Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
7.10.24
“The Beatles Everyday. Tutte le canzoni dei mitici “Fab Four .di federico martelli un libro non solo per Beatles mitomani
Generalmente per problemi di spazio nella libreria , leggo i libri o su i lettori digitali o dalla biblioteca . Ma per il libro di Federico un ragazzo di oggi, che giorno dopo giorno recensice e racconta in italiano e in italiano e inglese. di cui ne avevo parlato in : << certe canzoni e certi gruppi non hanno età e sono immortali intervista a federico martelli Il 18enne di carpi che ha scritto The Beatles Everyday”: un libro in cui analizza una per una le canzoni dei Beatles e da me intervistato in : << certe canzoni e certi gruppi non hanno età e sono immortali intervista a federico martelli Il 18enne di carpi che ha scritto The Beatles Everyday”: un libro in cui analizza una per una le canzoni dei Beatles >> . IL libro mi ha prso moltissimo perchè nonostante la notevolissima ( potrebbe essere mio figlio o mio nipote ) differenza di età abbiamo fatto lo stesso percorso musicale con i Beatles . Infatti è stato il mio primo gruppo ascoltato autonomamente . Tale libro è Ben scritto , si vede che ci sono dietro anni d'ascolto e una grnade passione per la musica e le sue teniche olltre che un notevole interese per la filosofia .In realta da uel che ho trovato in rete mentre cercavo appigli per l'intervista so he fa il classico , ma sembra che autodidatta , oppure al conservatorio o abbia fatto un liceo artistico ad indirizzo musicale . Un libri scritto con il ciuore e la passione di un vero cultore . Sembra che abbia vissuto gli anni dei B in prima persona . Ottima l'idea di scrivere anche in inglese . credo che a B quelli viventi o gli eredi di quelli morti farebbe piacere ricevere una copia del libro.Un’opera , dicevo , che è soprattutto una grande dichiarazione d’amore, appassionata e vera come solo un apassionato sa fare . Un libro che è nato prima come rubrica social, e che sui social sta diventando un caso .Infatti Come facilmente prevedibile, questo progetto ha suscitato tanti commenti. Quasi tutti accolti con grande favore dell’autore. "L’unico commento spiacevole – aggiunge Federico – è stato quello di una persona che ha detto che non ha senso comprare un libro sui Beatles scritto da un diciottenne. Non sono ovviamente d’accordo". La pubblicazione è disponibile nelle librerie e negli e-store . Non sono d'accordo perchè come mi pare bbia ichiarato lui stesso da quyalche parte Oggi il rock ha settant’anni, c’è meno stupore per certi sound o per certi messaggi, ma personalmente credo che la discografia dei Beatles porti con sé messaggi universali, raccontati in maniera unica, che difficilmente si può non tanto superare ma anche solo avvicinare . Infatti Il libro nasce come appuntamento quotidiano su Instagram e Facebook , pagina poi chiusa per problemi di copy right dove, ogni giorno alle 14, l’autore ha pubblicato dal primo gennaio 2023 una recensione al giorno delle 215 canzoni dei Beatles, che sono poi diventate 221 con la scelta di una canzone a testa dalla carriera solista degli ex Fab Four e l’aggiunta di Now & Then, brano uscito lo scorso anno, canzone postuma che chiude il cerchio sulla carriera dei quattro ragazzi di Liverpool. Un opera "The Beatles everyday" è il frutto dello sforzo, della passione e dell’anima di un sedicenne innamorato dei Fab Four che con tutta la spontaneità e l’urgenza della sua età ha deciso di analizzare ogni loro brano su una pagina Instagram di sua creazione, dal titolo omonimo (@thebeatleseveryday), dove ogni giorno – senza un ordine prestabilito – postava una recensione; lo ha fatto con un tono più informale del consueto, con il coraggio e l’impudenza di dare giudizi personali, talvolta tranchant, senza alcun timore o remora. L’aspetto più interessante è potere avere una nuova visuale, fresca, diretta, talvolta sfacciata, di tutta l’opera della band, senza mediazioni e compromessi. E soprattutto con l’aggiunta di considerazioni personali, non necessariamente legate all’aspetto artistico, che pongono il libro in un contesto quasi filosofico: con la peculiarità, che non guasta mai, anzi è il sale della vita, di sana (auto) ironia. Qualcuno si indispettirà (“Ma come si permette?”) nel leggere certe considerazioni su questo o quel brano, non cogliendo invece il grande pregio di "The Beatles everyday": una visione mai paludata di un’opera così importante e classica. Unici nei , che mi vengono cosi a caldo e un po' banali soprattutto il primo , ma che non ne sminuiscono per questo la belezza e l'importanza , e che credo che se vorraà presentarlo ad un pubblico di specialisti in eventuale ristampa , saranno corretti , sono : 1) le canzoni esposte alla rinfusa cioè sparse e non album per album e quindi una lettura difficile che costringe a saltare di qua e di la a chi non è un vero fans o nostalgico di B , ma vi si avvicina per la prima volta . 2) Manca una nota che spieghi , infatti ho avuto all'inizio e sono dovuto ricorrere ad internet per capirle i suoi voti , il metodo dei voti americani rispetto a quelli europei . 3) il voler giustamente , fare una cosa spontanea e non programmata . A volte succede persino a me , quando voglio bloccare una cosa ed evitare che finisca dispersa nel vento e nell'rapido oblio . Comunque un ottimo libro d'avere nella propria biblioteca a prescindere dall'essee fans o meno dei B . Concludo con i complimenti a Federico per un eventuale prossimo libro o cd di cover dei B .
