23.5.13

come sopravvivere alla crisi 2 puntata Il ritorno all'economia del baratto


Un tempo beni effimeri, oggi linfa economica. Da qui nascono gli Swap party, ovvero feste del baratto dello scambio. Come quelli organizzati non solo a Manhattan dove sono nati, ma anche in Italia. Più che una moda, ormai, una necessità come racconta Ilaria Aquili che già da qualche anno ne organizza nella Capitale uno ogni tre domeniche aprendo, ora, anche a giornate dedicate esclusivamente ai più piccoli grazie al riciclo dei giocattoli. Abiti, scarpe, accessori ma non solo: un modo comodo di riciclare e rifarsi un armadio. E in tempi di crisi a finire nei mercatini dello scambio o in una dei tanti party creati ad hoc non sono solo più gli abiti ma anche telefonini, piccoli elettrodomestici.
Non mancano, ora, neppure i gruppi su Facebook: piccole mecche virtuali della moda utili quanto, in alcuni casi, esclusivi dove una borsa un tempo tanto amata può essere utile per accaparrarsi un pantalone sospira a lungo.
Per chi vuole, poi, sempre online non mancano i consigli su come metterne in piedi uno grazie a dieci mosse  -  vincenti ovviamente.
Ma il riutilizzo travalica il confine del privato e sbarca anche nei negozi. Tanto che anche una notissima catena internazionale di abiti low cost da febbraio lancia un nuova iniziativa: portando i propri abiti usati, qualsiasi tipo, si riceverà in cambio un voucher per un nuovo acquisto. T-shirt, pantaloni, gonne e giacche che fine faranno? O saranno riadattati e riutilizzati oppure distrutti e utilizzati come energia: semplice quanto comodo ed ecologicamente corretto.

 Un altra  soluzione  proposta  da repubblica  , che  è  vecchia  come il cucco  ( infatti  nei tag  ho messo  riscoperte e io  l'ho sempre praticata  e conosciuta    da piccolo  ,  io  e mio  fratello ci scambiavamo   e lo facciamo    , anche se  di rado  tutt'ora  , gli abiti    )  è quella  di





Moneta addio: riciclo e baratto        per vestirsi risparmiando


Incontri in casa e mercatini dove i beni si cambiano e non si comprano. La crisi diventa anche l'occasione per imparare a cucire. E un apassione può diventare anche una professione
Una vecchia maglietta può essere tagliata, cucita e trasformata in qualche cosa di nuovo. In tempi di crisi giacche o gonne che da tempo rimangono nascoste nell'armadio, diventano una risorsa preziosa. Si punta al riciclo e saper usare ago e filo è sempre più utile. Ma per risparmiare, quando i soldi per lo shopping non ci sono più, ci sono anche mercatini del baratto, discount o siti dove acquistare capi firmati a prezzi interessanti. Con la recessione le abitudini cambiano e si ricorre anche allo scambio per 'fare compere senza spendere nulla'. Nei mercati del baratto non servono soldi per tornare a casa con buste piene. Per conquistare un capo di abbigliamento basta portare vestiti da casa o offrire in cambio servizi, come ad esempio, qualche ora di baby-sitting, un corso di ballo o di inglese. E ora anche alcune grandi catene di abbigliamento low cost incominciano a puntare sul riciclo. Consegnando gli indumenti usati nei punti vendita della catena si ricevono in cambio buoni acquisto.
SenzaMoneta è un mercato dello scambio. La persone si incontrano per scambiarsi cose o servizi - spiega Filippo Dionisio presidente ManaManà - Le persone portano vestiti, magari dimenticati nell'armadio, che devono essere in ottimo stato. Si trova di tutto: cappotti, giacconi, pullover e abiti da donna. Ci sono anche capi di intimo e naturalmente l'abbigliamento per bambini. C'è un'unica regola: tutto è a costo zero".
Qualcuno organizza incontri in casa e ripropone il modello americano degliswap party, incontri dove le signore si scambiano cappotti, borse o sciarpe. Ma gli abiti che si trovano nei guardaroba e non usiamo da tempo possono essere anche trasformati e riadattati per diventare 'qualche cosa di nuovo'. La tendenza è quella del riciclo. Esistono corsi per imparare i trucchi del mestiere e creare qualche cosa di nuovo senza spesa. "Durante le lezioni ogni partecipante realizza un progetto sartoriale, utilizzando abiti e stoffe che porta da casa - spiega Francesca Patania sarta-stilista della cooperativa Occhio del Riciclone, a Roma - Si può risparmiare molto. Imparare a cucire, per riparare e trasformare gli abiti vuol dire restituire valore ad un capo che lo ha perso, sottraendolo al ciclo dei rifiuti".
Ma quanto può risparmiare una famiglia che sceglie di usare abiti riciclati? "La differenza tra acquistare capi usati o nuovi è notevole il rapporto è di uno a dieci . Questa è la ragione per cui sempre più persone sia avvicinano all'acquisto di questi capi, in particolare in questo momento di crisi, sempre più spesso si vedono nei mercatini banchi che li propongono oltre gli storici luoghi con e porta Portese a Roma" - spiega Edoardo Amerini, presidente del Conau, consorzio abiti e accessori usati.
Su Youtube si moltiplicano i video con 'corsi di riciclo', ma esistono anche molti blog con 'i trucchi del mestiere'. "Sul mio blog Pane amore e creatività pubblico le istruzioni delle cose che creo. Riciclo i miei indumenti: li taglio, li modello e aggiungo un pizzico della mia creatività. Così da vecchie magliette possono nascere pantaloncini, canottiere e anche dei giochi", spiega Linda Pareschi di www. paneamoreecreativita. it
Per affrontare la crisi molte persone imparano a realizzare quello che vogliono indossare. E per qualcuno una soluzione per risparmiare o seguire una passione, diventa quasi una professione. "Ho incominciato a fare la pantofola fai da te Flap per realizzare i regali di Natale ai miei amici con un materiale che mi piaceva molto, il feltro - spiega Francesca Macchi, 30 anni - Terminato il lavoro ero molto soddisfatta del mio prodotto e ho deciso di venderlo in conto vendita in un negozio della mia città, Gallarate. Su internet ne ho vendute 100 pezzi. E le cose sono andate molto bene. Poi ho vinto un premio in un concorso di design della Camera di Commercio di Milano. In seguito ho fatto anche altre cose decorazioni natalizie, un porta cellulare e una giostrina per la culla ancora in feltro".
In tempi di crisi anche i discount dell'abbigliamento possono essere una meta troppo costosa per molte famiglie. Abbandonati i pomeriggi di shopping quasi compulsivo per centri commerciali o le vie del centro, si pensa sempre di più a cosa comprare. Il tempo diventa un alleato per soppesare ogni acquisto, comprare di meno, senza portare a casa vestiti o accessori inutili. Molti vanno a caccia di sconti anche sul web: si moltiplicano i siti per comprare fondi di magazzino o partecipare a gruppi d'acquisto. Conta sempre di più il passa parola e fra le amiche appassionate di moda si distribuiscono consigli utili.
Ma a volte, per risparmiare, basta semplicemente riorganizzare il proprio guardaroba. "Si parte da quello che c'è nell'armadio, un patrimonio ricchissimo che spesso viene sottovalutato. La maggior parte delle donne potrebbe comprare meno e risparmiare, se solo conoscesse meglio quello che ha già accumulato negli anni. Un maglione di cachemire che 10 anni fa non ci piaceva perché ci faceva sembrare più vecchie, magari oggi è proprio quello che ci serve per andare in ufficio. Un vestito da sera della nonna, che avevamo usato un anno a Carnevale, con pochi accorgimenti potrebbe diventare un abito elegantissimo", spiega Sara Pupillo autrice, insieme a Sabrina Beretta del libro del libro Chic low cost (Aliberti editore).
"Importante anche selezionare capi di qualità - aggiunge Sabrina Beretta - . I tessuti che garantiscono una buona resistenza nel tempo sono quelli naturali come la lana e la seta. Nella lunga distanza il risparmio in famiglia si vede: i capi vivono a lungo e possono passare da una persona all'altra".
L'articolo dell'inchiesta di repubblica   dimentica  che  un altro   tipo di baratto  ( secondo  alcuni )   o d'auto aiuto  (  secondo altri  , vedi la prima puntata  )  è  quello della banca del tempo  cioè La Banca del Tempo (abbreviato, BdT) è un tipo di associazione che si basa sullo scambio gratuito di "tempo".
per   chi volesse saperne  di più   ecco dal linlk sopracitato alcuni url  

