Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
12.2.24
Quando la disinformazione è un errore logico
11.2.24
Quel Che Resta Di Niente: Recensione Del Libro DI Cristian A. Porcino Ferrara
DI Serena Bufano
Chi è il filosofo? Il filosofo è colui che si interroga incessantemente sui quesiti della vita per amore della conoscenza.
Chi è il poeta? Il poeta è colui che mentre si interroga sui quesiti della vita, mette per iscritto i suoi pensieri sottoforma di versi.
Quando un filosofo si mette a scrivere poesie non può che uscirne qualcosa di interessante, originale e unico.
Il giorno in cui ho ricevuto “Quel che resta di niente” e sfogliandolo ho capito che si trattava di un libro di poesie, sono rimasta molto meravigliata. Il precedente libro dell’autoredal titolo “Sulle tracce dell’altrove”, che ho avuto il piacere di leggere e recensire, è un saggio e perciò credevo che lo fosse anche la sua ultima opera.
In realtà i due libri si combinano e compenetrano; “Quel che resta di niente” è la naturale conclusione de “Sulle tracce dell’altrove” e forse (a detta dell’autore stesso), è anche il suo ultimo libro (al momento ne ha all’attivo ben 28) ma io mi auguro che non sia così!
Di che cosa parlano le poesie contenute in “Quel che resta di niente”? Le tematiche sono diverse, certamente vertono sulle esperienze, le sensazioni, le suggestioni personali dell’autore, ma è molto facile rispecchiarsi in molte di esse. Ovviamente il niente che dà il titolo all’opera, ricorre in molte poesie; ne riporto alcune.
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Il niente
La mia vita è così piena di niente
che si riempie di tutto.
Ho meditato a lungo su questa prima poesia dal titolo “Il niente”; se non abbiamo nulla nella nostra vita è facile riempirla con qualsiasi cosa, anche la più effimera ed inutile dal momento che non operiamo una selezione all’ingresso! Ma il tutto è come il niente, ed ecco che ci ritroviamo immersi in un vuoto esistenziale.
Un magnifico niente
Questa voglia di niente
Mi attanaglia all’istante
Questi corpi deserti
E queste anime erranti
Mi feriscono il cuore e la mente.
Ne “Il magnifico niente” l’autore sembra sopraffatto da questo niente che sprigiona dall’umanità, il niente che comunicano i corpi vuoti ed aridi, il niente delle anime smarrite, e si rammarica della loro e propria condizione.
La visione
Non mi aspetto nulla da te
perché nulla aspetto
Ho squarciato il velo di Maya
e la visione che ho abbracciato
è abbastanza nitida.
Ti ho visto e
Ti ho strappato la maschera e mi sono riappropriato del
volto.
Io sono qua e sfido quotidianamente i Belletristi sul mio cammino.
Resto solo con il mio coraggio
e la mia forza perché
sono l’eco che rimbomba
nel silenzio assordante del Kaos.
Ne “La visione” il poeta ci ricorda di essere anche un filosofo con la citazione al velo di Maya postulata da Schopenhauer; non si aspetta nulla da questa persona a cui dedica la poesia, perché il velo di Maya (barriera che impedisce all’uomo di vedere la realtà delle cose) che si frapponeva tra loro, è stato squarciato, mostrandone il vero volto. Resta la consapevolezza del proprio coraggio, la quale ci fornisce anche una parziale risposta al quesito posto dal titolo del libro.
Nel libro c’è spazio anche per le poesie d’ amore e per il desiderio pulsante, per l’estasi di anime gemelle che si sono riconosciute e trovate. In alcune, come “Desio”, l’autore affronta le tre forme platoniche dell’amore: Eros, l’amore fisico, Aghapè, l’amore spirituale e Philia l’amore sentimentale.
C’è anche dolore in alcune poesie, si evince il rammarico dell’autore per non essere stato capace in passato di accettare se stesso e di cogliere l’amore ma infine è la voglia di rinascita e di riscatto a prevalere.
Le ultime pagine sono dedicate a delle riflessioni sottoforma di testo con rimandi, tra gli altri, a Dante, ad Andersen, alla Bella e la bestia e a Philip Roth.
