4.7.21

il caso di Malika Chalhy L'ALTRO LATO DELLE RACCOLTE DI FONDO ONLINE

visto che l'astruso blocco di fb , eppure andando sul profilo dove di solito vengono elencate le restrizioni
è pulito non c'è scritto niente,  pubblico qui  il post    che  volevo pubblicare  su  fb  . La  toria    dimostra    effetto collaterale  dei social   e della rapidità  dell'informazione online  che fa    prendere  lucciole  per  lanterne  .  Infatti 

da repubblica del 2 .7.2021

Malika Ayane insulti e solidarietà social: "Ma quella Malika non sono io"La cantante ha postato un messaggio in cui ha chiarito (evidentemente ce n'era bisogno) di non essere la ragazza cacciata di casa dai genitori perché lesbica





Il nome è lo stesso ma l'equivoco è pressoché inspiegabile. La cantante Malika Ayane ha chiarito sul suo profilo Twitter di non essere la ragazza di vent'anni, Malika Chalhy, cacciata di casa per aver rivelato di essere lesbica. Nel messaggio sui social infatti scrive: "Cari #fulminidiguerra che mi intasate la mail e i social con insulti o espressioni di solidarietà, ho una notizia per voi: la Malika che cercate NON SONO IO. Incredibile che nel 2021 ci siano più donne con lo stesso nome, eh? Che poi, se volete mandare messaggi d’amore siete i benvenuti -se d’odio un po’ meno ma avrete le vostre ragioni- purché siano per me stessa medesima. #sipuofare".

Ddl Zan, Malika Chalhy alla manifestazione di Firenze: "La famiglia non ha colori"


La giovane toscana è al centro di polemiche per aver lanciato una raccolta fondi dopo aver detto di essere stata cacciata di casa in quanto omosessuale, ed aver invece speso i soldi ricevuti per acquistare una Mercedes e altri beni non di prima necessità. La spiegazione del suo gesto in un lungo post:  "non ho comprato auto di lusso a vostre spese, sono arrivata a Milano per ricostruire la mia vita al sicuro e lontano da chi mi ha messo paura e non avendo l'auto di cui necessitavo per tutti gli impegni sociali e ormai lavorativi che hanno riempito le mie giornate e che soprattutto mi hanno portato a viaggiare in auto per ore, ne ho presa una dando in permuta la mia (che oramai camminava a fatica), prendendone una di seconda mano. Sì, è una Mercedes, un'auto che mi permetta di non restare a piedi in questi lunghi viaggi e che mi accompagni il più a lungo possibile. Considerando che non so cosa ci sarà nel mio domani, sto cercando di trovare la stabilità in un momento in cui la terra trema sotto i piedi".