21.5.13

guida su come sopravvivere alla crisi prima puntata "Aiutarsi come durante una guerra "



riprendo qui l'inchiesta di repubblica e in alcuni punti , a voi scoprire quali , ci aggiungono del mio e mia esperienza 


Co-housing ovvero vivere insieme, co-working ovvero lavorare uniti. E ancora gruppi di acquisto solidale che raggruppano fino a sette milioni di persone, mercatini del baratto e una miriade di orti collettivi nella grandi città. Così sta crescendo un movimento silenzioso che fa fronte alle difficoltà di questi anni 
Generazione Co. E questa volta a finirci dentro non sono solo i giovani ma proprio tutti, o almeno chiunque è costretto a fare i conti con budget sempre più ridotti. Perché, ora, in piena crisi economica, un modo per sopravvivere è coalizzarsi, stare insieme, collaborare, condividere. E per farlo si formulano nuovi stili di vita. Si punta sul co-working, per spartirsi le spese d'ufficio, sul co-housing, perché nei condomini solidali ci si aiuta e si tagliano e di molto i costi. Ma anche l'automobile gestita da più famiglie, il car-sharing, affascina sempre più persone. Partecipare a gruppi di acquisto solidale con parenti o colleghi, non è solo vantaggioso ma alla fine anche stimolante. 
E nel cerchio che stringe sempre più i consumi riducendoli ogni giorno un po' ci finiscono anche parole come riciclo o scambio. E c'è chi punta agli orti metropolitani oppure a prepararsi in casa cibi come yogurt, pane e conserve: un popolo sempre più numeroso secondo il Censis che nell'anno che si è appena chiuso ha contato 11 milioni di nuovi adepti. Mentre i modelli produttivi tradizionali sono in difficoltà (nel manifatturiero si registra il 4,7% di imprese in meno tra il 2009 e oggi), crescono le cooperative tanto che le imprese, in questo settore, sono aumentate del 14% tra il 2001 e il 2011. 
Una nuova era? "Non proprio ma sicuramente più solidale di quanto si pensi - per lo psicoanalista Lucio Della Seta, autore di Debellare l'ansia e il panico, Mondadori, pp. 114, euro 16 - . L'essere tutti più poveri unisce. Sta succedendo, seppur con delle inevitabili variazioni, quello che accadeva durante la guerra o subito dopo: le persone, oggi, si associano in mille modi differenti. Cercano insieme una via d'uscita. Si è meno soli paradossalmente di quando l'economia viaggia ad alti livelli. E automaticamente l'ansia diminuisce perché l'attenzione si sposta su altro: sul problema del mangiare, dormire, andare avanti. Non è un caso che ci sono, oggi, persone che hanno ripreso a coabitare. Stare insieme, fare gruppo è un sentimento arcaico che toglie la paura. Quella stessa paura che alla fine genera gli attacchi di panico".

