7.4.18

riposta e precisazioni agli amici \ che vegani

per chiarire meglio il mio punto di vista


le mie prese  di posizioni  espresse   sia  sula   mia  bacheca  e   sulla nostra  pagina  fb   sia  in questo mio post precedente   contro  quelli  che  la stampa  chiama erroneamente   ( chiarisco  nella  riposta   e  nel  link citati  ad inizio post  ed   qui nbelkpost  perchè tale  definizione  , che   dopo   non userò più   salvo chennon compaia  in articoli faziosi   , presa da me per  definire  dei fondamentalisti e fanatici   si  sia rilevata  , ed    ne  chiedo scusa   , contropruducente  e  generalizzata per  l'intero movimento   vegano )   nazivegani hanno  creato reazioni indignate  di  vegani    , alcune    volgari   e minacciose   al limite  del lingciaggio fisioc ,  altre   che  sono  quelle  chge   mi piacciono di piuù  sintetizabili  in questo   intervento di una mia  amica   vegna    lasciatomi sulla mia bacheca  di fb 

Beatrice Mudadu Mi dispiace Giuseppe, ma questo non ha a che fare con l'essere vegan, piuttosto con problemi madre-figlia (se non fosse per il vegan, sarebbe stata un altra cosa). Stessa cosa vale per la YouTuber. Non era solo vegana, ma aveva anche altri fattori nella sua vita, come la sua provenienza, ed era agitata per quello che ha fatto YouTube, che non c'entra niente con il vegan, ma con altre cose del suo canale. Se la gente non sta bene, non sta bene, non cerchiamo di dare la colpa a: vegan, etnia, religione, nazionalità, ecc...











  Avete    ragione  e    vi chiedo scusa   ho sbagliato termine , era riferito cmq non ai vegan ma chi lo intepreta in maniera fondamentalista ed fanatica  , vedi le minacce di morte a cracco , reo solo d'aver cucinato in dretta tv carne di piccione o  la  reazione  alle  " pesanti "    e generalizzate  provocazioni  ( se  tali   le  voglia  chiamare   di Cruciani   della zanzara  di radio24  . Infatti come   questo articolo  di  paginevegan.it , penso  e  provo ( ma   non sempre    ci rissco al primo  colpo  o completamente )    che  :  per far cessare la violenza di tutti su tutti occorre partire dai nostri gesti quotidiani . Quindi mi chiedo  :    Cosa c’entra con l’evidente intenzione di picchiare il conduttore de La Zanzara, costretto a scappare dopo essersi presentato con un salame in mano? E cosa c’entrano le minacce e gli insulti rivolti allo scrittore Camillo Langone sul suo profilo Facebook per essersi opposto alle opinioni vegetariane di Giulia Innocenzi nella trasmissione Fuori Onda, trasmessa da La 7 la sera di Pasqua? (La puntata più vista della stagione con 834.000 telespettatori, 3,94% di share).
O per tornare a qualche giorno fa, cosa c’entra il picchetto di malintenzionati pseudo-animalisti che gridava fuori dal locale milanese di Carlo Cracco Questo è un ristorante di merda oppure Cracco è un assassino perché cucina gli animali, dopo che lo chef aveva preparato un piatto a base di piccione a Masterchef ? E cosa pensano di questi Nazivegani persone Umberto Veronesi, Jovanotti, il rugbista Mirko Bergamasco, Serena Williams, Paul McCartney o Prince, tutti vegetariani o vegani convinti?
Cosa pensano di chi, anche in nome e per conto della loro stessa causa, pratica estremismo sguaiato e minaccia violenza fisica?
Una cosa è la scelta vegana.  Una scelta     radicale,  certo  , piuttosto radicale ma ognuno è libero di far quel che vuole  sia  che  lo facca  per  convenzione    sia    che  lo  faccia  per moda    \  conformismo   e  quindi  indotto  ,  altro è, sebbene provocati da un fanfarone, o per  altri motivi  brandirla come un’arma pretendendo che il mondo intero la condivida. O che capisca, specie di questi tempi, quelli che molti media chiamano un altro fanatismo. Concordo quantio dice Beatrice :<< chiunque abbia problemi ed entra a far parte di qualsiasi movimento, rovina il nome del movimento, che sia religione o altro 🙂>>E come  il primo articolo  , vedi  url   sopra  ,  di  dissaporre : << [...] Il suggerimento di mangiare cibo vero, non troppo, per lo più vegetale ( Michael Pollan) è pieno di buon senso e messo in pratica perfino da carnaioli assidui come noi di Dissapore. [....] >> .

Quindi  io  non ho  , come  ho  già sottolineato sja nel  vecchio blog     ,  vedere archivio    ,  sia in blogspot  ,  nessun odio   contro i vegani li rispetto  e  ci dialogo.  Infatti  ci mangio  insieme pur  non condiviendo    ,  è troppo rigida  e  dura   un organismo complesso    come quello dell'essere umano  che  è  un equilibrio  di  tutto ha  bisogno di  detterminate  cose  di  cui loro si privano  .  Mi nutro  sia  di elementi  non vegani   che  vegetariani   \  vegani      , essendo nato nella  cultura   autarchica  degli stazzi  e  delle  camnpagne , cerco  di mettere in pratica   quanto dice il  sito dissapore     che  riporta le  teorie   di  Michael Pollan 