Concordo in parte  con 

Quello che si rimprovera a Malika, non è tanto di averci preso in giro (gli italiani lo fanno), o di averci fatto sentire stupidi (gli italiani lo sono), ma di avere messo in crisi il buonismo che ormai traccia la divisione fra destra e sinistra. Il caso, infatti, è tutto politico: è politico nelle sue premesse (la ragazza gay discriminata dalla famiglia retrograda immigrata); è politico nel suo sviluppo (la solidarietà della Comunità progressista che si stringe intorno alla vittima innocente della cattiveria altrui); è politico nella sua conclusione (grandi risate a destra).Fino a qualche giorno fa, chi avesse osato dire che una ragazza di 22 anni con un lavoro può benissimo andarsene di casa - anzi che è normale che se ne vada, e quindi ci restava per libera scelta; che "rifarsi" una vita a 22 anni fa sorridere - casomai la vita deve incominciare - ; che non si capisce in cosa l'essere lesbica le impediva di farsela, e dove e come la sua sessualità avrebbe causato opportunità perdute, che andavano compensate in denaro; che era un po' spregiudicato, e molto furbo, rivolgersi ai social per raccontare il suo dolore e che il dolore vero, in genere, non si banalizza in quel modo, sarebbe stato azzannato alla gola.Perché il problema è sempre quello: la presunta superiorità morale della sinistra, che non tollera dissenso e che cerca disperatamente un modo per manifestarsi. Spesso, a casaccio.Malika, diventata idolo della "battaglia" per il DDL Zan, o meglio della discussione , tutta emozionale e per niente tecnica , di un argomento che sarebbe tecnicissimo; diventata il volto nuovo di una battaglia vecchia, e cioè la ribellione alla violenza patriarcale; diventata simbolo dei millennials che intendono prendere in mano il loro futuro, ha dimostrato che OPS! anche i gay (e gli immigrati, e gli zingari, eccetera) possono essere disonesti; che spesse volte la vittima concorre nella violenza, almeno nella misura in cui la tollera volontariamente, e quindi si deve fare attenzione col giudizio; che i ventenni possono veramente essere dei bamboccioni col culo pensante, convinti che tutto gli sia dovuto e che sia lecito realizzare i sogni con gli imbroglietti, anziché con la fatica. Perché, attenzione, Malika è stata disonesta: in parte ha mentito (i famosi soldi in carità, la ONG della Boldrini, eccetera), e in parte ha giocato sul non detto.E' chiaro che chi ha donato per farle "rifare una vita", intendeva con quel gesto darle una possibilità di investimento in qualcosa di utile: l'università? l'apertura di una attività economica? andare all'estero?, ed è stato deluso.Non si tratta di mancanza di chiarezza, ma di una cosa più sottile, in cui concorrono le colpe. Chi ha donato ha proiettato su di lei una visione della "vittima" (che deve essere onesta, leale, riconoscente) tutta sua e lo ha fatto per ragioni di ego.Lei, che ha ricevuto, però ha giocato su questa dispercezione: altrimenti, avrebbe serenamente chiesto dei soldi per togliersi gli sfizi e divertirsi.ll problema perciò non è che si sia comprata la Mercedes, vestiti firmati, un canetto da 2500 euro (anche se questo riflette, siamo seri, pochezza di spirito), ma che ancora non abbia esplicitato nessun progetto per il suo futuro.In che modo i soldi raccolti le serviranno?Malika non lo sa, se no l'avrebbe detto.Ecco perché sono stati buttati. Per il resto, ormai i soldi sono suoi e ci faccia quel che vuole.Se per "rifarsi una vita". intende spenderseli in aragoste e champagne, buon per lei. Nessuno glieli tocca.Per la lezione che ha inflitto ai buonisti, se li è anche meritati. [...]


perchè oviio che Se metti in mano 120mila euro a una ragazza di vent'anni ( ovviamente senza generalizzare ) poi non ti puoi lamentare più di tanto se se li spende in cazzate.anch'io nelle sue stesse condizioni e  alo  sua stessa  età  mi sarei tolto più d'uno sfizio.
Ci fanno ridere quelli che quando danno due euro al punkabbestia, gli raccomandano di non berseli !

Come ho scritto no ricordo dove , aspettiamo (cosa che farà anche lei ipotizzo ) e la vedremo con la famiglia a c'è posta per te della de filippi o altrer trasmissioni raimediaset simili . Perchè secondo me è tutto organizzato per farsi pubblicità e fare soldi oltre che a cercare visibilità mediatica e sfondare nello showbiz , vedere il caso la hit  buongiorno da mondello di Angela Chianello, in arte Angela da Mondello, sembra la fine di un percorso dove la fama non voluta all’Oscar Wilde (parlane bene, parlane male, purché se ne parli) dopo l’ormai famosa e iconica intervista dell’inviata di Barbara D’Urso nella spiaggia palermitana nel  giugno del  2020  

3.7.21

Dalle ginestre la fibra più verde UNA FIBRA SIMILE AL LINO SI ESTRAE DALL’ARBUSTO. E CON GLI SCARTI? SI PRODUCONO BANCHI PER LE SCUOLE ALTRI PREGI: CRESCE CON POCA ACQUA E SENZA BISOGNO DI PESTICIDI

   da  gente   di questra  settimana 

ALLO STUDIO A sinistra, i rami della ginestra dai quali si estrae la fibra. Sotto, il professor Amerigo Beneduci dell’Università della Calabria (sotto) nel suo laboratorio, che ha studiato il tessuto ottenuto dall’arbusto. DAI CAMPI ALL’ATELIER A sinistra, la stilista Flavia Amato lavora su uno scampolo di tessuto sotto l’occhio della sua modella (anche nella pagina a fianco, in un ginestreto) che indossa la prima tuta prodotta con questa stoffa. Sotto, il materiale. (Foto Fotogramma/IPA).