Credo che Christian A. Porcino Ferrara abbia utilizzato la poesia con molta intelligenza, attingendo al suo bagaglio umano e culturale. La poesia è un ottimo strumento di analisi poiché è un linguaggio che si presta a metafore, similitudini, ossimori ed è sempre un viaggio che facciamo nel mondo interiore di qualcun altro, un invito a mettersi nei suoi panni ed a sentire ciò che egli sente, allenando l’empatia.
Vi lascio con un’ultima poesia che mi ha fatto riflettere particolarmente.
Il gioco degli opposti
Due opposti non si attraggono
Ma si sottraggono
Spesso i detti popolari sono fuorvianti, ci ostiniamo a mantenere relazioni impossibili con persone con le quali non abbiamo nulla in comune ed il risultato è un grande spreco di energia e di tempo! Credo che l’autore abbia ragione a metterci in guardia, suggerendoci di stabilire relazioni esclusivamente con persone che ci capiscono e che ci apprezzano, astenendoci dal perdere tempo con chi non ci comprende e non ci comprenderà mai, poiché questo sottrae vigore alla nostra essenza vitale!
Alla fine della lettura di tutte le poesie, ognuno di noi potrà dare un’ interpretazione di Quel che resta di niente, interrogando se stesso, per uscirne più arricchito e consapevole.
Qui il libro
Figli senza padri di DANIELA TUSCANO
DA https://www.dols.it/ ON
Uno dei motivi per cui amo febbraio è il Festival di Sanremo. Ecco, l’ho detto, anzi scritto, e sono spacciata poiché, com’è noto, scripta manent.
Come si possono comprendere i fatti che commemorano? È possibile spiegarli astraendoli dal loro contesto e osservandoli con la sola lente delle “vittime ?
A mio avviso Il Giorno ( ormai diventata settimana ) del Ricordo, come di altre giornate memoriali, ci dimostra come tale tipo d’operazione
Quindi Ricordare si e celebrare si , ma la memoria condivisa è impossibile ed utopistica soprattutto quando c'è ed c'è ancora un uso stumentale ed ideologico di tali eventi dolorosi ed drammatici . Non basta quanto ciò è stato fatto per tutta la guerra fredda e nei primi ( ed in parte continua ancora oggi a fine guerra freda ) anno dell'istituzione della giornata del 10 febbraio
--- ok grazie
10.2.24
san remo dove la qualità viene sconfitta dalla mediocrità il caso della vittoria di Geolier su Angelina mango
3) Diario di bordo n 34 anno II Elena Cecchettin attacca Sanremo e le "parole dell'amore" lette dagli attori di Mare Fuori: «Roba da Baci Perugina» ma non fa nessuna controposta .,....
perchè le foibe ed l'esodo fanno parte della nostra storia ma ancora non sono digerite e assimilate e vengono ancora usate come strumento ideologico
Oggi 10 febbraio che altro dire altre a quello che ho già riportato nel precedente post o a quanto detto nella bella puntata del 9\2\2024 della trasmissione rai di passato e presente dove con lo storico
da https://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Rumici
Guido Rumici (Gorizia, 27 settembre 1959) è uno storico e saggista italiano. Studioso della storia del confine orientale italiano ed esperto di storia della Venezia Giulia e della Dalmazia, Rumici è autore di numerosi saggi sull'argomento, cui ha dedicato più di un decennio di ricerche e documentazione.Professore di Economia aziendale e di Storia ed Economia regionale, Rumici è cultore di Diritto dell'Unione Europea e di Diritto Comunitario presso l'Università di Genova nonché relatore e conferenziere per conto dell'Università Popolare di Trieste e su mandato del Ministero degli Affari Esteri nelle Comunità degli Italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia. Giornalista, è autore di volumi divulgativi e documentari di approfondimento. [...]
