Cattedra Rialzata, Alzarsi all’Entrata del Prof e Genitori Esclusi dalla Scuola: il Decalogo per Migliorare la Scuola
Ernesto Galli della Loggia storico giornalista ed editorialista presso il Corriere della sera ha proposto alcune misure da applicare nell’immediato al ministro dell’istruzione. Le idee sono varie e sono qui di seguito riportate.
Reintroduzione della predella ( vedere la foto sopra ) : in questo modo il docente avrebbe la cattedra rialzata di pochi centimetri che permetterebbe di controllare meglio la classe. Così facendo si trasmette anche un senso di autorevolezza da parte dell’insegnante. certo può anche essere utile per un controllo più efficace ella classe nella sua globalità non solo per l'autorevolezza Alzarsi all’arrivo del docente: anche in questo caso si rafforzerebbe l’autorità dell’insegnante, oltre ad essere un segno di rispetto. Vero ma se fatto con tutti non con certi si altri no ascoltare la canzone di Luigi Tenco riportata sotto
Divieto di occupazioni ed autogestioni: queste infatti rappresenterebbero solo un pretesto per non svolgere le lezioni e non studiare. No sono d'accordo cosi si crea solo repressione del dissenso . meglio se le autogestioni sono cocordate con il preside e i docenti . magari fatte fuori dall'orario scolastico
Cancellazione di ogni misura legislativa che preveda un ruolo delle famiglie: i genitori non devono essere chiamati a fare i rappresentanti scolastici. Si essi sono al 90% un ostacolo Divieto di convocazione degli insegnanti (limite 4 volte al mese): questo permette lezioni più lineari e impedirebbe di trasformare la scuola in un “riunificio”. più che divieto meglio un limite cosi gli insegnanti si concentrano di più sugli alunni e la didattica Affidamento pulizia interna e del decoro esterno agli studenti: ciò rappresenterebbe un grande risparmio e si instilla un senso di appartenenza negli studenti. SI Divieto di portare il telefono in classe: a questa andrebbe accompagnata una proposta di legge per vietarne la vendita e l’uso ai minori di 14 anni No . meglio insegnare e praticarlo tutti\e isegnanti compresi educarli ad un uso consapovole \ critico . Mettere semmai il divieto per eventuali ed reiterate violazioni o usi impropri Apertura pomeridiana biblioteca e cineteca: in questo modo si incentivano gli studenti ad approfondire con libri e film. giusto magari scelti dai ragazzi ( in caso di auto gestioni ) o in collaborazioni con i prof per approfondire oltre le assemblee d'istituto quello che non si riesce a fare a scuola Gite scolastiche locali: scegliere come mete località italiane per approfondire la conoscenza del territorio nostrano. si ma prima bisogna prepararli su cosa si va a vedere , altrimenti si risolve in ua semplice vacanza o cazzeggio Nomi degli istituti: questi dovrebbero portare il nome di personaggi illustri libertà di scelta
E voi, cosa ne pensate? Lasciateci pure un commento scrivendo le vostre impressioni e le vostre idee al riguardo.
Ieri erano i 60 anni della tragedia del vajont . Vosto che esendo nato una generazione dopo il mio ricordo è un ricordo per procura cioè filtrato da : ricordi dei familiari e non , opere artistiche ( documentari , film e teatrali , ecc ) . Lascio quindi la parola a quest articolo recesione sul nuovo , in realtà è una rielaborazione \ approfondimenti del precedente omonimo Il racconto del Vajont, diMarco PaolinieGabriele Vacis(1993) ) , VajontS 23 di Marco Paolini . Opera che insieme al fillm Vajont, regia diRenzo Martinelli(2001) hao costituito insieme ai racconti dei mie geitori ed i vari documentari la mia base documntaristica .
“Nel sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont, Marco Paolini, l’uomo che ha saputo raccontarla come nessuno, porta in scena VajontS 23, il suo storico monologo trasformato in una rappresentazione corale. Non solo una memoria, ma un monito per il presente. E il 9 ottobre, alle 22.39 insieme alle 600 messe in scena in contemporanea dello spettacolo, uscirà anche il podcast che abbiamo registrato quando Paolini ha provato il nuovo spettacolo.Scrivo da un paese che non esiste più: spazzato in pochi istanti da una gigantesca valanga d’acqua, massi e terra piombata dalla diga del Vajont. Circa tremila persone vengono date per morte o per disperse senza speranza (…).Un tratto dell’alta valle del Piave lungo circa cinque chilometri ha cambiato volto e oggi ricorda allucinanti paesaggi lunari. Due strade statali e una ferrovia sono state distrutte; pascoli, campi e boschi sono stati ricoperti di pietre e fango. È una tragedia di proporzioni immani. Tutto è accaduto in meno di dieci minuti…”. L’incipit di questo articolo di Giampaolo Pansa, che allora era un cronista della Stampa di soli 28 anni, è la prima cosa che ho letto quando ho cominciato a studiare giornalismo. Rimasi folgorato dalla chiarezza, dalle parole perfette e scolpite, dall’immagine che non si poteva dimenticare.