Lea e Sammy i due campioni - © Daniela Tuscano
6.10.24
diario di bordo n 80- anno II C’è una maestra alle Tremiti: “Io, pendolare e precaria riapro la scuola dopo 21 anni” , Toghe choc: vietato licenziare chi viola le norme di sicurezza , sicurezza sul lavoro non solo colpa dei padroni
Foggia, 5 ottobre 2024 – Alle isole Tremiti il primo giorno di scuola è arrivato con due settimane di ritardo. Finalmente è sbarcata sull’isola un’intrepida insegnante di 64 anni, Michela Liuzzi, maestra ancora precaria nonostante sia ormai vicina alla pensione. Ma è grazie a lei, a questa volitiva docente di Apricena (Foggia), che quest’anno i sette bambini della primaria del piccolo arcipelago, a nord del promontorio del Gargano e
Comune più settentrionale della Puglia con 496 residenti, potranno sedere tra i banchi, come nel resto d’Italia. “Alcuni giorni fa, l’Ufficio scolastico regionale mi ha proposto di venire in questa sede. La scuola era chiusa dal 2003, perché non c’erano abbastanza bimbi, ma quest’anno, grazie all’arrivo di 7 studenti, si poteva riaprire.Tuttavia, due colleghe avevano rifiutato l’incarico. E così mi sono trovata di fronte a una scelta difficile. Non nego di averci pensato a lungo: accettare significava partire dal mio paese, attraversare il Gargano e affrontare la traversata ogni settimana. Ma alla fine, il pensiero di poter far rivivere questa scuola mi ha convinta”. Michela è stata accolta a San Nicola, ‘capitale’ delle Tremiti, come un’eroina. Grazie a lei i piccoli alunni potranno frequentare regolarmente l’aula scolastica e imparare i primi rudimenti della grammatica e della matematica. “Rifiutare significava essere cancellata dalle graduatorie e vedere sfumare le poche possibilità di continuare a insegnare. Ma…”
Ma?
“L’ho fatto soprattutto per passione. Amo insegnare, amo i bambini e il legame che si crea in aula. L’insegnamento è una missione che ho nel cuore da tutta la vita”.
La sindaca Annalisa Lisci, che ha alle spalle una lunga esperienza da ristoratrice, promette che l’inviterà a pranzo e cena ogni volta che lei vorrà. Quindi ha avuto un’accoglienza con il tappeto rosso?
“Quando sono arrivata al molo, c’era già un piccolo studente, Andrea, che mi aspettava con la sua mamma. È stato un momento speciale, ero emozionata, anche un po’ agitata, ma mi sono sentita subito la benvenuta. Ho capito che, nonostante tutto, ne sarebbe valsa la pena. E poi, l’accoglienza delle famiglie è stata meravigliosa. Mi hanno fatto sentire a casa”.
Dopo le feste di benvenuto, dovrà affrontare i problemi concreti di tutti gli isolani: la solitudine, l’isolamento, la distanza dalla terraferma. Non potrà fare la pendolare come molte sue colleghe precarie. Ci ha già pensato?