Avolte per andare avanti bisogna tornare indietro, guardare al passato, ripescare vecchie idee. Come quella di ricavare fibre tessili dalle ginestre, trasformando una pianta spontanea in una risorsa per la moda, l’arredo e molto altro. Gli antichi romani lo facevano già, prima di loro i greci; resti di questo tipo di filato sono stati trovati durante gli scavi di Pompei. Oggi la palla è passata al Dipartimento di tecnologie chimiche dell’Università della Calabria, dove il professor Giuseppe Chidichimo e il suo team fanno ricerca in questo senso da almeno dieci anni.

«È iniziato tutto grazie a una collaborazione con il gruppo Fiat, che voleva usare stoffe alla ginestra per i sedili delle auto», racconta il docente. «A noi è stato chiesto di modernizzare l’antico processo di estrazione della fibra dall’arbusto e di renderlo industrializzabile». Più facile a dirsi che a farsi: mentre con il lino basta seccare i rametti e scuoterli per far staccare la parte fibrosa, la ginestra, dove la fibra è presente nelle cuticole delle vermene, cioè dei rami, è cespugliosa e più resistente, e richiede uno sforzo maggiore. «In passato la si metteva in ammollo nell’acqua per quindici giorni per provocare lo sfaldamento della parte interna, poi la si batteva con strumenti di legno: un metodo efficace, ma lento. Così come quello usato negli Anni 40 quando, in pieno regime fascista, smise di arrivare il cotone dall’America e si fece nuovamente ricorso all’arbusto locale, diffusissimo nelle regioni del Sud Italia: all’epoca si scoprì che per sciogliere le sostanze collanti che trattengono la fibra era utile immergere le piante in una soluzione sodata, la stessa dove si mettono le olive per renderle più dolci. Ma anche se la fase di macerazione si era evoluta, non così quella successiva, nella quale la fibra veniva strappata a mano dalle donne». Niente di replicabile su larga scala, insomma. «Con i nostri studi abbiamo fatto molti progressi, persino reso più ecologico il processo eliminando il bagno nel

la soluzione sodata, che abbiamo sostituito con un ciclo di disidratazione e reidratazione suggeritoci dai contadini. È ancora un work in progress, ma abbiamo già iniziato a coinvolgere le aziende».

Le prime a dimostrare interesse sono state quelle della filiera tessile: la Sunfil di Castrovillari, in provincia di Cosenza, ha messo a punto un macchinario apposito per la cardatura (la ginestra ha fibre lunghe, diverse da quelle di lino e canapa), il Linificio Canapificio Nazionale del gruppo Marzotto si è occupato dei filati, il tessuto finito è stato realizzato dalla Tessitura Enrico Sironi di Gallarate, infine l’atelier Malia Lab della stilista calabrese Flavia Amato ha cucito i primi capi, un trench e una tuta palazzo. «Temevamo che il tessuto risultasse ruvido al tatto, irritante per la pelle», ammette il professor Amerigo Beneduci, che con Chidichimo è tra i responsabili dell progetto. «Al contrario, quello che abbiamo ottenuto è morbido, fresco, estremamente versatile. Ricorda il lino ed è perfetto per la bella stagione».

Ma la ginestra ha anche altri vantaggi. «È una pianta che cresce spontaneamente e in maniera molto rapida», riprende Chidichimo. «Non ha bisogno di molta acqua e attecchisce sui terreni collinari, anche aridi, inservibili o quasi per l’agricoltura. Non ruba quindi spazio ad altre coltivazioni, anzi è utile contro gli incendi e, con le sue lunghe radici di 3-4 metri, previene le frane. Ed è pure bella da vedere: quando è in fiore crea una distesa gialla molto gradevole. Inoltre, a differenza del cotone, non ha bisogno di pesticidi inquinanti perché non viene attaccata dai parassiti». Ma quanta ne serve per fare un abito? «Se ipotizziamo di usare circa due chili di tessuto per capo, avremo bisogno di due chili e mezzo di fibra, che si estraggono da 25 chili di ginestra verde. Sembra tanto, ma un ettaro di ginestreto produce 25 tonnellate di arbusti, quindi mille vestiti».

