7.8.21

storie olimpiche parte 7 La classe operaia va alle Olimpiadi, L'arbitra italiana della lotta che gli iraniani non volevano: "Mi dicevano: sei una donna" , e altre storie





Favola Yassine, il metalmeccanico cerca gloria nella maratonadal nostro inviato Ettore Livini


Originario del Marocco, 39 anni, lavora ancora in fabbrica - la Fornovo Gas di Traversetolo - e a forza di allenamenti in pausa pranzo "in tuta da lavoro perché i miei colleghi non se ne accorgessero" è arrivato di corsa in Giappone
              
                     06 AGOSTO 2021 



La classe operaia va alle Olimpiadi. E cala il jolly del maratoneta per caso - il metalmeccanico (in aspettativa) Yassine el Fathaoui - per lanciare la sfida a Eliud Kipchoge & C. sui 42 chilometri della gara simbolo dei Giochi. Il 39enne originario del Marocco diventato italiano nel 2013 ("dopo 15 anni di contributi versati e dieci di residenza", ripete sempre orgoglioso lui) è il marziano - e la variabile impazzita - della spedizione azzurra a Sapporo. A 24 anni lavorava in una fabbrica di macchine per imbottigliamento, giochicchiava a calcio nella squadra del paese e non aveva mai corso nemmeno una non-competitiva di quartiere. Oggi lavora ancora in fabbrica - la Fornovo Gas di Traversetolo - e a forza di allenamenti in pausa pranzo "in tuta da lavoro perché i miei colleghi non se ne accorgessero" è arrivato di corsa in Giappone. Con un primato personale - 2h10'10 a Siviglia nel 2020 - che per il suo allenatore Giorgio Reggiani "è il vero record mondiale di maratona" e con intenzioni tutt'altro che decoubertiniane: "Arrivare nei primi dieci ed essere il primo degli italiani", predica da mesi con forte accento di Parma.
Il sogno olimpico di el Fathaoui inizia da zero nel 2006: "Eravamo colleghi - racconta Luca Bragazzi, corridore amatoriale del Traversetolo running club e suo "scopritore" - . Lui giocava a calcio a Bazzano. Non un granché con i piedi, mi raccontava il suo allenatore, ma un fiato pazzesco". El Fathaoui aveva 24 anni. Troppo vecchio - dicono i manuali - per sfondare nel pallone e in qualsiasi sport. "Una domenica però - racconta Bragazzi - a furia di insistere sono riuscito a convincerlo a fare con me e mia moglie il "giro della chiesa"". Dieci chilometri, un classico dei podisti da week-end della zona. Risultato: "Alla fine noi eravamo morti e lui giocava con i sassi senza un filo di fiatone".
Sapporo e i Giochi sono ancora lontani. Yassine si fa convincere da Luca a partecipare a qualche campestre "attirato più che altro dalle forme di parmigiano che davano come premio", ride Bragazzi. L'esordio alla prima non-competitiva non è un granché, - "sono arrivato nei primi cento", è il ricordo di Yassine - ma una gara alla volta la passione per la corsa gli entra nel sangue. Nel 2011, convinto dai suoi compagni di allenamento del Cus Parma, si iscrive alla Collermar-athon di Fano, 42 chilometri di saliscendi dai colli al mare. Per lui è divertimento puro Si accoda in partenza al gruppetto di Giorgio Calacaterra, il re delle ultramaratone italiane, tanto per vedere che effetto che fa. A sorpresa tiene il ritmo. Anzi, al trentesimo km. scatta, saluta la compagnia e va a chiudere a 2h29'.
El Fathaoui ha 29 anni. Troppi, dicono tutte le persone di buon senso, per pensare a un futuro nella maratona. Nel caso ci fossero dei dubbi, due infortuni lo inchiodano ai box per due anni. "Ma io sono un metalmeccanico che si impegna e dà credito alle sue possibilità" è il suo mantra. Si cura, si allena con la solita routine: otto ore in fabbrica alla Fornovo gas - "dove è uno dei migliori operai che abbiamo", come ha riconosciuto Ferdinando Bauzone, titolare dell'impresa - qualche allenamento in pausa pranzo ("una volta con gli scarponi da lavoro perché mi ero dimenticato le scarpette da corsa!") e altre due ore di pratica la sera dopo aver timbrato il cartellino.
Gli anni avanzano ma i tempi continuano a migliorare. Fino alla svolta, il 21 settembre 2019, alla Maratona di Berlino. "Mi sono iscritto perché ci andavano i miei amici", minimizza lui, reduce da due settimane di ferie rubate alla famiglia (moglie e figlia) per un ritiro in altura a Predazzo. Sarà. Parte, si sente bene. A un certo punto guarda il cronometro della macchina apripista che mostra la proiezione del tempi finale: 2 ore e 9 minuti. "Un po' mi vergognavo di stare lì", ha raccontato. Ma c'è. Tempo finale 2.11'08. Minimo olimpico.
Che fare? L'operaio El Fathaoui è preoccupato. I Giochi sono un sogno. Ma per Tokyo bisogna allenarsi. "Lui è un gran faticatore e non si tira mai indietro", dice Bragazzi. Ma per allenarsi serve tempo. E lui non può permettersi di perdere lo stipendio. Per fortuna la Fornovo gas è una famiglia: "L'ho visto allenarsi in ogni stagione e con qualsiasi tempo e non ha mai lasciato niente indietro sul lavoro", dice Bauzone. Detto, fatto. Arriva l'aspettativa. Sei mesi che ormai, complici pandemia e rinvio delle Olimpiadi, sono diventati due anni. "Ma non c'è problema. Quando avrà finito tornerà a lavorare - gli ha garantito Bauzone -. E' un onore aiutarlo. Lui rappresenta i nostri sogni che si realizzano". E' vero. E dopodomani, comunque vada El Fathaoui a Sapporo, sarà un successo. Poi il maratoneta per caso tornerà a lavorare in fabbrica.

Olimpiadi, pentathlon femminile, l’allenatrice tedesca picchia il cavallo che non salta: espulsa dai Giochi

di Flavio Vanetti

Anche in Germania, dove è molto alta la sensibilità nei confronti degli animali, è scoppiato un pandemonio

