1.10.09

Buzzichino...



Grotta di montevicoli 2


Immagine di franca "Grotta di Montevicoli"


Calanchi 1


Immagine difranca "Calanchi" 


Il folletto Buzzichino partito da solo dalla terra dei Messapi, dopo mesi di cammino arriva in autunno a Civita. I suoi sandali sono consumati percorre a piedi nudi i sentirei argillosi dei calanchi della terra di Tuscia; stremato si addormenta nella grotta di San Bonaventura. La notte riposa e sogna tranquillo. All'alba infreddolito per scaldarsi si mette di nuovo in cammino; dopo ore i suoi piedi ormai sono piagati quasi non li sente e da quanto sono sporchi non li vede più. Lungo il sentiero trova un torrente s'immerge e sente prima un grande dolore poi un benessere. Ancora del cammino e arriva a un antico monastero. Due frati le vanno incontro e con amore lo accolgono; ma il folletto impaurito, non sapendo chi fossero si nasconde nella radura, i frati con garbo lo chiamano e lo portano in convento, Buzzichino spiega di essere un folletto del bosco, loro sorridono lo accarezzano e da quel giorno lo chiameranno Francesco. Passano sereni i giorni Francesco viene vestito con abiti più caldi e insieme a Fra Natalino e Fra Realino trascorre giorni pieni di felicità; con loro si sente sereno, vorrebbe fermarsi! ma i due frati lo lasciano andare e le raccomandano che se desidera tornare, loro sono felici di accoglierlo. Ma prima deve comprendere bene le sue radici e quello che desidera fare della sua vita.franca bassi


cella di San BonaventuraGrotta di san Bonaventura


Autunno a CivitaImmagine di franca "Autunno Civita rapita della nebbia" 



  Antiche radici



Sono un Folletto del bosco
amo la natura e la vita!
Sono nato nei boschi
ho giocato con  Principessa
nell'antica terra dei Messapi.
Oggi che sono rimasto solo
il suo insegnamento mi aiuta
ad andare avanti nel mio cammino.
Ogni giorno vado alla ricerca delle mie radici.
Dormo con il freddo nelle caverne
con il caldo nei tronchi degli alberi cavi
nei boschi trovo sempre qualcosa che mi ricorda lei.
Principessa amava il freddo dell'inverno
si vestiva con teli tessuti  in primavera
camminava a piedi nudi nei campi di grano
adorava la bellezza dei colori autunnali.
Quando era triste cercava nella natura
la serenità poi mi donava il suo sorriso
giocava con me alla sorgente fatata
felici insieme scivolavamo dal pagliaio
ormai sono lontani anche per me qui giorni.
Dopo giorni...giorni di cammino
sono arrivato  al torrente Rio Torbido
ho riconosciuto il suo torrente
ho lavato i miei piedi piagati
ho rivolto lo sguardo intorno
mi sembrava già di conoscerlo
tutto mi è amico come se fossi sempre stato
in questa terra.
Le foglie degli antichi castagni
nella valle di Civita si spogliano
e come  farfalle variopinte
la terra scura  ammantano di giallo di rosso
e tutto intorno dolcemente s'addormenta.
Dopo poco ho riposato il mio corpo
nella grotta di San Bonaventura
qui due frati mi hanno trovato
con amore accolto e curato.
Mi hanno spiegato
che non sono un folletto
e mi hanno dato il nome di Francesco.
Ho trascorso mesi nel monastero
di Lubriano ogni giorno il mio sguardo
e rivolto al borgo antico di Civita
quando la neve lenta ha incipriato tutta la valle
 dai calanchi sale la nebbia
silenziosa rapisce l'antico borgo
e lo sospende sulle nuvole.
In primavera  quando la valle si tinge
del giallo delle ginestra
ho ripreso il mio cammino
scoprendo le mie antiche radici.
franca bassi


Calanchi e ginestre Civita



Immagine di franca



 


 



30.9.09

L' Addio dell'Estate


composizione autunno1                                                        Immagine tratta dal web.

Dolcemente, ma quasi con ritrosia
settembre schiude le porte all'autunno
che sparge tutto intorno alle cose
una patina bigia di malinconia.

Il cielo è sempre azzurro ma non è più brillante
il sole splende ancora ma senza fulgore
le foglie mostran venature stanche
i fiori hanno spento ogni colore.

Tutto appare come prima ma così non è:
nell'aria c'è un presagio di tristezza
la natura sembra aver perduto smalto
la freschezza della giovinezza.

E' la fine dell'estate calda
la stagione dei colori e dei sapori
dei profumi e dell'allegria
che purtroppo, ci sta dicendo addio.

Scritto da Marilicia il 14/09/2002

Autunno in città

autunno in città4immagine di franca " La mia finestra"


Autunno in città


Ricordo ancora...
la voce di mio padre:
“Ma dove sei venuta ad abitare?”
Oggi dopo tantissimi anni
passati in questa casa
guardo dalla mia finestra
e comprendo le parole di mio padre!
Avevo venti anni quando lasciai
il mio quartiere...
Ero nata e vissuta all'ombra del cupolone
i platani di lungotevere lasciavano cadere
in questo periodo le bellissime foglie.
I gabbiani si tuffavano
gridando di gioia nel biondo tevere
saltellando raccoglievo le foglie
e gridavo a mio padre:
"babbo voglio volare..."
lui sorridente mi rispondeva:
"Volerai...voletrai!"
La collina di Montemario
era un bellissimo parco giochi
con mia sorella in pattini
ci allenavamo a viale Mazzini
 qui in questi giardini
ho ricevuto sulla guancia
il mio primo bacio...
e le giostre a piazzale Clodio 
chi è di Roma e ha la mia età
sicuro che se le ricorda!
Amici ricordate la circolare
che faceva il giro di Roma?
Quante volte...
facevo finta di non ricordare
la mia fermata per  girare ancora.
Oggi guardo dalla mia finestra
 mi chiedo: troppe...troppe stagioni
ho lasciato passare...
Devo ascoltare la voce di mio padre
mi lascerò portare per mano da lui
per uscire da questo ginepraio
di rumori assordanti e volti spenti!
Devo lasciare la mia vita alle spalle
ricordarmi le mie radici
all'ombra dei castagni
nella valle di Bagnoregio.
Devo  trovare un piccolo spazio
dove posso vedere ancora
l'alba e il tramonto
dove il silenzio è canto
dove il vento m' accompagna
e quando  cadono le prime foglie
comprendo che sta arrivando l' autunno
e serena  attendo il mio ultimo tramonto.


franca bassi



tramonto su Roma


Immagine di franca " Tramonto in autunno a Roma "


 


29.9.09

2 ottobre 2009, Milano canta per la Pace


 

Ovunque. Ormai la Marcia Mondiale si è dilatata a macchia d'olio, con una velocità vertiginosa, e impiegherei giorni interi, forse anche mesi, a stilare lo sterminato elenco di eventi e di adesioni che abbiamo ricevuto. Per questo vi rimando al sito. Ma partiamo tutti il prossimo 2 ottobre. Da Roma a Madrid, dal Benin al Messico, dall'Australia al Medio Oriente, la Marcia c'è. In nome di Gandhi, della pace, di noi. Qui mi limito a illustrare il programma milanese, che si svolgerà appunto il 2/10 in Piazza Duomo. Per l'occasione, il luogo-simbolo della "capitale morale" si trasformerà in un immenso palco di pace e nonviolenza. Dalle ore 10 fino alle 18 si esibiranno compagnie teatrali, e stand di associazioni garantiranno la loro presenza per tutta la giornata. Dalle 18 si terrà un happening con testimonial e personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura (Emma Re, Gianluca Pessotto, il Trio Medusa, La Pina e molti altri). Alle 18.45, eseguiremo la nota Do diesis per lanciare il progetto Tune the World (Intona il Mondo) mentre il megaschermo, allestito per l'occasione, proietterà il testo Imagine di John Lennon, che canteremo insieme. L’iniziativa sarà seguita da Radio Deejay e Lifegate.
In concomitanza con le iniziative in Piazza Duomo, il carcere di Bollate organizzerà una Marcia per la Pace con i detenuti, la direttrice e la polizia. Presso l’Università Bicocca si terranno conferenze e concerti sulla nonviolenza, mentre al Teatro Smeraldo sarà rappresentato uno spettacolo dedicato ai bambini. Alle 20.15, una compagnia teatrale si esibirà all’Istituto Nazionale dei Tumori. Appoggeremo anche, sabato 3 ottobre, sempre a Milano (piazza Duomo, ore 17) la manifestazione per la libertà di stampa e d'informazione.


Ne abbiamo, insomma, per tutti. Ed è solo l'inizio. Nel mondo, e a casa nostra.


 

In Italia, ogni cambiamento è sempre partito da Milano. Siamo certi che anche stavolta andrà così. In Marcia, ragazzi!

Daniela Tuscano



2 ottobre 2009, Milano canta per la Pace

Ovunque. Ormai la Marcia Mondiale si è dilatata a macchia d'olio, con una velocità vertiginosa, e impiegherei giorni interi, forse anche mesi, a stilare lo sterminato elenco di eventi e di adesioni che abbiamo ricevuto. Per questo vi rimando al sito. Ma partiamo tutti il prossimo 2 ottobre. Da Roma a Madrid, dal Benin al Messico, dall'Australia al Medio Oriente, la Marcia c'è. In nome di Gandhi, della pace, di noi. Qui mi limito a illustrare il programma milanese, che si svolgerà appunto il 2/10 in Piazza Duomo. Per l'occasione, il luogo-simbolo della "capitale morale" si trasformerà in un immenso palco di pace e nonviolenza. Dalle ore 10 fino alle 18 si esibiranno compagnie teatrali, e stand di associazioni garantiranno la loro presenza per tutta la giornata. Dalle 18 si terrà un happening con testimonial e personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura (Emma Re, Gianluca Pessotto, il Trio Medusa, La Pina e molti altri). Alle 18.45, eseguiremo la nota Do diesis per lanciare il progetto Tune the World (Intona il Mondo) mentre il megaschermo, allestito per l'occasione, proietterà il testo Imagine di John Lennon, che canteremo insieme. L’iniziativa sarà seguita da Radio Deejay e Lifegate.
In concomitanza con le iniziative in Piazza Duomo, il carcere di Bollate organizzerà una Marcia per la Pace con i detenuti, la direttrice e la polizia. Presso l’Università Bicocca si terranno conferenze e concerti sulla nonviolenza, mentre al Teatro Smeraldo sarà rappresentato uno spettacolo dedicato ai bambini. Alle 20.15, una compagnia teatrale si esibirà all’Istituto Nazionale dei Tumori. Appoggeremo anche, sabato 3 ottobre sempre a Milano (piazza Duomo, ore 17) la manifestazione per la libertà di stampa e d'informazione.

