18.1.22

a quando il 27 gennaio Memoria senza retorica

 Avrei preferito, pur essendo  contro  le  giornate  a tema  ,  che  l'olocausto  e lo shoah ( per  me  nessuna  differenza     se  non sottilissima  )  stessi eventi    


Differenza tra Olocausto e Shoah

Quale è la differenza tra Olocausto e Shoah? In quali contesti storiografici si usano?
Col termine Olocausto viene attualmente designato il genocidio o sterminio di una considerevole componente degli ebrei d’Europa. Assieme agli ebrei altri gruppi finirono nel programma di sterminio dei regimi nazi-fascisti, anche se l’ostilità antiebraica – nella sua nuova veste di moderno antisemitismo razziale – fu fin dall’inizio parte integrante della ideologia del Nazismo tedesco.
Il termine olocausto, che deriva dal greco e successivamente dal latino, traduce anche un termine biblico legato alla sfera dei sacrifici cruenti e animali. Con tale termine si traduce in lingua greca il sacrificio ebraico detto ‘olah, ossia innalzamento, un sacrificio che viene “tutto bruciato”. Il fumo che sale “è odore gradito al Signore”.
Il termine utilizzato per descrivere la lo sterminio degli ebrei d’Europa si è mantenuto nella lingua inglese (Holocaust). Che esso provenga da ambienti cristiani di età medievale, che indichi un lemma proveniente dal mondo pagano, che abbia un significato troppo religioso, come spesso si afferma, è tutto sommato irrilevante. Certo ci può essere una sorta di assonanza tra il fumo dei campi di sterminio e quello della vittima sacrificale, ma si tratta di assonanza superficiale e deviante, poiché l’immagine biblica indica ben altro gesto culturale. Cosa si voleva intendere quando si associò lo sterminio degli ebrei all’offerta sacrificale del mondo antico? Un “sacrificio” dei nazisti al “dio della Razza”? O una auto concezione del sé ebraico come vittima sacrificale simile alle concezioni del sacrificio cristiano?
L’ambiguità del significato di questo termine è ovvia, provoca di certo disagio. Da qualche decennio – per lo più nei paesi di tradizione non anglosassone – è invalso l’uso di utilizzare un termine ebraico, ritenuto più pertinente . Il termine Shoah –  שואה – veicola, nel lessico biblico, diversi significati legati all’idea di distruzione. Esso è certamente più neutro, meno  connotato in senso religioso, anche se a dire il vero, il lemma ricorre frequentemente nel libro di Giobbe, nella lingua del profeta Isaia e in alcuni salmi, ed essendo in qualche senso legato alla sfera del religioso, non è così determinato dalle azioni di carattere cultuali.

 che  hanno in comune  le atrocità umane  ma  con significato   semantico  differente , fosse  celebrata\  ricordata  il  16  ottobre    in quanto  in tale data  nel  1943  ci fu la  Deportazione dal Ghetto di Roma di 1023 ebrei verso il Campo di sterminio di Auschwitz  o  quelle  del primo convoglio di deportati ebrei diretto ad Auschwitz partì da Milano il 6 dicembre 1943 o  dell’ultimo, il 15 gennaio 1945  Ma  l'italia    pur di  non   mettere  il coltello  nella piaga   e   voler fare  autocritica   in quanto   alle date  sopra  riportate    parteciparono   anche   militari italiani    ha preferito  per  salvare   capra  e cavoli  s'adegua  passivamente     alla   risoluzione ONU del 2005  che per celebrare il 60° anniversario della liberazione  dal nazismo  e   per ricordare l'orrore della Shoah e commemorare le vittime dell'Olocausto è stata istituita una ricorrenza internazionale ha stabilito che il 27 gennaio – giorno in cui le truppe sovietiche liberarono Campo di sterminio di Auschwitz  – sia il Giorno della memoria.
Come si può raccontare l’orrore dell’Olocausto agli studenti? Come è possibile parlare della Shoah e del Giorno della Memoria anche se sono lontani dal periodo storico che si sta studiando  s e mai  si  arriva  a studiarlo  ? La Memoria non si insegna   visto  che : << [ ... ] Io chiedo quando sarà che l' uomo potrà\ imparare  \a vivere senza ammazzare \e il vento si poserà \e il vento si poserà [ ... ] >>  ( La canzone del bambino nel vento (Auschwitz) )   o se  non  è  coltivata    ed  praticata  . Conviene partire dagli eventi della Storia e lasciare spazio alle parole degli ultimi testimoni sopravvissuti  se   ce  ne  sono ancora   o  alle loro  memorie  . Lo so che questo   si  differenza   dalla  storia    come  spiega  benissimo Alessandro  barbaro    , nel video  sotto

ma io non ne vedo altri modi che non sia retorica e nozionistici . Ma soprattutto concordo   con  la riflessione della giornalista Francesca Paci, autrice di Un amore ad Auschwitz. Edek e Mala: una storia vera, edito da UTET <<  Cosa accadrà quando non ci saranno più i testimoni, quando anche l’ultimo sopravvissuto sarà sepolto da qualche parte? I più giovani di loro, i rarissimi bambini usciti vivi dal lager, hanno abbondantemente superato gli ottanta. Il tempo vola. A un certo punto il compito di tramandare la memoria toccherà a noi, a chi ha avuto il privilegio di ascoltare le loro voci.
Per questo mi sono appassionata immediatamente a Mala e Edek, perché sono due figure fuori dal comune che in condizioni estreme costruiscono un rapporto intenso, romantico, quasi un film, ma soprattutto perché la loro è una storia d’amore reale laddove di reale c’era solamente la morte>>.

Ogni volta che si tratta l’argomento della Memoria o vedo    sui  social   foto di  pietre  d'inciampo  qui  maggiori  dettagli ( da  cui ho tratto la  foto sotto a  sinistra   )    mi chiedo come dice Fabio Perugia su https://www.interris.it/ Gennaio 27, 2017 <<cosa è possibile fare per non banalizzare il ricordo della
Shoah. Non è un’impresa facile, tutt’altro. Perché la storia è una sola e racconta lo sterminio – quasi portato a termine – degli ebrei nei campi nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. E perché un sinonimo di Shoah non esiste e solo in quella parola si può concentrare l’urlo di milioni di anime barbaramente deportate da ogni angolo della nostra Europa per poi finire nelle camere a gas.
>>
Eppure dobbiamo sforzarci per far sì  che  quando  si  parla   di shoah  e  di  olocausto    soprattutto  durante  la  giornata    ora  diventata   settimana    del  27  gennaio  non assuma il sapore del rito e della celebrazione istituzionale e  quindi  forzata \obbligatoria . << Un esercizio che oggi siamo ancora in grado di fare grazie alla presenza dei pochi sopravvissuti che attraverso i loro racconti dell’orrore riescono a fissare nelle nostre menti quel tragico ricordo. Ma domani, quando purtroppo passeranno a noi il testimone della narrazione della Shoah, cosa saremo in grado di consegnare ai nostri nipoti? Accanto al ricordo di Auschwitz Birkenau, il Giorno della Memoria deve trasmettere un messaggio, un insegnamento che sia alla base del motivo per cui i sopravvissuti sono sopravvissuti. Sami Modiano, che è stato deportato a Birkenau, dice sempre ai ragazzi che incontra: “Io vi racconto ciò che ho vissuto affinché non succeda mai più”.>>
Ecco quindi che celebriamo il Giorno  \  settimana   della Memoria non solo per ripercorrere il passato ma anche per costruire un migliore futuro. La prima cosa da imparare da Auschwitz  e  gli altri  campi  è che  non nascono  dal nulla. Non sono  la macchina della morte piombata all’improvviso al centro dell’Europa. Auschwitz e  gli altri  campi    sono  stati  solo il più tragico e ultimo tassello di un lungo percorso. Che inizia nelle nostre strade, nei paesi anche italiani, della profonda provincia o della viva città, dove il vicino di casa diventa improvvisamente un “diverso”, un cittadino di serie B. E a pochi è importato se quel vicino ebreo improvvisamente non poteva andare a scuola, lavorare, insegnare, vivere come gli altri suoi simili. In un’escalation progressiva, talvolta lenta, la società ha messo in un angolo gli ebrei e poi è rimasta in silenzio – tranne eccezioni – quando è arrivato il momento delle deportazioni. Anzi, alcuni hanno collaborato alle deportazioni dei loro concittadini.
<<Eppure, forse, non sono stati loro i peggiori. La maggioranza, la massa, è rimasta nell’indifferenza. Si è vista prima declassare e poi deportare verso la morte i propri amici ebrei [  e non solo  aggiunta mia  ]  restando in silenzio. Il Giorno della Memoria ci insegna che non possiamo distrarci, che dobbiamo essere attenti, che dobbiamo avere cura dei nostri comportamenti di tutti i giorni, che dobbiamo avere a cuore il prossimo, che dobbiamo guardarci intorno e capire se c’è il nostro vicino di casa che è stato messo nell’angolo. Se non lo facciamo, se permettiamo che altri esseri umani siano trattati come esseri umani di serie B, se permettiamo che un nero sia inferiore a un bianco, se permettiamo che un musulmano sia solo un terrorista, se permettiamo che un immigrato sia solo un clandestino, se permettiamo questo allora sappiamo che l’Uomo ha già dimostrato di poter costruire Auschwitz e dove la mente umana è arrivata può purtroppo tornare. [... ] >>