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Tu non salti? E io ti picchio. E’ scoppiato un caso nel pentathlon moderno e a farci le spese è stata l’allenatrice tedesca Kim Raisner, ex campionessa del mondo e d’Europa: ha percosso un cavallo, nella prova olimpica del 6 agosto, e ha invitato la sua cavallerizza impegnata in gara a fare altrettanto. Così è stata espulsa con effetto immediato dai Giochi e non ha potuto svolgere le sue funzioni nella competizione maschile: appena arrivata al Tokyo Olympics, lo stadio olimpico di Komazawa che fu il fulcro dei Giochi del 1964, alla Raisner è stato notificato che «era fuori», come avrebbe detto Donald Trump nel reality show «The Apprentice».
La fregatura della 48enne ex campionessa è stata anche che, in uno stadio senza spettatori, si sente tutto: quindi le sue urla e i suoi isterici incitamenti sono stati ben uditi in Tv; e in Germania, dove è molto alta la sensibilità nei confronti degli animali, è scoppiato un pandemonio. Sono fioccate le telefonate di protesta e l’’Uipm, la federazione internazionale di questa disciplina, ha dovuto prendere provvedimenti. La vicenda si lega anche al regolamento olimpico del pentathlon moderno: i concorrenti nella fase di salto non usano il proprio cavallo, quello con cui si allenano, ma ne devono montare uno estratto a sorte. Ciascun cavallerizzo ha a disposizione 20 minuti per prendere confidenza con l’animale e fare riscaldamento. Annika Schleu, l’allieva della Raisner, aveva avuto in sorte Saint Boy. Ma fin dall’inizio si è capito che il cavallo non era docile e che si comportava male, soprattutto quando si trattava di saltare. La Schleu stava andando bene ed era nelle prime posizioni. Ma domare Saint Boy stava diventando sempre più improbo: a ogni salto mancato aumentavano il suo nervosismo e la sua frustrazione. Non ce l’ha fatta più: lacrime di disperazione sul suo volto e un urlo disperato riecheggiato nello stadio vuoto. E’ a quel punto che l’allenatrice è intervenuta picchiando l’animale su una gamba posteriore e invitando la Schleu a farlo a sua volta senza esitazione. «Colpiscilo, colpiscilo: ma fallo per davvero» le ha gridato. Il suggerimento non è servito a nulla sul piano concreto: la Schleu ha visto solo aumentare il suo disagio, Saint Boy si è innervosito ancora di più e l’allenatrice ha rimediato il cartellino nero.Per la cronaca, una situazione analoga l’hanno vissuta altre due concorrenti, l’ungherese Michelle Gulyas e l’irlandese Natalya Coyle. Ma entrambe si sono ben guardate di imitare i tedeschi. Il capo squadra della Germania ai Giochi, Alfons Hoermann, ha ufficializzato che la Kaisner era stata cacciata e che non aveva diritto ad alcuna giustificazione: «Siamo stati tutti d’accordo sulla sua esclusione, certe cose non devono verificarsi». Non tutto il male viene però per nuocere. Questa vicenda, infatti, servirà a cambiare qualcosa. Proprio Hoermann ha infatti invitato l’Uipm a rivedere l’incidente e a trarre conclusioni «nell’ottica di migliorare le competizioni di pentathlon: bisogna tutelare di sicuro il benessere dei cavalli, ma anche fare in modo che gli atleti possano competere in modo equo».



unione  sarda 

Le calciatrici Usa terze a Tokyo. Trump: “Perché sono maniache di sinistra”

L'ex presidente attacca la nazionale, “colpevole” di tante battaglie sociali

                                                                  Megan Rapinoe 

Le calciatrici Usa terze a Tokyo. Trump: ““Maniache della sinistra radicale" L'ex presidente attacca la nazionale, “colpevole” di tante battaglie sociali Donald Trump attacca la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti arrivata “solo” terza alle Olimpiadi di Tokyo.L'ex presidente americano ha una sua teoria personale sul perché del gradino più basso del podio di una squadra che a lungo ha dominato la scena mondiale del calcio femminile. Le ragazze della nazionale, secondo lui, se non fossero così impegnate socialmente avrebbero ottenuto risultati migliori.Megan Rapinoe e compagne si sono sempre battute contro le ingiustizie sociali e le discriminazioni salariali tra uomini e donne, anche nello sport. "Questo porta ad essere destinate a perdere, ad essere perdenti" , incalza Trump.Nel 2019 la squadra campione del mondo si rifiutò di accettare il suo invito alla Casa Bianca.

L'arbitra italiana della lotta che gli iraniani non volevano: "Mi dicevano: sei una donna"dal nostro inviato Mattia Chiusano
Edit Dozsa (foto Emanuele Di Feliciantonio)

 
Nel torneo olimpico una direttice di gara internazionale, Edit Dozsa, di origine ungherese, genovese di adozione ed ex suocera di Chamizo: "Ho avuto problemi in passato, ma ora anche gli atleti di paesi islamici mi rispettano, hanno capito che sono qui per aiutarli. Nonostante le direttive del Cio questo resta uno sport maschilista, siamo solo 4 arbitri donna su 43”


06 AGOSTO 2021 



TOKYO - Nei tornei di lotta che si stanno disputando in questi giorni alla Makuhari Messe, anche in quelli in cui l'Italia non si è qualificata, l'Italia c'è. Nel centro dell'azione, a un passo dal tappeto dove si scaricano trazioni spaventose sui corpi di lottatori e lottatrici. Arbitrati con piglio deciso da una signora che si chiama Edit Dozsa, nata ungherese ma padrona ormai di una cadenza ligure da far invidia a un genovese. Ma niente a che vedere con le donne arbitro del calcio: in passato c'è chi Edit non la voleva. Non perché fosse incapace, anzi: ma perché è una donna.

Uno degli incontri arbitrati da Edit Dozsa a Tokyo: la tunisina Zaineb Sghaier contro la turca Yasemin Adar (reuters)



Cosa la ha portata da Budapest all'Italia, e da Genova a Tokyo?
"E ancora prima, ad arbitrare alle Olimpiadi di Pechino 2008 e a essere istruttrice arbitrale a Rio 2016? È stato mio marito Lucio Caneva, che portò i ragazzi che allenava in Ungheria dove io ero un'atleta. Un amore nato grazie alla lotta. Abbiamo due figli, entrambi lottatori: Aron e Dalma, che è stata a un passo dalla qualificazione a Tokyo. Io ormai mi sento ligure, e per il mondo della lotta sono italiana".
Un mondo difficile per una donna?
"E' uno sport ancora maschilista, purtroppo, nonostante le direttive del Cio. Alle Olimpiadi siamo in quattro su un totale di 43 arbitri, invece ci vorrebbe almeno il 30 % di presenza femminile. Qui il gender balance sono solo parole, sono arrabbiata".
In passato ha vissuto anche di peggio, sembra.
"Sono stata anche rifiutata. Ricordo un torneo internazionale a Sassari: dovevo arbitrare un iraniano, l'ho invitato sul tappeto ma lui non si muoveva, non capivo. Ha cominciato a puntare il dito contro di me, voleva il cambio di arbitro perché con una donna lui non avrebbe lottato. Coi colleghi siamo arrivati alla stessa conclusione, e l'abbiamo squalificato".
Si sono ripetuti episodi del genere?
"Sempre Sassari, un paio d'anni fa, sempre un iraniano. In un torneo della federazione mondiale invitiamo gli atleti a presentarsi bene sul podio, con la divisa ufficiale della federazione. Lo faccio presente a un atleta, che ribatte dicendo "siete donne, cosa volete da me?". A quel punto chiamiamo gli allenatori, comincia una discussione che va avanti per 35-40 minuti e anche questa termina con la squalifica. Quel ragazzo non si è più rivisto".
Com'è la situazione oggi con atleti di paesi in cui le donne non godono degli stessi diritti degli uomini?
"Cambiano le generazioni, cambia la mentalità. Lottatori di paesi islamici, Iran compreso, ci accettano di più. Dipende anche dagli atteggiamenti delle federazioni, degli allenatori, quel che succede poi sul tappeto. Diciamo che gli atleti ora ci rispettano".
Come ha fatto?
"Dopo tanti anni mi riconoscono, e capiscono che io sono lì per loro, a disposizione per aiutarli. Sono stata un'atleta, so cosa significa il momento che stanno vivendo. Qualcuno finisce pure per ringraziarmi".

