ma senza smettere mai di parlare di quello che avevamo imparato. Marika guardava i genitori con aria di superiorità e però di tenerezza. Li incoraggiava. Marika è la primogenita. Frequenta un istituto a indirizzo socio sanitario. Accanto a lei Miriana, la più piccola. Crediamo fossero orgogliose di papà Carmine e mamma Cinzia. Crediamo lo siano ancora.
All’inizio l’abbiamo preso come uno scherzo. Ma poi il gioco si è fatto serio. Quattro persone in tre stanze che cercano di studiare senza darsi troppo fastidio. Impossibile, anche perché, per arrotondare, Carmine e Marika nei weekend cantano ai matrimoni. Durante la settimana devono allenare la voce e non è facile concentrarsi sui libri mentre ti strimpellano Biagio Antonacci negli orecchi. Per non parlare di Cinzia, che aveva il vizio di mettersi in un angolo del tinello a ripetere gli appunti delle lezioni a voce alta. Ci disturbavamo a vicenda e invece, senza rendercene conto, ci tenevamo compagnia. Gli amici non risparmiavano i pregiudizi e gli sfottò. «Ma chi te lo fa fare?», dicevano a Carmine. E lui: «Il piacere di saperne di più. E poi lo faccio per aiutare Cinzia a cogliere la sua occasione». Noi Di Canito siamo una squadra. Di più, una famiglia. All’inizio Cinzia era bravissima, specie in matematica, mentre Carmine sbuffava dietro ai numeri come se fossero geroglifici. Ma dal secondo anno ha rimontato. A scuola si era creata un’atmosfera calda. Professori disponibili e compagni di classe affettuosi come la nostra coetanea Monica Tarasco. Abbiamo fatto pochissime assenze, anche se eravamo stanchi e per qualcuno ridicoli. Ma cosa c’è di ridicolo nell’avere voglia di imparare?
Ogni giorno pensavamo di lasciare perdere. A Cinzia non entrava in testa la storia. Carmine non digeriva il francese. E avrebbe barattato con il peggiore degli incubi quel quarto d’ora passato alla lavagna col gessetto in mano per risolvere un problema di matematica. A casa avevamo l’impressione che Marika ci guardasse dall’alto. Come se dicesse: la mia maturità è più bella della vostra. Ma l’altra sera. L’altra sera era la notte prima degli esami e Carmine e sua figlia hanno cantato la canzone di Venditti. Mamma Cinzia li ha ascoltati, agitatissima. Allora Marika ha smesso di cantare e le ha dato una quantità insolita e impressionante di baci, mentre Carmine l’ha presa tra le braccia e le ha detto la frase che ogni maschio dovrebbe imparare a memoria: «Non ti preoccupare, ce la facciamo». Ce la facciamo un corno, ha pensato Cinzia girandosi nel letto senza riuscire a prendere sonno. Avremo studiato sì e no un quarto del programma. Poi ha guardato il marito che dormiva sereno al suo fianco e ha pensato: ma sì, ce la faremo. Marika, lei ha riposato benissimo. Ieri mattina a colazione ha detto «in bocca al lupo» ai genitori, ha preso lo zaino ed è andata incontro al suo destino. Carmine e Cinzia incontro al loro, con una bottiglia d’acqua e due panini. Che effetto sedersi tra tanti ragazzi che avrebbero potuto essere Marika. Cinzia cercava Carmine con gli occhi e lui le faceva dei segni per rassicurarla, ma li avevano messi in banchi troppo lontani.
Carmine ha scelto il tema su Marte, Cinzia il rapporto padre-figli nel Novecento. Intanto in un’altra scuola Marika scriveva del suffragio universale alle donne, citando le vittorie di Raggi e Appendino. Ma più che del suo esame, era preoccupata di quello dei genitori. A dire il vero anche i genitori erano più preoccupati del loro esame che di quello della figlia. Ma mentre tutti noi Di Canito sudavamo chini su un foglio, ciascuno per conto suo, non potevamo fare a meno di pensare che il tema più bello lo stavamo scrivendo insieme. E che quel tema eravamo noi.


Ha ragione l'untente tempo prezioso quando nel suo commento dice



Buongiorno a tutti.
Quasi, quasi conviene aspettare i figli e fare la seconda parte del percorso scolastico tutti insieme appassionatamente. Si avrebbe di sicuro la necessità di regolare il traffico negli spazi dedicati allo studio in casa, e costerebbe troppo. Vai a comprare i libri contemporaneamente per tre membri della famiglia invece di diluire nel tempo naturale le spese. Comunque, come si è visto, qualcuno ci riesce. Speriamo molti. Siamo un paese ricchissimo di "macerie" prime, la cultura è una di queste. Invece dovrebbe essere, se promossa bene, ai primi posti nella scaletta del patrimonio e dei valori di un popolo evoluto e naturalmente democratico. Già nell'antica Grecia si affermava che la democrazia è un lusso per paesi colti (magari anche bene informati). Lasciamo stare. Molti attaccano le scarpe al chiodo del desiderio di conoscenza dopo la maturità o la laurea. Quella spinta non dovrebbe mai spegnersi, come la fiammella, di saperne di più, di approfondire. Siamo ricchi di mezzi per soddisfare quella spinta, basta dedicarle un po di spazio al giorno, alla settimana. Può essere il giornale, una rassegna stampa personale dei giornali online, almeno 6 - 8 libri l'anno. Basta non scambiare la cultura come merce. Un libro, un concerto, un bel film vivono con noi per sempre e possono essere condivisi con gli altri, diventare dei ricordi. Un vecchio scrittore, a proposito, diceva: " la cultura più si consuma e più ce n'è e diventa ricordo. Perché noi siamo tutto ciò che ricordiamo". Ma niente, niente la faccenda della memoria corta...........da non crederci.
l cultura    non ha  età 

DIFFONDERE UNA BUFALA SUL WEB PUÒ SEMBRARE INNOCUO, MA PUÒ’ FARE PIÙ DANNI DI QUELLO CHE PENSI.