6.4.18

Modena. Cucina il ragù, la figlia vegana minaccia di accoltellarla. la questione finisc e davanti al giudice di pace

esiste un fanatismo che non è religioso \ confessionale è quello dei vegani o nazivegani per differenziali dai vegani autentici e distinguere chi vi aderisce per moda , in maniera acritica \ pssiva ovvero il nuovo conformismo .
Ora mi chiedo ma si può arrivare ad uccidere vedi il caso dell'assalto conclusosi con il suicidio della vegana agli uffici di youtube per cosi poco ? il vero vegano  o  vegetqriani   non  dovrebbe   predicare  il rispetto per la vita degli animali   e  quindi     anche   nell'uomo in quanrio  è un animale anche esso  ?
  da http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/04/06/news/

Modena. 
Cucina il ragù, la figlia vegana minaccia di accoltellarlaUna signora modenese amante della cucina tradizionale è stata minacciata di morte dalla figlia vegana mentre stava preparando il ragù. "Adesso ci penso io a farti smettere - le avrebbe detto al culmine di una lite - Se non la pianti di fare il ragù ti pianto un coltello nella pancia".La donna ha deciso di denunciare la figlia, il caso è arrivato al Giudice di Pace







MODENA Non si sa se quel giorno avesse intenzione di preparare le lasagne o le tagliatelle. Fatto sta che mentre la donna girava lentamente il ragù a fiamma bassa secondo l’antica tradizione modenese, la figlia vegana - esasperata dall’odore di carne per casa - si è messa a urlare e l’ha minacciata di morte: «Adesso ci penso io a farti smettere! - ha esclamato, come si legge nella denuncia - se non la pianti di fare il ragù ti pianto un coltello nella pancia!» La madre non solo non ha smesso di cucinarlo ma ha denunciato la figlia e ora il caso è affrontato dal Giudice di Pace per un reato minore (minaccia semplice).
Chissà se questa notizia sarà letta anche da Cruciani, il papa degli anti-vegani che dal suo studio radiofonico lancia anatemi a colpi di salame.   La notizia, che si presta a rinfocolare le eterne liti tra carnivori e non-carnivori, è in realtà buffa, se non fosse che la contrapposizione tra madre e figlia, entrambe modenesi, proprio perché insanabile è finita davanti al Giudice di Pace di Modena. Che ora dovrà tentare una conciliazione.


LA VICENDA Al centro della vicenda unica nel suo genere c’è una madre 68enne. Una tipica rezdora modenese che ama la cucina tradizionale e segue le ricette di una volta. Dall’altra parte la figlia 47enne. Una donna disoccupata che vive ancora con la madre ma che nel corso degli anni ha sviluppato una sua consapevolezza alimentare e verso il mondo animale allontanandosi dai gusti materni fino a diventare una convinta vegana. Insomma, due mondi opposti in qualche modo costretti a convivere tra le stesse mura. Divise da un insanabile contrasto intorno al cibo, un argomento che, come sanno bene gli psicologi, determina spesso il controllo e il potere in una famiglia.Nel corso dei mesi non sono mai cessati i rimproveri della figlia per le attitudini carnivore della madre ossequiosa alla tradizione culinaria modenese; anzi sono cresciuti con offese e improperi. Finché un giorno del marzo 2016 la situazione è precipitata. La rezdora stava cucinando con amore il suo ragù a fuoco lento e l’odore - vissuto come una provocazione e una mancanza di rispetto - ha attirato la figlia vegana disgustata. Ne è nato il solito battibecco. Finché la figlia è sbottata con le frasi riportate in querela: «Adesso ci penso io a farti smettere|! Se non la pianti, ti metto un coltello nella pancia!» La denuncia della madre ha avuto seguito e ora si è arrivati davanti al Giudice di Pace. Il giudice Nadia Trifirò ha affrontato una prima udienza fissando per la prossima, in giugno, un tentativo di conciliazione tra madre e figlia. Diversamente si andrà avanti a valutare la causa fino alla sentenza. Intanto la madre continua a preparare il ragù e la figlia a infuriarsi.

4.4.18

Le reazioni delle donne agli insulti sessisti [ESPERIMENTO SOCIALE di fanpage.it e altre storie

L'Italia è un Paese sessista.  Si lo è   Direttamente     come  lo  si evidenzia   nel   due    video sotto riportati    e  si trova   nei discorsi al bar, in spiaggia, in banca, all'interno degli ospedali e delle università. Lo è nelle piccole e nelle grandi città. Nessun luogo si salva dalla discriminazione della donna.  infatti 





Indirettamente  secondo questo articolo   di http://narrazionidifferenti.altervista.org/
Ma  le discriminazioni posso essere palesi, conclamate, forti. Oppure subdole, anche dette con il sorriso sulle labbra, quasi per gioco, come fosse uno scherzo. Ma quando si umilia un'altra persona non è mai "uno scherzo".
Si può essere sessisti con una battuta, una barzelletta, un comportamento. Anzi: sono spesso proprio le battute e le barzellette, che nascondendo la loro violenza dietro il muro dell'umorismo (presunto) fanno più male. Perché colpiscono, eccome se colpiscono, ma rispetto a una discriminazione palese si ha quasi timore a rispondere a una "battuta", a reagire, a manifestare il proprio fastidio e la propria contrarietà.
Con questo video  ----  dichiara  lo srtesso autore  ---  ho deciso di realizzare un esperimento sociale, filmando le reazioni di alcune donne a barzellette, stereotipi e battute inerenti il genere femminile; si tratta di parole, frasi e offese che ho preso da internet, dai commenti su Facebook o dai peggiori discorsi da bar.
Lo scopo del video è semplice, e secondo me efficace: mostrare alle persone che guarderanno il video quello di cui solitamente certi maschi non si interessano: le reazioni delle donne.
Soprattutto, con questo video, ho voluto provare a raccontare alcuni pezzi di vita delle donne, quei pezzi di vita che chi le deride, o scherza sulla loro "minore intelligenza" o semplicemente le chiama "cagne" o "santarelline" non capisce, o di cui ha deciso di non interessarsi. Con questo video, invece, sarà costretto a guardarle in viso, fra una barzelletta e un'offesa, vedendo le loro reazioni; e ascoltando - soprattutto - le loro opinioni.
Ho ideato, organizzato e realizzato questo video da una mia idea originale. Ma questo video non avrebbe mai visto la luce, o sicuramente sarebbe stato molto peggiore, senza la collaborazione di Andrea Esposito, Francesco Galgano e Peppe Pace, in ordine alfabetico. I miei tre colleghi hanno curato tutte le riprese, la fotografia e l'audio. Ma soprattutto è grazie a loro che molti spunti, domande, idee, modalità di approccio, sono state possibili. Con consigli, supporto e tante, tante fondamentali idee di realizzazione.