Alle 22.39 del 9 ottobre 1963 un’enorme frana si staccò dal Monte Toc, cadde dentro il bacino artificiale del Vajont e sollevò un’onda d’acqua alta oltre venti metri, che si abbatté sui paesi che si trovavano nella valle sottostante, spazzandoli via: morirono 1.910 persone. Ricordo che Paolini disse che prima dell’acqua arrivò il vento, uno spostamento d’aria capace di distruggere tutto, e ricordo che pensai a Hiroshima. Era il 1993, eravamo nel pieno dello scandalo di Tangentopoli, i partiti che avevano governato l’Italia per quasi mezzo secolo stavano crollando. Tutto ci parlava di uno stato opaco, di cose incomprensibili, della necessità di avere verità e giustizia. Erano passati solo trent’anni da quel disastro e l’indignazione di Paolini si sposava alla perfezione con quella che stava scuotendo l’opinione pubblica italiana. Nel 1997 quel monologo, che aveva la regia di Gabriele Vacis, andò in televisione, su Rai 2, e fu un successo clamoroso. Poi Paolini smise, si fermò, e questa storia rimase nella memoria.
Sono passati altri trent’anni e oggi il mondo è diverso, siamo preoccupati per il cambiamento climatico, ci allarmano i disastri ambientali. Marco Paolini ha ripreso quel testo in mano, lo ha reso più asciutto, ha cambiato il tono e nel sessantesimo anniversario ha immaginato che quell’uomo sul palco non dovesse essere più solo, che il racconto del Vajont dovesse diventare “Vajonts” al plurale. Il progetto è molto più ambizioso: farlo diventare di tutti. Il testo (che trovate integrale a questo link) è – come spiega Marco – «il racconto del Vajont trasformato in coro per essere letto a voce alta in casa, da cinque o più persone, non come un esercizio di memoria ma come monito del tempo presente, monito a non subire il destino di vittime, a scegliere di non affrontare la crisi climatica in solitudine, a ribellarsi al negazionismo, all’opportunismo dei piccoli passi». VajontS 23 sarà come un canovaccio. Ci sarà chi lo metterà in scena integralmente, chi lo userà come uno spunto e lo legherà alle tante tragedie annunciate che si sono succedute dal 1963 a oggi: in Toscana l’alluvione di Firenze del 1966, in Piemonte si racconterà di quando il Po e il Tanaro esondarono nel 1994, in Veneto delle alluvioni del 1966 e del 2010, in Campania della frana di Sarno del 1998, in Friuli degli incendi del Carso nel 2022, in Alto Adige della valanga della Marmolada del 3 luglio del 2022 e in Romagna dell’alluvione di maggio. Lunedì 9 ottobre ci saranno oltre 600 messe in scena contemporanee in Italia e nel mondo, hanno aderito 135 teatri, 94 scuole, gruppi di lettura, parrocchie, comuni e aziende. Alle 22.39, nell’istante esatto in cui iniziò il disastro, uscirà anche un podcast, curato da Chora Media, con la registrazione della prova del nuovo spettacolo messa in scena all’inizio dell’estate a Milano negli spazi dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, che oggi hanno preso il nome da una frase di Franco Basaglia: “Da vicino nessuno è normale”.
Alla fine di settembre sono stato ai Dialoghi di Trani per partecipare a un evento della “Fabbrica del mondo”, un progetto che cerca di costruire un pensiero condiviso per immaginare il futuro. Alle 11 di sera abbiamo fatto una passeggiata sul porto, gli ho raccontato cosa è stato per me il suo Vajont – una presa di coscienza di quanto il racconto possa avere una funzione civile – e poi gli ho chiesto di raccontarmi la storia di quello spettacolo e di cosa sia cambiato in questi trent’anni. Ci siamo seduti su una panchina e ho acceso il registratore. La nostra chiacchierata la potete ascoltare qui, nella nuova puntata del mio podcast Altre/Storie.z
Davvero del pensiero di Ezio Bosso non è rimasto niente?
Ezio Bosso è stato un talento naturale, straordinario, disciplinatissimo ma pieno di vita, straripante. Strabordava di talento e dava fastidio, perché metterlo in una casella era difficile, come minimo stava in tre o quattro caselle, però era capace anche di disegnarsele da solo, le caselle in cui stare. Ezio Bosso sceglieva la forma, oltre al contenuto. E poi - negli ultimi anni - quel corpo non conforme, un po' ingombrante, che per alcuni ha iniziato a sovrastare il musicista, a essere la sua parte rappresentativa di fronte al grande pubblico, invece che rappresentare quello che veramente era: il simbolo di una malattia che gli toglieva la possibilità di esprimersi pienamente, come aveva fatto fino a quel momento.