Ne abbiamo, insomma, per tutti. Ed è solo l'inizio. Nel mondo, e a casa nostra.

In Italia, ogni cambiamento è sempre partito da Milano. Siamo certi che anche stavolta andrà così. In Marcia, ragazzi!

La notte nera

Questa notte una ragazza ha urlato. Indossava un maglioncino rosa, e la solita acconciatura fuori moda per tenere in ordine i capelli troppo lunghi. Questa notte una ragazza ha urlato perchè qualcuno, nel silenzio della città addormentata, le ha puntato contro una pistola. Una ragazza ha urlato, e chi lo sa in quanti l'hanno sentita. Chi dormiva, chi nella sua insonnia ha preferito tenere gli occhi chiusi. E le orecchie spente. Quella strada sembrava così più silenziosa del solito, come avvolta da uno stato comatoso, surreale, grottesco, crudele. E' la ragazza della Città Senza Giustizia. E' la ragazza della Città Senza Cuore. E guardando negli occhi quella pistola ha visto il proprio corpo disteso sull'asfalto, davanti ai suoi occhi. Ed ha temuto, ha perso la speranza. Per la vita, propria e del suo compagno. E chi può dire che cosa abbia pensato in quel momento. Ha detto no, per favore, no. Ha detto Dio, non può essere vero. Non qui. Non ora. Non può essere vero. Oh Dio, oh Dio, oh Dio. Non togliermi tutto ciò che ho. Questa notte una ragazza ha urlato, e chi lo sa in quanti l'hanno sentita. Nessuno, in ogni caso, l'ha ascoltata.


Questa notte, questa notte ho urlato. Indossavo un maglioncino rosa, e la solita acconciatura fuori moda per tenere in ordine i capelli troppo lunghi. Questa notte ho urlato perchè qualcuno, nel silenzio della città addormentata, mi ha puntato contro una pistola. Ho urlato, ho urlato perchè qualcuno mi sentisse. Perchè qualcuno accorresse, perchè qualcuno mi salvasse.


Dormivano tutti. Nessuno si è svegliato per me. Per me, per noi, per ogni ragazza che urla, per ogni ragazzo schiacciato dall'impotenza, dal terrore. Per ogni bambina smarrita. Per me, per noi, nessuno si è svegliato.


La mia speranza è morta. E' morta, morta, morta.

quando (raramente) il bene fa notizia

Corriere della Sera.it
CAGLIARI - Una dimostrazione esemplare di onestà. Un pensionato sardo settantenne ha trovato una schedina del Superenelotto vincente (circa 15 mila euro) e l'ha restituita al suo proprietario, un operaio di 36 anni. È accaduto a Sinnai, un grosso centro a pochi chilometri da Cagliari. LA STORIA - L'anziano, Paolo Spina, stava facendo una passeggiata - come ha riportato il quotidiano «L'Unione Leggi ancora...

Roma: in un’assemblea, convergenza di percorsi differenti verso una manifestazione nazionale

martedì 29 settembre 2009

 


Oggi è in gioco la capacità di farsi parola attiva, visibile, mobilitante





"Le nostre pratiche, le loro parole: donne - politica - informazione": l’incontro che si è tenuto sabato 26 settembre alla Casa Internazionale delle donne a Roma ha visto la presenza di più di 60 donne. Si potrebbero nominare una ad una perché sono quelle che da anni continuano, imperterrite, a garantire una presenza politica capace di smentire, in ogni momento, i titoli mediatici sul “silenzio delle donne”.





Sarebbe auspicabile, anche in vista della manifestazione del 3 ottobre, una onesta autocritica di giornalisti/e, direttori in testa, sulla loro ignoranza colpevole proprio perché dovuta alla totale assenza di curiosità. Pochissimi sono i colleghi, un po’ di più le colleghe interessate a capire il perché delle pratiche e del linguaggio politico di chi continua a mantenere il punto su quella rivoluzione permanente e non cruenta che va sotto il nome di femminismo o femminismi.


Da decenni molte donne si sono intestardite a portare avanti questa nuova cultura considerandola indispensabile per la salute politica di questo povero Paese. Salute oggi minacciata da una violenza così aggressiva da permeare ogni cosa. Non è un caso che durante questa riunione si è parlato proprio di guerra maschile contro le donne. Una aggressione camuffata di volta in volta o in guerra di religione, o in guerra economica, o in guerra mediatica e non da ultimo in guerra politica. E’ come se ci fosse una volontà profonda di riorganizzare la polis secondo primitive gerarchie di potere. Senza accorgersi che la stessa rivoluzione tecnologica ha messo in forse antiche certezze ed esige profonde rielaborazioni concettuali.


La caparbietà di voler mantenere il punto sul nesso sessualità potere ha portato a deformare e manipolare alcune elaborazioni di fondo del femminismo : “il personale è politico” si è trasformato in “il privato è politico” con tutte le conseguenze che oggi abbiamo sotto gli occhi. Oppure l’elaborazione e le pratiche relative alla libertà di poter decidere sulla propria sessualità, sul proprio corpo sono state aggredite dalla volontà di annullarne ogni valore etico per ricondurre il tutto a espressione di bisogni quantitativi propri della cultura del “libero” mercato. Così il corpo si fa merce, acquista una proprietà transitiva, perde la forza dell’Io –dell’io sono mia. Diventa proprietà altrui.


E’ d’obbligo ricordare allora la legge 40, ma anche tutto quello che si è detto sulla prostituzione, sulla pornografia e sull’immaginario mediatico per arrivare ai problemi della disoccupazione, dell’abitare e del migrare, della salute e dell’educazione, senza nominare stupri o assassini, si può dire e, in questa riunione è stato detto: tutte le differenze che si sono articolate in questi anni è bene che trovino un denominatore comune capace di farsi parola attiva, visibile, mobilitante.


E’ per questo che è stato chiesto di riattivare quella rete carsica capace di riproporre in ogni città il dibattito su questi ma anche su altri temi da individuare. Così da arrivare al 21 novembre il sabato prima del 25, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ad una manifestazione nazionale.


E ancora prima, il 10 ottobre, ci si incontra di nuovo alla Casa delle donne sul documento Sesso e politica nel post patriarcato ( "il manifesto", 26 settembre).


Oggi rispetto a ieri abbiamo una fortuna in più: con le nuove tecnologie, grazie alla rete virtuale le donne possono contare su una possibiltà maggiore di scambio e rafforzamento reciproco. Forse possiamo fare a meno dei media che rappresentano le donne insignificanti, invisibili e mute, di quei media che si ostinano a voler far vedere non le realtà ma il loro immaginario strumentale.


La foto è presa dal sito latorredibabele.blog.rai.it


Da: Il Paese delle donne on line



NON C'è COSA PIù DIVINA, CHE...!

NON C'è COSA PIù DIVINA, CHE...! Leggi ancora...

28.9.09

CONTINUA...

Finita l'estate e le sue promozioni telefoniche , fiammetta ha deciso con chi trombare del gruppo hanno il loro pezzo e che pezzo... la tim ha deciso che bisogna cambiare volto roba più seria, rispolverato de sica e chi mettono come bellona tipica dei cinepanettoni?? Belen che ci ha frantumato le palle (almeno a me) con i suoi "amori" sarà gnocca e chi non vorrebbe un'insegnante così... ma a mala pena parla italiano anche il latino , certo avessero scelto la marini per quel ruolo era la stessa la preparazione culturale , potevano studiarsi un'ambientazione diversa vista la crisi in cui versa la scuola ormai fatta di ragazzine che si vendono per qualche ricarica e belen in quanto a spogliarsi non è seconda a nessuno un bell'esempio come a dire fatelo che volete che sia... anzi farete carriera!!
aiutatemi...

a chi mi dice che sono contro la vita perchè ho difeso il diritto di Eluana......

  .....  si legga   questa  storia   che   rispetto    e che  testimonia sempre   più  l'urgenza  di un testamento biologico e di una legge    che  ti lasci la  posibilità di   scelta  fra  un opzione come questa   riportata  qui  sotto e    quella scelta da  Eluana   e portata a vanti  dai genitori 





A tutti gli utenti del mio blog e non solo che nei post pro eluana e testamento biologico mi accusano di essere a senso unico , di parte , fazioso , contro la vita , ecc ( e altre baggianate \ boiate che ho cestinato perchè offensive , volgari ed arroganti ) , Ma prima di passare alla replica rispondo riggettand9o le accuse di faziosità , d'essere a senso unico ( sìperchè se cosi fosse avrei cancellato anchei commenti contrari al mio punto di vista ) , e accettando le critiche d'essere di parte , perchè lo sono stato , ma davanti a temi delicati come questi è impossibile essere obbiettivi , ma d'altronde è meglio essere di parte che indifferenti e apatici e lasciare che siano glia ltri a decidere per te , ed ed in questo caso del tuo corpo e e e della tua vita se continuare a vivere in queslle condizioni o morire con dignità . Adesso vi lascio alla risposta vera e proopria che è costituita da questa canzone (  eccovi qua  il video  in questione   http://www.youtube.com/watch?v=0HB2UZztdvI )






LAICO REGGAE



Sai che mi è sempre mancato?
uno spirito etico autentico e addomesticato.
Ma è tardi ormai per la questine morale...
è come imporre ai tuoi 26 figli un anticoncezionale.
Sull'aborto invece è lei che deve deliberare
perchè l'uomo è cacciatore ma ha paura a sparare.
Ma alla mia età
vivo bene anche queste contrarietà
guardo in alto e mi convinco che Dio
è laico come me...
è laico come me...
è laico come me...