Per questo Giorno della Memoria 2022 vi propongo spunti didattici, consigli di letture e attività per affrontare e discutere in classe  o  a  casa  con i  figli    alcuni aspetti della Shoah.

le  letture    consigliate    insieme  ad altri materiali didattici    sono consigliati dal sito   https://blog.deascuola.it /   qui per   l'elenco  completo 


Luci nella Shoah

Nella tragedia della Shoah, lo sterminio degli ebrei operato da fascisti e nazisti negli anni della Seconda guerra mondiale, milioni di persone hanno sofferto un dolore simile. Spesso hanno anche subìto una sorte comune. Ma quel dolore non è stato l’unica esperienza. Ciò che univa le persone è stata spesso la vita passata, e la speranza presente. Molti sopravvissuti ricordano che pur nel buio e nell’angoscia si aggrappavano a ricordi, pensieri, oggetti per tenersi vicino un mondo che sembrava non esistere più. Piccole speranze che hanno permesso ai deportati di passare il tempo, arrivare a sera, non demordere, in una parola: resistere. La resilienza dei deportati passa attraverso piccoli oggetti quotidiani, passioni, affetti. Cose apparentemente poco significative che diventano fondamentali. Le 28 storie raccolte in questa antologia sono vere, e i loro protagonisti adolescenti del tutto simili ai giovani lettori cui il libro è destinato. Vicende commoventi, illuminanti ed esemplari che ci rivelano dove possiamo trovare la forza di cui abbiamo bisogno nei momenti difficili.



La stella di Andra e Tati

Quando anche gli ebrei italiani cominciano a essere deportati nei campi di concentramento nazisti, Andra e Tati sono solo due bambine. D’improvviso, si vedono strappare via tutto ciò che hanno; perfino la famiglia è travolta e straziata da eventi inspiegabili. Troppo piccole per capire, Andra e Tati si ritrovano sole e piene di paura. Il mondo comincia a cambiare e diventa un incubo, un’ombra minacciosa che si diffonde ovunque e a cui sembra impossibile sfuggire. Andra e Tati sono solo delle bambine, sì. Ma non smettono di sperare e di farsi coraggio a vicenda, unite e salvate dall’amore l’una per l’altra.

Nell’era più buia della storia dell’umanità, la forza e la speranza sono le uniche armi per sopravvivere. Con le immagini originali del primo film d’animazione europeo sull’Olocausto, la commovente storia vera di due sorelline sopravvissute alla Shoah.



Il giorno speciale di Max

Max non ha mai avuto un animale domestico e adesso


che c’è Auguste non si stancherebbe mai di guardarlo mentre nuota felice nella sua boccia. Ma il mondo attorno a loro sta cambiando. Ora bisogna andare in giro con una stella d’oro sul petto. Si parla di “discriminazione” e “rastrellamento”, ma nessuno spiega a Max che cosa vogliano dire queste parole. Fino a che un giorno a casa Geiger, la casa di Max e Auguste, non arrivano i tedeschi. È il 16 luglio 1942. E la famiglia Geiger deve fare le valigie. Max non sa per dove, sa solo che il pesciolino Auguste non potrà seguirlo. Forse un giorno riuscirà a tornare da lui?



 Poiché    ,  come  ho  detto  provocatoriamente ( ma mica  tanto  ) in <<  visto che la scuola non forma i cittadini formiamoci da noi gli strumenti ci sono . non aspettiamo la manna dal cielo >>   perchè generalmente   non ci s'arriva  perchè gli insegnanti  (  la maggior  parte  )   non arrivano a  farlo nei  programmi o  nelle   giornate  e  non ne  parlano  o  non lo insegnano    se  non     nelle    giornate    istituzionali come queste   ,   andrebbe  spiegato o in famiglia  o  nelle  scuole  (  non solo  il  27 gennaio )    fin da bambini   .
Lo  so  che quello dell’Olocausto non è un concetto facile da spiegare e far comprendere prima dell’adolescenza. Tuttavia i bambini si possono avvicinare a questo argomento che sarà successivamente approfondito negli anni. Anche se nella scuola primaria gli insegnanti avvicinano i bambini al tema della shoah attraverso poesie, racconti e documentari, è solo dalle medie in poi che verrà interamente spiegato e analizzato.   dall'asilo ale  elementari   lo si può  fare  con filastrocche    ed   brani e  e poesie  come  quelle   suggerite  da   https://www.pianetamamma.it/la-famiglia/il-bimbo-nella-societa/giornata-della-memoria-come-spiegarla-ai-bambini.html    e  da   https://www.nostrofiglio.it/bambino/27-gennaio-giornata-della-memoria-bambini Più in la  come  suggerito da entrambi i siti  citati     più precisamente  qui  con   libri e film adatti ad avvicinare bambini e ragazzi al tema dell’Olocausto. Letture e visioni che andrebbero però fatte sempre attraverso la mediazione di un adulto.




Libri per spiegare la Shoa ai bambini
Tra i libri da leggere per affrontare il tema dell’Olocausto possiamo ricordare:


"L'amico ritrovato" di Fred Uhlman
"Ora mai più. Le leggi razziali del 1938 spiegate ai bambini" di Daniel della Seta
"Il diario di Anna Frank" di Anna Frank
"Portico d'Ottavia 13" di Anna Foa.
“Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne
“L’albero della memoria: la shoah raccontata ai bambini” di Anna e Michele Sarfatti
“In punta di stella. Racconti, pensieri e rime per narrare la shoah” di Anna Baccelliere e Liliana Carone



Film per spiegare l'Olocausto ai bambini
Anche i film possono essere un ottimo modo per iniziare a spiegare l'Olocausto ai bambini. Tra i film consigliati ci sono:


"Train de vie - Un treno per vivere" di Radu Mihăileanu
"La vita è bella" di Roberto Benigni
"Il bambino con il pigiama a righe" di Mark Herman tratto dall'omonimo romanzo
“Jona Che Visse Nella Balena” di Roberto Faenza
"La chiave di Sara" di Gilles Paquet-Brenner


non so cos'altro aggiungere  alla prossima  


P.s  

Mentre   rilleggevoil post   alla  ricerca  di refusi e  d'errori     mi  è arrivata  come  notifica   dei siti che     seguo   quest'articolo    cher  rpropongo sotto   .   Ovvvero fumettti\  graphic  novel  dedicati all'olocausto  \  alla  shoah  



Giorno della memoria, i fumetti da leggere per non dimenticare Dalla mostra La Shoah nel fumetto italiano  alle novità in arrivo in libreria, le graphic novel che raccontano gli orrori dell'Olocausto

                                         ANDREA CURIAT
Si avvicina il 27 gennaio, il Giorno della memoria; storica ricorrenza della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Anche il mondo dei fumetti raccoglie il compito di preservare il ricordo di quegli anni, per non dimenticare gli orrori dell'Olocausto e del nazismo, con tutta la forza di una forma d'arte che unisce le differenti capacità evocative del racconto e dell'illustrazione.L'importanza delle graphic novel è riconosciuta nella mostra virtuale organizzata in questi giorni dall'Istituto italiano di cultura di Tel Aviv e dedicata proprio a La Shoah nel fumetto italiano.