Unico neo, sul vegetale appena tagliato la resa in fibra è piuttosto bassa, del 10-12 per cento. Ma anche in questo caso il problema è presto risolto: gli scarti, cioè la parte legnosa inadatta al tessile, non vengono buttati, ma trovano impiego nei settori più disparati, dalla bioedilizia all’arredo: «Noi li abbiamo forniti alla Sirianni, un’azienda di mobili per le scuole, che ne ha fatto banchi, cattedre e armadi», racconta Beneduci. Ma è anche possibile macinarli e ridurli a polveri vegetali, per integrarli in composti plastici e ridurre l’uso di derivati dal petrolio. Meglio di così!

2.7.21

DNA never lies (Il DNA non mente mai)



che storie interessanti si trovano leggendo i contatti di un tuo contatto . Una storia commovente Questa storia è commovente! Ed è bellissimo il fatto che l'anziana signora, dopo tanto tempo finalmente possa conoscere le sue origini e incontrare i suoi parenti... È una cosa meravigliosa!  
margine mi rassicura sull'attendibilità di questi test, ero piuttosto perplesso, dopo  gli errori   vedi il caso Omicidio di Meredith Kercher   e  forse  anche  quello  di  Yara Gambirasio  ora lo farò anch'io!!

 da 

È cominciato tutto per curiosità, con un kit per un esame del DNA acquistato su internet come regalo natalizio nel 2019. La nostra curiosità principale era scoprire l’origine etnica, se sarda, ispanica, nordafricana, o altro. Per vari contrattempi, i risultati giunsero solo a luglio 2020. Una volta tolta la curiosità sulla stima di etnia, guardammo le corrispondenze di DNA (sta a dire tutte quelle persone che condividono tra loro una o più porzioni di corredo genetico e per tale ragione possono definirsi parenti più o meno lontani) e lì ci fu una sorpresa: F.D., età compresa tra 80 e 90 anni, cugina di secondo grado.
A questo punto, non conoscendo nessun parente con quel cognome, feci l’unica cosa logica in questi casi, scrissi a colui che gestisce il profilo di DNA di questa signora su quel sito, C.S. E fu così che scoprii quanto segue: “Buongiorno Giacomo, la storia di mia madre è particolare, anche se comune a tante persone, ed è per questo che ci siamo rivolti a MyHeritage.
Mia madre è nata a Roma nel 1934, nell’ospedale San Giovanni, e appena nata da lì fu affidata ad un orfanotrofio. Non ha mai conosciuto i suoi genitori, ha vissuto la sua vita pienamente e con tante soddisfazioni, si è sposata, ha cresciuto noi figli. Una vita felice, convivendo con l’idea di non poter mai abbracciare i suoi genitori. Ora, negli ultimi anni della sua pur felice vita, a 86 anni, si sta tormentando: vorrebbe sapere, terminare la sua esistenza avendo anche solo un'idea approssimativa delle sue origini. L’analisi del DNA di mia madre evidenzia un 60% di etnia sarda, quindi con tutta probabilità sua mamma o suo papà erano di origini sarde, ma crediamo si possa trattare più della madre. Non abbiamo altri dati, nonostante le ricerche, la nascita di mia madre è avvolta nel mistero, non è stato possibile reperire nessun documento relativo alla nascita di mia madre, tantomeno relativo ai suoi genitori. Quindi Giacomo forse lei potrebbe aiutarci nell’esaudire il desiderio di mia mamma di sapere […] un cordiale saluto, C.S.”.
Da quel momento decidemmo di fare il possibile per aiutare questa nuova zia a scoprire i suoi genitori. Dissi a C. di acquistare un kit per il DNA da un altro sito che dà maggiori informazioni (23andMe), mentre io ne acquistai 3, uno per mia madre, uno per mio padre e uno per me. Ad agosto scoprimmo quindi che F.D. è cugina di primo grado di mio padre. Andando per passi, dovevamo scoprire se la parentela fosse dal lato Calvia-Casu oppure Gaias-Fresu. E così è cominciata la parte più bella di tutta questa storia, fatta di solidarietà, disponibilità, di persone che si sono prestate, spesso volontariamente
dopo il semplice racconto di questa vicenda, in una sequela di test del DNA che ci hanno portato a scoprire tutto.
Una cugina di mio padre si è offerta per fare il test e ai primi di dicembre stabilimmo a quale ramo familiare appartenesse la parentela e che il genitore in questione era il padre. A fine gennaio, grazie a un cugino che a sua volta si era reso disponibile, sapevamo il nome del padre di F.
Nel frattempo, però, erano già avviate le ricerche della madre, grazie a una stretta parentela con una famiglia originaria anch'essa di Berchidda, ma che oggi vive negli Stati Uniti d’America. E così, dopo aver ricostruito un ricco albero genealogico in pochissimo tempo (grazie a numerosi collaboratori), siamo stati in grado di selezionare alcune famiglie berchiddesi potenziali e la fortuna ci ha sorriso. A febbraio abbiamo fatto altri due test del DNA e al primo colpo abbiamo scoperto la madre di F.D. con una precisione del 50%. Infine, ai primi di giugno, la nostra ricerca si è conclusa dopo che un ultimo test ci ha confermato che la madre era una donna nubile, morta all’età di soli 45 anni nel 1942.
Così, un segreto durato per oltre 86 anni è stato svelato grazie al DNA che, come dicono negli USA, non mente mai. E tale verità svelata ha restituito un'identità a una donna, ma anche una cugina, una zia, una sorella per varie altre persone.
Tra poche settimane, F.D. verrà a Berchidda per conoscere i parenti, i luoghi che avrebbero potuto essere la sua casa e visitare le tombe dei suoi genitori. Non le restituiremo ciò che all’epoca le fu tolto dalla mentalità di quei tempi, ma la potremo accogliere con l’affetto che merita una berchiddese d.o.c. che solo un infausto destino ha portato lontano dal nostro paese.