La vita è in se preziosa chi l'ha mia negato?
Ma purtroppo non c'è nulla al mondo che sia più a buon mercato...
per questo credo che con un pluriassassino
avremmmo pure il diritto di farci qualche bel giochino...
Disprezzo invece queste perversioni del sesso
ma se non picchio mia moglie il cane non si gode l'amplesso.

Ma alla mia età
vivo bene anche queste contrarietà
guardo in alto e mi convinco che Dio
è laico come me...
è laico come me...
è laico come me...

Genetica etica dimmi se passiamo la soglia
se clonando un uomo non si rischia di clonare la noia.
Ma come può evolversi l'uomo se fa l'impegato?
Imparando dei buoni motivi per darsi malato?
Nell'etica come per radersi ci vuole esercizio



e con questa storia tratta dall'unione sarda  ((  giornale  filo berlusconiano   ) del 27\9\2009

Piacere Ale, ex vegetale
L'incidente in moto d'acqua, il coma: «Ora mi laureo»




Quando ti predicono una vita da vegetale è un miracolo se riprendi a parlare, camminare, sorridere. Ma Alessandra Pisu è una donna d'acciaio. E a sette anni dall'incidente che ha stravolto la sua vita e a due dalla maturità conquistata con un'immensa forza di volontà ha deciso che tra una seduta con la psicologa e il neuropsichiatra e sfiancanti esercizi con il fisioterapista e il logopedista vale la pena di combattere per un'altra sfida: la laurea. «Mi sono iscritta in Scienze politiche e ho dato due esami, micro e macro economia. I voti: 18 e 20».
Pantaloni blu aderenti, maglia bianca, sneakers ai piedi, capelli tinti di un rosso discreto, trucco curato, Alessandra racconta la sua seconda vita seduta su una sedia del bar di famiglia, By Marcella, locale storico di via Mameli.

Tono cupo, cervello attivo come e forse più di prima, certamente più avanti del suo fisico ancora lento, ha uno sguardo birichino e un senso dell'umorismo finissimo. Le sue battute, spesso in sardo, fanno ancora più ridere perché parla come un disco rallentato. Spiazza, sorprende. Lei lo sa ed è la prima a sorriderne. Scherza molto, tranne quando parla del suo cruccio: «So che molte persone si occupano di me e che è necessario. Mi piacerebbe essere più indipendente e non pesare sugli altri, soprattutto economicamente. Vorrei lavorare, ma nelle mie condizioni è difficile».



Le sue condizioni sono “postumi da trauma cranico encefalico con emiparesi destra”. Conseguenza di un incidente in moto d'acqua, il 3 febbraio del 2002. Appassionata di sport estremi, Alessandra passava le sue giornate tra il bar di famiglia, dove lavorava e gli amici. Quel giorno era sullo specchio di mare davanti al D'Aquila quando la sua Yamaha Jet Sky 800 si era impennata. Lei era stata come eiettata e si era schiantata contro un muro d'acqua. Quando era arrivata al Brotzu non aveva un graffio ma era in coma profondo. Ai genitori i medici non avevano dato nessuna speranza. «Ci dissero che sarebbe rimasta un vegetale», racconta Antonello, il padre. Un mese in coma profondo in rianimazione, poi il trasferimento in neurologia. Dopo un mese e mezzo a Villa Beretta, la clinica specializzata di Costa Masnaga, vicino a Lecco, dove sono stati curati Umberto Bossi e Marco Columbro dopo i rispettivi ictus. Dopo sei mesi aveva riaperto un occhio, dopo 15 giorni il secondo. Piano piano migliorava, un frammento di capacità in più ogni giorno. Per cercare di comunicare, i genitori le scrivevano le lettere dell'alfabeto in un foglio e lei le indicava. La prime frase che aveva detto, raccontano, è «Ho combinato un casino».

Sei mesi dopo Alessandra era rientrata a Cagliari su una carrozzina. Per altri sei mesi aveva fatto una rieducazione minima poi l'avevano trasferita in un altro centro specializzato a Torino. Lì le avevano restituito le capacità cognitive: un anno e mezzo di lavoro duro, anche con un robot che la guidava nei movimenti aiutandola a coordinarsi. Piano piano aveva riacquistato la memoria breve, che prima balbettava. Anche se, chissà perché, ricordava benissimo i numeri di telefono.
Rientrata a Cagliari, ha proseguito con le sedute quotidiane di rieducazione. È migliorata ogni giorno, faticando. Ora Alessandra cammina solo se sorretta e parla a fatica. È disabile, ma viva e le sue capacità intellettive sono integre. Anche per questo nel 2006, incoraggiata dai genitori, ha deciso di riprendere gli studi di ragioneria ai corsi serali del Leonardo Da Vinci e di diplomarsi. Ha lavorato duro ma ha rischiato di gettare tutto all'aria perché alla fine del primo quadrimestre non le avevano ancora dato l'insegnante di sostegno. Il padre, dopo aver atteso a lungo, aveva denunciato pubblicamente l'ingiustizia e l'insegnante glielo avevano dato. L'anno successivo, luglio 2007, si era diplomata: lenta ma preparata, aveva parlato di Alessandro Manzoni e di forme di Stato e di governo, di immobilizzazioni finanziarie e di questione meridionale. Antonello e Marcella, i genitori, quando ha finito l'esame hanno pianto. «Sono felice per lei e spero che la sua esperienza incoraggi altre persone nelle sue condizioni», aveva detto il papà commosso.
Dell'incidente Alessandra non ricorda nulla. E della sua vita precedente ha solo qualche flash: «Cose insignificanti, come dettagli della casa di mio nonno» che, chiarisce il padre, è morto 25 anni fa. Il neuropsichiatra e i genitori l'hanno aiutata a ricostruire tutto, senza nascondere nulla. Il lavoro dietro il banco del bar, il pattinaggio, la passione per il bungee jumping e gli sport estremi, gli amori, i viaggi, l'incidente, il risveglio dal coma e l'aggressione ai genitori. «So che gliene ho dette di tutti i colori» (una classica reazione post coma).
«In questi anni», dice, «ho capito che cos'è l'amicizia. Dopo l'incidente quasi tutti i miei amici mi hanno voltato le spalle. Sono fuggiti, proprio quando ne avevo bisogno. Sono ignoranti e l'ignoranza è trasversale: grandi e piccoli, ricchi e poveri, maschi e femmine, laureati o con la licenza elementare. Mi trattano con modi bruschi, qualche volta dicono cattiverie sulla mia condizione, pensano che io non sia in grado di intendere e di volere. E invece capisco molto più di loro. Ed ho sviluppato una sensibilità che mi consente di individuare le persone sincere e quelle false e a diffidare dal falso pietismo. Giada no. Giada, una delle dipendenti del bar di famiglia, è un amica vera. Ogni volta che la guardo penso all'amicizia» (dall'altra parte del bancone Giada la guarda, sorride, strizza l'occhio e le manda un bacio).
Poi ci sono Antonello e Marcella, il padre e la madre. Hanno seguito ogni momento del suo calvario, hanno fatto sacrifici per farla seguire nei centri migliori d'Europa, l'hanno incoraggiata e sostenuta e la spronano quando cede al pessimismo fornendole l'energia giusta per guardare oltre i mille ostacoli che si è trovata e si trova davanti. «Se non avessi avuto loro non mi sarei salvata, non potrei sedermi in una sedia all'aria aperta come ora (piange). È grazie a loro che vedo il sole e la luna. Li sentivo quando mi dicevano che non mi avrebbero mai abbandonata. Sentivo mio padre che mi diceva prova a camminare, vedrai che ce la fai e sentivo mia madre vicina, lei c'era e c'è sempre. Ora so che sono orgogliosi di me, più di quanto non lo fossero prima».
Tra i suoi amici ci sono la psicologa Pina Garippa, che incontra una volta alla settimana, il logopedista e il fisioterapista, che stanno con lei almeno otto volte al mese e Luca Pani, neuropsichiatra che l'ha aiutata a sconfiggere il pessimismo dei medici e a tornare ad essere un essere umano. Poi c'è un toscano di 38 anni, il suo fidanzato. «Sono innamorata di lui, anche se ci vediamo poco». È per lui che si è presa una pausa dall'università: «Ma riprenderò presto».
Ale passa il tempo tra una passeggiata con il padre o qualche amico, i solitari al computer e i cruci puzzle e By Marcella, la seconda casa. «Vorrei insegnare ai miei a farsi fregare meglio dai fornitori», si rammarica. Usa una sola mano, ma le basta. Vorrebbe imparare ad usare meglio il computer e cerca qualcuno che le insegni a navigare su internet.
Si è fatta fare due tatuaggi: uno tribale a ridosso del fondo schiena e uno nel polso. «Volevo verificare se avevo sensibilità nella pelle», spiega mentre esibisce un ghigno beffardo.
Vorrebbe incontrare i calciatori della Juventus (che giocherà a Cagliari il 29 novembre). Tifosa sfegatata, nel '96 era all'Olimpico di Roma ad assistere alla finale di Coppa dei campioni (Juve - Ajax 5-3), era a Monaco l'anno successivo quando la squadra allenata da Lippi perse la seconda finale consecutiva con il Borussia (1-3), era ad Amsterdam ad assistere alla vittoria del Real Madrid, altra finale persa. Ammira Alex del Piero, unico superstite di quell'epoca. «Vorrei incontrarlo», dice, anche se una volta con l'aiuto del padre gli ha scritto una lettera ma lui non le ha risposto.
Antonello dice che se Alessandra fosse in grado di guidarla le ricomprerebbe una moto d'acqua. Ma non può. Forse lo dice per stimolarla, per spostare in avanti l'asticella e indurla a conquistare un altro record. Quest'estate sono stati a Miami, dove Giada ha un fidanzato. Le foto la ritraggono a Villa Vizcaya, in ristorante, in un centro commerciale, nel lungomare. I suoi pensano di aprire un locale lì e di trasferirsi con lei.
Ale ci pensa: «Mi piacerebbe». Ma prima vorrebbe incontrare i medici che le avevano predetto uno stato vegetativo perenne. «Vorrei guardarli in faccia e dirgli: O teste di cavolo, perché mi avete detto che non mi sarei mai ripresa. Avreste fatto così se si fosse trattato dei vostri figli?» .