Edit Dozsa con la figlia Dalma Caneva argento europeo (foto Emanuele Di Feliciantonio)

Voi Caneva siete la famiglia della lotta italiana: al punto che sua figlia Dalma sposò Frank Chamizo, che visse a lungo a casa vostra a Genova.
"Anche ora che si sono separati, Frank fa parte della nostra famiglia. Come non volergli bene? Erano così giovani lui e Dalma quando si sono incontrati, ognuno è cresciuto grazie a quell'incontro. Per me lui è come se fosse un figlio"









La lezione di April, talento e voglia di soffrire: ecco l'oro a 39 annidi Valentina DesalvoApril Ross (ansa)

Già bronzo e poi argento, la campionessa americana sale sul gradino più alto del podio del beach volley insieme alla compagna Alix Klineman: "Se penso a quello che abbiamo fatto mi sembra una follia e invece è successo"


Aveva trovato un lavoro: poteva fare la hostess e lasciare la pallavolo. "Mi faceva male la spalla, le ginocchia non reggevano, stavo programmando una vita altrove". Poi le compagne dell'University of Southern California la convinsero a provare con il beach. April Ross non amava il beach e soprattutto si sentiva molto scarsa, ma si fece convincere, decise di iniziare e nel 2006, a 24 anni, debuttò nei circuiti ufficiali, ad Acapulco.
Oggi, a 39 anni, ha vinto l'oro a Tokyo insieme a Alix Klineman, una coppia chiamata "team degli abbracci" per la frequenza con cui si scambia gesti d'affetto. Hanno battuto 2-0 le australiane in finale e per April, la più vecchia giocatrice a vincere ai Giochi nel beach, è la terza medaglia olimpica, la più bella. Nel 2021 a Londra aveva vinto l'argento con Jen Kessy, nel 2016 a Rio il bronzo con Kerri Walsh Jennings e adesso l'oro.
Grazie al beach ha guadagnato 3 milioni di dollari tra sponsor e premi, si diverte su instagram (ha 180 mila followers), ama lo yoga e con Alix è diventata una bambola fatta dall'American Girl Brand. "Se penso a quello che abbiamo fatto mi sembra una follia e invece è successo", ha detto alla fine abbracciata ad Alix e alla bandiera Usa. In attesa della finale femminile di volley e del basket, il dream team sono loro.

6.8.21

Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

 distratto  dale olimpiadi  e  da raccontare  le  loro storie   ho  letto con un po'  di ritardo     questa storia  


Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

Angelo non ce l’ha fatta: è morto il cane “simbolo” degli incendi in Sardegna

«Non soffre più». Sono bastate queste semplici parole, postate nella notte dalla Clinica Duemari di Oristano, e migliaia di persone hanno capito: sopravvissuto all'incendio che ha devastato l'Oristanese a fine luglio, il cane Angelo non ce l'ha fatta. La foto che lo mostrava gravemente ustionato, dopo che il volontario da cui ha preso il nome l'aveva salvato, aveva fatto il giro del web, diventando il simbolo delle sofferenze patite dagli animali nell'implacabile rogo. Quattro ore prima della comunicazione del decesso, i veterinari della clinica dove Angelo era stato postato avevano avvertito che le cose volgevano al peggio: «Il suo organismo sta cedendo».

Il cane, come la cerbiatta 'Lussurzesa' trovata accanto alla carcassa carbonizzata della madre, era uno degli animali riusciti a sopravvivere al fuoco che ha distrutto il Montiferru. In un primo momento fonti locali avevano raccontato che era un cane pastore rimasto a proteggere il suo gregge. Una versione poi smentita: «Mi dispiace smontare la storia romantica del cane che si è fatto bruciare per non abbandonare le sue pecore», aveva precisato Angelo Delogu, il veterinario che aveva soccorso l'animale. Angelo non era un eroe, ma una vittima degli incendi: era rimasto bloccato su un muretto. Le fiamme gli avevano provocato pesanti ustioni ai polpastrelli, alla pancia e al muso.

Il cane beve acqua in clinica, segnali di speranza dopo le ustioni in Sardegna

Tutti speravano che riuscisse a salvarsi, ma così non è stato. E tutto questo nonostante le medicazioni quattro volte al giorno, gli antidolorifici e gli antibiotici, le condizioni del cane sono peggiorate. Intanto, alla clinica continuano ad affluire animali feriti nell'incendio. Ieri è arrivata una femmina di cinghiale da Cuglieri (Oristano), con ustioni alle zampe, com'è accaduto a 'Lussurzesa' che, intanto, sta meglio, anche se i veterinari hanno rimediato qualche contusione nei tentativi di curarla.


5.8.21

storie olimpiche parte VI . il rilassamento delle arti marziali , boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo, Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie

 

Tokyo 2020, chi è Massimo Stano, medaglia d'oro nella 20 chilometri di marcia


Massimo Stano taglia il traguardo prima di tutti nella 20 chilometri di marcia e riporta l'Italia sul gradino più alto del podio in questo sport a 13 anni dall’impresa di Alex Schwazer, nella 50 km di Pechino. Un diploma diprogrammatore informatico e originario di Palo del Colle, in provincia di Bari, Stano vive a Ostia con la moglie Fatima Lotfi, anche lei marciatrice dopo un passato nei tremila siepi. Per sposarla, ha dovuto convertirsi all’Islam. I due hanno una figlia di 5 mesi e mezzo, Sophie, a cui il marciatore ha dedicato la vittoria portandosi il pollice alla bocca dopo aver tagliato il traguardo. L'ARTICOLO Massimo Stano, chi è l'oro olimpico nella 20 km di marcia che si convertito all'Islam per amore





Impreparati alla sofferenza, per l'Olimpiade serve di più     di Valentina Desalvo
Paola Egonu (ansa)



Gli errori commessi e le lezioni del passato messe da parte: ecco perché le nazionali di volley non sono riuscite ad arrivare alla zona medaglie
04 AGOSTO 2021

Nello sport i titoli non si ereditano, si conquistano. A Tokyo la pallavolo azzurra è stata buttata fuori dalle semifinali perché non è mai stata all'altezza della sua storia. Non dei suoi successi ma del lavoro fatto per costruirli. Vale per la Nazionale maschile e per quella femminile. Non basta avere bravi giocatori o un tesoro come Paola Egonu se si arriva ai Giochi senza una preparazione olimpica.
La lezione del passato, sfidare i più forti, le più forti, in partite vere per prepararsi alla pressione e crescere insieme, è stata messa da parte. Per tanti motivi (alcuni anche ragionevoli, certo). Dimenticando che l'educazione comune, il gioco, la difesa, la capacità di soffrire senza andare in pezzi, non sono poteri magici. Se cambi un centrale e una schiacciatrice, ci vogliono partite e partite perché l'intesa con l'alzatrice non sia solo quella del riscaldamento, dove è facilissimo fare i buchi nei tre metri come nei cartoni di Mimì e le ragazze della pallavolo.
Si può ripartire, bisogna farlo. Senza dimenticare che una squadra non è una somma di talenti: l'ha mostrato l'Italia del calcio. Come disse Velasco: io posso fare una torta buonissima e anche le noci sono buonissime, ma magari le noci rendono immangiabile quella torta. E bisogna saperlo prima, senza assaggiare il dolce mentre ti stai giocando un'ipotesi di medaglia.
ha ragione Mazzanti Alle ragazze avevo detto di staccarsi dai social cercate di staccarvi da tutto quello che vi circonda perché la melma, quando te la tirano, è melma". Non abbiamo perso a causa dei social, per carità, ma dobbiamo crescere da questo punto di vista"  Infastti  : << [...continua  l'url sopracitato ]   Le ragazze del volley, così mediatiche, sorridenti e vincenti, con diverse storie particolari di immigrazione, integrazione, a volte razzismo subito e denunciato, non hanno saputo evidentemente
Mazzanti 
affrontare l'onda negativa e hanno faticato a rimettersi in piedi non appena un granello di sabbia ha rovinato equilibri stabiliti e certezze di mesi, di anni. Non è diverso ciò che è accaduto a Simone Biles, che ha attaccato duramente la comunità virtuale, rea di averla aggredita all'istante dopo l'uscita dalla gara nel concorso a squadre. Messaggi venati di razzismo e contrapposizioni in salsa trumpiana con la vicenda di Kerri Strug, che ad Atlanta '96 proseguì la gara del volteggio nel concorso a squadre nonostante una grave infortunio alla caviglia: il suo volteggio claudicante portò comunque al Team Usa i punti necessari all'oro e Kerri Strug divenne un'eroina nazionale.
Hanno denunciato i social anche Naomi Osaka e il nuotatore inglese Adam Peaty che ha annunciato un mese di stop dai social "perche ho bisogno di riprendermi mentalmente". Eppure lui aveva vinto due ori e un argento. A maggio una protesta partita dal mondo del cricket inglese aveva portato molti calciatori a rinunciare ai social per un weekend in segno di solidarietà e di protesta. Il tema è attualissimo.>>