Leggo questo articolo interessante di  www.bufale.net  . Un po'ovvio  certo  per  chi  come me    sa  già  ipericoli e  gli effetti collaterali dele bufale  \ panzane , ma  meglio ripeterle     continuamwente    certe cose  visto che tutti\e  ( sottoscritto compreso  )  siamo  a  rischio di ricaduta  in esse  .


ECCO COSA ACCADE OGNI VOLTA CHE CONDIVIDI UNA BUFALA

DIFFONDERE UNA BUFALA SUL WEB PUÒ SEMBRARE INNOCUO, MA PUÒ’ FARE PIÙ DANNI DI QUELLO CHE PENSI.

E’ capitato a tutti prima o poi di di condividere una bufala sul proprio profilo social, probabilmente perché il titolo ci ha colpito oppure perché l’immagine a corredo ha attirato la nostra attenzione. Sicuramente lo abbiamo fatto in buona fede, perché volevamo che più persone possibili sapessero quello di cui trattava l’articolo in questione, ma spesso non sapevamo quello che quella semplice condivisione avrebbe contribuito a creare sul web.
Ogni volta che condividiamo qualcosa sulla nostra bacheca di Facebook o attraverso Twitter o Google Plus contribuiamo a diffondere in maniera esponenziale quella informazione. Quel link infatti arriverà a tutti i nostri “amici”, ai nostri followers (e non solo) a tutti quelli che abbiamo nelle nostre cerchie (e non solo) i quali potranno a loro volta ri condividere e ri twittare i nostri contenuti e questo meccanismo può andare avanti all’infinito.
Questo vuol dire che nel giro di pochissimo tempo una bufala può arrivare a migliaia se non a milioni di utenti. La quasi totalità degli utenti poi, anche dopo aver scoperto che la notizia condivisa è falsa NON RIMUOVE IL LINK dal proprio profilo contribuendo cosi in maniera involontaria al proseguimento della sua diffusione.

Ma quali sono gli effetti della condivisione di una bufala? Eccone alcuni:

  • DIFFUSIONE DI DISINFORMAZIONE

  • Condividere e diffondere una notizia falsa riguardo ad una legge inesistente, ad un falso reato di cui si sarebbe macchiato un personaggio noto piuttosto che denunciare una situazione fasulla di disagio sociale che alimenti il malcontento generale nei confronti ad esempio degli immigrati o della classe politica, crea una grande disinformazione. Le tante notizie false diffuse da false testate giornalistiche condizionano il modo di pensare ed agire di chi le legge credendole notizie vere.
  • AUMENTO DELL’IGNORANZA

  • Condividere e diffondere notizie false rende tutti più ignoranti (e controllabili). Chi condivide bufale è convinto di conoscere cose che altri non sanno, ma non è cosi.
  • AUMENTO GUADAGNI DI CHI LE DIFFONDE

  • La stragrande maggioranza dei siti che diffondono bufale guadagnano attraverso i banner pubblicitarie le nostre condivisioni non fanno altro che aumentare le visite a questi siti e di conseguenza i loro guadagni.
  • AUMENTO POPOLARITÀ  E CREDIBILITÀ DI CHI LE DIFFONDE

    Molti siti diffusori di bufale impongono in maniera scorretta di cliccare “Mi Piace” alle loro pagine Facebook per poter leggere la notizia. Questo meccanismo permette loro di accumulare tantissimi like che aumentano la loro “popolarità” sul web e di conseguenza la loro visibilità sui motori di ricerca.
  • AUMENTO DEGLI “HATERS” E DELLA VIOLENZA SUL WEB

    Le bufale che hanno come protagonisti particolari “categorie” di persone come ad esempio i rom, gli immigrati, gli omosessuali, i preti o i disabili spesso contribuiscono ad alimentare in modo negativo la fama di queste persone o di chi gli sta intorno alimentando cosi l’ odio ed il malcontento degli “odiatori” (haters) del web che usano queste bufale per riversare in rete tutta la loro violenza verbale (e non solo) verso le categorie che più gli sono sgradite. Diffondere e condividere bufale purtroppo alimenta anche questo terribile fenomeno della rete.
Questi sono solo alcuni degli effetti della condivisione di una bufala, per cui il consiglio che diamo resta quello di controllare sempre innanzitutto la fonte di una notizia prima di condividerla e se si scopre di aver condiviso una notizia falsa, eliminarla dai nostri profili per evitare di essere parte del meccanismo di diffusione.

Qui una guida utile che vi aiuterà a scoprire se siete davanti ad una bufala.

20.6.16

Punto di Rottura: il capitolo “apocrifo” di Orfani di Michele Mecozzi e Davide Paoletti:

la 3 serie \ stagione d'orfani fumetto della bonelli s'avvia a meno 3 numeri dal termine ed ecco che compare una fanfiction di Orfani intitolata: Punto di Rottura.

da http://www.dimensionefumetto.it/orfani-fanfic/
 
dalla  pagina  fb  ufficialke di Orfani più precisamente  qui
L'opera è di Michele Mecozzi e Davide Paoletti: un duo di giovanissimi autori marchigiani che ha pensato, guardacaso, di promuoversi con quest'opera .L’episodio si colloca tra la prima e la seconda
le  stagione  del fumetto ufficiale   Orfani percui diventerà apocrifo all’uscita del romanzo dedicato alla serie Bonelli ma vale comunque la pena di leggerlo. merita  d'essere letto   soprattutto    da  cloro  che  non vogliono o  no sanno usare l'immaginazione    per   riempire  il buco   creato  appositamente  o volutamente   dagfli  autori tra la 1  e  la  2  stagioner  .  Esso   racconta cosa è accaduto tra la prima e la seconda stagione. La risposta  url   è in questo url
Un opera  Bellllissima , le  cui tavole   sembrano ricordare  e richiamare  a Nathan Never e qualche  episodio di Dylan Dog ,    che   pur   essendo considerata  apocrifa   \  non ufficiale     colma  il  vuoto  (  voluto  o casuale  ?  visto che  secondo alcune indiscrezioni   la   4  e  la   5  serie prima della  6  (  quella  finale  di  nuovo  di 12  episodi )     fatta  con  ciascuna di  2   uscite  dovrebbe colamare  i buchi   di alcune vicende  specie sul passato della  Jurici   )    lasciato  dagli autori della serie originale  ed  ufficiale  .  Ora   visto il boom   egli entusiasti commenti  sulla bacheca   facebook   della serie    ufficiale   ho deciso  di  intervistare i promettenti  ( la bonelli   dovrebbero tenerli  d'occhio , magari assumerli nel loro staff  )     autori  "  del misfatto  "