“Un mestiere antico per un ragazzo moderno”"A 24 anni corono il mio sogno, fare il calzolaio" Giuseppe Magnani da settembre ha rilevato una calzoleria in via Porta Brennone. «Fare scarpe su misura mi dà grandi soddisfazioni.

  ci sono  giovan  che  riportano  in auge   mestieri  che sembrano destinati alla scomparsa  .  E'  il casdo  di  Giusepe  Magnani   . Ecco la  sua  storia  presa   grazie alla pagina fb  di geolocal da   http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2018/04/04/

"A 24 anni corono il mio sogno, fare il calzolaio"
Giuseppe Magnani da settembre ha rilevato una calzoleria in via Porta Brennone. «Fare scarpe su misura mi dà grandi soddisfazioni. Altroché mestiere da vecchi»
                            di Chiara Cabassa


REGGIO EMILIA. “Un mestiere antico per un ragazzo moderno” si legge sul sito. “Calzoleria Magnani-Art and Craft in Shoes” è scritto sulla vetrina di via Porta Brennone 4
 Tutto quadra quando, sbirciando dentro, vedi un ragazzo giovanissimo, due grandi occhi scuri, una testa di capricciosi riccioli neri. È lui il ragazzo moderno che fa un mestiere antico. È lui Giuseppe Magnani, 24 anni, che dal settembre scorso gestisce una calzoleria che fa la differenza: appena entri, un salotto in piena regola con divano, tappeto, lampade e pezzi d’antiquariato; dall’altra parte, il laboratorio dove Giuseppe non solo ripara ma soprattutto realizza scarpe su misura. Un sogno realizzato che arriva dopo anni di studio appassionato. Un punto d’arrivo e insieme uno splendido punto di partenza.



Giuseppe, quando ha deciso che da grande (ma neanche troppo) avrebbe fatto il calzolaio?

«Premesso che da sempre considero le scarpe un accessorio importante che può fare la differenza, devo ammettere che fare il calzolaio non è stato da sempre il mio sogno. Nonostante un mio bisnonno facesse proprio il calzolaio... ma io non ci credo tanto nell’ereditarietà dei talenti».

Quindi è stata una scelta meditata, non un colpo di fulmine.

«È accaduto che ho frequentato l’Istituto d’arte Chierici seguendo l’indirizzo architettura e design, niente a che fare con il disegnare e realizzare scarpe. Però, nell’ultimo anno, mi sono avvicinato a materiali come il cuoio e la pelle e ho iniziato ad apprezzarli. Ho iniziato realizzando dei portafogli in casa e ho scoperto di avere una certa manualità, insomma di essere portato».



Il passo successivo?

«Per un anno mi sono trasferito a Vicenza dove ho frequentato la Scuola d’Arte e Mestieri e seguito un corso di pelletteria. Nel frattempo ho fatto stage in diverse aziende per poi diplomarmi come operatore e modellista per la pelletteria. Tornato a Reggio Emilia, dopo due giorni ho trovato lavoro a Montecchio, nella calzoleria di Federico Mori. Poi due anni fa Rossano Chiari, che aveva intenzione di trasferirsi in Corso Garibaldi, per un anno mi ha dato in gestione la sua calzoleria in via Porta Brennone e, nel settembre scorso, l’ho rilevata. Se devo ringraziare qualcuno? I miei maestri Mori e Chiari, sicuramente».

Una calzoleria, quella di via Porta Brennone, che ha rilevato e trasformato.

«Volevo creare una cosa diversa. Non la solita calzoleria. Chi entra deve avere l’impressione di trovarsi in una casa: per questo aperta la porta ci si trova di fronte a una sorta di salotto mentre il mio laboratorio è in una posizione subalterna. L’ingresso è un biglietto da visita. L’impressione che vorrei dare è quella di un luogo giovanile e insieme di un posto che trasmetta l’idea di un prodotto di nicchia».

Cosa le piace di più del suo lavoro?

«Creare un paio di scarpe su misura è ciò che dà maggiore soddisfazione. Vedere un cliente che indossa quel paio di scarpe è bellissimo. Ma è chiaro (sorride, ndr) che al momento ciò che mi permette di mangiare è riparare le scarpe».

Ma quanto costa un paio di scarpe su misura?

«Dipende. Dal pellame, dalla forma, dai particolari... Non c’è un listino. Se sono prezzi accessibili? Anche in questo caso, dipende dal tipo di cliente».

E ora?