Autunno - 1

Autunno 18


Immagine di franca "Autunno"


Autunno


Per le strade ho visto
i primi cesti ricchi d'autunno!
Castagne...funghi profumati di terra
l'antico melograno sta per donare
i suoi frutti ricchi di buon augurio!
Nei vicoli si sente...
il profumo del mosto che ribolle nei tini.
Mi manca il giallo degli alberi
e quel dolce calare di foglie
accompagnate da folate di vento.
Piano...piano la terra si copre di
pennellate di giallo di rosso
il pittore ci regala un'immagine
di una morte solo apparente.
Per i giovani semi la vita si assopisce
sotto uno strato di foglie
per donarci in primavera ancora la vita.
La sera quando il primo freddo
si fa sentire penso alla mia vita passata
guardo in silenzio la fiamma
scoppiettare nel camino
e dalla finestra della sala
restano i rami spogli dell'albero delle noci
le ultime  foglie rimaste cadono silenziose.
Con gesti lenti attizzo la legna
in cerca di calore
una nuvola di faville colorate
fuggono nella cappa  annerita dal tempo
m' assesto nella poltrona
con gli angoli consumati
accarezzo il tessuto
cerco nell'ordito la trama
della mia vita che è appena passata.
Stringo il mio corpo tra le mie braccia
sono felice che posso ancora godermi
la vita e la bellezza delle stagioni.
franca bassi


autunno21


 Immagine di franca "Autunno Piccolo Tibet"


DEPILAZIONE INTEGRALE: VIZIO O SFIZIO?!?

DEPILAZIONE INTEGRALE: VIZIO O SFIZIO?!? Leggi ancora...

LA GELOSIA PER RIACCENDERE LA PASSIONE!

LA GELOSIA PER RIACCENDERE LA PASSIONE! Leggi ancora...

Senza titolo 1681

  L'AVETE SENTITO QUESTO PROVERBIO ?  :-)


Image Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.us

27.9.09

Senza titolo 1680

  VI PIACE QUESTA VIGNETTA ?  :-)


Image Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.us

Er bucio!

immagine strana della serata


Immagine di franca "Er bucio"


Lo sai?
Er mònno è bello
epperché è vàrio!
Non tutte le ciammelle
sortono co' er bucio!
Ce so' ciammelle e ciammelle
Ce so' quelle tonne e belle
ce so' invece quelle senza er bucio
ma so sempre ciammelle
e so' sempre bòne e belle!
franca bassi
                                       
                                               

26.9.09

Zero al Massimo

 
 

Intervista a Del Papa, autore di Ti vivrò accanto. La favola infinita di Renato Zero

Massimo Del Papa (Milano, 1964), giornalista ("sono uno che scrive", corregge lui) è seduto di fronte a me, spettinatissimo, con un orecchino nuovo fiammante al lobo sinistro. “Di' che gesticolo molto, rido spesso, mi agito e bevo a piccoli sorsi un misterioso liquido ambrato”, mi suggerisce, sornione. In realtà basta il suo sguardo attento, la sua sagoma dinoccolata e scomposta a catturare l’attenzione.

- Ricordo quando mi accennasti per la prima volta al libro. Per scriverlo, hai impiegato una trentina d’anni… Aggiungo: si sente. È un libro che hai scritto per te: ed è una delle ragioni del suo fascino.

- E pensare che se non fosse stato per Marinella Venegoni, una persona speciale che ha scritto una prefazione molto lucida, non l’avrei mai pubblicato. Tu sai che Renato ha reso sé stesso un ponte per la vita di tanti. Ha stravolto il suo talento da fine a mezzo, per incidere, per cambiare molte vite.

- Inconsapevolmente…

- Certo, come dev’essere per ogni vero artista. E qui sta la sua forza. Ho conosciuto un’infinità di gente che mi ha detto: lui non ti molla, è presente davvero, diventa persino invadente se decide di starti vicino. Bene, questo libro ha preso qualcosa della storia che racconta.

- All’inizio volevi intitolarlo Un anarchico conservatore. Poi hai optato per Ti vivrò accanto, molto più suggestivo…-

- Ti vivrò accanto è uno dei versi più belli del suo canzoniere; volevo anche raccontare una favola, come recita il sottotitolo, infinita perché di questa vicenda umana si parlerà ancora fra cent’anni. Lui, Zero, può essere tutto ma non risulta mai mediocre. In un Paese che di mediocrità vive, e se ne vanta. Non dimentichiamolo: a 27 anni ne aveva già addosso 14 di gavetta, quattro dischi, l’Orfeo 9, i giri per Roma con Fellini, Ruzante in teatro, le coreografie di Don Lurio, Rita Pavone, l'Hair di Patroni Griffi, il Piper e tutta quella vita… ed era già tanta vita.

- Taluni, però, potrebbero equivocare: “Ti vivrò accanto”, cioè: sono uno di voi…
- No, Renato non è affatto “uno di noi”. Ti sfiora, ti passa vicino, ma le sue coordinate sono troppo diverse: non sta in te, e tu non sei in lui. I sorcini, che lo hanno cristologizzato, se ne facciano una ragione. È un anarchico conservatore, propone modelli che vanno bene per la società, ma lui se ne esorbita, sta altrove. Ti vive accanto, ma non lo puoi afferrare, fare tuo. Con la sua arte ha fatto più di mille convegni, ha sdoganato le diversità (non solo quella sessuale). Quando nelle scuole parlo di lui, come di Zappa e di altri esempi illustri di anarchici conservatori, mi riferisco all’individualità, alla specificità, che comprende la diversità, il coraggio di non conformarsi.

- Qualche purista sobbalzerà leggendo il nome di Zero accanto a quello di Zappa. Ma io rammento bene che, sul finire dei ’70, si indicava come possibile erede di Renato un nostro talentuoso concittadino, Faust’O [cfr. il sottostante video], che gli somigliava un po’ anche fisicamente, così emaciato e spettrale, e anch’egli portabandiera d’un rock all’avanguardia, anticipatore del punk, con testi disinibiti e iconoclasti.

- Certo, ma tu pensi che oggi potrebbe nascere un Renato Zero? Dicono: Renatino, tutto cuore… Ma era durissimo, fortissimo quel ragazzo. Con una incrollabile fiducia in sé stesso. Una macchina da guerra con un cuore. La gente non lo sospetta, non ha gli strumenti analitici per uscire dalla soggezione: mi piace=bello, non mi piace=brutto. Io ho tentato una chiave di lettura diversa, gli sono… vissuto accanto [risate], senza bisogno di fregole, di gossip. Vincenzo Incenzo ha notato: “Lo conosci meglio tu, che non l’hai mai incontrato, di tanti che gli vivono intorno”. Ma bastava ascoltarlo. Non esiste artista più autobiografico, più sincero. Dove lo trovi uno che ti dice che si sente un fallito, che si è inventato un circo “per non essere così”, per non ammettersi altrimenti? Non puoi chiedere di più a un artista. Il suo canzoniere è un po’ come l’Ecce homo di Nietzsche.

- Volevo restare su quell’aggettivo, “conservatore”, che si presta anch’esso a grandi equivoci. Mi è capitato persino di leggere che la critica all’aborto contenuta in Tragico samba (fra l’altro un brano piuttosto cinico e disincantato, come hai osservato tu, molto “lacero”, metropolitano, con persino un accenno a un fratello incestuoso, alla faccia della santità della famiglia…) era motivata dalla... fede cattolica di Renato.

- Ma figuriamoci! Conservatore non significa mica reazionario. Il vero ribelle non può che essere conservatore, perché gli stanno a cuore i temi ultimi, i punti nodali dell’esistenza. Che sono sempre quelli, da che mondo è mondo. E, al tempo stesso, sempre in movimento.

- La passione etica, come in Pasolini, altro anarchico conservatore…

- Esatto.

- Conservatore anche perché, mentre da un lato lo si additava come scandaloso, dall’altro lo si accusava di barare, dall’altro ancora di presentare una figura di “diverso” sempre sofferente, quindi, in ultima analisi, rassicurante per la società “normale”. A me non pare. Il solo fatto di aver infuso coraggio in tante persone mi darebbe ragione, ma i suoi brani sono “a tutto tondo”: non si limitano a denunciare l’emarginazione, hanno dimostrato che l’amore può nascere ovunque e per chiunque, e hanno descritto la bellezza di questi amori. Anche i loro limiti, certo, perché la sua visione è realistica, mai idealizzata.

- La maledizione di questo Paese è che tutti militano, stanno chiusi non nei barattoli ma nelle categorie. Io, per esempio, non reggo più quei giornalisti che anche seduti sul cesso fanno i giornalisti. Non c’è altro posto al mondo dove tutti ripetono: ah, io non sono come gli altri, io sono particolare e anche pazzo (che è una trovata miseranda per dire: sono egoista, stronzo e viziato, e voi dovete prendermi così). Però, al dunque, tutti si infilano in qualche militanza. Non voti a destra, “sei” di destra. Non voti a sinistra, firmi una cambiale a vita con la sinistra, qualsiasi cosa accada. Non sei uno con qualità sue, sei un gay, una lesbo, un macho, una velina, un terrone, un padano o quel che ti pare. Ma come si fa a vivere così? Come andare in un negozio di musica e chiedere: mi dà una chitarra ritmica, me ne dà una solista? Ma compra una maledetta chitarra e poi suonala! Zero andava in giro con una gallina al guinzaglio, che è molto meglio della scimmia sulla schiena. Anche perché, alla fine, la gallina te la mangi! L’importante è non tradirla mai, quella gallina, e io credo che, in fondo, Renato non l’abbia mai tradita. Devi adattarti, in qualche misura, ma alla fine penso che lui sia sempre lui. Come si dice: immorale nelle cose piccole, morale in quelle grandi. Sai perché alla fine gli si perdonano anche le scivolate retoriche, quell’andare a parlare di povertà francescana ad Assisi, con il parco macchine e la villa su piazza di Spagna? Perché alla fine lui dà molto di più di quel che riceve. Ha fatto felici milioni di persone per quarant’anni. Ha dimostrato, in particolare, che le provocazioni, le tutine, gli zatteroni, non erano fini a sé stesse, ma armi con cui scardinare certe incrostazioni. Ha mandato letteralmente a quel paese l’industria discografica e tu sai che queste cose, in Italia, si pagano. Poi è “imperfetto”, sicuro. Dicono che ha sempre recitato? E chi non lo fa? Io a muovermi sul palco ho imparato da lui. Da lui e da Keith Richards! Alla fine, non è più recitare. È liberare la parte più profonda e pericolosa.