 Pubblichero'  sempre  con il consenso  di Giacomo gli ulteriori  aggiornamenti  di questa  vicenda 

Contro i femminicidi l'inno in sardo di una generazione in un videoclip dalla scuole medie di ozieri ,CHENA TIMIRE adattamento in Sardo del brano Cancion sin miedo della cantautrice messicana Vivir Quintana

E’ una piaga sociale quella dei femmicidi difficile da estirpare per le sue radici profonde nella violenza a sua volta ben radicata nella cultura maschilista di cui è ancora permeata la nostra società.I giovani sono la speranza del cambiamento. E il cambiamento può 

3^ F G. Deledda di Ozieri

arrivare solo cominciando dal basso, cioè dalla scuola. Un mondo migliore è possibile; costruire una società dove le donne possano vivere libere, è necessario .  E  norizia     dei giorni  scorsi  (  trovate  a lato  prese  dalla loro  pagina fb   trovate  sotto  l'url     gli articoli della  nuova  e  dell'unione    sarda    )    di  una   terza media  di Ozieri     che    ha       creato  Il brano Chena Timire  






una  versione sarda dell'originale     Canciòn sin miedo”   della cantautrice messicana Vivir Quintana.

 
 

La canzone di Vivir Quintana parla della violenza che subiscono le donne, è diventata un inno nelle proteste femministe non solo  in Messico  . Essa 
 

da  https://es.wikipedia.org/wiki/Canci%C3%B3n_sin_miedo  tradotto in automatico  con google  

 è stata presentata per la prima volta al concerto del Festival Tiempo de Mujeres 2020 eseguita da Mon Laferte, Vivir Quintana e il Coro Palomar . , più di 70 cantanti e musiciste.La canzone è stata eseguita in diverse parti del mondo, come: Argentina, Cile, Colombia, Ecuador, Spagna, Honduras, Perù, Francia, tra gli altri, per sradicare la violenza di genere.  A marzo 2021, il video sul canale del compositore aveva 8 milioni di visualizzazioni. Nel 2021 esce la versione mariachi eseguita con gli studenti della Ollin Yoliztli Mariachi School. Così come un adattamento al contesto dello Yucatan, con una traduzione e frammenti in Maya.  La canzone descrive la realtà messicana della violenza contro le donne che include sparizioni e femminicidi e parla anche della lotta che le donne danno contro la violenza "Oggi le donne ci tolgono la calma, hanno seminato paura, hanno messo le ali":