«Ho un lavoro che mi piace e ho solo 24 anni: lo considero un privilegio. Così come trovo confortante che si inizi a prestare attenzione ad un lavoro, quello del calzolaio, che qualcuno pensava forse destinato all’estinzione. Evidentemente, non è così».




3.4.18

pesce d'aporile o episodio reale ? bambini che discriminano un bambino di colore . video di Enzo Terrini

 Inizialmente scrissi  su    sul mio fb   questo  commento 




Giuseppe Scano ha condiviso il post di Ettore Ferrini.
20 h


M'impressiona la rassegnazione della madre: chissà in quante altre occasioni ha sperimentato la stessa ignorante cattiveria. Anche se "nell'ultima scena " non mi sembra razzismo ,magari stavano tentando n approccio sbagliato , provando a toccargli i cappelli .I babambiboi avranno preso alla lettera quello che gli avranno detto a casa , sono diversi hanno la testa e i cappelli diversi dai tuoi come un casco di banane o cazzate simili . Infatti i bambini sono l' espressione dei genitori... e Respirano l' aria malsana della famiglia; i bambini saranno cattivi e sono come spugne assorbono tuto non sono naturalmente razzisti consapevoli .

Ora vedendo che il tizio del video sopra riportato non risponde nè su messangere , nè ai commenti su fb che gli chiedono dove si e quando sia avenuto il fatto . Penso che sia una fake news anche se si ha un po o' di fatica a crederlo essendo abituato a lìgiornalismo satirico ( ora quasi scomparso di cuore , il male , frigidaire , la catena di san libero , ecc . Ma poi : 1) vedendo la data 1 aprile ., 2) vedendo il suo profilo facebook mi accorgo che è curatore del sto satirico ( un vero sito satirico che lo specifica in cima permettendo di chiarirre la differenza spesso molto labile fra fakenews \ bufale ed evitare che si diffondo e vengano prese per vere news satiiche ed ironiche ) .
Anche se sembra appurato che si tratta di una bufala satirica . essa continiene un fondo di verità sulla situazione in italia .Erano anni che non vedevo pesci d'aprile cosi congeniati ed attualizzanti 

Ammesso  che sia  vero  . E'0 una provocazione   imoortante  che dimostra   come  in Italia   siamo ancora  lontani della  completa multi etnicità 
La madre ha avuto quella che un mio utente definisce cosi


Antonio Bocco
Si chiama dignità, cosa che a molti in quel parco manca.




La madre del bambino è stata , lo so che sarà un termine maschilista ed sessista , infatti sono anni che non lo uso più ne come tag nè come termine scritto e parlato,una donna con i "CONTROCOGLIONI"! , ma non trovo altri termni per definire tale donna che ha dato sia ai bambini\e presenti ed in genitori che li guardano da lontano e che non sono intervenuti una lezione di dignità e d'orgoglio proprio . 
I bambini non fanno caso al colore della pelle a meno che non abbiano genitori razzisti, ai quali è da attribuire la colpa di tale merda ripresa nel presunto video . Infatti I bambini finché non sviluppano empatia possono anche far del male, ( io ero cosi ) ma, per assurdo, indiscriminatamente. Si accorgono delle differenze se gliele fai notare. E l'empatia non è innata, purtroppo, gli va insegnata ed fatta sviluppare ! Al di là delle predisposizioni naturali
Quando un bimbo parla l'adulto ha già parlato! Ecco cosa succede quando ci sono bambini che hanno la sfortuna di crescere in una famiglia di .... o disagiata . Abituati e mal-educati a discriminare e ad odiare il prossimo. Generazioni di bulli del .... crescono!
Poi per loro diventa normale odiare e fare del male. Però mi raccomando...poi tutti a pregare e a farsi il segno della croce.

Meno male  che ancora  qualche  anticorpo  all'odio   c'è    cpome sembra  di capire leggendo  commenti su post del ferrini  


Marta della Lena Poveri bimbi! Mi fanno solo pena. Non sanno quanto è fortunato il bimbo ad avere una madre così! Che Bell ' esempio
Gestire
1 g
Gemma Gemmiti O forse lo sanno. Dopotutto loro erano a giocare da soli (i genitori li guardavano da lontano) e lui invece era insieme alla sua mamma.
Questo ha scatenato in loro gelosia.
Mi fanno pena invece i genitori che, se hanno visto la scena e non sono intervenuti, sono davvero delle merde.

Antonello Fiori Solinas È possibile che gli unici rimasti a far figli siano quelli meno raccomandabili? Povera Itaglia! 🤢

Annalisa Ilari Psy La sig.ra fa l'unica cosa ragionevole in quella situazione, ma fa una tenerezza tremenda! Non un adulto che intervenga! Schifosi! I bambini,per quanto piccole merde  ,  anch'io ero cosi  fino alliceo  , non discriminano almeno che non gli venga insegnato

Corrado Locati Calci in culo ai genitori.. I bambni sono cattivissimi. Se non li educhi, rimangono così.

Giorgio Iannone Concetto sbagliato. Fossero stati figli nostri non avrebbero mai fatto quello e non è vero che i bimbi sono delle merde, ma semplicemente imitano i genitori. Mio figlio è un teppista (nel senso che è molto vivace), ma non ho mai dovuto riprenderlo su questioni di colore della pelle. Gioca con bambini di tutti i colori e al massimo ho dovuto rispondere a un "perché Xxxxx è nera e io rosa?"