Giappone, boom di baby medaglie nel paese più vecchio del mondo
                                             dal nostro inviato Giampaolo VisettiLa giapponese Yui Ohashi, oro nei 200 e 400 misti (ansa)

L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi
05 AGOSTO 2021 



TOKYO - "Per una bambina salire sul podio alle Olimpiadi significa sapere che il giorno più bello della vita è già alle spalle. Per questo dedico il mio successo a mia nonna: in oltre novant'anni una gioia simile non l'ha provata". Con poche parole Kokona Hiraki ha costretto il Giappone a passare dall'entusiasmo alla commozione. Conquistando il secondo posto nello skateboard Park, all'età di 12 anni 11 mesi e 9 giorni, è diventata la più giovane medaglia d'argento nella storia delle Olimpiadi.
A impedirle di battere il record della tuffatrice Usa Marjorie Gestring, oro ai Giochi di Berlino nel 1936 a 13 anni e 267 giorni, nell'Ariake Urban Sports Park è stata la connazionale Sakura Yosozumi, attempata atleta di 19 anni arrivata prima. Al terzo posto si è piazzata l'anglo-nipponica tredicenne Sky Sukai Brown, al quarto la quindicenne star nazionale Misugu Okamoto. Il Giappone è il Paese più vecchio del mondo ma il trionfo dei suoi atleti-bambini ai Giochi aiuta a dimenticare il costoso dramma del suo inarrestabile crollo demografico, simbolo del tramonto della seconda economia dell'Asia. Sempre nello skateboard, specialità Street, si sono imposti altri due teenager giapponesi: Momiji Nishiya, 13 anni e 330 giorni, e il ventiduenne idolo delle adolescenti Yuto Horigome. In queste ore a Tokyo l'olimpico baby-boom nazionale oscura l'accelerazione della pandemia, con milioni di anziani costretti a curarsi in casa, e i dati statistici che rivelano come ormai il 30% dei giapponesi ha più di 65 anni.
L'ebbrezza di percepirsi collettivamente giovani e sportivi soffia ottimismo anche sui mercati finanziari, che da mesi aspettavano un pretesto per fingere di ignorare il peso di un altro primato mondiale: il debito pubblico, pur in mani interne, al 257%. L'effetto-bambini di successo ai Giochi vale già miliardi e non si scatena per caso. Le autorità, da quando sono riuscite ad aggiudicarsi le Olimpiadi presentate come necessarie per la ricostruzione post-Fukushima, hanno lavorato per questo. Il passo decisivo per la pianificazione del fattore-lifting, economico e mentale, è stato convincere il Cio a far debuttare proprio a Tokyo 2020 gli sport che oggi più appassionano i ragazzini.
Non è solo un colpo di spazzola contro la polvere di un ripetitivo evento globale. Tokyo ha preteso di sancire l'esordio olimpico di surf, skateboard e arrampicata sportiva non solo per ragioni commerciali, ma per presentarsi al mondo come una superpotenza ancora contemporanea e capace di affrontare il futuro. Alle tre discipline baby ha aggiunto il karate, nato otto secoli fa sull'isola di Okinawa, per rivendicare la titolarità della tradizione nelle arti marziali. Il ritorno di baseball e softball, sospesi ai Giochi dal 2008, completa solo il disegno teso a presentare il Paese come il più sensibile riferimento asiatico dell'Occidente sia per avanguardia che per civiltà. Ciò che per il governo di Yoshihide Suga davvero conta, oggi è però sfruttare i Giochi per mostrare ai giapponesi e ai mercati le facce vincenti di una pur decimata gioventù nazionale.
Nel surf il Giappone ha conquistato due medaglie su sei. Nello skateboard ha semplicemente dominato, facendo un pieno di successi-junior che sta contribuendo in misura sostanziale a porlo solo alle spalle di Cina e Usa nel medagliere. Nell'arrampicata sportiva i giovani climbers nipponici si giocano il podio sia tra le femmine che tra i maschi. Dalle ragazze del softball è arrivato l'oro, i campioni del baseball sabato giocano la finale. Senza l'olimpico fattore-teenager, l'umore dell'invecchiata nazione in cui il 30% della forza lavoro ha più di 65 anni sarebbe oggi decisamente cupo. La realtà infatti, mentre l'età media delle medaglie giapponesi è per distacco la più bassa dei Giochi, è che su 126 milioni di abitanti il 21%, pari a 26,2 milioni di persone, ha già superato i 70 anni. Oltre i 65 anni sono già 37 milioni di persone, pari a quasi un giapponese su tre.

A pesare sulla previdenza, con il crollo verticale delle culle, l'attesa media di vita record a 84,7 anni e il blocco totale opposto all'immigrazione, tra le cause dell'elevato costo del lavoro che frena competitività ed export. Le stime economiche misurano oggi in un quarto di punto di Pil del Giappone la capacità di sostenere la crescita da parte dell'ottimismo popolare, indotto dalla ritrovata sensazione del Paese di "non essere ancora un ramo secco, ma un germoglio pieno di energie". Non basterà, ma il nulla è peggio. Le analogie con l'Italia si limitano all'invecchiamento. Anche nel nostro Paese il 29% dei 60 milioni di abitanti ha più di 65 anni, rispetto al 19% dei giovani sotto 20 anni. Ad ogni bambino italiano corrispondono cinque anziani: nel 1951 l'età media era di 32 anni mentre oggi è di 46. Nello sport però, questo almeno dicono ad oggi le Olimpiadi di Tokyo, in Italia si è fatto poco per sostenere a livello agonistico le discipline più amate dai giovanissimi: sia per rassicurare le famiglie e arginare il calo demografico che per creare un clima economico favorevole alla ripresa. Escludendo il karate, dove le gare sono ancora in corso, nessun italiano ha conquistato una medaglia negli sport al debutto olimpico perché più praticati e seguiti da bambini e adolescenti.
Evidenti, per un simile risultato, le carenze del sistema scuola-università, in cui già una vecchia palestra rappresenta una non scontato privilegio. "Se sono qui - ha detto l'arrampicatrice giapponese Miho Nonaka, nata al mare e candidata al podio assieme alla connazionale Akiyo Noguchi - è perché nel mio asilo c'era una parete attrezzata per salire". La mancanza di baby-successi per gli azzurri alla fine pesa. Tokyo 2020 dice così che il Giappone è un Paese di vecchi che conosce il valore dei giovani, anche se solo apparenti. L'Italia rischia di rimanere una nazione anziana che nemmeno fa qualcosa per sembrare un posto per giovani.