Forse è questa una delle domande che si è posto Cristian nello scrivere questo saggio biografico che percorre il suo passato come una cicatrice esposta a mo’ di medaglia. Un ricordo di una vittoria sofferta alla ricerca di sè stesso, sfuggendo dai dettami della tradizione sulla diversità. La reliquia del senso di angoscia, di pesantezza di questo “cavaliere inesistente desideroso di farsi vedere nella sua armatura di ferro splendente” è ben presente, come un sigillo, nelle memorie e nelle pagine del testo. Eppure questo senso di prigionia viene esorcizzato da aneddoti di vita vissuta e da citazioni di coloro che fecero della diversità, - di qualsiasi genere- un proprio punto di forza, personaggi provenienti da ambiti e ambienti diversi: da Franco Battiato a John Keating (“L’attimo fuggente), da Raffaella Carrà a Manlio Sgalambro. Diverso da chi, quindi? Diverso da ciò che viene imposto, diverso da chi si limita a seguire la “norma” come dettame immutabile. La libertà, soprattutto quella di pensiero, richiede lo sforzo di liberarsi dai preconcetti in cui ci si arrocca anche inconsapevolmente e di innalzare la sguardo “sulle tracce dell’altrove” …
La lotta per la dismissione dei poligoni militari in terra sarda, che da decenni caratterizza le attività dei movimenti antimilitaristi, disarmisti e ambientalisti presenti sul territorio, si svolge sempre di più anche nelle aule di giustizia. Aule penali, come quella del tribunale di Cagliari, dove il giudice Giuseppe Pintori ha in carico il processo che vede imputati i vertici militari dello Stato, nientemeno che per disastro ambientale, causato dalle ricorrenti e perduranti esercitazioni a fuoco nel poligono di Capo Teulada. Aule amministrative, come quella del TAR Sardegna, dove il prossimo 8 novembre verrà discusso il ricorso sull’illegittimità del decreto del Ministero della difesa che autorizza le esercitazioni belliche, nonostante la totale assenza di una valutazione di impatto ambientale.Il ricorso, presentato materialmente dall’avvocato Carlo Augusto Melis Costa, per conto dell’associazione ambientalista Gruppo d’Iniziativa Giuridica, è stato fortemente voluto dall’organizzazione assembleare di “A FORAS”, attiva nell’ultimo decennio, assieme ad altri gruppi e movimenti contrari alle basi di guerra sull’isola. A Foras, in un suo comunicato ci informa che “l’avvocato ha ritenuto fondate le nostre motivazioni e ha scritto un ricorso che è stato depositato al TAR di Cagliari, con richiesta di sospensiva immediata delle attività addestrative (ricorso n. 692/2023). Il ricorso è stato firmato dal Gruppo di Intervento Giuridico, per ragioni di legittimità”.All’interno dei territori concessi alle installazioni militari, nonché nei territori immediatamente adiacenti, sono situate diverse zone SIC (Siti di Importanza Comunitaria) che per legge dovrebbero essere salvaguardati da qualunque forma di inquinamento. Ad esempio l’Isola Rossa a Capo Teulada (riserva dell’avifauna) o la spiaggia di Murtas, nel poligono di Quirra, solo per citarne alcune. La tutela di questi siti è compatibile con le esplosioni che rilasciano torio, cesio, uranio impoverito, sostanze altamente inquinanti e cancerogene?L’impressione è che il mondo militare e quello delle armi siano protetti non solo dai reticolati, ma anche da un muro invisibile che li rende in qualche modo ingiudicabili. Come se le leggi della Repubblica non valessero anche per loro, casta privilegiata, al di fuori del popolo. Dietro il mito della difesa della patria prosperano gli intricati legami fra generali ed amministratori delegati delle industrie di armamenti, in rapidi giri di poltrone.Ne è riprova la decisione del ministro Crosetto di festeggiare il 4 novembre la “festa delle forze armate” in Sardegna. Forse gli farà da spalla il presidente della repubblica Mattarella. Il tutto solo quattro giorni prima dell’udienza del TAR che dovrà pronunciarsi sulla legittimità o meno delle esercitazioni. Indebita influenza? Abuso di potere?“Storie d’ordinaria follia”, direbbe Charles Bukowsky. Se non fosse che in questo conflitto tra istituzioni e cittadini sono questi ultimi a soffrirne le conseguenze. Perché la distruzione sistematica dell’ambiente naturale (vedi Penisola Delta a Capo Teulada, giudicata “non bonificabile” dagli stessi militari) incide inevitabilmente sulla salute di tutti gli esseri viventi. Ma di questo chi si occupa di preparare la guerra e la morte, certo non può curarsi.Il compito della cura del territorio, della salute, del benessere collettivo, in assenza spesso delle istituzioni delegate, spetta ai cittadini attivi, ai movimenti, alla società civile. Diventa inutile parlare ancora di pace, senza venire qui a capire cosa significhi la devastazione del preparare la guerra. Ma non so se il ministro Crosetto abbia i lineamenti ideali per capirlo.