 L'esibizione è fruibile sui canali social Facebook e Instagram dell'ente, dove sino al 4 febbraio verranno pubblicati interventi e interviste video dedicati a opere come La porta di Sion, graphic novel di Walter Chendi che racconta gli anni bui delle leggi razziali e della fuga verso la terra promessa (Edizioni Bd, 108 pp, 12 euro); o le biografie a fumetti dedicate ai Giusti tra le nazioni, tra cui  Perlasca di Matteo Astragostino e Armand Miron Polacco (BeccoGiallo, 144 pp, 18 euro) e Giorgio Perlasca, un uomo comune, di Ennio Bufi, Marco Sonseri (edizioni ReNoir, 128 pp, 12,50 euro); o Jan Karski, l'uomo che scoprì l'Olocausto, di Marco Rizzo e Leilo Bonaccorso (Rizzoli Lizard, 160 pp, 17,50 euro).Tra le tante opere oggetto di approfondimento durante la mostra, merita sicuramente una menzione d'onore Una stella per Nella, graphic novel realizzata dalle giovanissime studentesse liceali Marta De Vincenzi e Maddalena Stellato nell'ambito di un progetto promosso dall'Anpi per raccontare la storia vera  di Nella Attias, deportata ad Auschwitz a soli cinque anni

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Oltre alla mostra sono diverse le novità in arrivo in libreria, fumetteria e negli store online per il Giorno della memoria 2022, tra cui due graphic novel edite da Coconino Press. La prima, firmata da Julian Voloj e Lorena Canottiere, racconta un lato poco noto nella vita di un grande atleta italiano. In Bartali. La scelta silenziosa di un campione (128 pp, 20 euro), (ri)scopriamo come il leggendario ciclista abbia sfruttato la propria notorietà per aiutare molti ebrei a sfuggire alla persecuzione nazifascista, lavorando segretamente come messaggero clandestino per i partigiani. Il fumetto indaga sull'umanità di Bartali e sulla sua scelta valorosa, portata avanti con grande rischio personale, e rimasta a lungo un segreto per volontà dello stesso ciclista. Solo nel 2013, infatti, gli fu riconosciuto il titolo di “Giusto tra le nazioni” da parte dello Yad Vashem, l'Ente israeliano per la Memoria della Shoah.
Il secondo volume è la ristampa di un'opera a lungo introvabile, ma quantomai necessaria: Una stella tranquilla. Ritratto sentimentale di Primo Levi (256 pp, 22 euro), di Pietro Scarnera. Non una semplice biografia di uno tra i più grandi testimoni letterari dell'Olocausto, ma la storia di uno scrittore e di un'esperienza letteraria durata decenni; dell'inestinguibile esigenza di raccontare l'orrore; e del passaggio generazionale ai testimoni del futuro - un'esigenza più che una speranza, lasciata come eredità ai posteri dallo stesso Primo Levi in una delle sue ultime poesie. Partendo da fotografie, copertine di libri e altri documenti storici, la graphic novel unisce biografia, documentario e fiction, in un riuscito esperimento che si è aggiudicato il Prix Révélation al Festival di Angoulême 2016.

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Einaudi porta invece in libreria Dov'è Anne Frank, nuovo graphic novel di Ari Folman e Lena Guberman (160 pp, 15 euro), tratto dal film animato del 2021 Where is Anne Frank (girato dallo stesso Folman). Non si tratta di una trasposizione del Diario, ma di un poetico viaggio sospeso a metà tra storia e attualità, in cui Kitty, l'amica immaginaria cui Anna Frank indirizzava ogni pagina delle proprie memorie, si fa bambina e accompagna i lettori in una riflessione sulle tragedie del passato e i rischi del presente. Sempre Ari Folman, insieme all'illustratore David Polonsky, aveva già firmato la graphic novel Anne Frank - Diario (Einaudi, 160 pp, 15 euro), tratta dalla versione definitiva del memoriale curata e autorizzata dalla fondazione Anne Frank Fonds. Un'opera perfetta per chiunque voglia scoprire, o riscoprire, perché il Diario sia considerato come uno dei libri più importanti della storia contemporanea, e perché sia stato inserito dall'Unesco nell'Elenco delle memorie del mondo.

Giorno della memoria i fumetti da leggere per non dimenticare

Chiude l'elenco delle novità 2022 una nuova edizione di una pietra miliare del fumetto e della letteratura collegata all'Olocausto. Maus di Art Spiegelman, prima graphic novel ad aggiudicarsi uno Special Award ai Premi Pulitzer nel 1992, torna in occasione del trentennale in un cofanetto composto da due volumi, che rispecchiano la suddivisione originale dell'opera ai tempi della sua pubblicazione originale tra il 1986 e il 1991 (Einaudi, 308 pp, 26 euro). Nel primo volume, Mio padre sanguina storia, Spiegelman racconta la storia di suo padre Vladek nella Polonia prima della Seconda Guerra Mondiale, quando iniziava a stringersi la morsa letale intorno agli ebrei polacchi. Nel secondo volume, E qui sono cominciati i miei guai, si raccontano gli anni trascorsi da Vladek e dalla fidanzata Anja nel campo di concentramento di Auschwitz. La narrazione di Spiegelman trova il perfetto equilibrio tra rigore storico-biografico (nella testimonianza diretta del padre) e potenza metaforica (nella decisione di ritrarre gli ebrei come topi antropomorfi, i nazisti come gatti, i polacchi come maiali, gli americani come cani…); e tra rievocazione del passato e riflessione su cosa significhi, oggi, essere discendenti di sopravvissuti all'Olocausto. Una graphic novel che, a trent'anni dalla pubblicazione, si conferma una lettura imperdibile per tutti.


17.1.22

L'alfabeto delle mafie: "E" come Estorsione

 

le puntate precedenti   de L'alfabeto delle mafie.


Il passaggio dalla rapina e dal furto all'estorsione rappresenta il

funerali  di libero grassi  Foto: ilmemoriale.it
passaggio dalle criminalità precedenti a quella di tipo mafioso. Depredare è un conto, riscuotere una "tassa" è un altro: è nella riscossione della tassa che le mafie si "statualizzano" e si legittimano come potere territoriale