Bottaro prima medaglia della storia nel karate: "Ho iniziato per difendermi"dal nostro inviato Mattia ChiusanoViviana Bottaro a Tokyo (reuters)


La genovese specialista del kata è medaglia di bronzo: "Piango pensando di essere qui, da piccola al massimo potevo sognare i Mondiali. Ai miei genitori piaceva l'idea che le figlie potessero difendersi"
05 AGOSTO 2021




TOKYO - "Io piango, ogni volta per l'emozione. Noi del karate nemmeno immaginavamo tutto questo, invece siamo alle Olimpiadi. Da piccola non potevo sognare di diventare campionessa olimpica, perché ai Giochi non eravamo ammessi, quindi sognavo l'oro ai Mondiali". È una donna minuta, con occhi fiammeggianti, a fare la storia nel tempio del Nippon Budokan: prima italiana a gareggiare nel karate al debutto olimpico, e prima medaglia dopo aver vinto la finale per il bronzo contro l'americana Sakura Kokumai. Genovese, trentatré anni, l'atleta delle Fiamme Oro è una specialista del kata, parola che esprime il concetto di "forma" e si combatte contro un avversario immaginario con gesti plastici o ad altissima velocità.
Come nasce la sua storia che arriva fino a Tokyo?
"C'era una palestra sotto casa, e a papà e mamma piaceva l'idea di far fare karate a me e a mia sorella Valeria, con l'idea di potersi difendere un domani. Per un genitore che ha due figlie femmine sapere che si possano difendere è una cosa bella. Così sono entrata in palestra, poi mi sono subito innamorata, e da lì non ho più smesso: avevo sei anni".
Quando il karate è diventato qualcosa di più consistente?
"A dieci anni ho incontrato il maestro Claudio Albertini che mi ha cresciuto fino a quando ne avevo ventisei, nella palestra di Quinto a Nervi. Poi sono entrata nella Fiamme Oro"
Quando ha capito che poteva diventare la sua vita?
"Le prospettive di lavoro non erano grandissime, entrare in un gruppo sportivo era difficile per una disciplina non olimpica. Io lo facevo perché mi piaceva, vincevo e le cose sono venute spontaneamente, non c'è stato niente di ossessivo. Nel frattempo mi sono laureata".
In che cosa?
"Scienze motorie a Genova, partecipando come una studentessa normale, non come atleta, ma con l'obbligo di frequenza, sessioni rinviate perché ero impegnata con le gare in giro per il mondo. Ci ho messo cinque anni per la triennale perché non c'ero mai. Una bella soddisfazione, oggi ci sono tutte queste lauree telematiche che fai da casa, invece io l'ho vissuta proprio bene".
Ha vinto un bronzo mondiale e un europeo, quale è il suo punto di forza?
"Sono geneticamente - mi hanno sempre detto - dotata di fibre bianche, esplosive, quindi sono molto veloce. Essendo bassa, dal baricentro basso, riesco a eseguire tutte le tecniche in maniera rapida. La velocità, quindi, poi l'espressività. A ogni gesto devi dare un significato, e io penso che negli anni sono riuscita a portare non un esercizio fisico, ma qualcosa di più".
Quanto conta saper recitare nel kata?
"Noi eseguiamo delle forme con cui dimostriamo all'arbitro che stiamo combattendo, anche se contro il vuoto. A volte ci sono atleti meno tecnici che prevalgono perché riescono a comunicare di più. Quindi io mi affido a visualizzazione, tecniche mentali, per mettere in scena me stessa. Poi, certo, conta la discrezione arbitrale, di sette giudici che danno punteggi come nel pattinaggio artistico".
Quanto pesa l'assenza del pubblico giapponese per il karate?
"Si sente lo stesso che siamo al Budokan, che siamo in Giappone, a casa loro, però è tutto da decidere. Per una medaglia si deve fare sempre molto di più del necessario: bisogna straconvincere per convincere".










Luigi Busà “Ero un ragazzo obeso ora sfido i maestri a casa loro”dal nostro inviato Mattia Chiusano


Il karateka siciliano ricorda gli inizi: "Pesavo 94 chili, soltanto mio padre ha visto in me qualcosa di speciale. Ho vinto due mondiali e qui ho già battuto gli idoli locali fra gli applausi"



TOKYO – Busà chi? Accanto a Filippo Ganna, Gregorio Paltrinieri o le ragazze del fioretto, spunta all’improvviso questo nome fra le stelle maggiormente accreditate di una chance di vittoria nella spedizione azzurra. Piazzato lì, tra le possibili medaglie d’oro italiane alle Olimpiadi di Tokyo dalle proiezioni di Nielsen Gracenote, società leader mondiale di dati e tecnologia per l’intrattenimento che prevede l’andamento di tutte le discipline e tutte le nazioni a Tokyo. E nel karate, una delle nuove specialità appena inserite nel programma olimpico, il favorito sarebbe appunto Luigi Busà, siciliano di 33 anni, campione del mondo a Tampere 2006 e a Parigi 2012, due sorelle (Lorena e Cristina) altrettanto brave e famose sul tatami. La sua costanza nel tempo lo ha premiato fino a vedere il suo sport riconosciuto sotto i cinque cerchi. E ora potrà giocarsi la sua chance olimpica proprio nella patria di quest’arte nobile nata sull’isola di Okinawa.
"Sono stato fortunato, ma ho saputo anche gestirmi bene. Mangiare bene, riposare, una vita più sana possibile. Niente fritture, pochissimo cibo spazzatura. A venticinque anni ho capito che non recuperavo più certe “serate” come prima, che serviva un giorno per riprendersi dopo essermi nutrito male. È una scelta di vita essere un atleta".
Dove comincia la sua storia?
"Dalla mia famiglia ad Avola, provincia di Siracusa, da mio padre Nello che è allenatore. Dalla mia terra dove torno a vedere il mare quando ho bisogno di rilassarmi".
Subito un colpo di fulmine per il karate?
"È cominciata come un gioco, all’inizio ero un ragazzo obeso, chi poteva pensare alle Olimpiadi? Ero molto ciccione, mi piaceva mangiare, a 13 anni pesavo 94 chili, ed ero più basso di adesso".
Che cosa è successo?
"Solo mio padre vedeva in me qualcosa di speciale, lui è stato atleta, vedeva comunque che da piccolo vincevo campionati cadetti e qualcosa di serio potevo diventare. Il problema è che a 16 anni combattevo nei pesi massimi, e mi fecero capire che a livello internazionale non sarebbe stata una buona scelta: colpi e impatti troppo duri. Dovevo dimagrire, scendere nei medi a 75 chili. Ho fatto la dieta, e da quella categoria non mi sono più mosso. Dal gioco sono passato al lavoro, nel centro sportivo dei Carabinieri: sono appuntato".
Con un bel curriculum.
"Due mondiali senior più uno under 21, cinque titoli europei. E ora il premio delle Olimpiadi che noi del karate aspettavamo da sempre".
Come sarà il karate a Tokyo 2020?
"Ci sarà il Kata, che ha una giuria come nella ginnastica artistica che giudica le esibizioni. Poi il Kumitè, il combattimento vero e proprio, uno contro l’altro. Facciamo due gironi all’italiana, i primi due vanno in semifinale, tutto in una giornata. I nostri incontri durano due-tre minuti, ma con tutte le interruzioni arrivano anche a otto. I colpi che arrivano fanno male, i lividi restano anche settimane".
Quale è il suo punto di forza?
"La velocità e l’estrosità, sono molto fantasioso, se riesco a incastrare divertimento e concentrazione riesco a fare veramente bene".
Il karate in Giappone: anche senza pubblico le darà motivazioni particolari?
"Farà effetto combattere dove tutto è iniziato. E magari vincere, come mi è già capitato a Tokyo e Okinawa in Coppa del mondo. Mi hanno applaudito, anche se avevo battuto l’atleta di casa. Questo è bellissimo in Giappone".