In queste ore questa donna, la giudice di Catania Iolanda Apostolico, è sottoposta a un attacco politico e mediatico di una gravità inaudita da parte del governo.
La sua “colpa”? Aver fatto il suo mestiere di magistrata, fermando un Decreto migranti non solo
incostituzionale ma anche in palese contrasto con le normative europee, che hanno un valore primario rispetto alla legislazione nazionale.
Eppure, la Presidente del Consiglio Meloni, scavalcando ogni potere e oltrepassando qualunque confine istituzionale, arriva a definire addirittura “incredibili” le motivazioni di una sentenza che, semplicemente, impedisce l’ingiusta detenzione dei migranti e la conseguenze cauzione da 5.000 euro.
Solidarietà piena e totale alla giudice Apostolico. C’è una fetta (spesso silenziosa) di Paese dalla sua parte, che conosce la legge e conserva un briciolo di umanità.
Lo scrittore e l'annuncio su Facebook: «Ho continuato a dire di sì, nonostante chi mi chiedesse aiuto non mi abbia sostenuto quando mi sono lanciato in crociate sociali»
Per uno scrittore che sa usare la parola (ed è molto generoso) quelle definizioni così banali forse sono il colpo definitivo. E così Maurizio de Giovanni ha deciso di dare un taglio a convegni e presentazioni altrui: «A partire da oggi, con esclusione degli impegni già assunti che cercherò di mantenere e delle occasioni di carattere sociale e di beneficenza che non si sovrappongano al mio lavoro, vi prego di non invitarmi, convocarmi, chiedermi o pregarmi di fare cose a supporto del lavoro degli altri. Noi zecche, sapete, di fronte all'evidenza alla fine rinsaviamo. Un caro saluto a tutti, e in bocca al lupo». Lo annuncia con un post su facebook che in pochi minuti raccoglie migliaia di like e qualche centinaio di commenti. Il racconto dello scrittore «Avviso: questo è un post assolutamente autoriferito. Per cui chi non fosse giustamente interessato alla mia persona o alla mia attività è pregato di saltare a pie' pari la lettura, e dedicarsi al cazzeggio da social che stava legittimamente compiendo», scrive in premessa il padre del commissario Ricciardi, dei Bastardi e di mille altri personaggi. De Giovanni dice di essere affatto da una «patologia», ovvero «il timore che qualcuno, chiunque, possa pensare: ecco, adesso che è diventato (o si sente, o gli fanno credere di essere, o immagina di essere) noto, non si presta più a dare una mano agli altri». Questa patologia lo ha spinto negli anni «a un enorme aggravio di fatica. Presentare libri che devo necessariamente leggere, fare recensioni, quarte di copertina, fascette, articoli di giornale; ma anche intervenire a convegni, tavole rotonde, trasmissioni televisive, a scrivere racconti per antologie, a commentare film o fiction. Questo, lo spiego nonostante sia chiaro, non mi porta alcun vantaggio: i miei libri vengono acquistati da chi vuole leggere le storie che ci sono dentro, non certo da quelli che hanno visto in giro la mia faccia. Così le fiction, i film, i fumetti e gli spettacoli teatrali che scrivo. Nessun valore aggiunto, nessuna utilità. Zero». «Ho continuato a dire sì» Lo scrittore aggiunge poi, con una nota amara, che la sua generosità (e chi lo conosce lo sa), non è mai stata ripagata. Le sue parole: «Una patologia è una patologia, quindi ho continuato a dire di sì, nonostante chi mi chiedesse aiuto nella stragrande maggioranza dei casi poi si guardasse bene dall'essere presente ai miei eventi, per esempio, o dallo spendere parole di sostegno quando mi sono trovato a fronteggiare aspre polemiche personali, per il dannato vizio che ho di lanciarmi in crociate sociali o di non pensare che a esprimere con forza le mie idee ho solo da perdere, e mai da guadagnare». La scoperta La scoperta, infine, «su indicazione di qualche solerte "amico"», di essere definito «in molti odiosi modi: presenzialista, tuttologo, prezzemolo, perfino "zecca" (mi sfugge il riferimento all'animale, ma anche all'ente che batte moneta); e addirittura, il che è piuttosto comico, di non avere "amore e gratitudine per il territorio". Io». E conclude: «Andando a vedere le mie presenze, scopro che sono meno del dieci per cento per il mio lavoro, e per il novanta riferibili alla suddetta patologia. Devo dire che questo comportamento ottusamente altruista mi ha sempre comportato forti cazziatoni. Chi amo e mi vuole bene, gli editori, chi lavora per me soprattutto dopo il problema di salute che ho avuto poco più di un anno fa mi hanno sempre pregato di operare una selezione rigida, e di NON fare quello che non riguarda il mio mestiere (scrittore, sceneggiatore, drammaturgo). I graziosi epiteti che ho visto oggi, sulla gentile segnalazione di cui vi ho detto, mi hanno definitivamente convinto. Non posso continuare così, e tutto sommato nemmeno è giusto che lo faccia».