Nella storia del crimine, i mafiosi sono i primi violenti del popolo che si organizzano per le loro attività illegali all'interno della società di cui fanno parte, non fuori come erano costretti a fare i briganti. Rispetto ai banditi e ai briganti i mafiosi non prendono i soldi altrui con i furti e le rapine, o almeno non lo fanno in prima persona. I ladri formalmente sono disprezzati; nella concezione dei "valori" mafiosi essi appartengono a una criminalità minore, sono gli "scassapagghiari", un nome che viene loro dato per indicare la posizione infima dentro il mondo criminale, costretti a rubare nei pagliai dove ci sono le galline. I ladri, infatti, si debbono macchiare di azioni che spaventano i cittadini o allarmano gli organi di sicurezza anche quando non usano violenza esplicita, mentre i mafiosi operano con il prestigio della loro fama di violenti, fama che fa ottenere i soldi senza bisogno di scassinare o di derubare. Perciò usano l'estorsione, che è un metodo criminale più raffinato e, in apparenza, meno violento. L'estorsione è l'unico guadagno che si ottiene dagli altri facendo valere solo la propria nomea di violento associato ad altri violenti, e quindi non è ascrivibile ai tradizionali reati predatori perché è un reato che si esercita con la partecipazione della vittima. Infatti, negli statuti delle prime organizzazioni mafiose non c'è spazio per i ladri ai vertici. Lo dice espressamente lo statuto della camorra, il cosiddetto "frieno" (1842) all'articolo 20: "Chi fu implicato in qualche furto o viene riconosciuto come omosessuale non può essere mai capo" (traduzione dal napoletano). E lo dicono gli statuti orali e scritti di Cosa nostra e della 'ndrangheta. Non sappiamo se questa regola era da tutti rispettata; infatti troviamo nella camorra napoletana di fine Ottocento un camorrista che chiamano 'o mariuolo (ladro, in napoletano): ciò significa che una cosa erano le norme scritte e una cosa la realtà, oppure che il camorrista in questione aveva lasciato l'attività di ladro ma che il soprannome gli era rimasto attaccato addosso. In diversi processi sono state accertate le complicità tra mafiosi e ladri, ma sempre in un rapporto gerarchico subordinato, così come è noto che diversi mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi hanno cominciato la loro carriera con furti, rapine, scippi, ma quando sono saliti nelle gerarchie hanno abbandonato queste attività. Un membro delle élite mafiose non può essere confuso con i delinquenti comuni: una cosa è rubare, una cosa è farsi dare i soldi. E anche quando si dedicheranno al furto di animali (l'abigeato) o al sequestro di persone, i mafiosi di solito lo fanno nella convinzione che non si tratti di ladrocinio ma di un metodo che dimostra la loro potenza intimidatrice in grado di tenere in scacco la vita delle persone e dei loro averi. L'estorsione è un'attività superiore al sequestro di persona o all'abigeato, perché fa ottenere delle risorse dalla vittima senza sequestrarne un familiare o un suo bene. Ma essa funziona se c'è un insieme di criminali che l'organizzano, che hanno fama di violenti, che possono vendicarsi qualora uno di essi viene denunciato, cioè l'estorsore deve avere alle spalle necessariamente un'organizzazione. Certo, l'estorsione era presente anche prima della nascita delle mafie. C'erano violenti che minacciando riuscivano a spillare qualche soldo, ma erano esposti alla denuncia perché se finivano in galera finiva la loro forza di violenti. Invece, se la richiesta del pizzo è fatta da persone in combutta tra loro espone l'eventuale denunciante alla ritorsione da parte dei soci in libertà. L'estorsione diventa così il reato associativo per eccellenza perché si basa sul potere di intimidazione e di ritorsione di un gruppo di violenti organizzati. Il passaggio dalla rapina e dal furto all'estorsione rappresenta, dunque, il passaggio dalle criminalità precedenti a quella di tipo mafioso. E questo passaggio rappresenta una tappa decisiva nella storia delle mafie e in genere del crimine in Italia. Depredare è un conto, riscuotere una "tassa" è un altro: è nella riscossione della tassa che le mafie si "statualizzano" e si legittimano come potere territoriale. È dal potere esercitato sul territorio e dalla capacità di sanzionare gli inadempienti che l'estorsione trae forza.
Perciò si deve considerare l'estorsione come una vera e propria tassa, una specie di "tassa alla violenza". È una tassa che riconosce "valore" pubblico e sociale alla violenza. Inizialmente era una tassa su coloro che esercitavano lavori illegali, così era più semplice legittimare la propria supremazia sul mondo criminale "inferiore" e stabilire una differenza tra chi doveva lavorare nel campo illegale per fare soldi e chi invece li faceva riscuotendo una tassa permanente. Era la dimostrazione che l'élite criminale non doveva esercitare violenza sempre e comunque, ma utilizzare solo la "reputazione" della violenza. Poi l'estorsione si è estesa a tutti coloro che producevano ricchezza o riscuotevano una rendita: la tassa passava dal mondo illegale (riscuotere soldi dalle attività criminali predatorie svolte da altri) al mondo legale (riscuotere una tassa da tutti gli esercenti un'attività economica legale).L'estorsione è sempre il prezzo della violenza che viene risparmiata a chi paga, è una tassa sulla forza non esercitata. E ogni tassazione è sempre un riconoscimento di un potere: chi paga il pizzo riconosce il potere della setta criminale che l'esercita. Il furto e l'elemosina, invece, esprimono il bisogno derivante dalla miseria, dalla deprivazione, mentre l'estorsione è già un'attività di chi è uscito dalla miseria e di chi non ha bisogno di rubare per vivere. Chi è in grado di pretendere dei soldi non è l'ultimo della società ma qualcuno che tramite la violenza è in grado di farsi pagare senza stendere la mano. È una tassazione, non una elargizione, è una forma di statualità popolare: chi paga riconosce e legittima il potere di chi richiede. Ed è impressionante notare che la maggior parte dei clan mafiosi, camorristici e 'ndranghetisti dispone di propri libri contabili su cui registrare il pagamento del pizzo, con nomi, strade e tariffe, come se si trattasse di un particolare ufficio delle imposte. E proprio la scoperta di centinaia di questi libri mastri dimostra come l'estorsione è considerata nel pensiero dei mafiosi un diritto di tassazione ovunque essi operano. Con la differenza che l'elusione e l'evasione lo Stato le permette, nei sistemi mafiosi c'è meno tolleranza e più severe sanzioni.
Altro elemento caratterizzante dell'estorsione è la sua giustificazione da parte di chi la esercita. Ciò fa parte di una delle peculiarità delle mafie, cioè quella di giustificare la violenza estorsiva attraverso una loro pretesa funzione "sociale", in particolare o come un aiuto alla tenuta dell'ordine pubblico o come forma di sostegno alle persone in galera, una specie di mutuo soccorso per i detenuti. I mafiosi nel passato hanno motivato la loro richiesta di soldi in cambio di un servizio offerto, cioè la protezione che si assicura agli estorti. Su questa funzione di garanti della sicurezza delle imprese commerciali, artigiane o industriali sottoposte al pizzo, il sociologo Diego Gambetta ha impostato la sua interpretazione del fenomeno mafioso siciliano: la mafia sarebbe appunto una particolare "industria della protezione privata", perché offre una protezione dal pericolo che gli stessi offerenti hanno creato o creano a coloro che taglieggiano. Ma l'estorsione viene anche giustificata come aiuto a chi sta in galera. In diversi rioni di Napoli, Palermo, Catania o Reggio Calabria e in diverse cittadine delle zone infestate dalle mafie, la richiesta del pizzo è considerata un obolo, un contributo ai carcerati: insomma, gli estorsori vogliono dimostrare che le loro tasse hanno una finalità sociale! Non dimentichiamo inoltre che in tutte le organizzazioni mafiose italiane ricorre l'espressione "mettersi a posto" nell'indicare il dovere degli estorti verso i loro estorsori. Questo modo di dire esprime, appunto, il fatto che i mafiosi si attribuiscono il ruolo di uno specifico sistema di riscossione, una specie di "ordinamento giuridico" alternativo a quello dello Stato verso il quale ci sono degli obblighi a cui debbono sottoporsi gli estorti, che vengono considerati a tutti gli effetti dei contribuenti.
In genere, lo ripeto, non è il pizzo l'attività principale di un clan, non è il pizzo la sua entrata principale. Se un clan facesse solo estorsioni non sarebbe competitivo sul mercato criminale. Ma è fondamentale come forma di potere prima che come forma di accumulazione.
Sociogenesi dell'estorsione
Indubbiamente l'estorsione è l'attività che più avvicina la criminalità mafiosa a una funzione parastatuale. Chi paga riconosce all'estorsore un potere sovrano, che si esplicita appunto nella facoltà di imporre tasse e di farsele pagare, e chi viene pagato sente che il tributo gli è dovuto in cambio di servizi "sociali" che pensa di fornire. Se rileggiamo lo stupendo paragrafo che Norbert Elias dedica alla "sociogenesi dell'imposizione fiscale" nel libro Potere e civiltà, le affinità in origine dell'estorsione con le imposizioni statali sono del tutto evidenti. La centralizzazione delle imposizioni fiscali, prima appannaggio esclusivo dei signorotti locali, è legata a due fattori: il riconoscimento da un lato di qualcuno (il re, il sovrano) che supera il potere locale ed è capace di imporsi a tutti con la forza; in secondo luogo, l'affidare ad esso compiti di sicurezza verso l'esterno finanziando con le imposte le guerre di difesa dai nemici o compiti di sicurezza all'interno. Tutte le costruzioni statuali, secondo l'interpretazione di Charles Tilly, sono state affidate alla concentrazione di mezzi coercitivi, tra cui quello fiscale è il più evidente. Nella formazione della statualità c'è sempre l'accoppiata predazione/protezione e la giustificazione della tassazione è sempre stata la garanzia della sicurezza interna ed esterna. È nel cammino dalla predazione alla persuasione della tassazione che si compie il processo di civilizzazione, secondo Elias.
All'inizio la tassazione dello Stato era senza benefici immediati, serviva in genere a pagare il lusso dei ceti abbienti, l'agiatezza della burocrazia, le guerre di conquista. Fino all'epoca moderna tutte le forme fiscali (tasse, gabelle, decime ecc.) dello Stato, dei baroni o dei religiosi erano sinonimo di imposizione, vessazione, sottrazione di reddito individuale senza benefici collettivi. È indubbio che la percezione dell'imposizione fiscale dello Stato come forma legittima di violenza o di predazione non faceva avvertire la violenza esercitata dal camorrista o dal mafioso come illegittima, soprattutto se questa violenza privata nell'esigere corrispondeva a una qualche utilità. Insomma, le esazioni hanno a che fare con il potere e con la forza e non sono esigibili se non da chi è in grado di esercitare violenza in caso di rifiuto. In seguito, lungo il corso dei secoli, i prelievi una tantum si trasformeranno in tasse, cioè in contribuzioni fisse soprattutto a carico di chi esercita commerci, per consentire agli Stati nascenti di organizzare le proprie precipue funzioni e di pagare l'apparato di funzionari ad esse preposti. L'abbinamento tasse (intese come prelievo sulla ricchezza posseduta, sugli scambi commerciali e sui profitti) e qualità dei servizi resi alla collettività dallo Stato è acquisizione relativamente recente.
Bisogna ammettere che l'estorsione di massa è presente quasi esclusivamente in Italia tra i Paesi dell'Occidente, e in Italia in alcune regioni meridionali. Se l'estorsione è limitata come attività criminale solo ad alcune nazioni e all'interno di esse solo ad alcuni territori, ciò ha a che fare con la formazione "debole" dello Stato nei luoghi coinvolti, nell'accettazione di un duopolio del potere (e della relativa tassazione), nell'attribuzione a forze criminali della capacità d'ordine e di sicurezza. Insomma l'estorsione in Italia è la spia più evidente della percezione debole dello Stato, che "non si comporta fino in fondo da Stato".