Andrea Ferraris una zanzara nell'orecchio storia di Sarvari . recensione - intervista

Degli amici  di famiglia mi hano regalato   il bellissimo  Graphic  novel  di Andrea Ferraris  :  Una  zanzara  nell'orecchio   storia  di Sarvari (Einaudi editore) .
Non credevo  che  un   graphic novel, forse  è da poco che  mi sto  avvenutando   in questo  genere   \ tipo di fumetti    trattasse  storie  cosi  delicate  . Infatti  è  per  questo   che   ho riletto  per  3 di seguito  volte l'opera  ( di solito appena  comprato \  regalato  mi bastano  una \ massimo    due  )  : <<  [...] Ferraris disegna a matita, in maniera giustamente confidenziale, come ci ha abituati con i suoi precedenti lavori non disneyani (Churubusco, La cicatrice, La lingua del diavolo). Dà vita così, con salutare immediatezza, a un’opera tenera, sincera e ottimista, una volta tanto.>> ( da   https://www.artribune.com/  più precisamente   qui   ) La parola «adozione» non si può dire che arrivi improvvisa nella vita di Andrea. Tuttavia riesce, senza che ci sia stato il tempo di digerirla, a scombussolare il quieto tran tran che regola la sua vita di disegnatore di fumetti e frequentatore della movida cittadina. Soprattutto, lo mette davanti allo scoglio più grande, quello di immaginarsi padre. Ad aiutarlo, in questo caso, c'è Daniela, con la quale si crea un'intimità diversa, una sintonia nuova. I due si sposano e insieme si lanciano in un viaggio burocratico per adottare un bambino. Tra riunioni snervanti, colloqui con psicologi e assistenti sociali, rimangono sospesi in un limbo senza scadenza, fino al giorno in cui conoscono l'abbinamento con il Paese d'adozione, l'India, e il nome della bimba di cui saranno genitori: Sarvari. Un nome evocativo e pieno d'incanto, che vuol dire «Notte» o «Raga musicale».


 L'atterraggio a Mumbai è l'inizio di una nuova vita, anche se l'incontro con Sarvari si rivela più difficile del previsto. Eppure Andrea e Daniela imparano a stabilire un contatto che sembra impossibile, a spazzare via quei mille dubbi che ronzano fastidiosamente nelle orecchie: è stata la scelta giusta? E così dopo un forte temporale, attraverso gli occhi di quella bimba venuta da un Paese lontano ricco di colori, capiscono che ce l'hanno fatta. Sono diventati una famiglia. Una storia felice di adozione, integrazione e paternità. Un graphic novel dolce e pieno di vita che parla la lingua universale dell'amore .  Infatti   esso
è  è la storia delle mille difficoltà, ansie, desideri, incomprensioni e infine gioie incredibili che si celano dietro la parola "adozione".
Un  bellissimo racconto sentito, che esprime la voglia di diventare genitori del fumettista Andrea e della sua compagna (e futura moglie) Daniela, inconsapevoli del lungo e tortuoso tragitto per giungere da Sarvari: un nome evocativo, che vuol dire «Notte» o «Raga musicale», per una bimba di Mumbai la cui integrazione sarà complicata, piena di piccole e grandi insidie, fino a diventare parte di una nuova famiglia.
Una graphic novel sublime , resa visivamente in maniera suggestiva e con metafore poetiche, a volte ironiche e  autoironiche , del tutto appropriate e potenti, frutto del talento immenso di un grande narratore che sa usare le immagini per raccontare la realtà e dimostra di non aver paura di mettersi in gioco .  Un abile  narratore  che  sa   usare le immagini per raccontare la realtà e dimostra di non aver paura di mettersi in gioco.. è la storia delle mille difficoltà, ansie, desideri, incomprensioni e infine gioie incredibili che si celano dietro la parola "adozione".
Un racconto sentito ed  intimo , che esprime la voglia di diventare genitori del fumettista Andrea e della sua compagna (e futura moglie) Daniela, inconsapevoli del lungo e tortuoso tragitto per giungere da Sarvari: un nome evocativo, che vuol dire «Notte» o «Raga musicale», per una bimba di Mumbai la cui integrazione sarà complicata, piena di piccole e grandi insidie, fino a diventare parte di una nuova famiglia.I  colori     i  disegni specie   quelli  dela  2   parte    sono   stupendi   che sembra  di vedere  un film   in Blueray o in  Hd  .     In pratica  come    se     stessi  seguendo la loro storia  dal  vivo  .    Tale   raconto  ha  suscito in me  una  caterva d'emozioni   di rimettermi in gioco ed  esplorare  nuovi territori  e nuove  emozioni     proprio come  fa  l'autore :  « Non tutto per me era risolto. Da tempo cercavo di scovare, da qualche parte, il mio istinto paterno. Ma nella giunga di emozioni nella quale mi muovevo non ce n'era traccia »  (   da  https://www.doppiozero.com/materiali Ed  un  voler  approfonire  detterminate  tematiche     ovvero il dietro le  quinte   è quindi  ho intervistato l'autore  . 


rileggendo per la seconda vota , in quanto preso dal seguire testo e disegni non avevo notato subito come fosse cambiasse la colorazione tra le varie parti della storia , e chiaccherando con amici comuni ( che poi sono queli che mi hanno fatto conoscere le tue produzioni non disneyiane ) , ho notato che tae storia era già pronta da un bel po' ma che l'hai tenuta nel cassetto e l'hai pubblicata solo ora .Confermi tale mia supposizione ?

Si, giusto. La storia era nel cassetto da un bel pezzo.

se dovessi confermarla perchè cosa ti ha indotto ad indugiare cosi tanto ?

Il fatto che Sarvari non desiderava farla diventare un libro. Tanto che l’avevo dimenticata.
È stata Sarvari che, ad un certo momento, ci chiese che fine avesse fatto l’idea di raccontare la sua storia. Era arrivato il momento di riprenderla in mano...

il passaggio tra la vita alla minni e topolino al matrimonio \ desiderio di paternità che poi vi porterà
al matrimonio ed all'iter d'adozione è avvenuto spontaneamente oppure in due ?

È sopratutto Daniela a manifestare la voglia/bisogno di diventare madre. Io non ci pensavo. Mi sono lasciato trasportare dal suo entusiasmo. Credo però di essere stato un buon marinaio che ha eseguito le manovre e che alla fine è rimasto felicemente travolto dagli eventi.

avevate già in mente quale paese scegliere per l'adozione oppure è sto il caso nonostante ci fossero già come si evidenzia nella prima parte dei segnali premonitori ?