- E, anche, il rapporto con le donne, sicuramente molto complicato, spesso conflittuale, sempre sofferto. Però non mi sembra corretto parlare di misoginia riguardo al primo Zero, i suoi pezzi al contrario di brani eseguiti da altri non mi hanno mai offesa, ho sempre avuto l’impressione si rivolgesse non all’intero genere femminile, ma solo a specifiche persone.

- La misoginia del Renato degli esordi somigliava molto da vicino a quella di Mick Jagger, che non a caso è stato uno dei suoi modelli.

- Insisto: in questa prima fase nessuna visione stereotipata, ma storie di vita (sue o altrui), donne singole e molto reali, corpi e non miti, rapporti paritari. Insomma, e per fortuna, nessuna Bella senz’anima in casa Zero, nemmeno nella canzone che tu ritieni più violenta, L’ambulanza.

- Sì, molto violenta.

- E, come violenza, lo si potrebbe avvicinare a Jim Morrison, a Iggy Pop. Visto comunque che abbiamo citato Tragico samba vorrei rimanere su Zerofobia. Come sai io adoro quel disco, lo ritengo la carta d’identità di Renato. È un disco “di cronaca”: più precisamente, di cronaca nera. Mi ricorda certe riviste, o rivistacce, degli anni ’70. in bianco e nero. A ciò affianco un libro uscito nel ’78 per Savelli, Lo scarico, ambientato naturalmente nelle borgate romane. Era il diario-verità (con tanto di nomi e cognomi, oggi in nome della privacy sarebbe impubblicabile) di Marco e Maria, “adolescenti ‘diversi’ del ghetto metropolitano” recitava la quarta di copertina. Violenza, degrado, squallore ma anche desiderio di riscatto, imprecisa ma concreta voglia di uscire dall’inerzia e di “entrare nella storia”, per dirla sempre con Pasolini…

- Zerofobia? Lo amo! Contiene lo spirito del tempo. Se vuoi capire cos'erano gli anni ‘70, devi ascoltare Zerofobia... di qualsiasi cosa parli! C'è qualcosa di malsano lì dentro, e non voglio neanche sapere come sia stato messo insieme. È uno dei pochi, veri dischi rock in Italia. Ma, dopotutto, uno dei talenti di Renato è sempre stato quello di cogliere il momento in cui viveva. Lui non è mai fuori sincrono, i suoi dischi sono utili a capire l'epoca da cui sgorgano ed è per questo che li ho scelti come filo conduttore per il mio lavoro, che poi è un libro su mezzo secolo di storia italiana. Basta saperli leggere in controluce. Prendi anche Zerolandia, l’album più pornografico della sua carriera…

- E anche il più allegramente amorale (mi riferisco almeno a certi pezzi), oggi si sente molto la mancanza di dischi così. A Matrix un brano come Triangolo aveva messo d’accordo tutti: donne, uomini, cristiani, musulmani, pagani… Ammiccavano divertiti e liberatori a quelle note maliziose.

- Lui aveva compreso che la gente s’era rotta di tutta quella violenza, quel sangue, e non parlo delle borgate adesso, ma degli anni di piombo. Non se ne poteva più. Ricordo i mondiali d’Argentina… tutta quell’euforia assurda. Ma avevano appena ammazzato Moro e si voleva dimenticare tutto. Lui reagiva a modo suo. Con una polemica in apparenza stralunata, in realtà affilatissima. Ah, voi volete la guerra politica? E io vi do le ammucchiate e le scopate con i trans! Sbattiamoci, quella era pericolosa davvero. Ma a molti ha fatto comodo prenderla come uno scherzo: “Ah, Zero, quel depravato!”. In fondo, è sempre lo stesso gioco. Fin da quando il “Times” titolava, a proposito dei Rolling Stones sbattuti in galera: Chi spezza le ali a una farfalla?. Per dire, sono solo dei ragazzi, non sono un nostro problema. Invece lo erano, eccome! E lo era Renato Zero all’epoca. Poteva scatenare comportamenti di massa, rivolte di massa, poi se n’è reso conto e a un certo punto ha chiesto "Tregua". Ma a Fantastico se n’è ricordato nuovamente: Viva la Rai, e arriva bardato come una drag queen: “State attenti, borghesucci da sabato sera, che se solo voglio, vi tolgo ancora il sonno!”. Oggi chi è capace di scatenare maree collettive? Un pivello uscito dal serraglio della De Filippi?

- Tu scrivi che Zerofobia, l’album “maledetto” di Renato, si conficca nel cuore dei fans ben deciso a restarci. Io non sono del tutto d’accordo. Molti, per esempio, sostengono che il capolavoro di Renato sia Amore dopo Amore. E, in un recente sondaggio, la terza canzone più rappresentativa di Zero, almeno secondo certi fans, sarebbe I migliori anni della nostra vita.

- Beh, sì, ascoltano Amore dopo Amore o I migliori anni (che ho definito "brano infingardo") e dicono: mio Dio. Ma perché amano venir soggiogati dalla quantità, da una proposta eclatante. Non hanno memoria storica. Lui, Zero, in questo è memoria storica e ha ragione a dire “è la memoria che ci rende interessanti”. Basta che sia memoria però, che non diventi presente, che non se lo mangi. Alcuni miei colleghi sono rimasti agli anni ’70. Non li sopporto, mi sembrano deficienti. Per me Renato Zero ha fatto bene a un certo punto a piantarla con le piume e le trombette. Non duri per sempre, non puoi fare a sessant’anni quello che ti riusciva a venti, e non solo per limiti fisici: se sei un artista intelligente non ti basti più, prosegui. Torniamo ai Rolling Stones. Io potrei uccidere a richiesta di Keith Richards [risate]. Ma vederli sempre uguali a sé stessi, condannati a danzare anche dopo morti, come pupazzi ossuti e macabri, mi preoccupa. Renato Zero ha compiuto questa magia, un successo spropositato nei ’70, la perdita di questo successo, il rinnovato trionfo con gli interessi nei ’90: il tutto, rimescolando gli ingredienti. Prima c’era un matto che con parole matte diceva cose di buon senso. Poi è arrivato questo “saggio”, vestito di scuro, che ogni tanto lascia balenare l’antica follia: “C’è sempre un cobra che dorme, eh eh!”. Lui è un maestro in questo…

- Si potrebbe facilmente obiettare che la saggezza può sconfinare, talvolta, nella retorica e nel perbenismo. Non mi sembra che Renato ne sia rimasto sempre immune. Fra l’altro, l’ha ammesso lui stesso: il pubblico mi segue per quegli anni là…

- Sbaglia. Conosco centinaia di fans convinti che lui abbia cominciato con I migliori anni… e lo amano! Si emozionano, provano gli stessi sentimenti che provavamo noi. Poi certo, io gli mostro, oppure scoprono da soli, su Youtube, di cos’era capace venti, trent’anni prima e… scatta la zeromania, la zerofobia e la zeroisteria. A ritroso! Presso le giovani generazioni di zerofolli parte come una caccia al tesoro, ma non è determinante, è solo un amore in più. Lo vogliono anche cominciando da oggi, e questo è degno di nota. Vado in giro e mi dicono: trattacelo bene Renato, ci appartiene, è nostro. E io: cazzo, uomo, ho fatto un libro su di lui! [risate] Comunque sì, lui ormai è una istituzione e questo è il suo attuale pericolo. Nessuno più lo contesta, lo mette in crisi, mentre lui è un uomo da battaglia.

- Piera Degli Esposti, dopo aver assistito alla commedia Quattro dischi e un po' di whisky , scritta da Roberto Biondi e ispirata ai brani del Nostro, ha dichiarato che quel testo mette in evidenza la solitudine di Renato.

- Non ho visto lo spettacolo ma, nel mondo attuale, un artista come Renato Zero non può che essere solo. Del resto, la solitudine è il tema che lui affronta di più, da sempre. L’Italia non ti perdona il tuo essere tu, ti vuol definire, cioè ridurre. E Zero a me sembra sempre un uomo solo, con dentro certe cose, certi esami di coscienza che, per quanto ne canti, non può davvero sperare che qualcuno colga fino in fondo. Perché credo pure che lui sia condannato a riesaminarsi di continuo. E che lo faccia con una certa lealtà. Siamo computer, o meglio, i computer sono stati costruiti a nostra somiglianza. Capita di usare gli stessi programmi per anni, poi ne scopri di nuovi… e l’approccio cambia. A volte poi ti devi “resettare”, pulire un po’ la memoria, per ricominciare. Io non scrivo come dieci o vent’anni fa, tu nemmeno… La scrittura cambia e così la musica. Questo, tra parentesi, è stato uno dei problemi del libro, perché ho cominciato a buttarlo giù, come dicevamo all’inizio, per motivi del tutto privati, molto prima di darlo alle stampe. Così, dentro non c’è sempre lo stesso stile, e ho dovuto renderlo omogeneo. Come lavorare sulla produzione, o sulla post-produzione, di un disco.

- Renato ama rifarsi a figure mitologiche, come Icaro e Prometeo, sempre legate al fuoco. E c’è anche un brano che s’intitola Ancora fuoco. Perché, secondo te?

- Icaro e Prometeo sono due tragedie: quando sono io, quando volo, quando vivo e ti do il fuoco… non me lo permettono. Mi uccidono. Lui spinge sempre al massimo, in tutta la sua vita, e a un determinato punto deve anche imparare a dosarsi, a non lasciarsi travolgere da sé stesso. “Successo, sei falso pure tu!”. E torna, ed è un uomo cambiato, pieno di cicatrici. Già questo a me fa venire la pelle d’oca, e la voglia di raccontare tutto, affinché non vada disperso.