come  è nata  l'idea  ?
Michele Mecozzi l'idea è nata da molteplici esigenze. In primo luogo io dovevo trovare un modo per far leggere una mia sceneggiatura e Davide doveva far vedere i suoi disegni. Occuparci di un personaggio già esistente ci ha permesso di prendere confidenza con il metodo creativo della Bonelli e gestire le 32 pagine dell'albo ci ha fatto migliorare molto. Inoltre il fatto di usare un personaggio noto ci ha dato chiaramente una visibilità che non potevamo ottenere con una nostra creazione originale.
 Davide Paoletti L'idea è nata dalla necessità di presentarci in maniera diversa, nel senso che quando andavamo alle fiere per far vedere il book, per farsi conoscere, per avere consigli non venivamo presi molto in considerazione. Quindi abbiamo pensato che al posto di presentarsi con quei book enormi arrivare con un albetto da lasciare agli stand fosse un modo per spiccare e farci notare. .
 secondo voi  il vuoto   fra le due  serie   di Orfani Bonelli   è voluto  o  creato ad  arte  per creare  suspence    per  invogliarli a  continuare  ad  acquistare la   serie  ?
Credo che il vuoto tra le due serie sia creato perché così facendo noi lettori ci siamo dovuti confrontare con un Ringo molto cambiato rispetto a quello che conoscevamo e con moltecose nuove da dire. Inoltre il vuoto può essere colmato con prodotti collaterali come il romanzo ufficiale che uscirà a breve e che sarà incentrato proprio su quel periodo.
Secondo me non si può neanche parlare di vuoto, c'è un bel salto dalla prima alla seconda stagione ma è una cosa voluta, infatti la storia fila bene senza lasciare i lettori disorientati. Io penso semplicemente che nella seconda stagione si volessero solo concentrare sul "nuovo ringo" e la sua missione. Quindi parlare anche di Ringo, Barbara  e la resistenza fosse di troppo da mettere tutto nella stessa stagione,ma ripeto questa è la mia opinione magari mi sbaglio.
   avete  avvisato   la casa  editrice bonelli   che  volevate  fare una cosa del genere  oppure  avegte  agisto   in maniera  " clandestina  "
Abbiamo agito in maniera “clandestina”
  D No, non abbiamo avvisato nessuno, il nostro è stato un omaggio alla Bonelli, a Orfani, a Recchioni ....a parte che ne abbiamo fatto pochissime copie, saranno state una quindicina, poi le stesse non erano a pagamento le abbiamo lasciate come detto prima ai vari stand per farci conoscere,
per far vedere come lavoriamo e cosa facciamo. Se qualcuno si è offeso non era sicuramente nostra intenzione, anzi spero che alla bonelli abbia fatto piacere
4)  quali sono state le reazioni da parte   della casa editrice  ?
M Sembrerebbe molto positiva visto che hanno condiviso il nostro lavoro sulla pagina  facebook ufficiale.
  D Reazione della casa editrice non ne ho idea, ma quando all'arf di Roma abbiamo lasciato il nostro volume a Recchioni, si è subito notato che gli sia piaciuto, l'ha addirittura postato sul suo profilo facebook. Adesso che ci penso anche nella pagina facebook di Orfani hanno postato il nostro Ringo, quindi mi correggo penso gli abbia fatto piacere. 
 a quale ,  oltre  ( quello  più visibile  )  a NN  ed  ad  orfani   a  chi vi siete  ispirati per le tavole   e la sceneggiatura  ? 
 D Io ti posso solo parlare del mio campo, quindi le tavole. In realtà c'è poco da dire, per i disegni ho usato il mio stile,sono  un lettore Bonelli sin da piccolo quindi la maggior parte dei disegnatori da cui prendo ispirazione sono italiani, io infatti nelle pagine Bonelli mi trovo a mio agio.
 Per quanto riguarda la sceneggiatura mi sono riletto più volte le prime due stagioni e ho cercato di fare mio lo stile della serie. Le altre influenze provengono da film action americani come Die Hard e dai fumetti di super eroi.