Come aiutarci
di GAD LERNER

Consumi, sempre più giù
Quando l'economia va male, la condivisione può essere una soluzione. I gruppi di acquisto sono in crescita. Ma le persone tagliano anche gli sprechi. Oggi i consumi sono crollati e sono ritornati ai livelli del 1997. L'83% dei nuclei familiari ha riorganizzato la spesa alimentare cercando offerte speciali e cibi meno costosi (dati Censis). Dal 2007 al 2011 la crisi ha alleggerito di 7 miliardi di euro la borsa della spesa alimentare delle famiglie italiane (dati Fipe-Istat). Ad altri due miliardi ammontano i tagli nei consumi alimentari fuori dalle mura domestiche. Secondo il Censis il 73% degli italiani va a caccia di offerte e alimenti poco costosi. E ci sono 7 milioni di persone che partecipano ai Gas, i Gruppi di acquisto solidale.
In calo l'abbigliamento
Con la crisi gli italiani rinunciano anche agli articoli di abbigliamento o alle calzature (secondo il Censis il 40% a rinunciato a questa spesa). Si compra meno anche perché per una famiglia rinnovare il guardaroba è diventata un'impresa. Un esempio? In un grande magazzino vestire un bambino di 6-8 anni può alleggerire e non poco le tasche. Per una tuta con maglietta si spendono circa 30 euro. Aggiungendo un giubbotto da 40 euro e un paio di scarpe economiche di altri 40 si superano i 100 euro. Ma in uno dei tanti mercatini dello scambio i vestiti dei propri figli ormai cresciuti, si possono barattare gratuitamente o per pochi euro. 
La seconda vita di abiti e scarpe
Le persone studiano soluzioni alternative. Un cappotto rimasto sepolto in un armadio per anni, scarpe abbandonate, borse inutilizzate: sono tutti oggetti che ora possono tornare utili. Aumenta la condivisione fra persone. Il passa parola fra amiche può essere utile per comprare a prezzi stracciati capi o per partecipare agli swap parties, dove si scambiano giacche o pantaloni. "Gli swap parties vengono organizzati per scambiarsi degli abiti o oggetti che noi non usiamo più. È anche un pretesto per incontrarsi. Un modo per stare insieme e scambiarsi quei capi che non servono e sono spesso di valore - spiega Edoardo Amerini, presidente di Conau, consorzio abiti e accessori usati - . E poi ci sono le bancarelle e i negozi dell'usato. In passato erano meno diffusi, mentre oggi sono in crescita".
Caro benzina
Fra i costi fissi c'è anche quello dell'automobile. Se una volta molte famiglia consideravano normale averne più d'una, oggi le cose sono cambiate. Secondo l'ultimo rapporto Censis, il 62,8% degli italiani limita gli spostamenti in macchina o moto per risparmiare sulla benzina. A dicembre le immatricolazioni sono diminuite del 22,5% rispetto al dicembre 2011. Nell'intero 2012 il saldo è negativo del 19,87%. Sono cvalate addirittura anche le patenti mentre in due anni sono state vendute, 3,5 milioni di biciclette. Il più delle volte si rinuncia anche anche ai viaggi (42%), un lusso in piena recessione. Anche per i trasporti si punta a dividere le spese con altre persone. Mai più macchine vuote, con una sola persona al volante, per andare in ufficio. Prende piede il carpooling che permette di usare una sola macchina e condividere le spese. Roberto Dell'Omo è un ingegnere milanese che si sposta da Milano a Roma tutte le settimane con questa soluzione: "Oltre a risparmiare si crea una comunità di viaggiatori su quattro ruote che in alcuni casi si frequenta anche oltre il singolo viaggio. Dalla drag queen al gruppo di tango argentino, posso dire che in questi due anni ho viaggiato e conosciuto persone di tutti i tipi". 
Casa
Si risparmia su tutto, ma sulla casa non è facile. Diminuisce il numero di persone che riescono a comprarla: secondo l'Istat, rispetto al secondo trimestre 2011, le compravendite di immobili a uso residenziale diminuiscono del 23,6. C'è chi però decide di scommettere sull'acquisto condiviso di un edificio, per tagliare anche i costi di gestione. "La solidarietà non si misura solo con l'aiuto materiale ma anche con un 'avvicinamento" di tipo relazionale delle persone che vivono in strutture di questo tipo - dice Lorenzo Allevi dell'impresa sociale Sharing, che a Torino ha dato vita all'albergo condiviso - . Nel nostro albergo sociale questa solidarietà è sentita. Ci sono persone che mettono a disposizione il proprio tempo per organizzare delle serate a tema con i bambini. Oppure associazioni che tengono gratuitamente corsi di italiano per stranieri. In molti organizzano delle feste e invitano tutti. Ci aiutiamo tra di noi e facilitiamo le occasioni d'incontro".

Lavoro
Sempre più precario e con meno tutele, anche il lavoro cambia quando circola meno danaro. Così è aumentano le esperienze di co-working, il lavorare insieme. Si può spendere per una scrivania, internet, fax, sala riunioni ed altro dai 25 euro al giorno, ai 250/350 euro al mese. In alcuni co-work sono attive anche forme di baratto. Una persona mette a disposizione la sua professionalità e in cambio ottiene un'altra cosa. È un modo per essere autonomi sul lavoro, condividendo servizi, e per evitare che il lavoratore si senta isolato. Perché in tempi di crisi e meglio non rimanere soli.

o ama troppo e male o non capisce cosa sia il femminicidio picchiata dal compagno dice: “Voglio tornare con lui”