Quindi  cconcludo     vera  o falsa  data  o  non  sarei felice se si trattasse di un “pesce d’Aprile”.

chi lo dice che la vita di clausura sia tutto rosa e fiori il caso della ex suora intervista da radio cusano campus



ricollegandomi alle tematiche della prima storia del post precedente Eccovi questa storia





da               
Blitz quotidiano   2018-02-02  tramite  l'aggregatore  newsrepubblic




Il racconto di una ex suora: “In convento la vita era un inferno…”. ROMA – Intervistata da Radio Cusano, Rosa, nome di fantasia, una ex suora, racconta la sua storia:






foto ansa



“Sono cresciuta con i nonni, perché i miei genitori lavoravano in Svizzera. Quando avevo 12 anni mia madre è tornata in Italia e ha deciso di riprendermi con lei. Sono stati sei anni lunghissimi. A 18 anni ho scelto di entrare in convento. Il primo contatto con la religione? Di pomeriggio, negli anni in cui vivevo con mia madre, andavo da una sarta dove ho conosciuto una suora. Avevo circa 13 anni. Questa suora mi faceva il lavaggio del cervello, mi ripeteva in continuazione che sarei dovuta andare in convento, che avrei dovuto conoscerle, perché la vita da suora era molto bella”.Poi, nella vita di Rosa, la svolta: “A 18 anni dopo una violenta litigata con mia madre sono scappata di casa. Mia madre mi maltrattava. La suora, saputo della situazione, mi ha cercato e ha trovato dove ero nascosta. Da lì ha ricominciato a venirmi dietro, a invitarmi a vedere come vivevano le suore, da lì in poi ho iniziato ad andare in convento. I primi mesi andavo solo il fine settimana, poi dopo aver terminato le superiori sono entrata e ho fatto l'anno di discernimento, un percorso in cui si entra nella vita delle suore, si inizia il cammino spirituale e il cammino di vita spirituale con le suore. Le mie amiche mi dicevano di lasciar perdere, nessuno ci credeva, tutti mi dicevano che sarebbe stato un passo sbagliato, ma ormai la suora mi aveva fatto il lavaggio del cervello”.Rosa sulla vita in convento: “La mattina c'è la preghiera collettiva, il pomeriggio la preghiera individuale. Ognuno ha il suo da fare. Passato l'anno di discernimento, io mi sono convinta di avere la vocazione. Col passare degli anni ho iniziato a sentirmi sempre più triste, una tristezza che sentivo dentro, un vuoto che aumentava giorno dopo giorno. Dopo aver preso i voti semplici ho iniziato a manifestare la volontà di tornare sui miei passi, ma in quel momento sono iniziate le pressioni. Ho detto alla mia superiora che forse non avevo la vocazione, che forse sarebbe stato il caso di andarmene. Lei ha proseguito il lavaggio del cervello, mi dicevano che io non vedevo il cammino, che loro erano la mia luce. Sono stata plagiata. La vita in convento per una ragazza tra i 18 e i 20 anni è molto complicata. Con il passare degli anni poi, ha iniziato a pesarmi anche la mancanza di affettività. Omosessualità in convento? Queste cose si nascondono…Io non ho avuto esperienze in questo senso. Avevo tante amiche suore in convento che come me sognavano di andarsene. Nella mia comunità ce ne erano almeno 4, ma alla fine sono stata l'unica ad uscire”.Rosa prosegue nel suo racconto: “Mi hanno mandato in missione in Brasile, gestivo un istituto di 300 bambini. Dopo un anno, però, ho richiesto di nuovo di uscire dalla congregazione. Non ce la facevo più. Io stavo bene nel lavoro, ma non mi ritrovavo più nella vita religiosa. In quel momento ho detto basta, ma per tre anni non mi hanno fatto uscire dal convento. Quando io dicevo che me ne volevo andare, mi rispondevano sempre che dovevo aspettare sei mesi. E' andata avanti per tre anni questa storia. Mi hanno fatto ritornare in Italia e mi hanno fatto iniziare un cammino con uno psicologo, che è durato un altro anno. Mi hanno detto che sarebbe servito a farmi capire che avevo la vocazione. Lo psicologo ha cercato di compiere un'opera di convincimento su di me riguardo alla mia vocazione. Per fortuna non sono riusciti a farmi cambiare idea, nonostante tutte le pressioni. Dopo tre anni sono riuscita a tornare a casa. Sono rimasta in convento sedici anni. La superiora mi ha costretto ad andare a casa col vestito da suora, aveva speranza che tornassi in convento”.Rosa sulla sua nuova vita: “Uscire dal convento è stato un salto nel buio, mi sono ritrovata senza casa, senza lavoro, avevo solo un vestito da suora con me. E' come creare un'altra identità, una nuova vita, da zero. Mi sono ritrovata da sola, dopo sedici anni di convento. Ho reagito, ho cercato un lavoro, per questo ora sono a Roma. Adesso faccio la domestica, Ora quando mi capita di http://www.tag24.it/podcast/storia-di-una-suora-che-ha-cambiato-idea/entrare in chiesa sento il vuoto”.