- Poco fa ti è uscita una frase: “Basta che la memoria non diventi presente”. È arrivato il momento di parlare dell’ultimo album

- Presente è un buon disco, lo ascolto ancora dopo quattro mesi. Per essere un capolavoro, però, gli manca un elemento molto importante: le chitarre. Per avere un’idea di cos’avrebbe potuto essere, ascoltati Muoviti. Lì c’è un assolo strepitoso. E la fine de Il sole che non vedi è sprecata. C’è una coda orchestrale, tutta tuoni e fulmini, che ripete il tema in modo pedissequo. Lui ha improvvisato sopra un parlato, perché mancava la chitarra. Ma resta un buon disco. Involuto. Dove si parla spesso di speranza, ma partendo sempre dalla disperazione. Per me è un valore aggiunto: a 45 anni non mi va di venire illuso da uno di 58. Mi aspetto che Renato Zero mi faccia pesare la sua troppa vita, le troppe morti, le troppe lacrime, il troppo di tutto. Mi aspetto d’essere inquietato. Perché ho anche io da dire che sono disperato, che non vedo spiragli. Se Pasolini aveva cancellato la parola speranza, io ho archiviato anche la disperazione. Mi guardo intorno, e mi limito a ghignare di disperazione. E vado nelle scuole, e raggiungo le persone, ma la verità è che ci troviamo in una deriva irreversibile. Così, Renato Zero ci ha regalato un disco maturo, leale, rischiava tutto, poteva infilare dieci successi annunciati e invece perfino la cifra lirica ne esce compressa: lui vuole dire di più, smette le rime, le assonanze chiamate e trova echi, rimandi fra parole. Devi ascoltarle molte volte, quelle liriche, per apprezzarle. Vincenzo Incenzo, che è un grande, ha lavorato molto bene con lui. A suo parere Renato è molto propositivo e rispetta le proposte di chi gli sta vicino. È una fonte continua, un gioco che si rigenera sempre. So che Renato litiga con tutti: forse è questione di personalità, di non voler farsi travolgere. Io penso che un artista debba avere un pessimo carattere, anche perché alla fine la faccia è la sua, la voce è la sua, sul palco ci va lui. Gli artisti democratici non li capisco, sono solo dei cialtroni. Vincenzo mi ha detto: “Ogni tanto improvvisa qualcosa di cui non sono affatto convinto. Poi va sul palco, la esegue… e mi debbo ricredere, funziona”. Io sostengo che Renato ha il coraggio della retorica. Anche perché ha imparato a governarla, almeno su disco. Prima gli sfuggiva di più. Sì, certo, a volte diventa palloso con le sue esortazioni alla preghiera, al pane, alla domenica… ma, come ripeto, se lui decide di starti accanto, lo fa per davvero. Sarà uno dei vantaggi della crescita [risate].

- Come vedi Renato “da grande”?

- Non so, credo che una bella vecchiaia per Zero sarebbe quella di prendere certi classici letterari e ricavarne delle personalizzazioni musicali. Lui è l’unico che può farlo, perché ha saputo miscelare una vita vissuta su coordinate impensabili a un istinto artistico sensibile. Lui potrebbe tirar fuori qualcosa d’imprevedibile, e di davvero valido, da Leopardi, da Nietzsche o da chi gli pare. Perché sarà anche vero che “non basta solo la cultura”, ma non basta nemmeno la strada, eh no. È la cultura (da non confondere con l’erudizione) a dimostrarti che quello che hai colto, che hai scoperto, sta già da qualche parte: l’eterno ritorno e, come sai, non c’è quasi niente di davvero inedito. Io penso che uno come Zero potrebbe, in questo momento, porsi come veicolo di suggestioni culturali e artistiche in modo ancor più scoperto, deciso di prima. Tanti giovani hanno bisogno di scoprire qualcosa di antico, ma senza il tramite giusto non lo faranno mai.

- Per concludere: come è stato accolto il tuo libro?

- Questo libro ha uno strano karma. Hanno capito che non li prendevo in giro. L’ho scritto col massimo rispetto e gli stronco la metà delle canzoni! Ma non importa, quelle buone bastano e avanzano. La prima copia l’ho portata a una ragazzina ricoverata in psichiatria (a torto, peraltro: ero lì con lei e mi veniva in mente Depresso, le facili soluzioni d’una società che spegne i sogni e le curiosità di un’adolescente troppo sveglia). Ho altri amici, giovani, che, in mezzo a un momento difficile, si sono entusiasmati alla storia di Zero, hanno scoperto tutti i suoi dischi e, se non superato, hanno comunque assorbito la crisi. E di fatti curiosi, ne accadono. Una volta, nella Marche, un professore serissimo, culturalmente rigoroso, ascoltando Il cielo, al passaggio su “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”, è “partito” e s’è messo a zereggiare: “Ricordatevi che gli spermatozoi di Renato sono nostri, dalle Marche sono partiti e nelle Marche torneranno… sempre!!!”. Un’altra volta presento il libro, cinquanta copie e nemmeno una persona. In un’altra occasione ancora, la libreria era gremita ma mancavano i volumi. Tornate domani, prego! Una sera lo presento a mezzanotte e penso: sarà un miracolo se arriveranno quattro gatti. Me ne sono ritrovati quasi seicento! È sempre diverso, perché parlo di Renato ma, sotto sotto, anche di me. A quindici anni ascoltavo eroZero e mi affacciavo dalla mia finestra di via Monte Nevoso, a Milano, di fronte al covo brigatista col memoriale Moro. Poi cambia tutto, mi ritrovo nelle Marche, la regione di mio padre, e per anni quei vecchi dischi sono le mie madeleines. Scrissi la prima poesia quando uscì Soggetti smarriti. Adesso allestisco spettacoli di poesie, scrivo anche le musiche, e in qualche modo lì dentro c’è qualcosa di quei dischi. Presente l’ho ascoltato, e ne ho scritto il relativo capitolo, il pomeriggio che è uscito: sentivo, scrivevo, mi tornavano alla mente i giri per Milano in furgone, con mio padre, e dentro l’autoradio con le cassette di Icaro. Sarebbe stato contento, di un libro su Renato Zero.

Tanta gente, me compreso, non ha mai vissuto un mondo senza Renato Zero. Spunta la luna, spunta il sole e ogni due anni spunta un disco di Renato. Da lui ho imparato una cosa: uno spettacolo riesce se il pubblico ignora cosa farai fra un attimo. Ama avere paura.



Daniela Tuscano (pubblicato, con qualche modifica, anche da Babysnakes)

Zero al Massimo

Intervista a Del Papa, autore di Ti vivrò accanto. La favola infinita di Renato Zero

Massimo Del Papa (Milano, 1964) è seduto di fronte a me, spettinatissimo, con un orecchino nuovo fiammante al lobo sinistro. “Scrivi che gesticolo molto, rido spesso, mi agito e bevo a piccoli sorsi un misterioso liquido ambrato”, mi suggerisce, sornione. In realtà basta il suo sguardo attento, la sua sagoma dinoccolata e scomposta a catturare l’attenzione.

- Ricordo quando mi accennasti per la prima volta al libro. Per scriverlo, hai impiegato una trentina d’anni… Aggiungo: si sente. È un libro che hai scritto per te: ed è una delle ragioni del suo fascino.

- E pensare che se non fosse stato per Marinella Venegoni, una persona speciale che ha scritto una prefazione molto lucida, non l’avrei mai pubblicato. Tu sai che Renato ha reso sé stesso un ponte per la vita di tanti. Ha stravolto il suo talento da fine a mezzo, per incidere, per cambiare molte vite.

- Inconsapevolmente…

- Certo, come dev’essere per ogni vero artista. E qui sta la sua forza. Ho conosciuto un’infinità di gente che mi ha detto: lui non ti molla, è presente davvero, diventa persino invadente se decide di starti vicino. Bene, questo libro ha preso qualcosa della storia che racconta.

- All’inizio volevi intitolarlo Un anarchico conservatore. Poi hai optato per Ti vivrò accanto, molto più suggestivo…-

- Ti vivrò accanto è uno dei versi più belli del suo canzoniere; volevo anche raccontare una favola, come recita il sottotitolo, infinita perché di questa vicenda umana si parlerà ancora fra cent’anni. Lui, Zero, può essere tutto ma non risulta mai mediocre. In un Paese che di mediocrità vive, e se ne vanta. Non dimentichiamolo: a 27 anni ne aveva già addosso 14 di gavetta, quattro dischi, l’Orfeo 9, i giri per Roma con Fellini, Ruzante in teatro, le coreografie di Don Lurio, Rita Pavone, l'Hair di Patroni Griffi, il Piper e tutta quella vita… ed era già tanta vita.

- Taluni, però, potrebbero equivocare: “Ti vivrò accanto”, cioè: sono uno di voi…
- No, Renato non è affatto “uno di noi”. Ti sfiora, ti passa vicino, ma le sue coordinate sono troppo diverse: non sta in te, e tu non sei in lui. I sorcini, che lo hanno cristologizzato, se ne facciano una ragione. È un anarchico conservatore, propone modelli che vanno bene per la società, ma lui se ne esorbita, sta altrove. Ti vive accanto, ma non lo puoi afferrare, fare tuo. Con la sua arte ha fatto più di mille convegni, ha sdoganato le diversità (non solo quella sessuale). Quando nelle scuole parlo di lui, come di Zappa e di altri esempi illustri di anarchici conservatori, mi riferisco all’individualità, alla specificità, che comprende la diversità, il coraggio di non conformarsi.

- Qualche purista sobbalzerà leggendo il nome di Zero accanto a quello di Zappa. Ma io rammento bene che, sul finire dei ’70, si indicava come possibile erede di Renato un nostro talentuoso concittadino, Faust’O [cfr. il sottostante video], che gli somigliava un po’ anche fisicamente, così emaciato e spettrale, e anch’egli portabandiera d’un rock all’avanguardia, anticipatore del punk, con testi disinibiti e iconoclasti.