N.b 
per  chi leggerà  il mio commento \  premessa NON SONO misogino od  odio le donne , ma    solo certi loro  comportamenti  strani e contraddittori

 chi le  capisce  le donne  prima fanno tanto le "preziose" ( posizione più o meno comprensibile  )    anche se   a  volte    quando  gli chiedi :   il numero di cellulare  ( prima  che esistessero \  prendessero il sopravvento  le  chat  e le video chiamate  )  o  una  videochiamata per  parlarci dal vivo   ,  o  se  sono  tue compaesane  o dei dintorni   gli chiedi  ( sui  facebook  o  al cellulare  o  a  voce  )   senza nessun  scopo recondito  di uscirci  a prendere  qualcosa o  vedere un film o  un altro spettacolo  .Ovviamente  senza  generalizzare perché  non tutte   per  fortuna smileysmiley non  sempre    sono   cosi in quanto  le donne  




 Ma   spesso  succedono fatti come quelli  narrati sotto  


Infatti     leggo su  ilfattoquotidiano questo  interessante  articolo  
La sera del 19 maggio qualcuno ha cercato di introdursi nella sede del centro anti-violenza ‘Artemisia’ di Firenze e non riuscendovi  ha dato alle fiamme una porta finestra.  Il pericolo di incendio è stato scongiurato dall’intervento di una operatrice che stava cominciando il turno direperibilità.Da tempo le operatrici  di ‘Artemisia’ ricevono ingiurie, minacce di violenza e di morte. Il centro anti-violenza fiorentino era  stato preso di mira anche  sul web ricevendo invettive violente e intimidazioni da gruppi misogini. Artemisia non è però l’unico caso. Altri centri hanno ricevuto minacce e subito atti vandalici.In passato il centro anti-violenza ‘Linea rosa’ di Ravenna e la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna subirono effrazioni nella loro sede e atti vandalici. Due anni fa una volontaria di ‘Demetra’ venne minacciata di essere uccisa e buttata in un sacco dell’immondizia: “So chi sei e dove abiti”, le disse l’ex compagno di una donna che aveva denunciato le violenze subite. Ma l’episodio più grave risale all’ottobre del 2007, quando, nel tribunale di Reggio Emilia, Giovanna Fava, allora presidente e avvocata del centro anti-violenza ‘Nondasolaviene ferita mentre patrocinava in tribunale la causa di una donna vittima di violenza.  L’ex marito, accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, durante l’udienza le spara e poi uccide la moglie stessa e il cognato. E ancora, le minacce alla legale del centro anti-violenza  ’Le melusine‘ di L’Aquila dopo  un processo per stupro.Quanto è accaduto ad Artemisia e agli altri centri deve tenere alta l’attenzione delle istituzioni perché le operatrici dei centri, oltre a operare in difficoltà per gli scarsi aiuti ricevuti da parte di tutti i governi che si sono succeduti, sono esposte a rischi continui.Le risposte della politica continuano a sembrare inappropriate o demagogiche. Preoccupa sentir parlare di task force e braccialetti anti-stalking da parte dei ministri della Repubblica e delude la scelta della titolare delle Pari opportunità Iosefa Idem di  incontrare, il 22 maggio, decine di associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Una riunione fiume che durerà dalle 9 alle 17  in cui ogni associazione avrà cinque minuti di tempo per presentare richieste ed esporre criticità. Cinque minuti! Le risposte politiche continueranno a essere inadeguate se i problemi non saranno affrontati nel rispetto delle differenti specificità e con interventi mirati. E quali specificità è possibile ascoltare e comprendere in cinque minuti? Inoltre il rinnovo del Piano nazionale  anti-violenza è ancora in alto mare. La politica è latitante anche per contrastare il degrado culturale che stiamo vivendo in Italia, con rigurgiti di razzismofondamentalismo cattolico, sessismo e misoginia.Il problema della violenza contro le donne viene trattato ancora da  troppi intellettuali (che avrebbero la responsabilità di sensibilizzare e far riflettere l’opinione pubblica), come qualcosa che riguarda patologie o emarginazione sociale. Quante volte abbiamo letto che il problema dellacultura del femminicidio in Italia è enfatizzato? C’è ancora chi nega l’impatto culturale dilinguaggio e immagini violente e umilianti nei confronti delle donne, purtroppo molto utilizzate dai mass media e dalla pubblicità. E c’è ancora chi normalizza il femminicidio, tacciando chi ne parla di “bigottismo” e “moralismo”: due paroline magiche per rimuovere il problema.