si provato a parlare nel breve tempo ( circa una mezzora ) a disposizione delle foibe e dell'esodo fino all'istituzione del la giornata del ricordo nel 2004 inquadrandolo ( come si dovrebbe fare e d invece non sempre viene fatto ) nel contesto dela questione adriatica . Unico neo è che , e qui ne parlo anch'io scusandomi per non averne parlato nel mio pot precedente , delle cause del silenzio ( salvo pochi coraggiosi e del Msi in chiave anticomunista ) dal 1954 ad 1996\2004 . Un ragionamento sulla tragedia degli italiani del confine nordorientale non è completo se non affronta il problema della rimozione: a fronte della gravità dei dati numerici (diecimila morti e oltre trecentomila profughi), perché per tanto tempo le vicende del confine nordorientale sono risultate «indicibili» e scomode ? La risposta , come dice Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009) di cui dal oggi 10 febbraio troviamo in edicola con il «Corriere della Sera» e il settimanale «Oggi»il romanzo di Carlo Sgorlon [ foto a sinistra ] «La foiba grande» , in vendita al prezzo di 9,90 euro più il costo della testata a cui è allegato il volume.
Lo scrittore friulano Carlo Sgorlon (1930-2009) |
9.2.24
DIArio di bordo n 34 anno II Elena Cecchettin attacca Sanremo e le "parole dell'amore" lette dagli attori di Mare Fuori: «Roba da Baci Perugina» ma non fa nessuna controposta ., Si chiama dignità l’unica via per trasformare l’immigrazione da problema a risorsa. E questa via passa per la formazione e il lavoro
Non capisco le reazioni di #elenachettin sorrella di #giulia . E delle critiche fermministe in particolare Tra queste, proprio la scrittrice ripostata da Elena Cecchettin: «Le "nuove regoledell’amore" portate sul palco di Sanremo martedì, in quella che a tutti gli effetti è una promo al sapore di pinkwashing di Mare Fuori, sono un concentrato di privilegio maschile e naftalina – scrive Carlotta Vagnoli – Ma soprattutto non sono a fuoco. Non si parla di patriarcato, di cultura dello stupro, di violenza maschile contro le donne, di privilegio, di mascolinità tossica. Far scrivere a un uomo un pezzo del genere mi sembra il punto più ridicolo della serata di ieri».Quindi le chiedo loro oltre a lamentarsi cosa proponete in alternativa che non sia il solito refrain del termine , ormai abusatissimo , patriarcato ?
Un motivo per restare di Mario Calabresi
Si chiama dignità l’unica via per trasformare l’immigrazione da problema a risorsa. E questa via passa per la formazione e il lavoro. Come raccontano in questo podcast Hamady, Anastasiia, Abdulkarim e Marieme. Che avevano un sogno e hanno trovato una mano tesa che li ha aiutati a realizzarlo
Ci sono momenti in cui scopriamo con sollievo che l’Italia è molto meglio di come viene descritta, che non è lo specchio del dibattito politico, ma un Paese che, lontano dalle polemiche politiche, è capace di risolvere problemi, inventarsi soluzioni e immaginare il futuro. Questo succede perfino nel tema che più divide, più accende gli scontri, le ansie e le paure: l’immigrazione. E se vi dico che esistono soluzioni che sostituiscono la paura con la speranza è perché ho 5.600 esempi.
Alcuni ragazzi e alcune ragazze che partecipano al progetto “Without Borders”, portato avanti da oltre sei anni da Randstad, azienda che si occupa di ricerca, selezione e formazione di personale
Alcuni anni fa ho conosciuto due medici siriani, due chirurghi per la precisione, che erano fuggiti dalla guerra insieme alle loro famiglie e, dopo un lungo viaggio fino alla Libia, erano saliti su un barcone verso la Sicilia. Avevano fatto naufragio ma si erano salvati ed erano riusciti a raggiungere la Germania. Dopo poco tempo erano stati assunti dalla sanità tedesca e lavoravano a pieno ritmo in due ospedali pubblici. Ho ripensato mille volte a loro e a come noi italiani, per miopia e scarso senso pratico, li avremmo lasciati a far nulla in un centro di accoglienza.