 che  ne pensate   delle  3  serie regolari  ?
M  Le ho apprezzate tutte e tre in maniera diversa. Credo che la qualità sia andata sempre crescendo. La prima stagione aveva una struttura narrativa interessante e una trama intrigante, la seconda dei personaggi straordinari e un'ambientazione inedita mentre la terza unisce gli elementi migliori delle due precedenti quindi anche se non è ancora conclusa è la mia preferita.
D Le tre serie mi piacciono, forse in modo crescente, credo siano andati migliorando, ma la cosa che mi piace di più di Orfani (e mi riferisco a tutte e tre le stagioni) è che è ricco di colpi di scena e quando pensi di poter indovinare cosa accadrà nelle pagine successive ecco un altro colpo di scena e quello che prevedevi viene ribaltato completamente
nel   vostro    fumetto manca  il riferimento di come  ringo abbia  trovato "   dopo a 
conclusione    del n 12   prima stagione  colegamenti  " con  gli altri della rivolta puoi spiegarci  come  è avvenuto  tale passaggio  ?
M Già nelle ultime pagine del 12 di Orfani si vedeva Ringo a comando di un manipolo diuomini tra cui Barbara ( la co­protagonista dell'albo ) per cui non mi sono posto il problema. Comunque credo che una volta tornato sulla Terra dopo la fine dello scontro con Jonas, Ringo abbia iniziato a diffondere la verità sull'attacco che ha distrutto il pianeta e a raccogliere seguaci.
D   Ma si accetteremmo sicuramente, ma non la vedo una cosa plausibile. a parte che la nostra storia è una trentina di pagine, e in più è in bianco e nero, la Bonelli ha una squadra di sceneggiatori e disegnatori professionisti, perche dovrebbero usare il nostro. Si potrebbero ispirare a quello che abbiamo fatto noi, ma possono farlo giustamente indisturbati dato che il marchio è il loro. Sarebbe molto bello ma per questi motivi non penso che accadrà.
 se  la Bonelli   decidesse  di chiedervi   di  usare  la vostra storia   nella  4   e  5  serie   in qu,anto  come    holeto da qiualche  parte  saranno colmati  i buchi     delle  dueserie      con il passato sulla  jurici    e non solo  ,   acettereste  ? 
D   Questa domanda Michele sarà sicuramente più bravo a rispondere, però provo a dire qualcosa lo stesso. Il primo motivo penso sia una questione di spazio. Volevamo che il nostro progetto fosse terminato per presentarlo all'arf, non mi ricordo di preciso quando abbiamo iniziato ma aggiungendoci altre pagine non avremo finito in tempo. Poi nel finale della prima stagione nel quale compare Barbara che combatte contro i soldati, poi arriva Ringo ecc....,penso che Michele quindi si sia immaginato che fossero un gruppo organizzato e la sua sceneggiatura è partita da lì.
Non accetterei perché così com'è la ritengo un prodotto ancora troppo acerbo e amatoriale.Se avessi la possibilità di riscriverla con la supervisione di un editor sarebbe tutta un' altra faccenda.
  Se magari la Bonelli   ve la  fa  scrivere  a voi  la scrivereste  uguale  a  questa   o  cambiereste  qualcosa ?
M Credo di aver risposto con la precedente. La riscriverei perché ci sono molte cose che non
funzionano ......
 Quali sarebbero   le  cose  che  non funzionano  ?
Penso che la storia abbia qualche problema di ritmo perché alcune scene avrebbero avuto bisogno di più pagine inoltre rivedrei qualche dialogo. Con questo non voglio certo dire che ho  fatto un cattivo lavoro.
D Allora se potessi tornare indietro cambierei alcune cose (ti parlo sempre dal punto di vista del disegnatore), prima di tutto ci siamo trovati stretti ai tempi di consegna quindi con un po più di tempo la qualità sarebbe stata migliore, e mi sarebbe piaciuto inchiostrarmela da solo, ma sempre per motivo di tempo le ha inchostate Michele. L'inesperienza a volte ci ha penalizzato, ma penso che tutto sommato sia un buon lavoro, ovviamente sappiamo che non siamo allo stesso livello dei professionisti, ma continueremo a lavorare per migliorare e per raggiungere il nostro sogno cioè che la nostra passione diventi la nostra professione


Invece  hanno  fatto , parlo da  profano  in ambito  artistico  , un discreto  lavoro  . ed  a Testimoniarlo  è: proprio  quest'ultima  parte  dell'intervista  in cui     riconoscono i propri limiti e  la  loro modestia  . Oltre  ad e   alcuni disegni riportati  qui  nel post  per  gentile concessione degli autori

19.6.16

Si ammalò poco prima della diffusione del vaccino. Dopo la morte la sorpresa: la scienziata Elena Cattaneo, senatrice a vita, nominata erede

Ecco un esempio  in cui  la solitudine non è  separazione dal mondo:ma partecipazione  in  esso  .  Peril  protagonosta della storia  che leggerete  nele righe seguenti   la  solitudine  e  la relativa morte  è stata la conclusione nobile di un'esistenza.  Una testionianza  che  conferma  quando diceva  un  poeta    cantautore    questa  canzone  



  e in questo discorso 




Non riuscendo  piàù a scrivere di tale vicenda  , senza  farmi venire le lacrime a  gli  occhi  , copio ed  incollo  l'articolo di repubblica  di oggi 19\6\2016
 "Lascio tutto alla ricerca". La generosità di Franco che ha lottato contro la polio
Si ammalò poco prima della diffusione del vaccino. Dopo la morte la sorpresa: la scienziata Elena Cattaneo, senatrice a vita, nominata erede