Poi  invece  c'è  chi , sempre  dallo  stesso  giornale  ,  come Rosaria  Aprea   o   come dico  nel titolo  ama troppo  il suo  uomo  o  è succube  di lui  
Era il 1987 e negli Stati Uniti la psicoterapeuta Robin Norwood pubblicava il libro che da quell’anno in poi sarebbe stato uno dei best seller più diffusi al mondo, secondo il New York Times: “Donne che amano troppo” (Feltrinelli editore).
Rosaria Aprea in una foto dal profilo Facebook
Tradotto in quasi tutte le lingue, seguito da rimaneggiamenti e aggiornamenti nel corso del tempo, questo libro resta una pietra miliare per affrontare, decodificare e cercare di risolvere quel groviglio spaventoso e abissale di sentimenti che in molte donne prende il nome di “amore” verso un uomo violento, e che è in realtà una forma profonda di dipendenza“Donne che amano troppo” è un testo che dovrebbe essere in ogni scuola, e che specialmente in famiglia non dovrebbe mancare dagli scaffali delle librerie domestiche. Ma, per restare con i piedi per terra, si deve sapere che nel nostro Paese si legge poco, e che nonostante gli sforzi ammirevoli di chi fa politica culturale si è ben lontani dal mettere la lettura, e questo tipo di lettura, ai posti apicali dellepriorità educative.Mentre in Italia, infatti, si discute di femminicidio, fronteggiando come primo ostacolo proprio il negazionismo di molti (e molte) che si ostinano a questionare sulla legittimità del neologismo,l’intervista de Il Corriere del Mezzogiorno alla 20enne di Caserta massacrata di botte il 15 maggio dal fidanzato è materiale drammaticamente attuale e importante per ragionare sulla connivenza, lacomplicità e il sostegno femminile alla cultura patriarcale sulla violenza. La giovane, alla quale è stata asportata la milza perché spappolata dalle percosse subite dal compagno Antonio Caliendo, già in passato denunciato per le botte inflitte alla stessa ragazza, è stata intervistata dal quotidiano e, ancora ricoverata in Chirurgia d’urgenza all’ospedale civile di Caserta, ha detto: “Io non voglio che Antonio resti ancora chiuso lì dentro (in prigione, ndr). Lo so che non si è reso conto di quello che mi ha fatto e voglio tornare con lui“.Nell’intervista Rosaria Aprea recita un rosario di scuse già visto molte volte: nega le botte in un surreale cortocircuito dell’evidenza, visto che Caliendo è accusato di tentato omicidio, date le conseguenze dei calci sul suo corpo; si dice preoccupata del fatto che il fidanzato sia rinchiuso in cella, ritira la denuncia contro l’uomo, che per fortuna, vista l’entità delle percosse e il comportamento recidivante, resta in carcere perché comunque il reato è procedibile d’ufficio.“Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Amare troppo è calpestare, annullare se stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo ‘sbagliato’ per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci – scrive Robin Norwood – Amare in modo sano è imparare ad accettare e amare prima di tutto se stesse, per potere poi costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo ‘giusto’ per noi. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza o li consideriamo conseguenze di una infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è una esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così”.Le parole della Norwood, scritte nel 1987, rimbalzano a distanza di 25 anni come attualissima e lucida analisi su come sia urgente non smettere di sottolineare che la violenza contro le donne va prima di tutto riconosciuta come tale: se, infatti, le ventenni e i ventenni di oggi non sono in grado di percepire la differenza tra ardore e sopruso, tra passione e prevaricazione, e tra amore e morte, questa confusione ignorante è la prima emergenza da affrontare. Subito
.

Una colonia orientale...



Con quale immagine corredare questo mio intervento? Con la superba facciata di Notre-Dame de Paris?
Sarebbe stato logico, forse banale, forse, al contrario, sconvolgente per il suo valore simbolico, ma il linguaggio del sacro è oggi così immediatamente percepibile? Ne dubito.
E, da parte mia, non ci riuscivo. Insopportabile, per me, il diabolico ossimoro: un nazista che si spara in bocca nel Duomo di Francia, un nazista cristianista, "per protestare contro le nozze gay". Veramente troppo. Peggio, quasi, delle immagini in bianco e nero di Hitler compunto davanti a un altare.
Perché qui non si è replicato Hitler, ma Goebbels.

Per questo ho preferito lasciar la parola a lui, Dominique Venner. Una parola francese ma, credo, comprensibile anche a chi non ha dimestichezza con questa lingua.

Una parola, tutto sommato, lineare, piana, non urlata. Venner era uno storico e un politico, di estrema destra, molto conosciuto nel suo Paese. E da storico si esprimeva. Niente accenti infiammati, nessuna sintassi imbarazzante.
Ma dietro quei ragionamenti, all'apparenza distaccati, quasi asettici, ardeva un immenso rogo.
Venner si è sparato in quello che, per lui, era l'emblema della Francia profonda. E dell'Europa. Un'Europa remota e sepolcrale, fredda e atra, un'Europa da Medioevo crociato. Un'Europa disseminata di croci, certo, di autodafè, naturalmente, di santi gotici e severi; pietra di separazione. Il cristianesimo di Venner era un cristianesimo d'identità. Una nazione.
L'Europa di Venner era altra, e altra doveva rimanere.
Chissà quante volte avrà letto il mito della fanciulla rapita da Giove. Il suo continente bianco e puro porta il nome d'una principessa fenicia. Ci avrà mai pensato?
Tutto, tutto: ma colonia orientale, no. Questo, della "sua" Francia e della "sua" Europa, Venner non poteva sopportarlo.
"Questa potenza potrebbe sparire - argomentava in un'intervista del 2011 - col risveglio delle antiche civiltà: la Cina, l'Islam e il Sudamerica; con l'invasione delle popolazioni extraeuropee che provoca un risveglio identitario".
Chi appena possiede un minimo di conoscenza storica vi ritroverà facilmente gli echi del razzismo contemporaneo, da quello "spirituale" di Gobineau ed Evola fino al "biologico" di Rosenberg e, appunto, di Goebbels e della nostrana "Difesa della Razza". Ma cosa c'entrano i gay in tutto questo? - potrebbe domandare qualcuno.
C'entrano. Il razzismo contemporaneo, anche quello autolesionista del disgraziato Weininger - un altro che si sparò in faccia, questa volta in odio verso sé stesso: era un pre-nazista, ma pure ebreo -, ha sempre combattuto la democrazia, il femminismo e il cosmopolitismo come germi disgregatori e inquinanti della sanità del popolo, dell'ordine e della gerarchia. Weininger tuonava contro la "società effeminata" che rilassava i costumi e favoriva pericolose commistioni di sangue, di rapporti, di volti e corpi.
La società "esotica" è sempre stata, per essi, una società mostruosa.
Ecco il terzo tassello del ragionamento di Venner: la legge sui matrimoni gay provocherà una reazione islamica che, approfittando della pigrizia morale europea, s'impadronirà del potere e distruggerà la civiltà del continente.
E' vero che alcuni islamici auspicano la decadenza europea per instaurare una teocrazia di stampo medievale? Sì, è vero. Anzi essi sono certi che presto avverrà.
La conferma è venuta loro oggi, proprio da Venner. Venner, con quel suo gesto, ha attestato una resa. Non si è trattato d'una protesta. Ma di disperazione. Una disperazione eminentemente politica, lucida nella sua follia, ma disperazione, cioè a dire l'opposto di quel cristianesimo in cui diceva di credere, e che invece si è rivelato l'illusione d'una bandiera e d'una etnia.
Il cristiano non ha timore. Il cristiano vuole la vita. Il cristiano non odia.
"[Gli omosessuali] in ogni paese costituiscono una colonia orientale, colta, sensibile alla musica, maldicente, dotata d'incantevoli doti e di difetti insopportabili" (M. Proust, Sodoma e Gomorra, 1913). Ma con questa "colonia orientale" il cristianesimo, che pure è Oriente, dialoga e si confronta.
Ama. E ama anche quando discute con questi fratelli e sorelle. Quando non li condivide del tutto. Ma innanzi tutto li ama, perché son suoi, perché sono perseguitati, perché in essi vede riflessa la propria umanità.
E, attenzione: il dialogo non è sincretismo, non è timidezza. L'amore è intrepido.
Venner ha lasciato in quella chiesa, nella Madre Chiesa, un gesto isterilito. Ha negato l'Europa nel momento stesso in cui ha creduto di volerla difendere. Non lo dimenticheremo, certo. Come non dimenticheremo Goebbels che preferì uccidere i figli (e sé stesso) piuttosto che vederli crescere in un mondo senza nazismo, senza barriere, in mezzo alla democrazia "debole", agli ebrei, al meticciato, agli... omosessuali (anch'essi annientati nei campi di concentramento). In fondo, un vecchio che non ha compreso il senso dell'esistenza non è più triste d'un giovane sacrificato sull'ara delle illusioni distrutte. Riscattare il cristianesimo con un gesto pagano è il gesto più tristo possa concepire una mente dissanguata.