Secondo alcuni il il racconto non sarebbe del tutto veritiero. La famiglia dietro a questa storia dov'era?.... Secondo altri il titolo è scorretto, non ha mai detto che in convento ha trovato l'inferno, semplicemente non sentiva più la vocazione ed è uscita. Ma fra i commmenti che mi hanno incuriosito di più c'è quello di



Per abbracciare una vita di privazioni e di limitazioni bisogna avere una fede e un credo che va oltre il comune , il plagio della chiesa parte da quando nasci con il battesimo , pratica barbara che genera un identità nell' individuo ancora prima di poter comprendere di cosa si tratta è una forzatura continua , presto questo scempio terminerà e finalmente dovranno rendersi conto che la ragione è la libertà hanno vinto sulle loro pratiche commerciali , tuttavia la donna in questione avrebbe semplicemente potuto dire NO come farei io se un essere umano vestito a carnevale mi parlasse di vocazione e fede




Infatti non è quello di rispondere alla crisi delle vocazioni questo si chiama plagio e tortuture psicologica verso chi ha un carattere debole . Infatti hanno aottenuto  l'effetto contrario  :  <<  Ora quando mi capita di entrare in chiesa sento il vuoto >> 

2.4.18

Elena ricco maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola, I bonsai diventano bonsardi: souvenir speciali dall’isola L’idea di un florovivaista di santa maria la palma : essenze mediterranee proposte in versione mini , Lungo le strade dei minatori per riscoprire storia e natura Il cammino di Santa Barbara, 400 chilometri nel sud-ovest della Sardegna. Parte il progetto per ripristinare i sentieri del lavoro dal Marganai a Porto Flavia


Poichè   oltre   alla  canzone    a me piace  il sud   di  Rino Gaetano  ho riportato direttamente  ed  indirettamente  storie   ed  articoli   di un tempo passato  ( cioè prima  del boom economico  )   che  ancora  sopravvive   e  causa crisi sta   " ritornando   in auge "   vengono tacciato  d'essere  nostalgico.
Un  un fondo di verità c'è  ma     se   ho  cnosciuto   da  bambino   queste  cose essendo nato   in una generazione  di mezzo   non è   colpa mia  . E  a chi  mi  dice    che  esalto l'anarocoretismo e solitudine  perchè ho riportato  il    discorso  ormai diventato un classico e storia    su tale  temaitiche    di  Fabrizio  de  Andre  meglio  spiegato  qui  in cui spiega  alla massa il suo   album più belli  Anime Salve   o   condivido    articoli  come questi    


risparmiare-sulle-trasferte-lavoro-prenotazioneGrazie a Maria Gloria, che scrive dal treno
Ricevo una mail che nell’oggetto dice: “Lettera profondamente banale”. La scrive una giovane donna che quasi si scusa dell’argomento, i problemi sono altri – dice – e nelle nostre conversazioni successive mi spiega di averla scritta di getto, in treno, “uno sfogo dovuto alla frustrazione momentanea”. Sono d’accordo: i problemi sono altri. Ma credo che la scomparsa del silenzio sia all’origine di alcuni deficit di attenzione, e di comprensione della realtà. La scomparsa del silenzio, e del rispetto. Non è così banale, alla fine, questa sua lettera, Gloria."Esasperata, forse sono portata a sovrastimare questo piccolo cambiamento culturale come simbolo di un più grande movimento regressivo. Mi spiego. Ormai in treno si parla tranquillamente: al telefono, coi vicini, addirittura se il nostro amico è seduto davanti a noi ‘basta allungare un po’ il busto, alzare un po’ la voce’. Io viaggio per [ continua qui in questo articolo della de gregorio su repubblica del 31\3\2018
Dopo   questa  replica    veniamo  alla  storie  ed  articoli  vari    d'oggi    provenienti  dalla mia regione  (  la  sardegna    per  chi  mi  eggesse    per  la prima  volta  )  .

  da  la   nuova   sardegna  del  1\4\2018

Elena, maestra a Tavolara unica nella storia dell’isola

La Ricco arrivò nel 1956: la scuola era una stanza in una casetta sulla spiaggia. «I miei alunni erano i pescatori: io insegnavo a scrivere, loro i segreti del mare»






OLBIA. Oggi è un’area marina protetta tra le più esclusive del Mediterraneo. Un piccolo regno del cinema che ogni estate vede arrivare il gotha del grande schermo. Una meta obbligata per i vip in vacanza in Costa Smeralda. Nel 1956 Tavolara non era nulla di tutto questo. Era un’isola quasi disabitata, lontanissima dalla vicina costa gallurese, un paradiso inconsapevole in cui la macchina del tempo si era fermata a qualche decennio prima. È in questo piccolo mondo antico che in una piovosa giornata del ’56 si trova catapultata Elena Cassibba, 27 anni. Con lei il marito Roberto Ricco e la figlia Betty, di 7 anni appena. Arrivavano da Roma, lui aveva vinto il concorso per fanalista e lo avevano assegnato proprio al faro di Tavolara. Da allora è passata una vita, ma Elena, oggi 89enne, ricorda come fosse ieri il suo sbarco sull’isola che le cambiò la vita. Fu lì che si sedette per la prima volta dietro una cattedra, insegnando i verbi, la geografia e le tabelline ai pochi abitanti di Tavolara che non erano mai stati in una scuola. E rimanendo di fatto l’unica maestra della storia dell’isola.

Il dopoguerra. «Dopo la guerra ci eravamo stabiliti per un po’ a Roma, mio marito era radiotelegrafista al ministero della Marina – racconta Elena con il suo inconfondibile accento siciliano –. Dovevamo tornare a vivere a Palermo, ma erano anni in cui lavoro non ce n’era. A mio marito fu consigliato di partecipare al concorso per fanalista. Il primo che si faceva, perché fino a quel momento era un mestiere che si tramandava di padre in figlio. A Roberto mancavano 7 anni al pensionamento, lui era un ex prigioniero in Germania, uno dei 120 superstiti dell’affondamento dell’incrociatore Fiume. Gli dissero: “Hai una bambina piccola, fai il concorso e così raggiungi l’età per andare in pensione”. E così fece: andammo alla Spezia per fare il corso e ci dissero che la nostra sede sarebbe stata l’Isola del Giglio. Ma non andò così». Sul foglio consegnato al marito infatti la destinazione era un’altra. «Mio marito venne e mi disse: “ci mandano in un posto che si chiama Olbia e su un’isola chiamata Tavolara”. Io non avevo idea di dove fosse, conoscevo a malapena la Sardegna. Così presi un atlante e iniziai a cercare: trovai Olbia e nient’altro. Fino a quando non vidi una lineetta in mezzo al mare quasi invisibile. Era Tavolara. Fu uno choc, ma eravamo giovani, ci amavamo e siamo partiti».