“Resterò sull’isola dal lunedì al venerdì, per dedicarmi interamente ai miei alunni. Ogni venerdì, “meteo permettendo”, prenderò il traghetto per tornare a casa, ad Apricena, dove mi aspetta mio marito. I nostri figli, ormai grandi, vivono a Roma. Loro mi hanno sostenuta molto in questa scelta. Sanno quanto l’insegnamento conti per me”.
Le auguro di avere sempre un buon meteo, allora.
“Lo so che posso rischiare di restare bloccata anche per giorni, ma credo di avere un compito: dare una istruzione di qualità a questi sette bambini”.
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Debuttare a cent’anni: i dipinti di Anna Maria Fabriani
È la prima volta che le sue opere si offrono allo sguardo del pubblico. Un sicuro talento il
4.10.24
IL NEO-ANTISEMITISMO PROVOCATO DA “BIBI”.benjamin netanyahu
.IL NEO-ANTISEMITISMO. .PROVOCATO DA “BIBI”.
IL CONFRONTO La violenza del 7 ottobre è stata il frutto della scelta terroristica di uccidere i civili. I morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma colpisce anche i vecchi e i bambini
- Il Fatto Quotidiano
- » ANNA FOA
La trasformazione di Israele in un Paese autoritario avanza, la polizia attacca ogni manifestazione di dissenso, le prigioni sono piene di cittadini arabo-israeliani e dei Territori detenuti senza processo, le dichiarazioni razziste dei ministri si moltiplicano.
Una parte non indifferente della società civile reagisce nonostante le crescenti difficoltà: chiede la cessazione delle ostilità, la liberazione degli ostaggi, le dimissioni del governo. Ci sono militari che rifiutano di andare a combattere a Gaza, preferendo la prigione. Si è formata addirittura un’organizzazione di genitori che invita i figli a rifiutare di combattere questa guerra. Basterà a rallentare o a fermare il suicidio di Israele? Come fermarlo se non attraverso una sollevazione della società? E come possono partecipare gli ebrei della diaspora? Quanto avviene si delinea infatti sempre più come una catastrofe non solo per lo Stato ma anche per il resto del mondo ebraico. L’antisemitismo non è mai morto del tutto nel mondo, nemmeno nell’europa i cui ebrei sono stati quasi completamente distrutti nella Shoah. Originariamente appannaggio dell’estrema destra neonazista, e fondato sul negazionismo della Shoah, si è saldato fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con l’ostilità terzomondista verso Israele e con la posizione antisionista assunta dopo il 1954 dal blocco sovietico, in forme non sempre e non necessariamente antisemite, e fortemente dipendenti dalle vicende mediorientali, in particolare dopo la Guerra dei sei giorni e l’inizio dell’occupazione: “Dichiarazioni intempestive – scrive lo storico Eli Barnavi, ambasciatore israeliano in Francia dal 2000 al 2002 – insediamenti minuscoli e inutilmente provocatori, confische di terre arabe, peraltro spesso sconfessate dall’alta Corte di Giustizia, internamenti amministrativi, distruzione di case con la dinamite, espulsioni, repressione fondata sul principio della responsabilità collettiva: tutto questo forma la trama della vita di un’occupazione che si è voluta ‘liberale’, (...), ma che non per questo è meno odiosa, e danneggia l’immagine di Israele nel mondo” .
Come respingere l’assimilazione fra israeliani ed ebrei quando nella diaspora le voci contro Netanyahu sono flebili e accusate troppo spesso di antisemitismo? È necessario ricorrere a una definizione dell’antisemitismo che consenta di mettere dei paletti. Ma anche qui la situazione è complicata. Di definizioni ne abbiamo due recenti. Una è quella dell’international Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), del 2016, adottata da 43 Stati, Italia compresa, che pone un legame stretto tra antisionismo e antisemitismo. L’altra è quella di Gerusalemme del 2021, opera di ambienti accademici israeliani e americani preoccupati delle conseguenze che la definizione dell’ihra avrebbe avuto sul piano della delegittimazione delle critiche a Israele come antisemite. Il documento di Gerusalemme definisce l’antisemitismo come “la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche)”.
Tutto ciò è diventato ancora più importante oggi. Infatti, come possiamo limitarci a condannare l’antisemitismo che cresce, estendendo il termine “antisemitismo” a ogni condanna della guerra di Gaza? Paragonare il clima di oggi a quello che in Italia accompagnò le leggi razziali del 1938, come è stato fatto, mi sembra una forzatura. (...) Non è che a forza di estendere a dismisura la nozione di antisemitismo finiremo per perderne la specificità?