Ogni minuto, ogni settimana
Rubano i nostri amici, ci uccidono sorelle
Distruggono i loro corpi, li fanno sparire
Non dimenticare i loro nomi, per favore, signor Presidente
Cantiamo senza paura, chiediamo giustizia
Gridiamo per ogni scomparso
Lascia che risuoni ad alta voce "ci vogliamo vivi!"
Lascia che il femminicidio cada forte

—Estratto dalla canzone


La canzone descrive la realtà messicana  (  ed  ora    non solo  )    della violenza contro le donne che include sparizioni e femminicidi e parla anche della lotta che le donne danno contro la violenza "Oggi le donne ci tolgono la calma, hanno seminato paura, hanno messo le ali"
È un oggetto di studio su come il dolore ci unisca davvero tanto, ci leghi molto alle donne non solo del Messico, ma dell'America Latina e del mondo. È come un ossimoro di dolce gioia ma anche di dolcezza amara. 


Tale  lavoro   ha come obiettivo di contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio in Sardegna. Che cosa possiamo fare contro la violenza sulle donne, per combattere ogni forma di discriminazione e sensibilizzare l’opinione pubblica? È probabilmente questa la domanda che si sono posti i 18 “Caddhos Rujos”, il collettivo scolastico composto dalle ragazze e i ragazzi della III F della scuola media G. Deledda di Ozieri. I quali hanno ideato un videoclip dal titolo Chena Timire, traducendo in lingua sarda la canzone “Canciòn sin miedo” della cantautrice messicana Vivir Quintana, diventata un inno internazionale contro la piaga dei femminicidi. Il brano, riadattato alla nostra realtà, si rivolge alle donne e agli uomini della Sardegna per contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio nell’Isola.
Il progetto, ideato nel contesto della materia Arte e Immagine, è stato coordinato dai professori Alessandro Carta e Maria Paola Maieli. «Per buona parte del secondo quadrimestre si è lavorato a questo progetto – spiegano i docenti – sia dal punto di vista artistico-comunicativo, studiando un logo, traducendo il brano di Quintana, realizzando la sceneggiatura, l’arrangiamento musicale e un ufficio stampa per proiettarne la comunicazione all’esterno. Ma anche da quello storico sociale, ricostruendo i casi di femminicidio e di violenza di genere che hanno coinvolto il territorio sardo. Analizzando inoltre la condizione femminile in Italia dal Ventennio fascista fino ai giorni nostri».


«Osservando l’evoluzione dei diritti delle donne ci siamo domandati – spiegano gli studenti   a  https://www.logudorolive.it/ da  cui  ho tratto  le foto  – in quale modo questi debbano essere tutelati e difesi, e perché ancora oggi molte altre fondamentali conquiste civili non siano state ancora raggiunte. Partendo dal tema del femminicidio in Sardegna, abbiamo osservato come questo fenomeno sia diffuso a macchia d’olio in tutte le culture moderne».Il testo grida i nomi di Romina Meloni (49 anni di Ozieri), Zdenka Krejcikova (41 anni uccisa a Sorso), Speranza
Ponti
 (50 anni di Uri), Susanna Mallus (55 anni di Quartu Sant’Elena), Michela Fiori (40 anni di Alghero), e ricorda anche i movimenti di lotta femminile che hanno combattuto   ed  ancora  combattono  in Sardegna per la libertà, per i propri diritti e per la salute dei loro cari. Il messaggio centrale, cantato e urlato chiaramente dalle ragazze, è «vogliamo giustizia, che le istituzioni e le strade devono tremare perché non abbiamo più paura e perché le donne le vogliamo vive».