-------- Turista distrugge statue romane nel museo: «Sono contro la mia religione». Arrestato 40enne
Due statue romane risalenti al secondo secolo d.C. sono state danneggiate ieri in una sala di esposizione del Museo Israel di Gerusalemme da un turista americano di circa 40 anni che ha poi affermato alla polizia israeliana di averle reputate «in contrasto con la Torah». L'uomo, secondo una prima ricostruzione, si è avventato con un'asta di legno contro le due statue, che sono cadute dai pilastri che le reggevano e si sono sfracellate a terra.
Le opere Si tratta secondo la stampa di una testa di Minerva recuperata nella zona di Beit Shean (la antica Scitopolis) - quanto restava di una imponente statua di due metri e mezzo - e di un Grifone trovato nel Negev settentrionale.Secondo Haaretz l'uomo che ha assalito quei reperti «era vestito con un abbigliamento religioso» ed è ancora agli arresti della polizia. Il Dipartimento israeliano per le antichità si è detto «sconvolto per la distruzione di quei beni culturali. Esprimiamo preoccupazione per i danni arrecati a valori culturali da estremisti per motivazioni religiose». Il Museo Israel ha pure espresso preoccupazione per l'episodio e ha aggiornato che i frammenti delle statue sono stati subito affidati ad una equipe di esperti in restauri.
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non concordo ma allo stesso tempo non riesco a biasimare chji gli fa questa critica . Infatti
concordo con il commento lasciato sul suo account istangram da
Sminuire un salto così eccezionale con un commento su tutte le donne che fanno i salti mortali mi sembra un po' fuori luogo. La Biles ha fatto tantissimo anche per sdoganare la salute mentale e denunciare gli abusi nello sport. E poi fa un salto maschile: solo chi conosce e ha praticato ginnastica sa cosa vuol dire aver fatto un salto del genere. Il Suo commento signora Littizzetto mi sembra un po' fuori luogo: tutte noi facciamo i salti mortali, è noto, ma non era il contesto giusto per rimarcarlo a mio avviso perché allora si dovrebbero fare ben altri paragoni, e non è questa né la sede né il luogo opportuno
da https://ginnasticando.it el 5\10\ 2023 tramite googlenews
Agli attuali Campionati del Mondo di Ginnastica Artistica di Anversa 2023, la statunitense Simone Biles ha presentato, per la quinta volta, un elemento inedito che ha preso il suo nome: Biles II.Si tratta, come gli esperti e gli insiders sanno, di uno Yurchenko doppio carpio al volteggio, ovvero in un salto di elevata difficoltà (6.4, il valore più alto nel Codice dei Punteggi) dalla matrice della rondata flic cui si collega una doppia rotazione dietro in posizione carpiata.Simone ha scritto già altre volte la storia della ginnastica, per esempio dieci anni fa quando ha presentato il Biles I al corpo libero (doppio teso dietro con mezzo), il Biles I al volteggio e via dicendo, fino ad oggi in cui è, di fatto, la prima atleta donna a presentare un triplo salto in gara.Questo evento, come si può ben constatare sul web, ha fatto scalpore ed è finito su innumerevoli testate giornalistiche e pagine social non solo inerenti allo sport, ma provenienti dai più variegati settori. Tra chi la acclama, la venera ed è concorde nel sottolineare che non casualmente Simone Biles è la G.O.A.T. della ginnastica artistica mondiale.