Che fare, ad esempio, quando gli studenti (...) si battono contro dei veri e propri massacri? Limitarci a denunciarli come antisemiti? Non riesco a non riconoscere in molte di queste loro parole d’ordine, sia pur confuse e inadeguate, che la Shoah debba essere un insegnamento e un monito per tutti i genocidi, che questo non debba succedere più. È vero che in molti casi siamo di fronte a movimenti che per attaccare la politica israeliana giungono anche ad attaccare gli ebrei in quanto tali.
È antisemitismo, certo, ma non un antisemitismo di Stato. È un antisemitismo con cui si può provare a discutere, a spiegare. Per questi movimenti, il sionismo è colonialismo, apartheid, razzismo. Considerando la guerra di Gaza tout court come un genocidio, la maggior parte degli studenti, credono di battersi contro il Sudafrica dell’apartheid, il razzismo dell’america degli anni Cinquanta, l’imperialismo americano in Vietnam. (...)
La questione se il termine genocidio si possa o meno applicare a Gaza è controversa, soprattutto per la condizione di intenzionalità, necessaria a definire il genocidio. Meno controverso dal punto di vista giuridico è però l’uso del termine “crimine contro l’umanità”. (...) Cosa cambia per chi muore sotto le bombe se definiamo la sua morte “massacro” o “genocidio”? Le distinzioni verranno dopo, nei processi, che speriamo ci siano, delle Corti internazionali.
Personalmente, non riesco a condividere l’allarme del mondo ebraico diasporico sull’antisemitismo. Uno degli aspetti che mi preoccupa è quello delle università che chiedono l’interruzione dei rapporti culturali con Israele. Il movimento Boycott, Divestment, Sanctions (BDS), nato nel 2005 all’università di Bir Zeit, nella West Bank, fino a qualche mese fa minoritario nella sinistra, è cresciuto dopo l’inizio della guerra di Gaza fino a diventare una presenza forte e influente. Il risultato però è quello di accrescere il senso di solitudine di Israele.
Non quello del governo, che si fa un vanto del suo isolamento, ma quello delle forze progressiste israeliane scoraggiandole nella loro battaglia contro il governo. È vero, c’è oggi un’ondata di antisemitismo nel mondo, (...) la parola sionismo sembra diventata una bestemmia, in Italia il movimento delle donne “dimentica” gli stupri del 7 ottobre e il pride emargina i movimenti LGBTQ+ ebraici, di nuovo “dimenticando” gli omosessuali impiccati da Hamas a Gaza. Tutto vero. Ma la colpa non è certo solo dell’antisemitismo, (...) ma del comportamento di Israele e del suo governo dopo il 7 ottobre, dei morti innocenti causati nella guerra di Gaza, dei proclami di pulizia etnica (...). D’altra parte, durante le manifestazioni anti-israeliane viene ripetuto lo slogan “dal fiume al mare, Palestina libera”. Si tratta o meno di uno slogan antisemita, nel senso che vorrebbe la scomparsa di Israele sostituito da una grande Palestina, proprio come per i sionisti religiosi a dover scomparire da Giudea e Samaria sono i palestinesi? So che è possibile interpretarlo anche come libertà per tutti e come immagine di uno Stato binazionale, come ha scritto recentemente uno studioso attento come Enzo Traverso. Ma chi lo grida nelle manifestazioni ha in mente questa interpretazione, (...) o si limita a gridare uno slogan contro l’esistenza stessa di Israele?
Percorrere la via stretta tra il governo di Netanyahu e Hamas è difficile, soprattutto nel mondo ebraico abituato a denunciare ogni crescita dell’antisemitismo e ormai convinto che si debba far un tutt’uno di antisemitismo e antisionismo. Intanto Israele è sempre più isolata, il mondo condanna la distruzione di Gaza. I più stretti alleati di Israele si distanziano dalla sua politica.