Gli interpreti del videoclip: Irene Monni (voce), Alessandro Carta (chitarra), Angelo Sotgiu (fisarmonica), Giuseppe Bulla (guitalele e charango), Simona Gioia, Miriam Lutzu, Clara Mura, Anna Puddu, Laura Saba, Melania Soro, Alessia Tanda e Francesca Tanda (Coro).  Un grazie di cuore alle ragazze, ai ragazzi ed ai professori che







hanno pensato e lavorato al progetto, prezioso per 
aumentare la sensibilizzazione ed accrescere la consapevolezza della popolazione su questo grave problema sociale. Ci auguriamo, questa volta con forza, che questo video diventi ancora  più“virale” e ci piace unirci al coro delle ragazze: “Manc’una de Mancu”  ma    soprattutto   con  Nos ponent tramentu, nos creschent sas alas  ! (  Più ci mettono paura, più ci crescono le ali  !  ) 

  dall  'introduzuone     del loro  video  
 
Questo il senso del brano che inneggia al coraggio e alla sorellanza femminile nella lotta al femminicidio e alla violenza di genere. Nel contesto della materia Arte e Immagine si è costituito un informale collettivo scolastico, 18 CADDHOS RUJOS, che fa capo alla classe III F della scuola media G.Deledda di Ozieri, coordinata dai professori Alessandro Carta e Maria Paola Maieli. Per buona parte del secondo quadrimestre si è lavorato a questo progetto sia dal punto di vista artistico-comunicativo, costituendo una sorta di troupe con lo studio di un logo, costruendo una traduzione in Sardo, una sceneggiatura condivisa, un arrangiamento musicale e un ufficio stampa per proiettarne la comunicazione all'esterno; sia dal punto di vista storico sociale, ricostruendo i casi di femminicidio e di violenza di genere che hanno coinvolto il territorio sardo e analizzando la condizione femminile in Italia dal ventennio fascista fino ai giorni nostri. Osservando l’evoluzione dei diritti delle donne ci siamo domandati in quale modo questi debbano essere tutelati e difesi, e perchè ancora oggi molte altre fondamentali conquiste civili non siano state ancora raggiunte. Partendo dal tema del femminicidio in Sardegna, si è osservato come questo fenomeno sia diffuso a macchia d’olio in tutte le culture moderne. In Messico la cantautrice Vivir Quintana ha realizzato una canzone contro la violenza che opprime le donne del suo paese. Questo brano, “Canciòn sin miedo”, è diventato un inno contro la piaga dei femminicidi e viene cantato in tutto il mondo durante le manifestazioni di protesta e di sensibilizzazione. Abbiamo tradotto in Sardo la canzone di Vivir Quintana e l’abbiamo riadattata alla realtà sarda realizzando il videoclip di CHENA TIMIRE, canzone in limba che si rivolge alle donne e agli uomini della Sardegna per contribuire al dibattito sull’argomento e per ricordare alcune delle donne vittime di femminicidio in Sardegna. Il testo grida i nomi di Romina Meloni (nostra compianta compaesana), Zdenka Krejcikova, Speranza Ponti, Susanna Mallus, Michela Fiori, e ricorda anche i movimenti di lotta femminile che hanno combattuto in Sardegna per la libertà, per i propri diritti e per la salute dei loro cari. Questo lavoro non è stato concepito per rimanere all’interno di un’aula scolastica, bensì per proiettare il suo messaggio sul territorio e per denunciare le continue e infami violenze che ci circondano e che non hanno fine. Con la forza della nostra giovinezza, e con Vivir Quintana, cantiamo e urliamo chiaramente che vogliamo giustizia, che le istituzioni e le strade devono tremare perché non abbiamo più paura e perché le donne le vogliamo vive.


  che altro aggiungere a questa bellissima   iniziativa    se   non i  loro colleggamenti  








1.7.21

"L'idiota del giorno" Marco dondolini (FDI): "Le ragazzine in shorts istigano le risse tra ragazzi"

 Un'altra perla di saggezza, dopo Tuiach consigliere comunale di Trieste ex lega ed oggi forza nuova ( cambia poco) , Marino consigliere comunale di Mazara del Vallo di CDX , ora quest'altro scienziato non c'è fine al peggio.Ciò dimostra che Orwell è attuale come non mai: "Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri, traditori, non è vittima, è complice", questo è.

Meno male che ogni tanto i loro grandi cervelloni vegono fuori! Questo è proprio da Prize Award ! 🤣🤣🤣 Dovrebbe secondo alcuni essere contento: istigherebbero novelli balilla squadristi di cui il futuro governo avrà bisogno per mantenere ciò che intende per "ordine e sicurezza".