Nel momento in cui le notizie divengono di dominio pubblico ed escono dalla propria nicchia, è sempre un piacere per tutti gli amanti del settore. Specialmente se si parla di uno sport come la ginnastica, da considerarsi quasi uno sport minore, considerati i sacrifici che fanno ginnasti e ginnaste a livelli così alti e il peso che generalmente hanno a livello mediatico.Spesso e volentieri, però, nell’incontrollato diffondersi della notizia, si può andare incontro a una generalizzazione, che può anche sfociare nella banalizzazione della stessa.Fa discutere, in quest’ottica, il caso della presentatrice televisiva e attrice comica Luciana Littizzetto, la quale ha condiviso sul suo profilo Instagram l’impresa compiuta da Biles, aggiungendovi un commento che ha scatenato uno scontento generale da parte di numerosi amanti del settore:
L’idea di fondo della Littizzetto sembra essere quella di attuare una retorica e di mandare, quindi, un messaggio che ha certamente alla base le migliori intenzioni; allo stesso tempo può suonare denigratorio nei confronti dell’entità del gesto compiuto dalla Biles e proprio per questo necessita di una contestualizzazione più attenta e precisa.Citando le parole della Littizzetto, quali “Orgogliosa di te bambina”, molti si sono opposti a tale connotazione. In effetti, occorre precisare che Simone è una donna, sposata, che all’età di 26 anni è già la ginnasta più forte di tutti i tempi, nonché una vera e propria sopravvissuta alle numerose e spiacevoli vicende che la vita le ha posto lungo il cammino.Se ci si limitasse a guardare e a valutare i successi sportivi, Simone sembrerebbe una ginnasta con un enorme potenziale e talento, che senza troppa difficoltà vola ed esegue routine incredibili, vincendo medaglie in qualunque occasione competitiva.Simone Biles si può dire abbia un background insolito. È la terza di quattro fratelli, tristemente entrati e usciti dall’affido a partire dai primi anni di vita, poiché la madre, tossicodipendente, non era in grado di prendersi cura di loro. Simone viene poi ufficialmente adottata nel 2003 dai suoi nonni materni, insieme a sua sorella Adria, e vivrà in Texas fino ad ora.Nel corso della sua ormai serena vita, Biles ha avuto a che fare con un altro mostro, che ha abusato di lei e di alcune delle sue compagne di squadra. Nel 2018, infatti, Simone rilascia una dichiarazione su Twitter, affermando che l’ex-fisioterapista della nazionale statunitense Larry Nassar aveva abusato sessualmente di lei. A seguito di tale rivelazione, si è aperto un processo penale in cui vennero coinvolti anche gli storici allenatori della squadra nazionale, i coniugi Karolyi, al corrente dei gravi reati commessi da Nassar verso le atlete.Una battaglia, quella di Simone e delle sue compagne, contro l’intero sistema, la USA Gymnastics, che ha permesso lo svolgersi di tali attività e “che ha fallito nel proteggere le atlete”, come dichiara più volte la Biles.Ai Giochi di Tokyo del 2021, Simone Biles è vittima dei “twisties” (di cui abbiamo parlato qui) che le impediscono di performare al meglio durante la finale a squadre. Simone descrive quel momento come una profonda sofferenza a livello psicologico, motivo per cui decide di dare la priorità alla sua salute mentale e ritirarsi dalla competizione.
Anche in questo caso la notizia ha avuto una risonanza mondiale e Biles è stata al centro di diversi dibattiti: ammirata da un lato per aver dato un peso, finalmente, all’importanza di preservare la propria salute mentale, forse troppo spesso trascurata nello sport di alto livello; dall’altro lato, quasi criticata per essersi ritirata dalla gara in un momento di difficoltà, come se non fosse anche Simone Biles capace di sbagliare o di fare un passo indietro qualche volta.Che si sia d’accordo o meno, va sottolineato che chiunque ha una propria storia, più o meno difficile agli occhi degli altri. Che si sia presentato un nuovo “salto mortale” nella ginnastica, come definito dalla signora Littizzetto, o che questo salto faccia parte della quotidianità di ogni donna. Ogni donna, ogni giorno, affronta le proprie difficoltà e i propri “salti mortali”, ciò non determina la prevalenza di uno sugli altri.Ed è vero: con o “senza medaglia” (citando sempre Luciana Littizzetto), non è questo il punto vero e proprio di ciò che un’atleta del genere ha fatto, è riuscita, e ad oggi continua a fare: Simone Biles ha consacrato non solo il suo nome nella storia della Ginnastica, ma si è affermata come donna nella propria storia.
------ Una bella risposta scolastica all'emergenza delle violenze giovanili e dei fmminicidi \ violenza di genere da https://www.orizzontescuola.it/
Lezioni all’aperto, divise autoprodotte, educazione alla bellezza. L’esempio di un istituto comprensivo a Roma
In un’epoca segnata da crescenti disuguaglianze e bullismo, l’Istituto Comprensivo ‘W. A. Mozart’ di Roma introduce metodi didattici rivoluzionari che favoriscono inclusività e benessere.
La scuola sta facendo passi da gigante nel settore dell’educazione, combinando lezioni all’aperto, ‘divise autoprodotte’ e un’educazione alla bellezza.
Contrariamente alla tendenza crescente di adottare uniformi scolastiche costose, soprattutto nelle scuole private, il Mozart ha introdotto un sistema di “divise autoprodotte”. Come
spiega il Preside Giovanni Cogliandro, in un’intervista all’Adnkronos, i genitori possono semplicemente stampare il logo della scuola su una maglietta propria. Questo non solo riduce il costo per le famiglie, ma fornisce anche un senso di appartenenza alla comunità scolastica senza essere obbligatorio o costoso.