Mille volte ho pensato a quello che viene chiamato “l’inverno demografico”, ovvero il calo drammatico delle nascite e l’invecchiamento della popolazione (per chi non l’avesse letta vi consiglio di recuperare l’intervista al demografo e Rettore della Bocconi Francesco Billari: la trovate qui), alla mancanza di manodopera che viene denunciata da ristoranti, alberghi, fabbriche, magazzini, ospedali e cantieri e nello stesso tempo alla quantità di persone che arrivano sulle nostre coste e che noi teniamo inattivi e marginalizzati. Che incredibile spreco di risorse e possibilità.
Credo che l’integrazione non sia da catalogare alla voce “buoni sentimenti”, ma possa essere invece una strada per ridurre gli impatti negativi delle migrazioni e valorizzare le opportunità.
Tutto questo è rimasto nella mia testa finché non ho incontrato Hamady, un ragazzo senegalese che nel suo Paese ha fatto il contadino e poi l’idraulico ma che, complici i racconti di uno zio che viveva in Italia, aveva il sogno di attraversare il Mediterraneo. Il suo viaggio, cominciato a vent’anni, è durato oltre un anno (per due mesi è stato nelle carceri libiche, ma prima di essere arrestato era riuscito a nascondere sottoterra i soldi che aveva messo da parte per pagare il viaggio verso Lampedusa) e lo ha portato dove sognava.
Hamady e Anastasiia, due dei quattro protagonisti delle storie raccontate nel podcast “Una ragione per restare”
Il sogno di farsi una nuova vita è però svanito in fretta. Per tre anni è stato in un centro di accoglienza in provincia di Varese, completamente inattivo, con la sola opportunità di fare il centrocampista nella squadra di calcio locale. Ha sfruttato quel tempo vuoto per prendere la licenza media e, appena l’ha ottenuta, pur di lavorare, e grazie ad una colletta dei parenti, ha preso un treno verso Sud. In Puglia ha raccolto per due anni pomodori e zucchine per una paga da fame (4 euro l’ora), con turni estivi di 11 ore. Poi, sfinito da una quotidianità senza prospettive, ha trovato lavoro in un ristorante cinese nel centro di Foggia e poi in uno in provincia di Roma. Nessuno di questi impieghi gli ha mai permesso di poter pagare un affitto, costringendolo a un peregrinare lungo quasi dieci anni senza una meta. Sconfortato, a febbraio dello scorso anno è tornato alla casella di partenza: in Lombardia.
Una sera a Lodi, un ragazzo somalo gli ha parlato di un corso per provare a entrare a lavorare in un’azienda di cosmetici: «Mi ha detto che dovevo andare in una casa dove, sulla porta, c’era scritto Randstad. Sono andato la mattina dopo e mi hanno messo in mano un questionario da compilare, ho pensato che fosse un’altra strada senza speranza, ma quello stesso pomeriggio mi hanno chiamato». Hamady ha seguito ogni giorno un corso di lingua italiana e una serie di moduli sull’educazione civica e le regole dei posti di lavoro e, dopo tre mesi, è stato inserito come tirocinante nel magazzino dell’azienda di cosmetici. A settembre ha avuto il suo primo contratto e in un attimo tutto è cambiato: ha affittato una casa insieme ad altri due ragazzi, ha comprato il suo primo biglietto per andare allo stadio Meazza a vedere il Milan e oggi è un uomo che sorride spesso. Quando l’ho incontrato mi ha parlato dei suoi colleghi di lavoro, del responsabile del magazzino che ha avuto la pazienza di formarlo e di quanto sia orgoglioso di tutto questo. Poi mi ha fatto notare il regalo che si è fatto per Natale: un piumino rossonero.
L’opportunità che ha cambiato la direzione alla vita di Hamady e di altre 5.600 persone che sono arrivate in Italia da ogni luogo del mondo è un progetto che si chiama “Without Borders”, Senza Confini, e che silenziosamente viene portato avanti da oltre sei anni da Randstad, azienda che si occupa di ricerca, selezione e formazione di personale. Un programma pensato per favorire l’integrazione occupazionale di migranti e rifugiati, offrendogli le competenze, la formazione e anche il supporto psicologico per inserirsi nel mondo del lavoro.