(...) Come possiamo celebrare la memoria della Shoah oggi, senza parlare del 7 ottobre e di Gaza? Ma è davvero possibile confrontarli, come fa Netanyahu, mettendo entrambi sotto lo stesso ombrello dell’antisemitismo? L’uno, il 7 ottobre, frutto dell’antisemitismo, l’altro, la distruzione di Gaza, come necessità di difendersi dall’antisemitismo? La violenza del 7 ottobre può anche essere apparsa come il desiderio di uccidere gli ebrei, (...) ma è stato il frutto di una scelta deliberata, e terroristica, di uccidere i civili e di esporre alla morte gli abitanti di Gaza per una battaglia che Hamas vuole fare apparire come una lotta di liberazione. Ma i morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma che non esita a colpire vecchi e bambini per uccidere un solo capo di Hamas. Un capo che sarà sostituito da un altro dopo pochi giorni. E gli ebrei del mondo (...) come possono accettarlo senza reagire?
L’unico modo in cui possono farlo è se davvero credono che tutti gli arabi, che tutti i palestinesi, siano terroristi pronti a sgozzarli. Non voglio pensare che sia così, preferisco vedere in questo il volto terribile della vendetta.
Miracolo nel mare di Teulada: salvano un naufrago durante la regata e poi vincono. Il bel gesto dell’equipaggio di India: Tonino, 70 anni, era in acqua da ore aggrappato a una tanica di benzina
Miracolo nel mare di Teulada: salvano un naufrago durante la regata e poi vincono
Cagliari Sono felici i componenti dell'equipaggio di India non per la vittoria ottenuta alla "Teuladata" regata d'altura organizzata dall'Avas, che si svolta nell'ultimo weekend tra Cagliari e Teulada, ma soprattutto per aver salvato un naufrago a qualche miglio dall'arrivo: «L'abbiamo avvistato mentre era aggrappato a una tanica di benzina, che solitamente si usa per segnalare la presenza di una nassa - racconta Cristian "Kiki" Busu, coproprietario di India, G34 dello Sporting Center di Hidor Grassi –. Inizialmente ho pensato che fosse un sub che si sbracciava affinché facessimo attenzione mentre stavamo bordeggiando durante la bolina tra Capo Spartivento e Teulada. Invece, oltre che sbracciarsi, urlava chiedendo aiuto. Così ci siamo resi conto che era un uomo in difficoltà».Ammainato il fiocco, con una manovra da manuale, il timoniere dell'imbarcazione Antonello Ciabatti, è riuscito a portare su il naufrago, che ha detto di chiamarsi Tonino: una settantina d'anni, si trovava in acqua da alcune ore in seguito al rovesciamento del suo barchino da pesca. Era ormai allo stremo, sfinito, con i primi segni evidenti di ipotermia. Fortunatamente, Eleonora Altea, anche lei componente dell'equipaggio di Indi*, è riuscita a riattivare la circolazione del naufrago, dopo averlo avvolto con una coperta e riscaldato.«Abbiamo avvisato la Capitaneria di porto - continua Kiki Busu - ma la motovedetta sarebbe arrivata forse dopo qualche ora. Così abbiamo deciso di far rotta verso il porto di Teulada, dove è arrivata un'ambulanza che ha preso in consegna il naufrago». Tonino grazie alle cure ricevute a bordo di India intanto si era già ripreso. Ma la storia non finisce qui. «Abbiamo avuto il tempo anche di ritornare sul campo di regata e concludere la regata, arrivando primi al traguardo - conclude Kiki Busu – ma la soddisfazione più grande è quella di aver salvato la vita al pescatore».
3.10.24
Israele ha distrutto la mia università, ma non il mio desiderio di istruzione
Israele ha distrutto la mia università, ma non il mio desiderio di istruzione
Per un anno ho cercato disperatamente di continuare i miei studi universitari a Gaza per darmi un senso.
L'autore tra le macerie di Khan Younis [Per gentile concessione di Aya Hellis]
tradottto automaticamente da Israele ha distrutto la mia università, ma non il mio desiderio di istruzione | Conflitto israelo-palestinese | Al Jazeera
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell'autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.
Aya Hellis
Una studentessa universitaria di Gaza
Ho iniziato la mia laurea triennale in ingegneria edile presso l'Università islamica di Gaza (IUG) nel 2021. Ero molto orgogliosa di me stessa per essere entrata nel campo di studi che avevo sempre voluto perseguire.
La mia vita sembrava pronta per i successivi cinque anni. Avrei studiato sodo, avrei cercato di superare gli esami con buoni voti, avrei fatto uno stage in un noto studio di ingegneria e poi avrei fatto domanda per un master.