La prima radio autogestita dagli adolescenti

Si chiama "Radio Immaginaria" e trasmette da Castel Guelfo, in provincia di Bologna. Un megafono per i ragazzini tra gli 11 e i 17 anni, che ora per far sentire la propria voce hanno anche scritto una canzone "Mentalità Immaginaria", che lanciano sul web con un video.  aveva ragione finardi  



  siamo ritornati a quei tempi  ?

20.5.13

Sfratti, notifiche e pignoramenti, i rischi dell'ufficiale giudiziario la storia di germana secci

per una volta  ho provato , leggendo  questo articolo , pur  non  :  << (...) non mi aspettavo un vostro errore \uomini e donne di tribunale \se fossi stato al vostro posto...\ma al vostro posto non ci so stare \se fossi stato al vostro posto... \ma al vostro posto non ci sono stare.(...)    de Andrè  >>, a mettermi al loro posto  . Dico solo   che  è  un lavoraccio

unione sarda  19\5\2013

Sfratti, notifiche e pignoramenti, i rischi dell'ufficiale giudiziario

di GIORGIO PISANO  (  pisano@unionesarda.it
La sigla dice poco: Ufficio notifiche esecuzioni protesti (Unep). Poco perché dietro ci sono storie quasi sempre difficili. L'Unep è la sede degli ufficiali giudiziari, cioè quel braccio disarmato della Giustizia che notifica ed esegue sgradevolissimi effetti collaterali delle sentenze: sfratti, pignoramenti. Per portarli a termine qualche volta serve l'aiuto dei carabinieri. Altre volte invece va molto peggio. Per esempio, quando l'ufficiale giudiziario trova il debitore appeso alla trave di un soffitto.Germana Secci, 42 anni, due figlie, non ignora che la sua è una professione ad altissimo rischio, qualcosa che magari ti lascia - a missione compiuta - una pietra sullo stomaco: non sempre si riesce a digerire la povertà fingendo di non vederla. Ad una come lei succede invece di doverci fare spesso i conti, strappare veli che dignità e pudore cercano di nascondere agli altri. Ma succede anche di andare in case dove dei pignoramenti se ne infischiano. Case di ricchi, nullatenenti cronici, per niente intimoriti dal verdetto di un processo. Gente che, appena vede l'ufficiale giudiziario, porge sprezzante la cornetta del telefono: le dispiace parlare col mio avvocato? È in linea.
Qualche dato per capire di quale giungla stiamo parlando: nel “mandamento” di Cagliari (che comprende 52 Comuni), l'Unep ha eseguito nel 2012 quasi novemila esecuzioni forzate e consegnate circa 150mila notifiche destinate a duecentomila persone. Il capo dell'Ufficio (Elena Manca) deve barcamenarsi con una pianta organica che prevede oltre cinquanta addetti mentre in realtà ne ha appena 40. E quasi tutte donne.
Nelle chiacchiere da bar, l'ufficiale giudiziario è sempre stato rigorosamente maschio, tendenzialmente sadico, sicuramente spietato. A riprova, si racconta tuttavia anche di quel poveretto imprigionato per ore da un debitore disperato, di quell'altro che entrava nelle case con la grazia d'una ruspa. Germana Secci, che è approdata a questo mestiere nel 2005, è piuttosto scettica sulle leggende che avvolgono colleghi del passato. Sa di fare un lavoro non semplicissimo ma lo vive con passione perché la mette in contatto con mondi inimmaginabili. «E se hai un minimo di sensibilità non puoi far finta di niente». Pericoli? In teoria ci sono di sicuro ma nella politica del giorno per giorno gli episodi di tensione si contano sulle dita di una mano. Sarà perché il mestiere ha cambiato genere (passando la mano quasi per intero alle donne), sarà perché i morsi della crisi non consentono più esibizionismi. O forse soltanto perché è mutato l'atteggiamento, il modo di relazionarsi e di essere di quelli che un tempo erano incolpevoli e detestatissimi servitori dello Stato.
Poche categorie vantano un collega sequestrato.
«Nel nostro lavoro è piuttosto difficile separare la verità dei fatti dalle leggende, che sono tantissime. Non so nulla di qualcuno imprigionato da un debitore. Quand'è accaduto, negli anni '80? Stavo da tutt'altra parte».
Vuol negare che in passato siete stati considerati mastini della Giustizia?
«Raccontano di colleghi che, durante i sopralluoghi, lanciavano i materassi dalle finestre, frugavano dappertutto con brutalità, senza rispetto. Gran parte di queste storie però è fatta di pura fantasia».
Sbagliato definire il suo un mestiere odiato?
«Può darsi che lo sia, però ci offrono il caffè. La settimana scorsa ne ho bevuto uno buonissimo con un signore a cui avevo appena pignorato l'auto. I tempi sono cambiati, non sempre i giornali se ne accorgono».
Falso dire anche che il suo lavoro genera ansia?
«L'ansia c'è, non si può negare, ma non per le ragioni che pensate. C'è perché succede di avere a che fare con persone che hanno problemi mentali, che magari non sono perfettamente lucide o minacciano di farsi del male. E questo rende tutto più difficile».
Le è mai capitato?
«Sì. Mi è successo con una donna, diceva di volersi suicidare. Il fatto è che noi operiamo molto spesso in aree di grande disagio, entriamo in case che non t'aspetti, case in cui si mangia dove si dovrebbe dormire e viceversa, case dove si accumulano immondizie di mesi».
Per questo andate a pignorare scortati dai carabinieri.
«Chiediamo aiuto ai carabinieri solo in certi casi, e cioè quando sappiamo che è necessaria la presenza di una divisa per attenuare la tensione. Comunque, si lavora meglio da soli. Sembrerà strano ma spesso rende tutto più semplice».
Fate i conti con una città sommersa, inedita.
«Certo, e piena di sorprese. Se entro in un alloggio popolare, so grosso modo che ambiente troverò. Ma accade invece che nell'abitazione di un impiegato, di un dirigente, diciamo pure di un insospettabile, ci siano situazioni devastanti».
Degrado?
«Pavimento disseminato da bottiglie di birra vuote, dalla sensazione di una vita lasciata andare fra sporcizia e abbandono. L'ansia è anche quella che, dopo aver visto certe cose, ci portiamo a casa. Dietro un banale pignoramento si può scoprire un incredibile carico di sofferenza. E questo, se non si è automi, non può lasciare indifferenti».