Chi paga riconosce indirettamente l'appannaggio di quel territorio a quel mafioso, a quel clan, gli attribuisce una podestà. È nelle prerogative di chi comanda sottoporre a tassazione chi fa parte del territorio che controlla. Le tasse, i dazi, le gabelle rispondevano nell'ancien regime al riconoscimento monetario (o attraverso beni in natura) di una gerarchia del potere. Perciò l'estorsione è il riconoscimento pubblico di una podestà territoriale. Come si fa, infatti, a dimostrare che si domina un territorio se non lo si sottopone a tassazione? E, insomma, attraverso il prelievo forzato che inizialmente si afferma la legittimità di qualsiasi potere sovraordinato. Nell'estorsione criminale, infatti, non è tanto importante il guadagno che si ricava quanto stabilire una gerarchia del comando sul territorio. Attraverso l'estorsione si riceve dalla vittima al tempo stesso un guadagno materiale e una legittimazione di podestà.
Che all'inizio l'estorsione non avesse lo scopo di protezione è dimostrato dal fatto che tale attività si praticava nelle carceri e non era altro che l'imposizione di una gerarchia, di un ordine violento tra violenti. Ed è nelle carceri che nascerà la parola "pizzo" per identificare questa attività, come vedremo più avanti. Quando sullo stesso territorio si esercita una doppia podestà, come succede in gran parte della storia d'Italia, non è la paura l'elemento decisivo del successo dell'estorsione ma la mancanza di fiducia nello Stato, anzi la paura è conseguenza dell'assenza di fiducia. Ma ogni qualvolta lo Stato afferma la sua presenza, sia sotto forma di maggiore sicurezza sia come autonoma tassazione, regredisce l'attività estorsiva. L'estorsione mafiosa, dunque, ha alle spalle una lunga storia in cui il potere "costituito" si presentava solo sotto forma di esazione di tributi per chi esercitava attività economiche. Capiremo poco dell'accettazione culturale dell'estorsione senza questi precedenti storici.
Da almeno due secoli nelle tre regioni a presenza mafiosa i commerci, soprattutto i piccoli commerci, sono sottoposti a una tassazione alternativa a quella dello Stato. Il fenomeno si è poi trasformato in allarme sociale a partire dagli anni Settanta del Novecento, con prime forme di reazione pubblica e di denuncia. Ciò è avvenuto a seguito delle varie riforme tributarie che hanno interessato massicciamente anche il settore commerciale, cioè da quando i commercianti hanno cominciato a pagare le tasse allo Stato. Quindi non c'è stata reazione al fenomeno estorsivo fin quando è rimasto in campo un solo tipo di tassazione: quella delinquenziale. La ribellione sociale comincia quando la fiscalità criminale si cumula a quella ufficiale dello Stato, e i margini di profitto nei commerci si fanno più ristretti. Se lo Stato accompagna alla tassazione generale (senza tollerare evasioni ed elusioni) la sicurezza sulle attività commerciali, l'estorsione è un'attività destinata a finire. Finisce, cioè, quando è lo Stato che non accetta suoi succedanei, fa pagare le tasse a tutti e consente lo svolgersi dei commerci e delle transazioni economiche in piena sicurezza.
Origine della parola pizzo
L'utilizzo del termine "pizzo" nel senso di tangente estorta, nasce sicuramente nella seconda metà dell'Ottocento ed è probabilmente un'espressione giornalistica, perché prima l'abbinamento di "pizzu" con tangente o estorsione non apparteneva al dialetto siciliano, né tantomeno alla lingua italiana. Tutti gli studiosi danno per scontata, invece, l'attribuzione del termine alla lingua siciliana, perché abbinano la parola "pizzu" con il becco degli uccellini, in sintonia con l'antico modo di dire "fari vagnari 'u pizzu" che significa appunto "far bagnare il becco", dare la possibilità di rinfrescarsi con un bicchiere di acqua o di vino a un viandante. Da qui l'espressione è poi passata a significare "piccola ricompensa a un amico che ti ha fatto un favore", cioè una semplice cortesia nella vita quotidiana si è trasformata in "una metafora che allude alla possibilità data ai mafiosi di attingere in modo parassitario alle ricchezze altrui". I mafiosi avrebbero ingentilito la loro attività, ammantandola di quella falsa umiltà e cortesia che da sempre caratterizza il loro linguaggio. Successivamente si è associata la parola pizzu a pizzino, cioè al pezzo di carta su cui si scriveva la richiesta di tangente.
È convincente questa spiegazione? Sicuramente "pizzino" in siciliano non corrisponde a "lettera di estorsione", ma a pezzo di carta "arrotolato o ripiegato in cui stava scritta una richiesta, una supplica, più raramente una valutazione riservata su questo o su quel personaggio. Il foglietto conteneva ciò che non stava bene chiedere o dire in pubblico". Pizzo e pizzino in dialetto siciliano sono due cose distinte, l'uno non deriva direttamente dall'altro. "Il pizzino era uno degli oggetti simbolici della struttura clientelare. Le clientele, quelle vaste e minute fatte di migliaia di persone, si nutrivano dei pizzini. Dopo ogni comizio l'oratore se ne trovava le tasche della giacca zeppe, molti entrati a sua insaputa, durante un bacio o una frettolosa stretta di mano", ricorda Nando dalla Chiesa. È indubbio che il vocabolo ha raggiunto la massima diffusione dopo la cattura nel 2006 di Bernardo Provenzano e il ritrovamento di centinaia di biglietti manoscritti dell'allora capo di Cosa nostra ai suoi fedelissimi e di altrettanti a lui diretti. Da quel momento in poi la parola è abbinata a messaggio di ordini, consigli, suggerimenti, cioè a una particolare modalità di tenuta delle relazioni da parte di un capomafia latitante con il suo mondo. In ogni caso, non come lettera di estorsione. È proprio la scoperta delle modalità di comunicazione di Provenzano a intaccare il rapporto linguistico tra pizzo e pizzino.
Ma contrariamente a quello che si crede, la parola pizzo non deriva dal siciliano ma è una parola della lingua napoletana usata nel circuito carcerario. Ne abbiamo una testimonianza storica da ciò che scrive nelle sue memorie il duca di Castromediano che finì in carcere per cospirazione contro il regime borbonico nel 1851: "Il campo più propizio a un camorrista erano appunto carceri e galere. Nelle une e nelle altre regnava la camorra. Imposizioni fisse per consuetudine all'ingresso nelle strutture detentive per i nuovi arrivati erano il contributo per l'olio della lampada posta davanti a un'immagine della Madonna e il pagamento per il pizzo, cioè per il posto dove dormire, prezzando specie i migliori". E proprio questo abbinamento della parola pizzo a giaciglio carcerario ottenuto in cambio di un pagamento, che ci fa riportare la parola pizzo a una origine napoletana e non siciliana. Se ne dà conferma nel libro "La mala setta" di Franco Benigno. Il termine si riferirebbe appunto al piccolo giaciglio di paglia a cui avevano diritto i carcerati appena entrati. I camorristi disponevano del controllo di questi miseri letti e li assegnavano ai nuovi entrati in cambio di soldi: da qui l'identificazione del vocabolo pizzo con estorsione.
Un ulteriore legame della parola pizzo al dialetto napoletano ci viene segnalato dallo studio di Marc Monnier La camorra del 1862. Leggiamo questo passo in cui un cocchiere napoletano intervistato dall'autore sulla vendita dei cavalli così risponde: "Io sono un uomo assassinato. Ho comprato un cavallo morto, che non conosce le strade, non vuole passare che dai luoghi che a lui piacciono. Che sdrucciola alle salite, cade alle scese, ha paura de' mortaretti e delle campane, che ieri si è impennato nella grotta di Posillipo e ha schiacciato un branco di pecore che gli impediva il cammino. Un camorrista che mi protegge e che aveva il suo pizzo al mercato de' cavalli, mi avrebbe risparmiato questo furto. Egli sorvegliava le vendite e riceveva la sua mancia dal venditore e dal compratore. Io l'anno scorso avevo da vendere un cavallo cieco, ed egli l'ha fatto passare per buono, perché mi proteggeva. È stato messo in prigione e io sono stato costretto a comprare senza di lui questo cavallaccio. Era un galantuomo!" Come è evidente, il carrettiere fa riferimento a pizzo come luogo in cui il camorrista svolge la sua (per lui benefica) attività estorsiva. Nel dialetto napoletano la parola pizzo, infatti, vuol dire piccolo angolo, piccolo luogo o posto. Il camorrista, dunque, è nel suo "pizzo", al suo "posto di lavoro", nel suo "ufficio all'aperto" e controlla il territorio e le attività che si svolgono facendosi pagare.
La reazione di massa all'estorsione
Ancora nel 1981, in un tribunale italiano, in particolare in quello di Catania, un giudice manda assolti degli imprenditori per aver pagato il pizzo con questa motivazione: "Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi... se tutti facessero così dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme". Si tratta del magistrato Luigi Russo ed è bene che la sua sentenza sia passata alla storia come tutto ciò che un uomo dello Stato non deve fare per combattere l'estorsione. Non è in discussione il fatto che gli estorti siano vittime (perché tali sono) ma la considerazione che ribellarsi al pizzo è un danno all'economia. Anzi è vero esattamente il contrario, come studi approfonditi hanno dimostrato nel corso degli anni: il pagamento del pizzo è un pesante ostacolo allo sviluppo economico delle zone interessante perché da una parte distoglie risorse che potrebbero essere utilizzate come ulteriori investimenti aziendali e dall'altro non induce a migliorare la propria attività o a ingrandirla per timore di essere sottoposti a un aumento della tassazione criminale. Ed è proprio a ridosso di quella assurda sentenza che si avvierà particolarmente in Sicilia un movimento antiracket che culminerà con la nascita della prima associazione dei commercianti di Capo D'Orlando guidati da Tano Grasso e poi dall'azione solitaria a Palermo da parte di Libero Grassi.
E sarà proprio il siciliano Libero Grassi l'emblema di quegli imprenditori italiani che in nome di un ideale e non del semplice profitto hanno sacrificato la loro vita in tempo di pace. La sua lettera aperta agli estorsori pubblicata sul Giornale di Sicilia (dal titolo Cari estorsori non vi pago in cui lui spiega le ragioni per le quali non si sottomette alle richieste estorsive) e poi le sue parole alla trasmissione televisiva Samarcamda di Michele Santoro sono alcune delle pagine più alte della storia civile del nostro Paese. L'imprenditore sarà ucciso sotto casa il 19 agosto 1991. E l'allora presidente della Confindustria in Sicilia pronunciò parole indegne. Al contrario, la contemporanea azione di contrasto al pizzo dei commercianti di Capo D'Orlando avrà successo: a dicembre 1990 viene costituita in questa cittadina la prima associazione antiracket in Italia, a gennaio 1991 vengono arrestate 20 persone sulla base della denuncia di alcuni commercianti membri dell'associazione, gli stessi commercianti si costituiranno parte civile nel processo agli estorsori che vennero tutti condannati nel novembre successivo e la sentenza fu poi confermata nel 1993 dalla Suprema Corte: un successo epocale, la dimostrazione che il pizzo si poteva non pagare, che i mafiosi potevano essere condannati, a condizione che ci fosse una stretta cooperazione tra cittadini e rappresentanti delle forze dell'ordine e della magistratura e che i commercianti si organizzassero tra loro.
L'esperienza di Capo D'Orlando divenne così un modello da seguire in tutte le zone oppresse dal pizzo: per la prima volta si "potevano denunciare gli estorsori senza mettere a rischio la propria vita, grazie alla denuncia collettiva" scriverà a proposito Tano Grasso. E fu proprio sulla base di questa rivolta organizzata che il Parlamento varò delle norme a sostegno delle imprese danneggiate a seguito di ritorsione per il mancato pagamento del pizzo, che fu istituito un Commissariato nazionale per la lotta all'estorsione e all'usura e fu incentivata la nascita di nuove organizzazioni antiracket. Con alti e bassi questo movimento di contrasto si è affermato come una stabile presenza nel campo dell'antimafia fino ad arrivare a qualcosa di inimmaginabile: l'affissione a Palermo di manifestini in cui si scriveva che "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità", a firma di un gruppo di giovani che poi darà vita ad una associazione significativamente denominata Addiopizzo. Un'altra importante esperienza di denuncia collettiva (e di condanna degli estorsori) avverrà a Ercolano, in provincia di Napoli (si legga a tal proposito il bel libro La camorra e l'antiracket di N. Daniele, A. Di Florio e T. Grasso) in cui il sindaco, le forze di polizia, i commercianti associati e i magistrati collaboreranno pienamente dimostrando ancora una volta che non ci sono situazioni irrecuperabili e che le mafie si possono combattere con successo se i cittadini ritrovano fiducia in chi rappresenta lo Stato