L’arrivoSul traghetto che da Civitavecchia portò la famiglia Ricco in Sardegna Elena incontrò una donna di Olbia. «Quando le dissi che ci avevano assegnato a Tavolara sgranò gli occhi: “ma è disabitata, domani mattina le faccio vedere l’isola”. Così alle 6 andai sul ponte e vidi per la prima volta quella montagna in mezzo al mare. E subito mi accorsi che non c’erano case». Una prima impressione che trovò conferma quando sotto la pioggia marito, moglie e bambina arrivarono sull’isola, accompagnati da Chinelli, il vecchio fanalista. «C’era solo la nostra casa, più il villaggio di pescatori dall’altra parte dell’isola. Fu un impatto devastante, in particolare per me, perché mio marito era stato prigioniero in Germania ed era più abituato alle avversità». Dal caos di Roma Elena si trovò catapultata in mezzo al nulla di Tavolara, che ai tempi contava poche decine di abitanti. Tutti pescatori che mai avevano frequentato una scuola. Elena invece aveva un diploma magistrale. Fece la domanda per fare delle supplenze. E nel frattempo il sindaco di Olbia, Alessandro Nanni, ottenne l’ok del provveditore per avviare una scuola proprio a Tavolara. Inevitabile che l’incarico andasse a lei, prima e unica maestra sull’isola. «Mi misero a disposizione una stanzetta in una casa sulla spiaggia abitata da due ex pastori. Trovai dei banchi, evidentemente in precedenza c’era stata una scuola. Mio marito aveva portato per me e mia figlia una poltrona letto, che la notte aprivo e la mattina richiudevo per poter fare lezione. Avevo 16 alunni, tutti analfabeti o semi. Molti erano padri di famiglia, miei coetanei e non avendo mai insegnato avevo timore mi prendessero in giro. Invece, tra noi si creò un rapporto fraterno: io insegnavo tutte le materie e loro mi raccontavano le loro avventure in mare. Devo essere sincera, se sono riuscita a superare la solitudine di quegli anni, è grazie a quei miei alunni speciali. Sono loro che mi hanno salvato».
L’isolamento. Vivere a Tavolara non sarebbe facile oggi, figurarsi sessant’anni fa. Ai tempi l’isola contava poche decine di abitanti. Fino a qualche tempo prima c’erano una drogheria e una tabaccheria, ma all’arrivo della famiglia Ricco le due attività non erano più operative. «Una volta al mese andavamo a Olbia per fare rifornimento: farina, zucchero, olio. Avevamo fatto amicizia con i pescatori di Golfo Aranci e ci scambiavamo aiuto reciproco. Una volta ci siamo imbattuti in una sciroccata e abbiamo perso tutto il carico. Per 3 o 4 giorni siamo stati ospitati dal fanalista dell’Isola Bocca perché era impossibile raggiungere Tavolara. Un’altra volta invece per il brutto tempo era saltato il turno di rifornimento. Non avevamo più nulla, e non c’era alcun modo per arrivare a Olbia. Mio marito aveva chiamato il comandante alla Maddalena: “siamo da 8 giorni senza viveri, cosa posso dare da mangiare alla bambina? O ci mandate una nave o interrompo il servizio”. Alla fine ci mandarono la nave con i viveri, ma la nostra storia uscì sulla Nuova Sardegna. “Isolati per incuria”, era il titolo dell’articolo, a cui seguì una interrogazione parlamentare. La vicenda finì con una lettera di richiamo per mio marito».
La solitudine
A quei tempi a Tavolara non c’era grande movimento. Ogni giornata era uguale alle altre. «Solo la domenica d’estate era un po’ diversa – racconta Elena –. Arrivavano i turisti, allora tutti olbiesi, e per noi in qualche modo era una festa. Il resto della settimana non c’era nulla. Io ero abituata a Roma, alle passeggiate, ai negozi. Il sabato mi preparavo e andavo in via del Corso. A Tavolara ovviamente non lo potevo fare, ma io indossavo ugualmente il vestito elegante, mi mettevo gli orecchini pendenti e mi truccavo. Poi andavo sugli scogli per scrutare l’orizzonte e cercavo Olbia. Ovviamente non vedevo nulla, ma dentro di me pensavo: “laggiù c’è movimento, c’è festa, c’è vita”». Elena Ricco rimase a Tavolara fino al 1958, il marito invece resterà qualche anno in più, giusto il tempo per raggiungere l’età della pensione. Quella destinazione sconosciuta ha influenzato per sempre le loro vite: dalla Sardegna, infatti, non sono più andati via. Lui ha lavorato come ristoratore, lei invece ha continuato a fare la maestra. Per qualche anno a Olbia, e poi nella borgata di Murta Maria. Di fronte a Tavolara, anche se lei non è mai più tornata sull’isola. «Da allora non ci ho più messo piede. Quegli anni sono stati durissimi, ma io dico sempre che la nostra fortuna si chiama Tavolara, perché tutto è iniziato lì. Se non ci fosse stata Tavolara mai avremmo avuto la possibilità di affermarci né io nella scuola né mio marito nella ristorazione».