Che ne dicono in famiglia?
«Condividiamo la parte più difficile del nostro lavoro con i colleghi, meglio non coinvolgere le famiglie. C'è da dire però che, insieme a tutto questo, qualche volta c'è anche da divertirsi. Magari per una battuta, per uno strafalcione. Mi ricordo la nonna di quel pignorato che diceva: mio nipote non c'è, è in carcere, non l'hanno fatto uscire manco con l'adulterio» .
Essere un ufficiale donna complica le cose?
«Al contrario. In un certo senso, le facilita. Noi donne spesso riusciamo a suscitare empatia più facilmente. Tra donne poi basta guardarsi negli occhi per stabilire un buon rapporto».
E con gli uomini?
«Parlo della mia esperienza: nessun problema. C'è rispetto. L'unica volta che ho subìto, come dire?, un comportamento pesante è stato in occasione dell'asporto di un mezzo. Non è stato necessario far intervenire la forza pubblica nel senso concreto della parola, ma quasi».
Farebbe un altro mestiere?
«Sono stata cancelliere per molti anni nelle segreterie della Procura della Repubblica. Preferisco il lavoro di oggi perché mi consente di misurarmi con la realtà di tutti i giorni, scovare facce della vita che non riuscirei nemmeno a immaginare. E quando assisto a certe scene di degrado mi torna sempre in mente la frase d'una vecchia cantante, Ombretta Colli».
Che ha detto di così indimenticabile?
«In un'intervista ha dichiarato sicura: chi nella vita non ha mai fatto una vacanza in barca? Mi piacerebbe portarla in giro con me per una settimana».
Mai provato imbarazzo?
«Imbarazzo, perché?»
Perché magari s'è resa conto che stava portando via davvero tutto.
«Non dimentico mai che sto soltanto eseguendo quanto disposto da un giudice. Bisogna inoltre considerare che qualche volta dall'altra parte, cioè da parte di chi ha chiesto il pignoramento, c'è un operaio che non vede il salario da mesi».
Scegliete cosa pignorare o si va a naso?
«Abbiamo vincoli precisi. Si parte dagli oggetti preziosi per arrivare al resto badando a selezionare tutto ciò che abbia facile commerciabilità. Controlliamo cassetti e armadi chiedendo di solito al padrone di casa di farlo lui per noi: è terribile metter mano nell'intimità di una persona».
Violenze, minacce?
«In determinati momenti certe frasi scappano: cosa faccio, prendo una pistola e ammazzo tutti, compreso l'ufficiale giudiziario? Basta fingere di non sentirle».
Il rischio peggiore che ha corso?
«Nessuno di veramente serio, a essere sincera. Devo dire comunque che la tensione più angosciante l'accuso di solito quando faccio uno sfratto per assegnazione di casa coniugale, cioè nei casi in cui un giudice dispone che la casa venga affidata alla moglie. E il marito, che è magari lì, se ne deve andare...»
... per scoprire poi come si dorme in macchina.
«Qualche volta, sì. E sono momenti estremamente difficili».
Ricorda la prima volta?
«Non la primissima ma non posso dimenticare un pignoramento in un appartamento di via Emilia. Mentre eseguivo l'operazione, la padrona di casa piangeva: aveva paura che tornassero i figli da scuola e capissero cosa stava accadendo. Altre volte mi hanno chiesto: per favore, se arriva mio marito dica che è una signorina per gli abbonamenti Sky, lui non sa nulla».
Come selezionate i casi in cui servono i carabinieri?
«Dalla prima reazione dei pignorati. In genere li chiamiamo se c'è una sorta di resistenza, se - per esempio - ci sbattono la porta in faccia».
Scusi, ma lei va sola a fare le esecuzioni forzate?
«Certo. E succede che mi ritrovo davanti una moglie ignara che non ti apre perché non si fida, perché non sa assolutamente niente di quel che ha combinato il marito e quindi pensa a una trappola da truffatori porta a porta».
In caso di sfratto, si deve andar via subito?
«All'istante. Debbono lasciare la casa proprio di fronte a noi».
Aneddotica d'ufficio.
«Niente di che. Succede di colleghe che sono state trattenute a casa dei pignorati. Un giro di chiave e adesso lei non esce di qui finché non arrivano gli assistenti sociali».
Frequentate corsi sulle tecniche di avvicinamento?
«No, impariamo dall'esperienza. Facciamo in modo che l'impatto sia più lieve possibile. Fermo restando che dobbiamo rispettare il codice, da lì non si scappa. Ho visto carabinieri fare gli assistenti sociali, aiutare e reggere le buste di persone a cui avevamo notificato lo sfratto».
Le piace questo mondo?
«No. Lo trovo iniquo, profondamente ingiusto, con poche prospettive, cinico».
Tra i vostri clienti ci sono anche i truffatori abituali.
«Certo, e sono tanti. Alcuni di loro se ne fanno un vanto. Gente che dice: non ho problemi di soldi ma lei qui non può toccare uno spillo, gli avvocati li ho anch'io».
Insomma, i furbetti del pignoramento.
«Sono quelli che noi chiamiamo debitori seriali».
Pure ricchi, giusto?
«Talvolta anche ricchissimi. Ma nullatenenti. Gente che appare e scompare tra i registri di società che falliscono. È successo che mi abbiano sfidato: sta perdendo il suo tempo, dottoressa. Guardi qui. Tra le persone che incontriamo, di solito sono quelle più sgradevoli».
Cioè?
«Hanno una cartellina dov'è certificato che non possiedono nulla. Ragione per la quale, anche se abitano in un appartamento milionario, non gli puoi sottrarre uno spillo».
Un pignoramento può rovinare un'esistenza?
«Un pignoramento immobiliare senz'altro, uno mobiliare probabilmente no».
Portate via la roba che pignorate?
«Non sempre. Possiamo lasciarla in custodia al debitore».
Le è capitato di non sapere cosa pignorare perché non c'era proprio nulla?
«Tantissime volte. Mi si stringe il cuore quando m'accorgo che invece il debitore crede di possedere roba di valore. Ricordo una signora dell'Est: aveva un armadietto di stoffa con la cerniera-lampo, roba da quattro soldi. Eppure mi ha implorato: la prego, questo no, non me lo porti via» .