- Certo, ma tu pensi che oggi potrebbe nascere un Renato Zero? Dicono: Renatino, tutto cuore… Ma era durissimo, fortissimo quel ragazzo. Con una incrollabile fiducia in sé stesso. Una macchina da guerra con un cuore. La gente non lo sospetta, non ha gli strumenti analitici per uscire dalla soggezione: mi piace=bello, non mi piace=brutto. Io ho tentato una chiave di lettura diversa, gli sono… vissuto accanto [risate], senza bisogno di fregole, di gossip. Vincenzo Incenzo ha notato: “Lo conosci meglio tu, che non l’hai mai incontrato, di tanti che gli vivono intorno”. Ma bastava ascoltarlo. Non esiste artista più autobiografico, più sincero. Dove lo trovi uno che ti dice che si sente un fallito, che si è inventato un circo “per non essere così”, per non ammettersi altrimenti? Non puoi chiedere di più a un artista. Il suo canzoniere è un po’ come l’Ecce homo di Nietzsche.

- Volevo restare su quell’aggettivo, “conservatore”, che si presta anch’esso a grandi equivoci. Mi è capitato persino di leggere che la critica all’aborto contenuta in Tragico samba (fra l’altro un brano piuttosto cinico e disincantato, come hai osservato tu, molto “lacero”, metropolitano, con persino un accenno a un fratello incestuoso, alla faccia della santità della famiglia…) era motivata dalla... fede cattolica di Renato.

- Ma figuriamoci! Conservatore non significa mica reazionario. Il vero ribelle non può che essere conservatore, perché gli stanno a cuore i temi ultimi, i punti nodali dell’esistenza. Che sono sempre quelli, da che mondo è mondo. E, al tempo stesso, sempre in movimento.

- La passione etica, come in Pasolini, altro anarchico conservatore…

- Esatto.

- Conservatore anche perché, mentre da un lato lo si additava come scandaloso, dall’altro lo si accusava di barare, dall’altro ancora di presentare una figura di “diverso” sempre sofferente, quindi, in ultima analisi, rassicurante per la società “normale”. A me non pare. Il solo fatto di aver infuso coraggio in tante persone mi darebbe ragione, ma i suoi brani sono “a tutto tondo”: non si limitano a denunciare l’emarginazione, hanno dimostrato che l’amore può nascere ovunque e per chiunque, e hanno descritto la bellezza di questi amori. Anche i loro limiti, certo, perché la sua visione è realistica, mai idealizzata.

- La maledizione di questo Paese è che tutti militano, stanno chiusi non nei barattoli ma nelle categorie. Io, per esempio, non reggo più quei giornalisti che anche seduti sul cesso fanno i giornalisti. Non c’è altro posto al mondo dove tutti ripetono: ah, io non sono come gli altri, io sono particolare e anche pazzo (che è una trovata miseranda per dire: sono egoista, stronzo e viziato, e voi dovete prendermi così). Però, al dunque, tutti si infilano in qualche militanza. Non voti a destra, “sei” di destra. Non voti a sinistra, firmi una cambiale a vita con la sinistra, qualsiasi cosa accada. Non sei uno con qualità sue, sei un gay, una lesbo, un macho, una velina, un terrone, un padano o quel che ti pare. Ma come si fa a vivere così? Come andare in un negozio di musica e chiedere: mi dà una chitarra ritmica, me ne dà una solista? Ma compra una maledetta chitarra e poi suonala! Zero andava in giro con una gallina al guinzaglio, che è molto meglio della scimmia sulla schiena. Anche perché, alla fine, la gallina te la mangi! L’importante è non tradirla mai, quella gallina, e io credo che, in fondo, Renato non l’abbia mai tradita. Devi adattarti, in qualche misura, ma alla fine penso che lui sia sempre lui. Come si dice: immorale nelle cose piccole, morale in quelle grandi. Sai perché alla fine gli si perdonano anche le scivolate retoriche, quell’andare a parlare di povertà francescana ad Assisi, con il parco macchine e la villa su piazza di Spagna? Perché alla fine lui dà molto di più di quel che riceve. Ha fatto felici milioni di persone per quarant’anni. Ha dimostrato, in particolare, che le provocazioni, le tutine, gli zatteroni, non erano fini a sé stesse, ma armi con cui scardinare certe incrostazioni. Ha mandato letteralmente a quel paese l’industria discografica e tu sai che queste cose, in Italia, si pagano. Poi è “imperfetto”, sicuro. Dicono che ha sempre recitato? E chi non lo fa? Io a muovermi sul palco ho imparato da lui. Da lui e da Keith Richards! Alla fine, non è più recitare. È liberare la parte più profonda e pericolosa.

- E, anche, il rapporto con le donne, sicuramente molto complicato, spesso conflittuale, sempre sofferto. Però non mi sembra corretto parlare di misoginia riguardo al primo Zero, i suoi pezzi al contrario di brani eseguiti da altri non mi hanno mai offesa, ho sempre avuto l’impressione si rivolgesse non all’intero genere femminile, ma solo a specifiche persone.

- La misoginia del Renato degli esordi somigliava molto da vicino a quella di Mick Jagger, che non a caso è stato uno dei suoi modelli.

- Insisto: in questa prima fase nessuna visione stereotipata, ma storie di vita (sue o altrui), donne singole e molto reali, corpi e non miti, rapporti paritari. Insomma, e per fortuna, nessuna Bella senz’anima in casa Zero, nemmeno nella canzone che tu ritieni più violenta, L’ambulanza.

- Sì, molto violenta.

- E, come violenza, lo si potrebbe avvicinare a Jim Morrison, a Iggy Pop. Visto comunque che abbiamo citato Tragico samba vorrei rimanere su Zerofobia. Come sai io adoro quel disco, lo ritengo la carta d’identità di Renato. È un disco “di cronaca”: più precisamente, di cronaca nera. Mi ricorda certe riviste, o rivistacce, degli anni ’70. in bianco e nero. A ciò affianco un libro uscito nel ’78 per Savelli, Lo scarico, ambientato naturalmente nelle borgate romane. Era il diario-verità (con tanto di nomi e cognomi, oggi in nome della privacy sarebbe impubblicabile) di Marco e Maria, “adolescenti ‘diversi’ del ghetto metropolitano” recitava la quarta di copertina. Violenza, degrado, squallore ma anche desiderio di riscatto, imprecisa ma concreta voglia di uscire dall’inerzia e di “entrare nella storia”, per dirla sempre con Pasolini…

- Zerofobia? Lo amo! Contiene lo spirito del tempo. Se vuoi capire cos'erano gli anni ‘70, devi ascoltare Zerofobia... di qualsiasi cosa parli! C'è qualcosa di malsano lì dentro, e non voglio neanche sapere come sia stato messo insieme. È uno dei pochi, veri dischi rock in Italia. Ma, dopotutto, uno dei talenti di Renato è sempre stato quello di cogliere il momento in cui viveva. Lui non è mai fuori sincrono, i suoi dischi sono utili a capire l'epoca da cui sgorgano ed è per questo che li ho scelti come filo conduttore per il mio lavoro, che poi è un libro su mezzo secolo di storia italiana. Basta saperli leggere in controluce. Prendi anche Zerolandia, l’album più pornografico della sua carriera…

- E anche il più allegramente amorale (mi riferisco almeno a certi pezzi), oggi si sente molto la mancanza di dischi così. A Matrix un brano come Triangolo aveva messo d’accordo tutti: donne, uomini, cristiani, musulmani, pagani… Ammiccavano divertiti e liberatori a quelle note maliziose.

- Lui aveva compreso che la gente s’era rotta di tutta quella violenza, quel sangue, e non parlo delle borgate adesso, ma degli anni di piombo. Non se ne poteva più. Ricordo i mondiali d’Argentina… tutta quell’euforia assurda. Ma avevano appena ammazzato Moro e si voleva dimenticare tutto. Lui reagiva a modo suo. Con una polemica in apparenza stralunata, in realtà affilatissima. Ah, voi volete la guerra politica? E io vi do le ammucchiate e le scopate con i trans! Sbattiamoci, quella era pericolosa davvero. Ma a molti ha fatto comodo prenderla come uno scherzo: “Ah, Zero, quel depravato!”. In fondo, è sempre lo stesso gioco. Fin da quando il “Times” titolava, a proposito dei Rolling Stones sbattuti in galera: Chi spezza le ali a una farfalla?. Per dire, sono solo dei ragazzi, non sono un nostro problema. Invece lo erano, eccome! E lo era Renato Zero all’epoca. Poteva scatenare comportamenti di massa, rivolte di massa, poi se n’è reso conto e a un certo punto ha chiesto "Tregua". Ma a Fantastico se n’è ricordato nuovamente: Viva la Rai, e arriva bardato come una drag queen: “State attenti, borghesucci da sabato sera, che se solo voglio, vi tolgo ancora il sonno!”. Oggi chi è capace di scatenare maree collettive? Un pivello uscito dal serraglio della De Filippi?

- Tu scrivi che Zerofobia, l’album “maledetto” di Renato, si conficca nel cuore dei fans ben deciso a restarci. Io non sono del tutto d’accordo. Molti, per esempio, sostengono che il capolavoro di Renato sia Amore dopo Amore. E, in un recente sondaggio, la terza canzone più rappresentativa di Zero, almeno secondo certi fans, sarebbe I migliori anni della nostra vita.

- Beh, sì, ascoltano Amore dopo Amore o I migliori anni (che ho definito "brano infingardo") e dicono: mio Dio. Ma perché amano venir soggiogati dalla quantità, da una proposta eclatante. Non hanno memoria storica. Lui, Zero, in questo è memoria storica e ha ragione a dire “è la memoria che ci rende interessanti”. Basta che sia memoria però, che non diventi presente, che non se lo mangi. Alcuni miei colleghi sono rimasti agli anni ’70. Non li sopporto, mi sembrano deficienti. Per me Renato Zero ha fatto bene a un certo punto a piantarla con le piume e le trombette. Non duri per sempre, non puoi fare a sessant’anni quello che ti riusciva a venti, e non solo per limiti fisici: se sei un artista intelligente non ti basti più, prosegui. Torniamo ai Rolling Stones. Io potrei uccidere a richiesta di Keith Richards [risate]. Ma vederli sempre uguali a sé stessi, condannati a danzare anche dopo morti, come pupazzi ossuti e macabri, mi preoccupa. Renato Zero ha compiuto questa magia, un successo spropositato nei ’70, la perdita di questo successo, il rinnovato trionfo con gli interessi nei ’90: il tutto, rimescolando gli ingredienti. Prima c’era un matto che con parole matte diceva cose di buon senso. Poi è arrivato questo “saggio”, vestito di scuro, che ogni tanto lascia balenare l’antica follia: “C’è sempre un cobra che dorme, eh eh!”. Lui è un maestro in questo…

- Si potrebbe facilmente obiettare che la saggezza può sconfinare, talvolta, nella retorica e nel perbenismo. Non mi sembra che Renato ne sia rimasto sempre immune. Fra l’altro, l’ha ammesso lui stesso: il pubblico mi segue per quegli anni là…

- Sbaglia. Conosco centinaia di fans convinti che lui abbia cominciato con I migliori anni… e lo amano! Si emozionano, provano gli stessi sentimenti che provavamo noi. Poi certo, io gli mostro, oppure scoprono da soli, su Youtube, di cos’era capace venti, trent’anni prima e… scatta la zeromania, la zerofobia e la zeroisteria. A ritroso! Presso le giovani generazioni di zerofolli parte come una caccia al tesoro, ma non è determinante, è solo un amore in più. Lo vogliono anche cominciando da oggi, e questo è degno di nota. Vado in giro e mi dicono: trattacelo bene Renato, ci appartiene, è nostro. E io: cazzo, uomo, ho fatto un libro su di lui! [risate] Comunque sì, lui ormai è una istituzione e questo è il suo attuale pericolo. Nessuno più lo contesta, lo mette in crisi, mentre lui è un uomo da battaglia.