                                
Tutto vero. Quell'ignoto signore di Molinella, pianura bolognese, morto il 21 maggio scorso dopo avere convissuto per 64 anni con la malattia, nato nel 1952, lo stesso anno in cui Jonas Salk e Albert Sabin iniziavano a gareggiare per il vaccino che avrebbe sradicato la poliomielite dal mondo, arrivato troppo tardi per liberarne lui, ha affidato personalmente a lei, le ha versato nelle mani, il patrimonio d'una vita, denaro, titoli, alcuni immobili, per un valore di più di un milione di euro, e lo ha fatto
senza porre condizioni oltre la sua fiducia assoluta in una scienziata mai vista di persona. "Avrei voluto parlargli, conoscerlo, capire da lui perché quella scelta, perché proprio io...", commenta lei ancora interdetta, "ma forse le cose che danno più soddisfazione nella vita sono quelle che fai per gli altri senza che loro lo sappiano".
Di Franco Fiorini sanno poco anche a Molinella, che pure è una cittadina di poche migliaia di anime, immersa nel Novecento di Bertolucci (ricordi di paludi e di mondine, qui c'è ancora il Psdi). Da quindici anni, lasciato il posto di direttore amministrativo di un'azienda edile, viveva segregato nella sua villetta bianca, moderna, a due piani, vicina al centro del paese: rare uscite, vita minimale, poche spese, non aveva neppure una sedia a rotelle, nel suo studio di mobili sobri e solidi s'aggirava a bordo di una sedia da regista alle cui gambe il padre aveva applicato quattro rotelle.
 "La sua è stata una vita di affetti, i genitori lo hanno accudito, protetto, magari un po' chiuso in una campana di vetro..." racconta di lui l'avvocato bolognese Paolo Ghedini, una relazione di lavoro diventata amicizia, "il padre lo portava tutti i giorni a lezione, e poi al lavoro, issandolo con le sue braccia, finché ha potuto". Dopo la morte dei genitori, solo l'aiuto di una badante. "Discutevamo di politica, di libri, neppure a me aveva detto nulla della sua idea", racconta Ghedini. Gli aveva semplicemente affidato, poco prima di morire, la busta chiusa con il testamento, l'ultimo di una serie, senza dirgli nulla del contenuto. "Non parlava mai della sua malattia, non ha mai imprecato contro il destino che lo ha fatto nascere qualche anno troppo presto. Era una persona serena". Ma in quella solitudine da eremita possedeva una finestra sul mondo. Un computer, Internet. "Sempre informatissimo". Dobbiamo immaginarcelo così, il volto illuminato dalla luce azzurrina dello schermo, mentre cerca notizie su quella malattia così feroce, poi debellata dalle vaccinazioni di massa degli anni Sessanta, la malattia di cui è stato, per una congiura implacabile della cronologia, per una manciata di anni, uno degli ultimi bersagli; e sulle altre afflizioni degli uomini, e su chi le combatte in nome della vita. Così deve avere incontrato il nome di Elena Cattaneo, così deve essersi convinto, leggendo, studiando, che fosse lei la persona giusta. Così deve avere preso la sua solitaria decisione. Capita a chi ha sofferto di donare i propri averi a chi combatte il suo nemico invisibile. "Ma Franco", osserva la scienziata, ormai per lei è Franco, l'amico sconosciuto, "non ha legato il suo lascito alla sua malattia. Il suo gesto non sembra una rivincita, né un risarcimento simbolico... Immagino un uomo che riconosce nella sofferenza degli altri il suo stesso bisogno e pensa che nel mondo ci sia necessità di più studio, di più sapere". La senatrice fa una pausa, e una cosa non riesce a non dirla: "Ha ragionato come spesso la politica non sa fare. Ha scommesso sulla libertà e sulla responsabilità della ricerca scientifica". Ma donare a una persona fisica e non a un'istituzione, non suona sfiducia? "Ma io sono le istituzioni, università, parlamento, sono quanto di più pubblico ci sia...". Presto parlerà di lui proprio nell'aula del Senato, "voglio che la sua storia sia un esempio". Cosa accadrà dopo, è presto per dirlo. Martedì la senatrice Cattaneo sarà a Molinella per accettare formalmente il lascito, ma saranno da avviare stime e inventari, e da attendersi (succede spesso in questi casi) l'impugnazione del testamento da parte dei parenti. Per la beneficiaria poi non sarà facile gestire un lascito che sul piano legale entra nel suo patrimonio personale. "Da cui dovrò immediatamente separarlo", annuncia, "voglio che tutto sia pubblico e trasparente". Su quel "destini come meglio crede" ci sarà da ragionare, "chiederò consigli, magari borse di studio, una fondazione, sarebbe bello trasformare in luogo d'incontro la casa dove viveva Franco". Per ora resta una punta di rimpianto, "se mi avesse chiamato, fatto capire meglio...", ma anche l'ammirazione, "la solitudine non è sempre separazione dal mondo: Franco ha partecipato al nostro mondo illuminandolo. Per lui è stata la conclusione nobile di un'esistenza. Per me sarà un secondo incarico a vita".



IL DOVERE di © Daniela Tuscano


Una notte parigina e nulla di romantico. Sei giunto tu, privo di storia. Hai ucciso un poliziotto (disarmato), violato l'intimità della sua casa, trovato sua moglie, anch'essa poliziotta, anch'essa disarmata. Tutori dell'ordine che non custodivano arsenali.Ovviamente l'hai sgozzata. Era una donna, e francese. Più che sufficiente e poco conta fossi francese pure tu. Tu non sentivi d'appartenere a nulla e a nessuno, se non a un dio sanguinario con cui t'eri illuso di dare un senso - uno sciagurato senso - alla tua vana esistenza.
 L'hai ammazzata freddamente, sventatamente, urlando, forse. Poi è seguito il silenzio. Di fronte a te c'era il figlio di quella donna, di quella coppia. Un bimbo di tre anni, l'età in cui si esce dal giardino di Eden, l'età in cui tutto si conosce. Ma tu non eri il Tentatore. No, non illuderti. Non meriti neppure la patente di diavolo. Terrorista? Non scherziamo. Tu eri e rimarrai, nella fissità eterna, un miserrimo ladruncolo.
Hai rubato la vita a quei genitori e la voce a quel figlio. 
L'hai spento senza preavviso. E sempre con l'ossessione del tre. Sì, perché hai trascorso con lui tre interminabili ore, prima che la polizia irrompesse nell'appartamento e ti finisse. Tu, il macellaio di sua madre. Gli sei rimasto accanto, ne hai avvertito il palpito tiepido, forse un vacuo odore di nido.
Non sapevi che fare di lui, hai confessato nell'ultima telefonata all'aguzzino capo. In realtà, non sapevi far nulla da te. Avevi sempre bisogno di ordini. Non sapevi che fare della tua vita, e per quello ti trovavi lì, e lì rimanevi, sul palco del tuo massacro, rifinito e stupido. Di quell'abominio eri responsabile, non tuttavia attore. Già il cielo te l'eri giocato ai dadi, anni fa. Nei furtaccioli brutali, nell'untuosità dei fast food, nel culto imbelle d'una violenza mascherata da religione, tu che della religione te n'eri sempre infischiato.
Di te non rimarrà nulla. Ma le macerie disseminate dal tuo folle gesto, quelle sì, peseranno grevi nell'anima. Quanto occorrerà, ancora, a quel bimbo per volare. Chi restituirà, ora, voce al suo silenzio. Ci sentiamo, d'un tratto, minimi, di fronte alla vastità di quel silenzio. Perché i bambini non tacciono mai invano. E sono gli unici a comprendere l'eternità.
Il bimbo che hai strappato così atrocemente alla famiglia, cui hai fatto assistere al rituale nero della morte della madre, ora appartiene a tutti noi. Ha vissuto la violenza perfetta, è stato fianco a fianco a essa nel deserto di tre spaventose ore. Forse gli basterà, e gli deve bastare, e scongiuriamo gli basti, l'imperfezione del nostro amore, la vicinanza d'un sorriso semplice ma continuo.
All'amore la perfezione non serve. La sincerità può spezzare la più limpida e spietata ferocia. In questo sta la sua forza.
Ma richiede d'esser cullata, nutrita da un'instancabile presenza. La dobbiamo, oggi, a quel bambino muto. Altrimenti finiremo, assieme a te, con la macina al collo, gettati nel profondo del mare.