Tutto stava andando secondo i piani fino al 7 ottobre dello scorso anno. Quel giorno avrei dovuto presentare un progetto universitario per il quale avevo perso molto sonno. I bombardamenti sono iniziati la mattina ma non ho prestato attenzione e ho continuato a lavorare al progetto. Ero abituato agli attacchi israeliani a Gaza. Ne avevo vissuti una mezza dozzina.
Poi ho ricevuto la notizia che le lezioni universitarie erano state sospese. Ancora una volta, pensavo che le cose sarebbero tornate presto alla normalità, quindi ho finito il progetto e l'ho inviato.
Il giorno dopo, l'8 ottobre, avrei dovuto discutere un compito di gruppo con altri tre compagni di classe. Doveva essere la nostra ultima discussione per concludere il progetto prima di presentarlo il 10 ottobre. Invece di parlare con i miei compagni di classe, ricevetti la notizia che uno di loro, il mio caro amico Alaa, era stato ucciso da un attacco aereo israeliano. Invece di finire il compito universitario, piansi il mio amico.
Il 14 ottobre ho detto addio alla mia casa a Gaza City mentre i miei genitori, i miei fratelli e io fuggivamo a Khan Younis, pensando che saremmo stati al sicuro lì. Ho lasciato il mio laptop, i progetti, i libri e tutto ciò che riguarda i miei studi.
A Khan Younis sognavo di tornare all'università. Alla fine l'ho fatto, ma non per studiare. All'inizio di dicembre, una moschea proprio di fronte al condominio in cui alloggiavamo è stata bombardata dall'esercito israeliano. Ci siamo spaventati e abbiamo cercato rifugio nella vicina Università di Al-Aqsa, senza portare quasi nulla con noi. Quella notte, l'edificio in cui avevamo alloggiato fu attaccato e distrutto. Dovevamo cercare tra le macerie ed estrarre tutto ciò che potevamo trovare.
Siamo rimasti un altro mese e mezzo a Khan Younis. Avevo paura di connettermi a Internet, figuriamoci di controllare compagni di classe e amici. Il solo controllo del mio WhatsApp è stato un incubo terrificante. Avevo paura di sapere della morte di persone che conoscevo. A dicembre ho ricevuto la notizia che un'altra compagna di classe, Fatima, era stata uccisa dall'esercito israeliano insieme a suo padre e ai suoi fratelli.
A gennaio, l'esercito israeliano ha intensificato i bombardamenti, massacrando centinaia di persone a Khan Younis, e poi ha fatto irruzione nell'ospedale Al-Khair vicino a noi. Siamo fuggiti a Rafah e ci siamo sistemati in una piccola tenda piantata in strada. La vita era davvero miserabile.
Ma la speranza a volte arriva come un visitatore a sorpresa, quando meno te lo aspetti. A marzo, si è sparsa la voce di un piano per consentire agli studenti di Gaza di iscriversi alle università della Cisgiordania e frequentare le lezioni a distanza. È stato un tale sollievo. Sentivo che non stavo più sprecando la mia vita. Mi sono iscritta al programma e ho aspettato di avere notizie da una delle università.
Quando l'Università di Birzeit (BZU) mi ha contattato, ho sentito che la fortuna mi aveva finalmente sorriso. Mi sono iscritto al numero massimo di corsi che mi era consentito e ho aspettato felicemente di ricominciare a studiare. Ma la mia gioia è stata di breve durata. Appena cinque giorni dopo l'inizio del semestre, il 7 maggio, io e la mia famiglia siamo dovuti fuggire di nuovo dall'avanzata dell'esercito israeliano. Rafah era sotto attacco, quindi abbiamo dovuto evacuare per tornare a Khan Younis.
L'assalto dell'esercito israeliano a Khan Younis l'aveva fatta sembrare una città fantasma. Non c'era più niente lì. Gli edifici e le infrastrutture sono stati completamente distrutti. Non era adatto alla vita, ma non avevamo scelta. Più di un milione di persone sono state evacuate con noi da Rafah e i campi profughi e altre aree come Deir el-Balah erano pieni fino all'orlo del baratro.
Questo spostamento ha significato che non ho potuto completare i miei studi alla BZU. Mentre la vita in una tenda per le strade di Rafah era dura, internet ha funzionato per la maggior parte del tempo. A Khan Younis non c'era affatto internet. Il punto più vicino da cui potevo collegarmi era ad al-Mawasi, a sette chilometri di distanza.