- Piera Degli Esposti, dopo aver assistito alla commedia Quattro dischi e un po' di whisky , scritta da Roberto Biondi e ispirata ai brani del Nostro, ha dichiarato che quel testo mette in evidenza la solitudine di Renato.

- Non ho visto lo spettacolo ma, nel mondo attuale, un artista come Renato Zero non può che essere solo. Del resto, la solitudine è il tema che lui affronta di più, da sempre. L’Italia non ti perdona il tuo essere tu, ti vuol definire, cioè ridurre. E Zero a me sembra sempre un uomo solo, con dentro certe cose, certi esami di coscienza che, per quanto ne canti, non può davvero sperare che qualcuno colga fino in fondo. Perché credo pure che lui sia condannato a riesaminarsi di continuo. E che lo faccia con una certa lealtà. Siamo computer, o meglio, i computer sono stati costruiti a nostra somiglianza. Capita di usare gli stessi programmi per anni, poi ne scopri di nuovi… e l’approccio cambia. A volte poi ti devi “resettare”, pulire un po’ la memoria, per ricominciare. Io non scrivo come dieci o vent’anni fa, tu nemmeno… La scrittura cambia e così la musica. Questo, tra parentesi, è stato uno dei problemi del libro, perché ho cominciato a buttarlo giù, come dicevamo all’inizio, per motivi del tutto privati, molto prima di darlo alle stampe. Così, dentro non c’è sempre lo stesso stile, e ho dovuto renderlo omogeneo. Come lavorare sulla produzione, o sulla post-produzione, di un disco.

- Renato ama rifarsi a figure mitologiche, come Icaro e Prometeo, sempre legate al fuoco. E c’è anche un brano che s’intitola Ancora fuoco. Perché, secondo te?

- Icaro e Prometeo sono due tragedie: quando sono io, quando volo, quando vivo e ti do il fuoco… non me lo permettono. Mi uccidono. Lui spinge sempre al massimo, in tutta la sua vita, e a un determinato punto deve anche imparare a dosarsi, a non lasciarsi travolgere da sé stesso. “Successo, sei falso pure tu!”. E torna, ed è un uomo cambiato, pieno di cicatrici. Già questo a me fa venire la pelle d’oca, e la voglia di raccontare tutto, affinché non vada disperso.

- Poco fa ti è uscita una frase: “Basta che la memoria non diventi presente”. È arrivato il momento di parlare dell’ultimo album

- Presente è un buon disco, lo ascolto ancora dopo quattro mesi. Per essere un capolavoro, però, gli manca un elemento molto importante: le chitarre. Per avere un’idea di cos’avrebbe potuto essere, ascoltati Muoviti. Lì c’è un assolo strepitoso. E la fine de Il sole che non vedi è sprecata. C’è una coda orchestrale, tutta tuoni e fulmini, che ripete il tema in modo pedissequo. Lui ha improvvisato sopra un parlato, perché mancava la chitarra. Ma resta un buon disco. Involuto. Dove si parla spesso di speranza, ma partendo sempre dalla disperazione. Per me è un valore aggiunto: a 45 anni non mi va di venire illuso da uno di 58. Mi aspetto che Renato Zero mi faccia pesare la sua troppa vita, le troppe morti, le troppe lacrime, il troppo di tutto. Mi aspetto d’essere inquietato. Perché ho anche io da dire che sono disperato, che non vedo spiragli. Se Pasolini aveva cancellato la parola speranza, io ho archiviato anche la disperazione. Mi guardo intorno, e mi limito a ghignare di disperazione. E vado nelle scuole, e raggiungo le persone, ma la verità è che ci troviamo in una deriva irreversibile. Così, Renato Zero ci ha regalato un disco maturo, leale, rischiava tutto, poteva infilare dieci successi annunciati e invece perfino la cifra lirica ne esce compressa: lui vuole dire di più, smette le rime, le assonanze chiamate e trova echi, rimandi fra parole. Devi ascoltarle molte volte, quelle liriche, per apprezzarle. Vincenzo Incenzo, che è un grande, ha lavorato molto bene con lui. A suo parere Renato è molto propositivo e rispetta le proposte di chi gli sta vicino. È una fonte continua, un gioco che si rigenera sempre. So che Renato litiga con tutti: forse è questione di personalità, di non voler farsi travolgere. Io penso che un artista debba avere un pessimo carattere, anche perché alla fine la faccia è la sua, la voce è la sua, sul palco ci va lui. Gli artisti democratici non li capisco, sono solo dei cialtroni. Vincenzo mi ha detto: “Ogni tanto improvvisa qualcosa di cui non sono affatto convinto. Poi va sul palco, la esegue… e mi debbo ricredere, funziona”. Io sostengo che Renato ha il coraggio della retorica. Anche perché ha imparato a governarla, almeno su disco. Prima gli sfuggiva di più. Sì, certo, a volte diventa palloso con le sue esortazioni alla preghiera, al pane, alla domenica… ma, come ripeto, se lui decide di starti accanto, lo fa per davvero. Sarà uno dei vantaggi della crescita [risate].

- Come vedi Renato “da grande”?

- Non so, credo che una bella vecchiaia per Zero sarebbe quella di prendere certi classici letterari e ricavarne delle personalizzazioni musicali. Lui è l’unico che può farlo, perché ha saputo miscelare una vita vissuta su coordinate impensabili a un istinto artistico sensibile. Lui potrebbe tirar fuori qualcosa d’imprevedibile, e di davvero valido, da Leopardi, da Nietzsche o da chi gli pare. Perché sarà anche vero che “non basta solo la cultura”, ma non basta nemmeno la strada, eh no. È la cultura (da non confondere con l’erudizione) a dimostrarti che quello che hai colto, che hai scoperto, sta già da qualche parte: l’eterno ritorno e, come sai, non c’è quasi niente di davvero inedito. Io penso che uno come Zero potrebbe, in questo momento, porsi come veicolo di suggestioni culturali e artistiche in modo ancor più scoperto, deciso di prima. Tanti giovani hanno bisogno di scoprire qualcosa di antico, ma senza il tramite giusto non lo faranno mai.

- Per concludere: come è stato accolto il tuo libro?

- Questo libro ha uno strano karma. Hanno capito che non li prendevo in giro. L’ho scritto col massimo rispetto e gli stronco la metà delle canzoni! Ma non importa, quelle buone bastano e avanzano. La prima copia l’ho portata a una ragazzina ricoverata in psichiatria (a torto, peraltro: ero lì con lei e mi veniva in mente Depresso, le facili soluzioni d’una società che spegne i sogni e le curiosità di un’adolescente troppo sveglia). Ho altri amici, giovani, che, in mezzo a un momento difficile, si sono entusiasmati alla storia di Zero, hanno scoperto tutti i suoi dischi e, se non superato, hanno comunque assorbito la crisi. E di fatti curiosi, ne accadono. Una volta, nella Marche, un professore serissimo, culturalmente rigoroso, ascoltando Il cielo, al passaggio su “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”, è “partito” e s’è messo a zereggiare: “Ricordatevi che gli spermatozoi di Renato sono nostri, dalle Marche sono partiti e nelle Marche torneranno… sempre!!!”. Un’altra volta presento il libro, cinquanta copie e nemmeno una persona. In un’altra occasione ancora, la libreria era gremita ma mancavano i volumi. Tornate domani, prego! Una sera lo presento a mezzanotte e penso: sarà un miracolo se arriveranno quattro gatti. Me ne sono ritrovati quasi seicento! È sempre diverso, perché parlo di Renato ma, sotto sotto, anche di me. A quindici anni ascoltavo eroZero e mi affacciavo dalla mia finestra di via Monte Nevoso, a Milano, di fronte al covo brigatista col memoriale Moro. Poi cambia tutto, mi ritrovo nelle Marche, la regione di mio padre, e per anni quei vecchi dischi sono le mie madeleines. Scrissi la prima poesia quando uscì Soggetti smarriti. Adesso allestisco spettacoli di poesie, scrivo anche le musiche, e in qualche modo lì dentro c’è qualcosa di quei dischi. Presente l’ho ascoltato, e ne ho scritto il relativo capitolo, il pomeriggio che è uscito: sentivo, scrivevo, mi tornavano alla mente i giri per Milano in furgone, con mio padre, e dentro l’autoradio con le cassette di Icaro. Sarebbe stato contento, di un libro su Renato Zero.

Tanta gente, me compreso, non ha mai vissuto un mondo senza Renato Zero. Spunta la luna, spunta il sole e ogni due anni spunta un disco di Renato. Da lui ho imparato una cosa: uno spettacolo riesce se il pubblico ignora cosa farai fra un attimo. Ama avere paura.



(pubblicato, con qualche modifica, anche da Babysnakes)

Senza titolo 1679

  L'AVETE VISTO IL FILM STANNO TUTTI BENE ?  :-)


Image Hosted by ImageShack.usImage Hosted by ImageShack.us

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, ...