© Daniela Tuscano

Francesco De Gregorio Liutaio in vetrina di Ferruccio Gianola

dall'interessante  sito di Ferruccio Gianola  ( http://www.ferrucciogianola.com ) questo interessante 


Pagina facebook: Francesco De Gregorio Liutaio  

Esistono professioni, per conto mio, che sembrano sogni e ci sono professionisti, per conto mio, che con la loro opera ti portano nel mondo dei sogni.
Il caso - neppure tanto in verità - vuole che sulla mia vetrina settimanale il posto sia occupato da uno di questi, Francesco De Gregorio: un liutaio e un giovane professionista che si porta dentro, connaturata in se stesso, l'abilità manuale per costruire chitarre.
Un'abilità che Francesco pensa di aver appreso, sin da bambino, emulando il nonno materno, quando gli bastava osservarlo mentre faceva qualsiasi cosa con le mani: mani che si rendevano preziose nel fare cose utili e concrete per la vita di tutti i giorni.
Un qualcosa che a quindici anni si è trasmesso nelle sue di mani.
Dapprima semplicemente nello studio della chitarra come autodidatta. Poi, in un secondo tempo, qualche anno dopo, questa aspetto ereditario lo ha portato a muovere i primi passi in quel complesso, affascinante e vasto mondo che porta il nome di liuteria.
Francesco dice che non è in grado ora di descrivere la sensazione che provò quando   continua  su  Francesco de Gregorio Liutaio in vetrina di Frncesco Gianola





18.6.16

Beni confiscati, quando i fondi per la ristrutturazione svaniscono : la storia di Palazzo Teti Maffuccini

da http://ifg.uniurb.it

Beni confiscati, quando i fondi per la ristrutturazione svaniscono: la storia di Palazzo Teti Maffuccini

Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
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Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
di JACOPO SALVADORI
SANTA MARIA CAPUA VETERE (CE) – La storia di Palazzo Teti Maffuccini, bene confiscato in provincia di Caserta, è l’esempio più efficace per raccontare le occasioni perse dai fondi delle politiche di coesione per ristrutturare i beni confiscati alla mafia. L’edificio è stato sequestrato nel 1996 e si trova a Santa Maria Capua a Vetere, dove nel 1998 è iniziato il processo Spartacus, uno dei processi più importanti contro il clan dei casalesi. Ma questa non è la sua unica peculiarità. Là dentro, infatti, è stato scritto un capitolo della storia italiana: il 2 novembre 1860 è stata firmata la resa di Capua, dopo la quale il Regno delle Due Sicilie diventò parte del Regno di Sardegna. Nel 2010, alla vigilia dell’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia e anno di conclusione di Spartacus, l’Unione europea ha destinato un finanziamento del valore di tre milioni di euro per ristrutturare parte del palazzo. Unico limite, la scadenza: i soldi dovevano essere spesi entro il 31 dicembre 2015. Ma gli intoppi burocratici e soprattutto gli interessi della camorra hanno fatto svanire quei tre milioni.
LEGGI ANCHE: “Riprendiamoli”, la sfida per i beni confiscati alla mafia
Il vicesindaco-“padrino” e la confisca. Il vicesindaco democristiano  di Santa Maria Nicola Di Muro è il proprietario di Palazzo Teti Maffuccini. È “il padrone e forse anche il padrino di Santa Maria Capua Vetere” secondo i giudici che lo accusano di concussione e associazione camorristica. Proprio per queste accuse, nel 1996 gli vengono sequestrati beni per un valore stimato di circa 100 miliardi di lire, tra cui  lo stesso Palazzo (confiscato poi nello stesso anno) che nel dicembre 1998 è stato affidato al comune di Santa Maria. Nello stesso anno, proprio a Santa Maria, inizia il processo Spartacus, uno dei più importanti processi contro il clan dei Casalesi con più di 115 persone processate, tra cui Michele Zagaria, Antonio Iovine, Francesco Bidognetti (soprannominato “Cicciotto e’ mezzanotte”) e Francesco Schiavone (“Sandokan”). Nonostante il valore storico del Palazzo, nessuno se ne occupa mai davvero e per 12 anni la struttura rimane senza manutenzione, nel degrado, tra tegole che cadono e travi che marciscono.
LEGGI ANCHE: Beni confiscati, il buon esempio del “Grand Hotel Gianicolo”: assunzioni per i dipendenti e bilancio in positivo
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Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
La ristrutturazione fallita. Nel 2010 l’Europa stanzia tre milioni di euro per sistemare una parte del palazzo che doveva essere adibita a centro per la legalità, “una miseria per com’è ridotto il palazzo”, scrivono Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Nel dettaglio, i fondi sarebbero serviti per rifare il tetto, per mettere in sicurezza l’edificio e per evitare il crollo di alcuni locali. Fine dei lavori: 31 dicembre 2011. Ma per colpa di intoppi burocratici, il progetto va a rilento. E intanto la struttura si danneggia sempre di più. Sempre nel 2010, il processo Spartacus finisce: vengono condannati all’ergastolo in via definitiva 16 camorristi, fra i quali “Sandokan”, Bidognetti, Zagaria e Iovine. Vengono anche confermate altre otto condanne: Antonio Basco a 21 anni, Luigi Diana a 16 anni (oggi pentito) e Nicola Pezzella a 15 anni.
Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
Foto di Pietro Nardiello (Antimafia Duemila)
L’eredità del padre: il sindaco Di Muro junior. A maggio 2011 il progetto di ristrutturazione passa nelle mani di Biagio di Muro, nuovo sindaco di Santa Maria e figlio di quel Di Muro a cui era stato confiscato il bene nel ’96. Ma il progetto rimane fermo e i ritardi burocratici rallentano l’assegnazione dell’appalto. Nonostante il processo Spartacus, il clan dei casalesi è ancora presente in città e nel 2015 mette gli occhi sui quei tre milioni di finanziamenti. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli sospetta che alcune delle imprese vicine al clan Zagaria abbiano messo le mani sull’appalto. Si blocca tutto e ancora una volta il progetto di ristrutturazione rimane congelato. Il problema è che lo stesso sindaco viene indagato (e arrestato ad aprile 2016), la giunta si scioglie e il Comune viene commissariato. Siamo già al 2016: scade il tempo per spendere i tre milioni di euro di finanziamenti e i fondi svaniscono.