Enrico Galiano e il Siap di Palermo contro gli stereotipi e le questioni di genere ha preso una posizione chiarissima in merito all’assurda polemica sollevata dal Sap sulle mascherine rosa ai poliziotti.

Accade che il Ministero invii a varie questure una massiccia fornitura di mascherine Ffp2, scatenando lo sdegno e la protesta del Sap Sindacato di polizia. Il motivo? Surreale. << Perché le mascherine sono di colore rosa e, quindi, protestano i poliziotti, minacciano il “decoro” degli operatori con un
colore che risulta “eccentrico” e - testuale - “rischia di pregiudicare l’immagine dell’istituzione”. >>(Addirittura?) Le risposte più belle, tra le tante che potremmo dare, sono arrivate da Enrico Galiano ( foto a destra ) , un insegnante, uno scrittore. << Volevo umilmente dire alle forze di polizia che se a loro non vanno bene le mascherine rosa le possono dare tranquillamente a noi insegnanti e studenti, che ce le stiamo ancora procurando da soli. E poi a me il rosa sta benissimo. >> E da il Siap di Palermo, il più grande sindacato di base della Polizia . IL che dimostra che i rappresentanti delle forze dell'ordine in questo caso della polizia della polizia in questo caso , non sono tutti uguali.
Tale sindacato ha preso una posizione chiarissima in merito all’assurda polemica sollevata sulle mascherine rosa ai poliziotti da parte dei colleghi del Siap . Lo ha fatto come dice e fa notare giustamente Lorenzo Tosa , con parole da incorniciare: << Le FFP2 sono uno strumento indispensabile. È fondamentale che vengano fornite a chi opera in prima linea e soffre per e con il Paese, non c'è tempo per sciocchezze ‘machiste’ e medievali basate su apprezzamenti cromatici ! >>Ecco quindi che c'è una Polizia di Stato ( in questo caso ) di donne e uomini evoluti, colti e intelligenti ( la maggioranza assoluta! ). Donne e uomini che lottano contro gli stereotipi e le questioni di genere. Ora qualcuno ma come non eri e sei contro le forze dell'ordine ? E' vero non ho , as volte con sarcasmo e derisione , ho mai lesinato critiche (anche molto dure ) alle forze dell'ordine alla divisa in generale per alcune delle atrocità che hanno scandito la sua storia anche recente, a cominciare dal G8 (vissuto raccogliendo testimonianze per il libro Genova nome per nome a cui ho collaborato ). Ma non ho mai pensato - come alcuni - anche se non sempre l'ho messo in pratica nei miei scritti e commenti che la Polizia sia quello e solo quello. Infatti io che credevo che l’immagine dell’istituzione fosse “pregiudicata” dal G8 di Genova, dal caso Cucchi, Aldrovandi, Magherini, Uva, dai pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere faccio ammenda . Credo sia fondamentale distinguere i (troppi) comportamenti deviati da una netta maggioranza di professionisti e persone perbene. Non necessariamente con le mie o le vostre idee ma perbene. Ed è giusto riconoscerlo quando accade, come in questo caso. Grazie ai poliziotti del Siap in questo caso di Palermo per avercelo ricordato.