Ho dovuto percorrere quella distanza a piedi con il cuore pesante per inviare un'e-mail alla BZU per far sapere loro che stavo terminando la mia iscrizione.
A giugno, ho ricevuto la notizia che la mia università di origine, IUG, aveva escogitato un piano per consentire agli studenti di completare i loro studi a distanza attraverso una combinazione di autoapprendimento e istruzione.
Ha diviso in due il semestre che abbiamo iniziato lo scorso ottobre, dandoci un mese per studiare materiale che normalmente richiederebbe mesi prima di sostenere gli esami per la prima parte; Poi abbiamo dovuto fare lo stesso per la seconda parte.
Trovare istruttori per ogni corso è stata una sfida. Molti professori sono stati uccisi e molti altri sono stati sfollati e in situazioni precarie, lottando per fornire cibo e acqua alle loro famiglie. Di conseguenza, abbiamo avuto un istruttore assegnato all'intero corso di quasi 800 studenti.
Mi sono iscritta a due corsi e ogni giorno iniziavo a camminare per sette chilometri fino ad al-Mawasi sotto il sole cocente, passando tra cumuli di macerie, spazzatura e pozzanghere di acque reflue, per scaricare le lezioni e rimanere in contatto con la mia università.
Ne sono rimasto soddisfatto. Qualsiasi cosa era meglio che sedersi in una tenda calda e deperire nella disperazione.
Ma mantenere questo studio a distanza era estremamente difficile. Poco dopo aver iniziato a studiare, l'esercito israeliano ha effettuato un massiccio attacco ad al-Mawasi, sganciando otto enormi bombe sul campo, uccidendo almeno 90 persone e ferendone altre 300.C'era caos e paura ovunque. Io stesso avevo paura di avvicinarmi a quella che doveva essere una "zona sicura".
Non sono tornato online per una settimana. L'esercito israeliano aveva danneggiato l'infrastruttura delle comunicazioni. Quando finalmente sono riuscito a connettermi, il segnale era molto debole. Mi ci sono voluti due giorni per scaricare un libro.
Sono riuscito a riprendere gli studi solo per essere interrotto di nuovo. Nuovi ordini di evacuazione emessi dall'esercito israeliano hanno costretto migliaia di persone nell'area vuota in cui ci eravamo stabiliti. Era così sovraffollato e rumoroso che avevo difficoltà a concentrarmi per ore.
Anche caricare il telefono per studiare era un'altra fonte di sofferenza. Ogni due giorni dovevo inviarlo la mattina a un servizio di ricarica e aspettare il pomeriggio per riaverla, sprecando un'intera giornata.
La settimana degli esami è finalmente arrivata ad agosto. Ho dovuto affannarmi per trovare una buona connessione a Internet e, quando l'ho fatto, ho dovuto pagare un'enorme somma di denaro per usarla per un'ora. Ho fatto quello che potevo agli esami.
Tre settimane dopo, ho ricevuto i risultati: A+ in entrambi gli esami. Quel giorno non riuscivo a smettere di sorridere.
Poi ho iniziato a studiare per la seconda parte del semestre e gli altri tre esami, che ho sostenuto a settembre.
Ho terminato questo semestre improvvisato quasi un anno dopo l'inizio della guerra: un anno di sfollamenti, perdite, vita in tenda, incubi ed esplosioni incessanti. Mentre lottavo per studiare, mi sono resa conto di quanto mi mancassero i piccoli "lussi" della mia vita precedente: la mia scrivania, il mio letto, la mia stanza, le mie barrette di tè e cioccolato.
Questi due mesi di studio per gli esami sono stati una piccola distrazione dai travolgenti sentimenti di perdita e disperazione in mezzo a questo genocidio in corso. Sembrava un'iniezione di un anestetico per aiutarmi a dimenticare solo per un po' il dolore della mia vita miserabile.
il problema non è tony eff ma un altro visto che anche le paladine delle pseudo femministe che gridano alla censura dove non c'è insomma chi come dolce nera lo difendono invocando la censura o dicendo come Dolcenera: " Tony Effe mi fa sesso perché non pensa ciò che dice sulle donne. Le sue canzoni seguono la moda "
E' vero che dovrei non parlarne più e parlare d'altro magari di cose più importanti perchè come ho detto precedentement...
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