arancia meccanica di matteo tassinari


Arancia meccanica
Il film "Arancia meccanica" è stato, è, e rimarrà, sempre una fonte inesauribile di contraddizioni
        di Matteo Tassinari
Nonostante molti critici l'abbiano letto come la più lucida analisi in forma di film sulla violenza e sull'aggressività dell'essere umano - quindi, non certo come un'opera a favore della violenza. Qualche anno fa lo stesso Stanley Kubrick decise di ritirarlo dalla circolazione in Gran Bretagna, impressionato dai fenomeni di imitazione che suscitava, effettivamente furono numerosi.
Persino in Italia una gang di malviventi romani, ribattezzata "banda dell'"Arancia meccanica", e curiosamente su di loro è appena uscito un film, “L'odore della notte” di Claudio Caligari. Oggi, a distanza di oltre 25 anni dalla sua uscita, la contraddizione più curiosa a proposito di "Arancia meccanica" riguarda la sua modernità. Girato all'inizio degli anni '70, il film immaginava un'Inghilterra appena appena futuribile, quindi un'epoca che lo scorrere del tempo dovrebbe aver superato (diciamo, con azzeccata approssimazione, gli orribili anni '80?).
 Gli orribili anni '80?
Ebbene, a rivederlo oggi, non solo nemmeno un'inquadratura del film appare "invecchiata", ma quel senso di futuro imminente è ancora tutto lì, anche nelle cose più "deperibili" del cinema (gli abiti, gli oggetti, gli stili, i comportamenti).

Senza essere postmoderno, Arancia meccanica è ancora quanto più di "moderno" si possa vedere al cinema. Forse l'unica cosa invecchiata di Arancia meccanica è l'immagine in cui Alex De large, il protagonista, si accinge ad ascoltare la Nona di Beethoven infilando una musicassetta nel registratore. Oggi userebbe un ed! Ma è attualissimo sia l'uso che Alex fa di Beethoven - una sorta di spinta adrenalinica all'azione, all'ultraviolenza - sia l'uso che ne fa il film, le rielaborazioni in chiave elettronica.
Quel che resta di Alex
E certo è curiosissimo, alla vigilia del 2000, osservare 1'anticipazione che Arancia meccanica ha operato nel campo della moda, dagli anfibi che indossano Alex e i suoi "drughi" a certi abiti dandy e new romantic che Malcolm McDowell (lo straordinario, e mai abbastanza lodato, protagonista) sfoggia quando non è in divisa da teppista. Per non parlare dei folli vestitini della mamma di Alex, la brava attrice Sheila Raynor, che scimmiotta il kitsch delle vecchie americane. C'è già la globalizzazione, e questo potrebbe essere il messaggio finale del film.






 Karasciò,
Devocka, Coshia
In questo senso, forse non è un caso che Alex e i suoi "drughi" (ma anche altri personaggi) si esprimano in un bizzarro slang anglo-russo, che per altro deriva direttamente dal romanzo di Anthony Burgess, grande creatore definiti "Cocktail linguistici", accozzaglie di glossologie e ammassi di mescolanze.
Per intenderci, la parola "karasciò", che Alex e soci usano di continuo è il vocabolo russo per "bene" (anche se in inglese Burgess scriveva "horror show", facendo assonare il termine russo con un neologismo inglese che significa, più o meno, "spettacolo orribile") e così "devocka" è la parola russa per "bambina", "drug" vuol dire "amico" e “coshia” e la Durango 95 che filava molto "karaschò", con "piacevoli vibrazioni trasmesse al basso intestino. Ben presto alberi e buio fratelli, vero buio di campagna. Folleggiammo alquanto con altri viaggiatori della notte da autentici sbarazzini della strada, poi decidemmo che era ora di eseguire il numero visita a sorpresa. Un po' di vita, qualche risata e una scorpacciata di ultraviolenza" è il pensiero di Alex.
Devocka
Anche questi giochi di parole hanno affascinato Kubrick, che aveva giocato con la lingua russa (ignoriamo se la conosceva, ma certo l'amava) nel Dottor Stranamore, dove il premier sovietico si chiamava Kissoff (da "kiss", bacio) e il suo ambasciatore aveva il pazzesco cognome di De Sadesky! Ma, al di là dei calembour, è affascinante rievocare come Kubrick decise di fare in Arancia meccanica, subito dopo il trionfo di “2001". Era la fine del 1969 quando Kubrick chiamò a New York con lo sceneggiatore Terry Southern, con cui aveva già lavorato in "Stranamore", chiedendogli: "Ti ricordi quel libro di Anthony Burgess che mi avevi consigliato? L'ho letto, ed è stupendo!". Era proprio ai tempi della produzione di Stranamore che Terry Southern non era rimasto colpito dal romanzo, ma per l'interesse di Kubrick per Burgess era, ora, una novità, una felice novità per Southern.