Un’inchiesta sul desiderio di boss e picciotti di entrare negli ordini cattolici di Emiliano Morrone

 

Un’inchiesta sul desiderio di boss e picciotti di entrare negli ordini cattolici

Duro e “puro”. S’infuria il boss Giuseppe Commisso, odia i Cavalieri di Malta (Sovrano Militare Ordine di Malta, Smom). Il giovane Pietro Futia gli ha chiesto il permesso, una spinta per entrare. Quelli sono una porcheria, ribatte il
capobastone. Lo Smom succede all’antico ordine dei Cavalieri ospitalieri, è soggetto alla Santa Sede e svolge assistenza nel mondo. Perché il ragazzo di ‘ndrangheta ne è affascinato?

di Emiliano Morrone

Pietro è di Siderno (Reggio Calabria), a sud del Sud, dove un picciotto resta sempre tale. Il giovane ci pensa, il futuro gli sembra chiuso: là dal classico rispetto paesano c’è la condanna al banditismo, la fuga, il carcere o la morte sotto casa. Lavorare per «l’onorata società» è un’alea. S’accetta e fine, l’alternativa l’hanno sepolta da un pezzo in Regione. Forse in Calabria è anche peggio millantare l’appartenenza allo Stato. Serve una svolta, dunque. I Cavalieri di Malta portano privilegi, nobiltà e il “mantello” vaticano. L’orizzonte è altro. Il mafioso è un pezzente a vita, invece lì conosci chi comanda davvero, pensa Futia. Sicché puoi inserirti, lanciarti nell’impresa. Commisso lo blocca, poi si lamenta del compare Alessandro Figliomeni – l’ex sindaco «santista» – che ritiene dello Smom: «Ma Sandro se sapevamo che era là lo avremmo cacciato fuori». Due mondi inconciliabili, la cavalleria mafiosa e quella cattolica. Ne è certo il capo sidernese, che rivela coscienza delle cose e una vecchia rabbia. La ‘ndrangheta ha bisogno di onorevoli e faccendieri; loro sanno ottenere i posti e titoli giusti. I killer vanno in galera, i “don” all’ergastolo e i notabili ai Caraibi, rimugina Commisso.Così sarebbe stato per Giulio Lampada, sodale – secondo il gip di Milano Giuseppe Gennari – «di appartenenti alle famiglie mafiose di Reggio Calabria». Ma ogni tanto la sorte ci vede, malgrado le premesse. L’imprenditore calabrese ha un passepartoutFrancesco Morelli (Pdl), già consigliere regionale della Calabria, condannato in Cassazione per rapporti di ‘ndrangheta. È lui che lo fa segnalare in Vaticano. Né come sospetto usuraio, quale risultava ai carabinieri di Milano nel 2001, né come affiliato. Per la Chiesa Lampada è un benefattore. Difatti, il 17 agosto 2009 la Santa Sede lo nomina cavaliere di San Silvestro Papa, l’ordine equestre retto dal pontefice. È lo stesso titolo di Oskar Schindler, «Giusto tra le nazioni» e protagonista di Schindler’s List. Ex aequo per meriti cristiani.La storia racconta altre storie. Cavaliere di Malta fu il pittore calabrese Mattia Preti, scuola Caravaggio e raptus di fede. Ma «tutto scorre come un fiume», e con la globalizzazione nasce in Calabria la scuola della ‘ndrangheta poliglotta, che parla la lingua del denaro, del potere e della nobiltà cristiana. Specie a Roma, dove Vincenzo Alvaro e Damiano Villari provano a conquistare la zona della «Dolce vita» di Fellini. Partono dal Cafè de Paris, toni jazz nella via Veneto di spogliarelli e Mercedes, macchinone e biondone. E, tra un pezzo di Coltrane e un medley di Carosone, incrociano alte sfere della borghesia capitolina. L’unione fa la forza, ma arriva la giustizia. In un filone dell’inchiesta finiscono due membri di spicco dello Smom, il marchese Gian Antioco Chiavari e il tenente della Dia Bruno Giovanni, accusato di favoreggiamento reale nei confronti di Alvaro.Le contiguità tra «santisti» e cavalieri crociati sono diverse, nascoste nell’abisso del silenzio. A volte i primi hanno il double-face, altre mantengono la propria divisa. La «Santa» ha i suoi riti simbolici e religiosi: si richiama al cavalierato degli spagnoli «Osso, Mastrosso e Carcagnosso» e agli arcangeli della milizia divina. La «santità» fonda, avvolge e accompagna l’azione criminale. Tuttavia, il folklore religioso può ingannare, apparire una scriminante tra affiliati integralisti e cavalieri nella Chiesa.In mezzo alla confusione, anche i doc della mala non capiscono e perdono le staffe. Orgoglio identitario, difesa della gerarchia. Domenico Gangemi, al vertice della ‘ndrangheta in Liguria, intercettato sparla di un consigliere comunale di Lavagna (Genova): «Ma sto pisciaturi (insulto) di sto Santo Nucera che non ha il santo, che vada a farsela in culo». Il boss non ne tollera l’autonomia, ancora più assurda senza il grado (della ‘ndrangheta) di «santo». Vicino alla curia, il politico verrebbe da una famiglia di punciuti, secondo il Ros di Genova. Calabrese d’origine, Nucera nega; è cavaliere di Malta, pare su invito del vescovo Alberto Maria Careggio, cappellano dello Smom.Il Nord è La Mecca della ‘ndrangheta, tra appalti, appetiti elettorali e riti vari. Su, gli emigrati calabresi mantengono il trasporto magnogreco, o forse un senso di popolo reietto in terra madre. Naturale, dunque, trattare un conterrano con cavalleria. Succede a Giuseppe Romeo, colonnello dei carabinieri originario di Benestare (Reggio Calabria). Il gip Gennari scrive che l’ufficiale dell’Arma briga con il boss della ‘ndrangheta Salvatore «Strangio per ottenere entrature politiche» in cambio di «favori». Romeo, cavaliere di Malta e di San Silvestro Papa, smentisce.Se la “Padania” è terreno delle ‘ndrine, in Calabria «c’è un tempo per piantare e un tempo per sradicare». Il seme buono – ripete il magistrato Nicola Gratteri – può contrastare la mala pianta dell’illegalità. Oltre alle procure, servirà perseveranza e una borghesia non più rapace, viscida, camaleontica.Tuttavia, giungono segnali opposti. Per esempio l’arresto di Mario Malfarà Sacchini per bancarotta da 2,7 milioni. Quando finisce in manette, il professionista vibonese è da poco cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme, che dipende dalla Santa Sede e opera per i cristiani in Terra Santa. Giovanni Napolitano, luogotenente dell’Ordine per il Sud, commenta: «Non conosco Malfarà Sacchini, la situazione non mi risulta, bisogna domandarlo al preside di Reggio Calabria». E chiude: «I nostri cavalieri firmano una nota per cui scatta l’autosospensione, davanti a pendenze penali». Anche al preside di Reggio Calabria, Aldo Porcelli, «la situazione non risulta». «Va sentito il gran magistero», conclude, cioè Napolitano. Gli ordini cavallereschi di matrice cattolica sembrano cadere nella spirale dell’irrisolto, almeno per i fatti e i drammi calabresi. Il loro corporativismo collide con la necessità di pulizia e trasparenza, vuoto slogan del presente. Roberto Iuliano è il priore della Reale Arciconfraternita dei Cavalieri di Malta ad honorem, con sede a Catanzaro. Spiega che «per gli aspiranti garantisce il parroco».Iuliano confessa che «bisogna riformare la disciplina giuridica della cattedra, l’organo preposto a sospendere o allontanare membri con problemi giudiziari».Finora la cattedra è solo sulla carta. Il caso di Lampada non ha insegnato abbastanza.

Inchiesta uscita su Sette (Corriere della Sera) e ripresa in Vaticano massone. Logge, denaro e poteri occulti: il lato segreto della Chiesa di Papa Francesco, di Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti, Ed. Piemme, 2014

16.1.22

l'uomo delle castagne di netflix

N.B
ho usato tramite i codici html la funzione dello spoiler , perchè anche se la serie di netflix è uscita a settembre  2021 qualcuno\a potrebbe non averla vista o la guarda solo ora e quindi non vuole sapere niente sul finale . Comunque per chi volesse saperlo può cliccare il tasto mostra
Dopo questa premessa veniamo al post vero e proprio

In questi  giorni     su suggerimento di  un amico  ho visto  su  Netflix  l'adattamento de L'uomo delle castagne  il romanzo d'esordio dello scrittore danese Søren Sveistrup, noto come sceneggiatore della serie tv The Killing. Esso  è un  buon noir gotico pieno di suspense e di colpi di scena . Avvincente a tal punto che vista una non si resiste a vederne la puntata successiva come  si vede  anche  nel  trailer   .