L’idea di tenere lezioni all’aperto è nata durante l’emergenza Covid-19, ma ora è diventata
una realtà strutturata. “Essere all’aperto stimola l’immaginazione e la socializzazione”, afferma Cogliandro. La scuola sta anche guardando oltre le aule digitali, puntando a creare “aule iperrealistiche” che attivano tutti i cinque sensi degli studenti.
Un altro asse portante dell’istituto è l’educazione alla bellezza, volta a contrastare l’incremento di violenza tra studenti e famiglie. “Formare i ragazzi alla bellezza significa anche imparare a interagire con l’ambiente e a prendersi cura della propria persona e del luogo in cui si vive”, sottolinea Cogliandro.
Paolo Crepet, psichiatra e scrittore nelle ultime ore è finito sotto al mirino delle critiche a causa delle sue dichiarazioni sulledonne vegane. «Sono diventati tutti vegani questi sfigati di ventenni. Inviti una ragazza a cena e questa mangia miglio con l’aceto di mele… Ma che ci si fa con una così? L’amore? Ma a quella le viene in mente che c’ha le occhiaie il giorno dopo, chissà che si inventa. Ci stiamo abituando alla vita vegana, moriremo eleganti». Sono state queste le parole dello psichiatra hanno fatto discutere il web.
Tuttavia, nelle ultime ore lo psichiatra ha posto le sue scuse in diretta durante un programma televisivo. Ma andiamo a vedere tutto nel dettaglio.«Le mie parole sulle donne vegane? Ho sbagliato, una frase infelice sull'infelicità, se non sono stato capito evidentemente non sono stato capace di essermi espresso chiaramente. Chiedo scusa, ho assolutamente sbagliato, e chiedo scusa a tutti coloro che si sono sentiti offesi». Sono queste le parole che Paolo Crepet ha pronunciato ai microfoni di Rai Radio1, a 'Un Giorno da pecora'. Nelle ultime ore lo psichiatra e scrittore è tornato sul tema che ha sollevato tante critiche nei suoi confronti.Dato che nelle sue dichiarazioni Crepet aveva tirato in ballo l'insalata di miglio condita da aceto di mele, i conduttori gli hanno ironicamente proposto di mangiare, in diretta, proprio questo piatto vegano. Che Crepet ha assaggiato di buon grado: «Ho preso ad esempio il miglio perché non è proprio l'immagine della passione, io volevo parlare di quello», ha aggiunto a Un Giorno da Pecora. E alla domanda "quale piatto le fa venire in mente, invece, la sessualità?", lo scrittore ha risposto: «Una fantastica spaghettata»
C'era d'aspettarselo che davanti a tale tragedia ci sarebbero stati i soliti ..... incapaci di lascciare andare la voglia \ il desiderio di bloccare fermare l'evento tanto da non lasciare il cellulare e prestare , almeno provarci , soccorso . Infatti
estratto da l’articolo di Marta Gasparon per “il Messaggero”
Mentre i feriti, ai piedi del cavalcavia di Marghera, venivano via via soccorsi ed estratti dall’autobus precipitato dopo un tremendo volo di circa 15 metri, martedì sera c’erano anche tanti, forse troppi passanti che si sono fermati per immortalare la scena con il proprio smartphone. […] Accanto alle storie del gambiano Boubacar Toure e dell’amico nigeriano Godstime Erheneden, che hanno estratto dalle lamiere una bambina, entrando nella carcassa del pullman, e a quella del kosovaro Bujar Bucaj, precipitatosi sul luogo della tragedia non appena resosi conto dell’accaduto, ci sono anche i profili di quanti non sono intervenuti
"Monumento alla nuova generazione"
di Anna Uddenberg (Svezia), Biennale di Berlino 2016
nonostante le grida di aiuto. […] .Nonostante le sue richieste d’aiuto, nessuno è intervenuto in quei primissimi istanti in cui il pullman doveva ancora essere avvolto dalle fiamme. «Continuavano a scattare foto e a girare video con il cellulare piuttosto che accorrere. ----- sencondo la testimonianza di uno dei primi soccorritori --- Mi chiedo come possano sentirsi ora, consapevoli che avrebbero potuto intervenire ma che in realtà non l’hanno fatto. E questo è per me un dolore grande: potevano fare di più e chissà, magari salvare qualche vita». […] Riprendere tutto con lo smartphone: perché ora non si è più capaci di fermarsi nemmeno di fronte alla morte? Questo l’interrogativo di fondo dell’imprenditore veneziano Stefano Gavazzi – presente martedì proprio nel ristorante di Bujar Bucaj –che ha contattato per primo il 118, lanciando l’allarme. […]
Un’esposizione e vetrina dell’orrore, che non fa che ritorcersi contro a chi per primo la produce. << Non mi sarei mai aspettato una situazione del genere ammette Gavazzi C’era la gara a chi aveva il cellulare più vicino al luogo dello schianto. Solo una persona, dal cavalcavia, ha lanciato un estintore. Per il resto tutti lì, immobili». […]