I critici? Sempre
alla gola o ai piedi
Alla fine del '69, Kubrick era uno dei registi più potenti del mondo sul piano contrattuale, poteva dire e chiedere qualsiasi attore che tutti accorrevano per partecipare ad un lungometraggio di Stanley Kubrick, meglio conosciuto come regista innamorato della Perfezione, mentre con "2001" stava realizzando guadagni ingenti, inaspettati per il tema del film. Inoltre, tutti nell'ambiente sapevano che Stanley stava covando un progetto altrettanto ambizioso. Già dal '67 aveva sguinzagliato assistenti in tutta Europa per raccogliere materiali e informazioni di qualunque tipo su Napoleone.
Napoleone
Era in preparazione, per farla breve, un kolossal storico sul grande corso dell'Imèperatore francese, con Jack Nicholson già in parola per il ruolo da protagonista e l'intero esercito rumeno (quello di Ceausescu!) prenotato per ricostruire le battaglie di Jena, di Austerlitz, di Waterloo (pare che la Romania fosse l'unico paese dove 50.000 comparse erano disponibili a prezzi ragionevoli).
Insomma, il generale Kubrick si accingeva a portare sullo schermo il generale Bonaparte, ma le dimensioni del progetto divennero ben presto eccessive persino per lui. “2001”, gli era costato 5 anni di lavoro e Kubrick non aveva, allora, i ritmi "decennali" di dopo. 

Malcolm McDowell
Abituato a "smentire", con ogni suo film, il film precedente, passò repentinamente dal progetto su Napoleone a un'opera agile, da girare nel raggio di pochi chilometri dalla sua casa di Londra, con una troupe ridotta e con pochi attori, senza scene di massa. Dal punto di vista produttivo, infatti, "Arancia meccanica" fu un "piccolo film", E Malcolm McDowell non era ancora una star: aveva esordito solo due anni prima in un film straordinario di Lindsay Gordon Anderson, imponendosi come una forza della natura nel panorama del cinema britannico dalla presenza e l'esuberanza di un americano.
Capolavori mai nati
Se Napoleone è rimasto, ahinoi quasi sicuramente, il grande "film non fatto" di Kubrick, come la Recherche per Visconti e il Viaggio di Mastorna per Fellini e in letteratura il libro sul “Nulla” di Gustave Flabeurt, il passaggio dall'affresco psichedelico di 2001 alla favola grottesco-satirica di Arancia meccanica appare, a posteriori, del tutto giustificato.
Sul set di  "2001: A Space Odyssey"


CONTROLLO UMANO





















In “2001” il futuro dell'uomo era stato affrontato in una chiave a metà fra il mistico e lo scientifico. Ora lo si narrava in chiave sociale, dopo che già “Il dottor Stranamore” apparteneva al genere del fantapolitico. E se “2001” aveva un finale aperto, “Arancia meccanica” chiude l'uomo in una visione deterministica, in cui il controllo politico sulla violenza si traduce in un controllo tout court delle istituzioni sull’uomo.
Infatti, quando si analizza il fascino di Alex e dell'ultraviolenza nella prima parte del film, quella più spettacolare e indimenticabile, non si dovrebbe mai dimenticare la fine che fa Alex nella seconda, quando viene sottoposto al potente condizionamento medico-psicologico per renderlo inoffensivo e ridurlo ad una larva. Se è vero, come ha acutamente osservato Enrico Ghezzi nel "Castoro" dedicato al regista, che tutto il cinema di Kubrick è idealmente compreso nell'inquadratura di “2001” dove l'osso, scagliato in aria dalla scimmia che l'ha appena usato come un'arma mortale, si trasforma in astronave… se è vero questo, e noi pensiamo che lo sia, Alex è il vero erede della scimmia.
"2001: Odissea nello Spazio", l'osso usato come arma
Così parlò Stanley
È un uomo "libero" che segue le sue pulsioni. Queste pulsioni portano alla violenza e alla ferocia. La società si illude di redimerlo, poi si accontenta di controllarlo e, chissà, di usare quella violenza per i propri scopi. Se ricordate l'inquadratura della scimmia, vista dal basso, mentre maneggia l'osso per uccidere, la ritroverete quasi identica nell'impressionante immagine di Alex - ripreso al rallentatore, proprio come lo scimmione - che sfodera il coltello per ridurre all'obbedienza i drughi ribelli. Similitudini fra un film e l'altro per un "discorso" mai concluso.
Là c'era il “Così parlò Zarathustra di Strauss, qui c'è l'ouverture della Gazza ladra di Rossini. Musiche vitali, esaltanti, appassionate che Kubrick usa con maestria per commentare immagini in cui l'uomo si osserva e scopre la propria natura ferina. Per inciso, “Arancia meccanica” è il film che ha insegnato a usare la musica a tutta una generazione di cineasti. Un film da vedere, da sentire, da studiare, da conservare. Il miglior viatico per entrare, sotto braccio al cinema, per il suo futuro.

Decostruire la mascolinità non significa demolire l’uomo. È reinventarlo, liberarlo dalle catene degli stereotipi affinché possa essere se stesso,

Ultimo  post  per  questa  settimana   sulla violenza  di genere o  femminicido    La nostra  mascolinità, spesso definita da stereotipi cul...