Su queste storie è stato realizzato un podcast in 4 puntate, che si intitola “Una ragione per restare”, in cui si raccontano le vite di Hamady, Anastasiia (scappata dal Kiev due anni fa nel giorno delle bombe sull’aeroporto), Abdulkarim (studente afghano che, dopo aver partecipato al progetto è tornato all’Università e oggi studia informatica a Bari) e Marieme, arrivata in Italia dal Senegal per raggiungere il marito che grazie all’inserimento nel mondo del lavoro – oggi fa la cuoca – ha conquistato un’orgogliosa indipendenza economica.
Narrato dalla voce dell’attore Alberto Boubakar Malanchino, il podcast racconta il progetto insieme a Francesca Passavanti che è la responsabile del programma e a Giulia Ricci, un’insegnante di italiano, che spiega come sia importante non solo trasmettere la lingua ma anche la cultura e la tradizione del nostro Paese.
Spesso sono i dettagli a fare la differenza e così Anastasiia, che ha seguito i suoi corsi, mi ha raccontato di aver imparato la differenza tra spumante, Prosecco e Champagne, oppure quella tra i vari tipi di mozzarella: «È un modo per sentirsi un pochino italiani e a me ha fatto un regalo ancora più grande: mi ha permesso di trovare l’amore della mia vita, un ragazzo italiano che per passione fa il sommelier!».
Una cosa mi ha colpito delle storie che ho ascoltato: il modo in cui queste persone guardano all’Italia. Nonostante le difficoltà non c’è pessimismo e non ci sono mai i toni critici, disillusi con cui noi descriviamo il nostro Paese. Parlano di luce, di rinascita, di opportunità e di futuro. Avremmo bisogno, ogni tanto, di vederci con i loro occhi. Sarebbe molto utile.
8.2.24
Le parole di Giovanni Allevi a Sanremo: “Con la malattia ho perso tutto,... ., “Ti rispetto, ma la malattia non si racconta così” La risposta al monologo di Giovanni Allevi di Max Del Papa, il giornalista colpito da tumore
Due modi diversi di
ed l'intervento risposta risposta al monologo di Giovanni Allevi di Max Del Papa, il giornalista colpito da tumore
secondo lui causato dal sacro siero ( termine con cui i no vax come lui chiamano i vaccini su social per sfuggire alla rimozione dei loro post ) qui l'articolo completo che riporto per non condividendolo per dovere di cronaca . Ora a prescindere dall'essere pro o no vax o scettici sui vaccini chiedo per curiosità a voi familiari di malati oncologici o malatoi oncologici o ex come bisogna raccontare la malattia ?
6.2.24
SE NON C'E UNA POLEMICA CREALA TU Amadeus e Marco Mengoni a Sanremo. «Siamo antifascisti» e intonano "Bella ciao
la settimana che precede il festival di San Remo , quest'anno , almeno fino alla conferenza stampa di presentazione , non aveva avuto polemiche a parte quella su Sinner fatto a pezzi dai fans e seguaci
extraparlamentari della destra e non solo perchè ha rifiutato la passarella San Remese , e quelll'altra sullo spot di Pupa Amadeus e Marco Mengoni cantano insieme “Bella Ciao” in sala stampa a Sanremo. Lo spunto è una domanda di Enrico Lucci di “Striscia la Notizia”, che chiede a entrambi i conduttori della prima serata del Festival di Sanremo se possano definirsi «antifascisti». «Sì», rispondono entrambi senza esitazione e poi intonano bella ciao la canzonee che non anzi meglio non seguano altre e che almeno come si faceva fino a gli anni 90 ci si concetri di più sulle canzoni a prescinere dalla loro bellezza o brutezza mediocrità .
il problema non è tony eff ma un altro visto che anche le paladine delle pseudo femministe che gridano alla censura dove non c'è insomma chi come dolce nera lo difendono invocando la censura o dicendo come Dolcenera: " Tony Effe mi fa sesso perché non pensa ciò che dice sulle donne. Le sue canzoni seguono la moda "
E' vero che dovrei non parlarne più e parlare d'altro magari di cose più importanti perchè come ho detto precedentement...
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Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
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