Non abbiamo scelto nulla. Il paese in cui saremmo stati adottati è arrivato improvviso, prima dell’abbinamento con Sarvari. Nel libro ho giocato un pò sul fatto che qualche segnale del paese dove saremmo andati c’era stato durante il matrimonio. Un modo per snellire le informazioni che stavo dando.

come ha reagito Sarvari quando hai deciso di pubblicare la vostra che poi , dal titolo è anche sua ?

Appunto è stata lei a chiedere di farlo. Ha partecipato attivamente. Ha letto il testo che ho scritto e ha controllato giornalmente i disegni delle pagine che realizzavo intervenendo con richieste e consigli.

visto che la zanzara nell'orecchio ha colpito anche voi ci sarà un seguito italiano della storia di
Sarvari ?

Non credo, anche se certo, mai dire mai. In diversi mi dicono di essere curiosi di conoscere come Sarvari si è integrata nel nostro mondo.

il libro è stato scritto \ disegnato a caldo cioè man mano che la vicenda s'evolveva oppure a freddo una volta che si è conclusa cioè quando Sarvari è arrivata in italia ?


L’ho scritto “a freddo”. Sono passati 15 anni dal momento in cui ci siamo incontrati a Mumbai. Ho ripreso gli appunti, i filmati, le fotografie, i vari documenti e ho cominciato a mettere ordine. È stato come aprire il vaso dei ricordi. Molte cose che credevamo dimenticate sono tornate a galla. Ci siamo resi conto che tutto era ancora chiarissimo.


Nello scriverlo ti sei basato solo sui vostri , visto che la storia \ vicenda è una vicenda corale , ricordi oppure avete usate anche diari \ appunti e magari se scritto a freddo cioè dopo anni i ricordi di Sarvari ?

Avevamo raccolto molto materiale. Ci ha aiutato a tornare a quelle incredibili giornate ma i ricordi in realtà erano nitidissimi ed è stato facile farsi trasportare dall’onda. ( ma forse ho già risposto sopra...)

 Avrei altre  domande   da  fargli  ma , non vorrei  risultare   stressante   .me  le conservero   per  l'eventuale seguito perchè credo  che  , visto  il forte  successo  , non mancherà  . 

4.8.21

il peggior nuotatore della storia , la no vax pentita che invita a vaccinarsi ,


  da   https://storiecorrenti.com/


Il peggior nuotatore della storia


By Andrea Sylos Labini
-30 Luglio 2021



Il peggior nuotatore della storia non sono io. O meglio, probabilmente lo sono, ma non ho guadagnato questo titolo a livello internazionale.Questa pregiata onoreficenza spetta ad un ragazzone della Guinea Equatoriale che risponde al nome di Eric Muossambani, ma sento davvero che anch’io ho qualcosa in comune con lui.Io che ho avuto in dono dal buon Dio un fisico poco portato per lo sport in generale, e decisamente “poco acquatico” nel particolare.Io che quando ero piccolo i miei decisero che dovevo fare un po’ di nuoto (all’epoca non è che lo sport te lo sceglievi) perchè faceva bene al fisico, dicevano;Io che avevo una sorella cinque anni più piccola, e mia madre per ottimizzare gli accompagnamenti in piscina cercò due corsi che si svolgessero contemporaneamente;Io che ebbi la sfiga che a quell’ora c’era un solo corso adatto al mio livello, che disgraziatamente coincideva con quello di mia sorella; e cosi io quattordicenne e lei novenne finimmo nello stesso corso popolato da bambini di dieci anni;Io che ero una frana a nuotare, tanto che nelle vasche a rana (quanto l’ho odiata la rana) i bambinetti per superarmi nella corsia mi superavano passando sott’acqua;Io che nelle dannatissime garette di fine corso ebbi un moto di orgoglio e decisi che almeno a stile libero, dovevo salvare la faccia e arrivare davanti ai mocciosi, costi quel che costi.Così in acqua quel pomeriggio diedi tutto quello che avevo, e forse rischiai anche un po’ la pelle, e ancora ricordo quelle due vasche a stile come uno degli sforzi maggiori della mia vita;Io che avevo rimosso questo ricordo, finchè non ho sentito la storia che adesso vi vado a raccontare. E quando ho visto il video -che trovate nel primo commento- ho potuto sentire sulla mia pelle lo sforzo eroico di ogni bracciata di Eric Moussambani, detto “l’anguilla”.Moussambani era un pallavolista amatoriale, nato e cresciuto nella Guinea equatoriale, e fino all’età di 21 anni non aveva mai imparato a nuotare.Poi nel 2000 la Guinea rientra in un programma per l’incentivazione dello sport nei paesi in via di sviluppo, e ottiene una Wild Card per il nuoto per le Olimpiadi di Sidney, quelle del nuovo millennio.Eric impara a nuotare alla meno peggio, un po’ in mare, un po’ nei fiumi, un po’ nell’unica piscina che ha a disposizione, quella dell’Hotel Ureca a Malabo.Con questo pregevole curriculum, forse unico nuotatore del suo paese, Eric parte per Sidney, partecipa alla cerimonia di apertura come portabandiera per la Guinea, e si presenta in piscina il giorno della gara: 100 mt stile libero.E’ una gara di qualificazione, per accedere alle fasi finali bisogna rientrare in un certo tempo, gli organizzatori lasciano da soli un’ultimissima batteria i tre “desperados” possessori di Wild card: Karim Bare dalla Nigeria, tale Farkod Oripov dal Tagikistan, ed il nostro valoroso Eric.E’ una gara apparentemente senza senso, nessuno dei tre ha speranze di rientrare nei tempi per accedere alle finali, ma si svolge comunque nello stadio del nuoto, davanti a 17.000 spettatori.In una piscina olimpionica di 50 mt.Eric una piscina di 50 mt non l’ha mai vista, quella dell’Hotel Ureca sarà grande si e no una quindicina, e la cosa deve aver influito nella scelta della gestione delle energie.Bene, in questi giorni di Olimpiadi abbiamo tutti negli occhi una gara di nuoto olimpica: atleti in tutine iperaderenti che salgono in pedana, sciogono i muscoli, sistemano cuffia e occhialini, poi si tutffano e partono con un ritmo indiavolato che va crescendo nel corso della gara, negli ultimi metri sembrano motoscafi.Eric sale in pedana con l’aria del condannato al patibolo: non ha tutine aderenti, non ha cuffia. Ha solo un costume mutanda slacciato e degli occhialini con l’elastico che svolazza.I suoi due compagni di batteria prendono un clamoroso abbaglio: si buttano in acqua pima dello start. Squalificati.Eric rimane al suo posto, aspetta il segnale di partenza e si tuffa in acqua in modo un po’ sgraziato.Solo.Con 17.000 spettatori che lo fischiano e ridono.Eric percorre la prima vasca a tutta birra, o per lo meno con quella che è la sua versione di “a tutta birra”: ben diversa da come siamo abituati a vedere alle olimpiadi, ma con un certa innegabile cazzimma.Arriva alla sponda dei 50 mt, vira in modo abbastanza dignitoso, ed inizia il ritorno.Il lunghissimo ritorno.Eric sembra aver bruciato tutte le sue energie nei primi 50 mt, e affronta la seconda vasca decisamente affaticato.Più aumenta la fatica, più la sua azione perde efficacia. Dapprima si scoordinano le gambe, poi le braccia e infine la testa. Gli ultimi 25 metri le gambe quasi non le usa più, devono essergli diventate dei pezzi di legno, e le braccia e la testa sembrano mosse dalla forza della disperazione.Ma Eric non molla.E’ solo, qualunque sia l’esito comunque non si qualificherà, il suo dovere ormai l’ha fatto, gambe e braccia devono bruciargli da morire e immagino quanto gli manchi il respiro.I cordoli delle corsie sono lì a portata di mano, e sarebbe tanto facile aggrapparsi e porre fine all’agonia.Ma Eric non molla, e continua a buttare lì bracciate scoordinate, che sono ognuna un inno alla sofferenza.E qui il miracolo dello sport: il pubblico se ne accorge, smette di ridere ed inizia ad applaudirlo.Eric lo sente, e sospinto dal calore della gente, trova la forza di concludere gli ultimi penosissimi 15 mt.Intanto la regia in mondovisione mostra il tempo di Eric (siamo oltre 1 minuto e 50) mentre come in tutti gli arrivi olimpici si vede in sovrimpressione il tempo del World record (all’epoca 48 secondi), amplificando l’effetto tragicomico, quasi a ricordarci che quel ragazzone nero che stenta a mantenersi a galla sta concorrendo per le OlimpiadiEric tocca l’agognata sponda come se fosse un naufrago che raggiunge la riva, e lo stadio del nuoto di Sidney esplode in un boato.La regia ci mostra il primo piano del volto di Eric deformato dalla fatica, con lui che a stento riesce ad alzare un braccio per salutare il pubblico che ormai lo adora.Ed io nel mio piccolo quando ho visto il video in un primo momento ho riso (perché inevitabilmente la scena si presta a facili ironie).Poi mi sono ricordato la mia sofferenza nella gara coi bambinetti, quando decisi che dovevo dare tutto. E ho sentito di nuovo su di me il bruciore nei muscoli pieni di acido lattico che non ce la facevano più, e i polmoni che sembravano scoppiare, e il senso di fatica prossimo al collasso quando mi aggrappai al bordo alla fine del supplizio.E ho pensato che è facile fare i fenomeni, se nasci Michael Phelps. Ed è bello immedesimarsi in Phelps quando nuota come un motoscafo e colleziona medaglie su medaglie, mangiandosi gli avversari.Ma ognuno deve giocare la partita con le carte che gli sono state servite, e ogni giorno deve confrontarsi con le prove che la vita gli mette davanti, anche senza essere particolarmente dotato o preparato per superarle.Anzi a molti di noi comuni mortali a volte tocca affrontare i problemi della vita con lo stesso sguardo con cui Moussombani ha visto per la prima volta la piscina olimpinica: qualcosa di enorme e apparentemente insuperabile.E allora nuota Eric. Nuota per tutti noi, gente normale.L’hanno capito i 17.000 dello stadio di Sidney, e oggi l’ho capito anch’io: in ogni tua bracciata affannata c’è lo sforzo di chi lotta con ostinazione per arrivare a fine giornata.In palio non ci sono medaglie, né onori.In premio per chi non molla c’è solo la soddisfazione di avercela fatta, e il rispetto di chi ti vuole bene.Il che, a ben pensarci, può essere una motivazione sufficiente a smuovere il mondo.