L’uomo ha discusso la tesi ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino Killer si laurea con lode in cella: Catello Romano nella tesi confessa tre omicidi
di Dario del Porto
Si laurea in carcere con il massimo dei voti e, nella tesi, ammette di aver commesso tre omicidi per i quali non era mai stato processato. «Mi chiamo Catello Romano. Ho 33 anni e sono in carcere da 14 anni ininterrotti. Ho commesso crimini orrendi e sono stato condannato per diversi omicidi di camorra. Quella che segue è la mia storia criminale». Si legge come un romanzo, ma racconta episodi drammatici realmente accaduti e una clamorosa confessione, la tesi di laurea in “Sociologia della sopravvivenza”, dal titolo “Fascinazione criminale”, che Romano ha discusso ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino. L’esponente politico fu ucciso il 3 febbraio del 2009 mentre era in auto con il figlio. All’epoca dei fatti Romano era un fedelissimo di Renato Cavaliere, esponente di spicco del clan camorristico D’Alessandro oggi collaboratore di giustizia. Alla fine della seduta, la commissione di laurea ha premiato il 33enne con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. «È stato molto apprezzato il lavoro di tipo “autoetnografico” svolto dal candidato», spiega il relatore, il professor Charlie Barnao dell’università di Catanzaro. Si tratta, come scrive Romano nella sua tesi, «di una sorta di intervista con sé stessi» in cui si cerca di comprendere il passato «attraverso un processo di immedesimazione». Poi aggiunge: «Ho creduto di mettere in atto, attraverso questo lavoro, almeno in una certa misura, un’opera di verità e riparazione, non oso dire giustizia, nei confronti di chi è stato direttamente colpito dal mio agito deviante», rivelando «fatti e circostanze che, ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, non hanno mai avuto un seguito giudiziario e, dunque, di appuramento di mie responsabilità penali dinanzi a un regolare tribunale». Romano, che dopo l’omicidio Tommasino iniziò una brevissima collaborazione con la giustizia subito interrotta da una spettacolare fuga e mai più ripresa confessa nelle pagine della tesi di aver preso parte ad altri due agguati di camorra: il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, uccisi il 28 ottobre del 2008: «L’evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita», scrive. Romano rivela di aver addirittura coinvolto in appostamento una delle sorelle, ignara di tutto («le rifilai la balla che volevo far ingelosire la mia ragazza») e che Donnarumma non doveva essere ucciso: «Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui». L’altro delitto che Romano ammette di aver commesso è quello di Nunzio Mascolo, ammazzato il 5 dicembre 2008. Quanto all’omicidio Tommasino, il 33enne riconosce che sulla vicenda «ancora non si sono diradate le nebbie». Poi sostiene di aver fatto cenno ai sicari, mentre seguivano in scooter l’auto del consigliere comunale, di non sparare perché a bordo della vettura c’era anche “na criatura”, in realtà il figlio adolescente della vittima. «Malauguratamente quei due capirono l’esatto contrario». L’ipotesi alla base della tesi è che «il crimine esercita una profonda fascinazione» nei confronti dei giovani, arrivando a «sostituire la famiglia d’origine». Romano, che da bambino voleva fare il poliziotto e ricorda il trauma della separazione dei genitori, afferma di essere stato affascinato dal personaggio di un film, “Il camorrista”: «Nel mio caso, lo spazio interiore è stato occupato prima da “’o prufessore ‘e vesuviano, cioè Raffaele Cutolo, poi da Renato Cavaliere, il mio “compare di malavita”». Oggi Romano dice di voler ripartire «da quel Catello che ero prima di tutto quello che ho raccontato». Per il professor Barnao, «il senso profondo di questo percorso sta già nel fatto di essere arrivato a raccontare, nel dettaglio circostanze che avranno delle conseguenze, pur di riuscire a mettere ordine, una volta e per sempre, nella propria vita
Ottima come sempre la lezione di Cristian Porcino Purtroppo l'egoncentrismo prevale in molti profili sociaL . Infatti il dott Cristian Porcino ha descritto bene quello che capita sempre più spesso ,
compreso al sottoscritto , sui social , dove certe persone sono proprio strampalate , tu danno il contatto o seguono , poi mettono profilo privato opure quando vai a fare altrettanto o ti bloccano o ti rimuovono . Ha ha ragione il commento , lasciato allla video lezione odierna di Cristian di the__obscure jude__the__obscure : << Credo sia anche un po' di narcisismo in tutto questo, basta vedere molti profili in cui il contenuto si limita all' autoreferenzialità (foto di se stessi tutte uguali). Lo scopo? Avere visibilità e colmare l'ego infinito >>