In questi  giorni     su suggerimento di  un amico  ho visto  su  Netflix  l'adattamento de L'uomo delle castagne  il romanzo d'esordio dello scrittore danese Søren Sveistrup, noto come sceneggiatore della serie tv The Killing. Esso  è un  buon noir gotico pieno di suspense e di colpi di scena . Avvincente a tal punto che vista una non si resiste a vederne la puntata successiva .
Infatti per per bruciarmelo tutto subito e gustarmelo meglio me lo sono visto a poco a poco . L'autore dev'essersi ispirato, almeno io ci ho ritrovato le stesse atmosfere, alla  serie  cult  degli anni  1990\2000  twin peaks 
D'appassionato    reputo  non è necessaria una seconda stagione  de L'uomo  delle  castagne    visto  che  

soprattutto per chi legge o vede gialli e noir con assidua frequenza e si fa la propria indagine personale mentre li segue ed  è per  questo  che  gli eventuali misteri   o dubbi  lasciati  irrisolti  come  esempio :
 Ma poco importa visto la trepidazione avvincente che lo caratterizza e 
Ottimo uso delle fattore delle coincidenze e della casualità. Anche  se  è breve  rispetto  alle  altre   serie  , infatti ha soli sei episodi, ma  con  una trama che farebbe invidia anche ai migliori sceneggiatori in circolazione e una capacità di tenere incollati allo schermo senza precedenti. L'uomo delle castagne è una piccola produzione danese e una vera e propria gemma della piattaforma di streaming. Sarà per la storia accattivante e ben scritta, che tra flashback e flashforeward mette insieme, puntata dopo puntata, piccoli pezzi di un puzzle che mostra la sua immagine solo nell'ultimo episodio, sarà per il fascino delle tradizioni dei Paesi del Nord, diverse dalle nostre, che ci permettono di scoprire e imparare qualcosa di nuovo sul mondo o sarà per la sua impeccabile regia ma questa serie rientra, senza dubbio, secondo https://www.today.it/media  e  d'amanti  - appassionati  di noir    e triller    si apprezzano moltissimo, soprattutto se paragonata ad altre serie dello stesso genere narrativo che troppo spesso sfruttano i soliti trucchetti del crime oltre  che il fattore  amoroso  per accattivarsi il pubblico lontano    dal    noir  . L'uomo delle castagne no, è una spanna sopra gli altri perché è una serie scritta con intelligenza, sensibilità e girata da un occhio che mostra, con delle inquadrature affascinanti e decisamente originali, la continua evoluzione degli stati d'animo dei personaggi. Rientra nel genere crime/thriller ma ha dentro di sé un'indagine psicologica che ne allarga il territorio d'azione, sfrutta  certo gli espedienti di questi generi di racconto ma si apre a qualcosa di ulteriore, racconta un arco temporale disteso ma lo fa senza essere mai prolissa  e  noiosa .
Inoltre c'è un altro aspetto molto interessante di questa serie TV, il fatto che potrebbe giocarsi la carta della "storia d'amore" tra  i due  protagonisti  ma non lo fa, fino
  cosi    come  spesso avviene   in altri film    generalmente  dello  stesso genere  

visto che la scuola non forma i cittadini formiamoci da noi gli strumenti ci sono . non aspettiamo la manna dal cielo

 leggendo     nella  rubrica  delle  lettere    de  il Fato  Quotidiano di    qualche  giorno  fa   , un  intervento    come  questo 



mi     è  venuto  ,  basandomi    sulla  mia esperienza  scolastica  oltre  all'intervento  sopracitato   simile  a quello  d'altri  giovani  che  si lamentano   e basta   senza  (  salvo  eccezioni  che  si contano  sulle  dita   della  mano  )    proporre   o provare  a metterlo in  pratica  con assemblee  lezioni    alternative ,  questo intervento  che     trovate  sotto  . 

Se invece di lamentarsi si agisce sarebbe meglio . niente si nuovo sono anni che la scuola ė in questo stato . niente di nuovo . La scuola salvo eccezioni ovvero qualche prof volontario che t'aiuta a formarti uno spirito critico dandoti gli elementi . Mi chiedo : perchè invece d'aspettare la manna dal cielo \ la pappa pronta non lo trova e si forma da soli ovvero da noi lo spirito critico : le biblioteche , i giornali , la tv, Internet che ci sono a fare ? A scuola ormai ci si va solo per il classico pezzo di carta per poter lavorare visto che anche per fare li spazzino ci vuole il diploma almeno che uno/a non voglia avere uno stato più agitato e non s'accontenta di poco .

'ITALIA E' UNA REPUBBLICA DELLE BANANE O DEI DATTERI ?

 

Lo stesso Paese che per anni ha onorato Falcone e Borsellino ora sostanzialmente tace. Berlusconi mira al Quirinale: condannato, amnistiato, prescritto, tuttora indagato e imputato, osa farsi avanti. Secondo la Cassazione ha finanziato la mafia, quella associazione criminale che ha ucciso Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica. È una vicenda che ci copre di vergogna. Non solo per la sfrontatezza del candidato, ma per la flebile voce dei partiti, taluni tristemente consenzienti, altri distanti da Forza Italia ma appena balbettanti in questa occasione. Tuttavia non basta: la passività di fronte alla proposta indecente riguarda anche la stragrande maggioranza dei cittadini. Le firme raccolta , quasi 300 mila  ,  dal Fatto Quotidiano sono il frutto della reazione di una minoranza illuminata.

Ma l’esperienza quotidiana ci mostra una blanda perplessità, un pigro cinismo, una distaccata rassegnazione nella gran parte delle persone. Colpa della pandemia? In parte forse sì. Ma qualche cosa d’altro è nell’aria. Quello stesso Paese che solo pochi anni fa aveva partecipato con passione al dibattito sulla proposta di modifica della Costituzione ora sembra essersi ritirato. Che siano state le difficoltà economiche e lavorative, o le nuove sensibilità e preoccupazioni ambientali; o le delusioni venute da una politica stanca e incapace di nuove interpretazioni dei tempi, si tratta di un grande errore, perfino di un passo indietro rispetto a stagioni passate che pure non erano età dell’oro.

Ma dove sono finite le voci un tempo gagliarde proprio nei confronti delle deformazioni berlusconiane della giustizia? Come possono non arrossire i grandi quotidiani che battono la fiacca? Perché i sindacati non si ribellano a questa ipotesi di involuzione della democrazia e della civiltà? Perché movimenti e associazioni prima così vivi, come l’anpi o i comitati per la difesa della Costituzione, non si fanno vedere nelle piazze, non alzano la voce, non gridano di fronte a questa impudicizia, a questa offesa della Costituzione cui abbiamo proclamato di voler essere fedeli? Certo la Costituzione non dice che è escluso dalla Presidenza della Repubblica chi ha riportato condanne penali, o ha accettato amnistie e prescrizioni; ma sappiamo che non lo ha fatto perché nessuno dei costituenti poteva neppure immaginare che osasse ambire al Quirinale una persona con quelle caratteristiche. La reazione della nazione sarebbe stata fermissima, diffusa, incontenibile; se non le barricate, però le proteste in ogni luogo pubblico e privato, in ogni sede politica, civile e culturale. Una rivolta morale. Che cosa ci sta succedendo, che cosa   ci sta succedendo, cittadini di una Repubblica che non può vivere se perde la dignità ?

COMUNQUE L'ELEZIONE DI BERLUSCONI A PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SAREBBE UNA GROSSA NOVITA': PER LA PRIMA VOLTA VERREBBE ELETTO UNO CHE SI E' PROPOSTO, MI PARE, E (STANDO ALLE NOTIZIE DELLA COMPAGNA ACQUISTI STILE CALCISTICO AVVIATA DELL' EX PADRONE DEL MILAN ) CHE SIAMO TORNATI AL MEDIOEVO ; SOLO CHE ALLORA SI COMPRAVANO LE CARICHE ECCLESIASTICHE ED I TITOLI NOBILIARI ED ALTRI PRIVILEGI PAGANDO UN DONATIVO AL SOVRANO , MENTRE ORA SAREBBE LA PIU' ALTA CARICA DELLO STATO AD ESSERE COMPRATA. UNA SIMONIA LAICA INSOMMA, ANCHE IN QUESTO B. SAREBBE UN INNOVATORE.