  stessa  fonte  e  estessa  data  

I bonsai diventano bonsardi: souvenir speciali dall’isola

L’idea di un florovivaista: essenze mediterranee proposte in versione mini: Da Santa Maria La Palma i vasetti spediti con istruzioni, assistenza su WhatsApp



ALGHERO. L’idea gli è venuta soltanto osservando la natura della Sardegna. Per Maurizio Puma, florovivaista siciliano trapiantato a Vigevano, è stata come un’illuminazione: quelle piante sono ideali per creare dei bonsai, come già sanno diversi appassionati e hobbisti. Ma può divenire anche un business. Nascono così i “Bonsardi”, che

filosofia pasquale

pe r approfondire 


questa  canzone vecchia  canzone






   mi  ha  fatto  riscoprire  il significato della pasqua  .  E mi fa  concordare  con  quanto dice   l'amico  cristian porcino  in merito ala pasqua   nel suo librto  Altro e altrove

interessante e controcorrente o in direnzione ostinata e contraria libro  Altro   e  altrove  di cui  trovate  sopra     la  copertinma  e    un intervista nell'archivio    del  blog

28.3.18

meglio senza un arto che senza amore Venticinque anni d’amore e disabilità: «Mai disperare» la storia di Cinzia D’Amicis e Raffaele Indresano,


BIBBONA. Gli ha fatto la prima carezza con la mano sinistra, così da sentire il calore della pelle a contatto con la sua. Era il 1991 e i due se ne stavano nascosti all’ombra del vecchio centralino del centro protesi di Budrio, in Puglia. Cinzia D’Amicis aveva appena 22 anni; Raffaele Indresano, invece, ne aveva già 33.














A farli conoscere sono state le loro sfortune, sebbene poi il gioco assurdo della vita le abbia trasformate nelle loro fortune: entrambi disabili, privi ciascuno di un arto, hanno incrociato il loro sguardo proprio nel centro Inail pugliese. «È stato un colpo di fulmine», dice lei. Si sono baciati per la prima volta lì, all’ombra del centralino, per poi sposarsi il 27 marzo di venticinque anni fa. Per festeggiare queste nozze d’argento ci sono anche i loro due figli, voluti fortemente e infine adottati tra Europa e Africa. In quel lontano 1993 infatti le rivincite sul destino erano appena iniziate. Non mancano le sfaccettature per raccontare la famiglia Indresano. Una sono le loro origini, visto che i quattro componenti provengono da altrettanti Paesi: Raffaele è nato a Livorno, Cinzia in Australia benché già da piccola si sia trasferita in Puglia, il figlio maggiore Cristian è nato in Bulgaria e quelli minore Andrea in Etiopia. Oggi vivono tutti a La California e guardandosi indietro Cinzia non può fare altro che sorridere. «Io e mio marito siamo stati pionieri della disabilità di coppia – dice – A casa nostra puoi trovare carrozzine, protesi di gambe e braccia, ma per noi e per i ragazzi è tutto normale: è più facile vivere senza un arto che senza amore». Normale, concetto che è cambiato radicalmente nel corso degli ultimi decenni. Raffaele e Cinzia hanno toccato personalmente questa trasformazione. «Venti anni non si parlava adeguatamente di invalidità – racconta la donna – Le persone erano a disagio e venivi trattato diversamente, seppur con buone intenzioni. Oggi invece la disabilità è all’ordine del giorno». Nel mezzo però è passato un quarto di secolo di ostacoli e rivincite. «L’importante è non disperare», dicono. Raffaele e Cinzia tengono a riportare la loro testimonianza così da dare una speranza a chi si trova oggi di fronte a quegli stessi ostacoli. Lui ha perso una gamba sul lavoro, quando un macchinario agricolo gliel’ha portata via; lei è nata priva dell’avambraccio sinistro a causa di una dispersione di materiale radioattivo. Nel ‘91 erano a Budrio per fare nuove protesi e due anni dopo si sono sposati. Poco tempo dopo è nata in loro la voglia di avere dei figli. «La voglia di lasciare qualcosa al domani», per dirla come Cinzia. Ma né la natura né la fecondazione assistita sono riuscite a far loro questo dono. Allora è nata l’idea dell’adozione e con essa nuovi ostacoli. «Ero convinta che proprio a causa della nostra disabilità non ce li avrebbero mai concessi, mentre mio marito era sicuro che ce l’avremmo fatta». E aveva ragione lui. Con la stessa tenacia hanno affrontato i mostri della burocrazia e ore di sedute psicologiche, ma alla fine è arrivato il via libera. Nel ‘97 la coppia è volata a Sofia per Cristian, tre anni dopo è arrivato Andrea da Addis Abeda: il primo ha 22 anni e segue il corso d’infermieristica, il secondo ha 17 anni ed è iscritto a ragioneria. Entrambi sono volontari della Pubblica Assistenza


di Bibbona. «Sono la nostra forza», dice la madre, preparandosi a festeggiare le nozze d’argento. Un evento che merita i migliori auguri, ma Raffaele e Cinzia sanno affrontare il destino anche senza. Noi però glieli facciamo lo stesso.

Danyart New Quartet fiori e tempeste

Ieri è stato presentato il nuovo lavoro discografico dei Danyart New Quartet, formazione jazz capitana da Daniele Ricciu, in arte Dany...