Agrigento, l'appello dal letto di ospedale di una no-vax pentita: "Ho sbagliato, vaccinatevi tutti"






Agrigento, l'appello dal letto di ospedale di una no-vax pentita: "Ho sbagliato, vaccinatevi tutti"
"Ho sbagliato a non volermi vaccinare, adesso sono ricoverata e sono stata malissimo a causa del Covid. Grazie alle cure sto un po' meglio. Io ho rischiato la vita, ma voi vaccinatevi". È l'appello lanciato da una donna di 57 anni, Maria Paola Grisafi, ricoverata per Covid all'ospedale di Ribera, Agrigento. Le immagini sono state diffuse dall'Asp di Agrigento

Perchè gli emendamenti del centrodestra al ddl Zan aprono a discriminazioni e offese

Sono una marea gli emendamenti presentati al disegno di legge Zan contro l'omotransfobia, la cui discussione è ufficialmente slittata a settembre dopo l'ultimo scontro tra Italia Viva e le altre forze di centrosinistra (più il Movimento Cinque Stelle), che si sono accusate a vicenda di voler affossare la legge. Il rinvio, d'altronde, era nell'aria da quando, lo scorso 20 luglio sono stati presentati in Senato oltre mille emendamenti al testo, di cui quasi 700 dalla sola Lega. Se qualche emendamento dovesse essere approvato la legge sarebbe costretta a ricominciare il suo iter parlamentare, tornando alla Camera. Il che significa che prima di un'approvazione definitiva passerebbero sicuramente ancora altri mesi, facendo slittare ulteriormente la legge.Togliere ogni riferimento all’identità di genere, non tentare di imporre ai mezzi di informazione o alle scuole il recepimento dell’ideologia gender, non considerare discriminatorio il comportamento di chi si oppone alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. Sono solo alcuni degli oltre mille emendamenti presentati al ddl Zan, la cui discussione è slittata ufficialmente a settembre.
Infatti secondo https://www.fanpage.it/politica/perche-gli-emendamenti-del-centrodestra-al-ddl-zan-aprono-a-discriminazioni-e-offese/



La maggior parte degli emendamenti riguarda l'identità di genere, che le forze di centrodestra (ma anche Italia Viva ed velatamente alcuni del Pd ) vorrebbero togliere. Il disegno di legge Zan chiede di aggiungere alla legge Mancino, che punisce i reati di incitamento all’odio e di istigazione alla violenza legati al razzismo e alla discriminazione religiosa, le discriminazioni per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità: includere l'identità di genere significa dare un nome alle violenze che subiscono tutte quelle persone in fase di transizione o che non identificano il proprio genere, appunto, con il sesso biologico. Ed è esattamente questo punto che il centrodestra vuole eliminare.


 

La replica dei sostenitori al ddl Zan è che eliminare il riferimento all'identità di genere a una legge che vuole contrastare tanto l'omofobia quanto la transfobia, finirebbe per svuotare il provvedimento di senso. E per non tutelare una parte della società che oggi continua a subire discriminazioni proprio a causa della propria identità di genere. Eppure un altro emendamento proposto dai senatori di Forza Italia Paola Binetti e Maurizio Gasaparri chiede di sostituire le parole "oppure fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere" con "oppure fondati sul sesso o sul genere femminili", escludendo quindi le discriminazioni che può ricevere un uomo sulla base della sua identità di genere.
Infatti  fra gli emendamenti più discriminatori c'è  quello   a firma Malan, inoltre, chiede di "non tentare di imporre ai mezzi di informazione o alle scuole il recepimento dell'ideologia gender o comunque il concetto per il quale i bambini non nascono necessariamente da un uomo e una donna". Un altro, infine, afferma che non devono essere considerati discriminatori comportamenti per cui, nel caso di locali o attività divise per sesso, non ammettano persone a quelli diversi dal loro sesso anagrafico, o per cui ci si opponga alle adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. Allo stesso modo, secondo Malan non va considerato discriminatorio "non prestare la propria opera o proprietà o esercizio per celebrazioni relative a un determinato orientamento sessuale" oppure "esprimere presenze sull'orientamento sessuale dei figli e dei parenti".




da https://www.fanpage.it/politica/perche-gli-emendamenti-del-centrodestra-al-ddl-zan-aprono-a-discriminazioni-e-offese/

Mi  fanno  schifo  perchè capisco  i punti g  ed  h   ma   i punti b  e  f  h   sono prprio   discriminatori  e meschini  .  soprattutot perchè non è  vero  che  si limita la   libertà d'espressione     da un giornale    di destra    civile