L'anima nel corpo


Un'eco. No, un ruggito. Lontano e possente. Se n'è andato a settant'anni, non giovane, ma nemmeno troppo vecchio, poco più che attempato, si direbbe oggi con un eufemismo che gli farebbe orrore. Carlo Monni s'è portato via un'Italia sanguigna e primordiale. Un'Italia sepolta, composta di mura, crani, sangui, frutti e bestemmie. Un'Italia terragna e pagana, sempre minore, ribollente, come il cuore metallico dei palloni da basket. Un'Italia vernacola e arcimbolda.
Carlo non era colto. Era cultura. Coltivazione, campo. Magari riarso da un sole implacabile. La incarnava in quel suo corpo a volte possente a volte flaccido, talora Ercole, talaltra Bertoldo.
Monni era anima perché corpo. Riassumeva tutto: la colta oscenità del Panormita e l'atarassia dell'operaio frustrato, forse comunista, forse solo alla ricerca d'un riscatto, d'un amore. In silenzio senza capire di fronte a una storia più grande di lui. Che faceva forse l'amore qualche volta, ma in fondo anelava alle donne sfuggenti con desiderio e rimpianto feroci. E rifugiato suo malgrado fra le gonne ambigue della matriarca, come splendidamente immortalato nel capolavoro dell'amico Benigni, che non è La vita è bella ma Berlinguer ti voglio bene. E poi naturalmente Monicelli, Benvenuti, Virzì, L'uomo la bestia e la virtù e, immancabile, Cecco Angiolieri. Ma consentitemi pure un ricordo magari minore, certo non incidentale: il ruolo di manager-squalo nell'unico film scritto e interpretato da Renato Zero, Ciao Nì: personaggio che Monni rivestì con leggerezza e ironia, aprendo uno spiraglio (subito ahimé chiuso) sulle potenzialità profondamente sovversive di certa arte e musica popolari.
Carlo è sempre rimasto alla periferia della notorietà, pur se tanti lo amavano. Pure qui in silenzio, per una sorta di mistico pudore. Un fiore di campo, di quelli che adornavano l'Etruria. Oggi al posto suo sorgono anonime autostrade, qualche fast-food riempito di anonimi volti, evanescenze lisce e senza fine, prive d'inizio, mai degne, quindi, di configgersi nella storia. Tutto è stato bruciato. E non dal sole cocente, ma dalla cenere dell'amnesia.

19.5.13

fin quando ci sarà una tv del genere il femminicidio continuerà

Più vero

I giorni che precedono la Pentecoste sono scanditi da letture tratte dal Cantico dei Cantici. Cantico, quest'ultimo, da sempre usato negli sponsali, anche cristiani. Ma in realtà è il racconto di un'assenza.
In quasi tutto il testo è presente un'ansia, un inseguimento, anche spasmodico, spesso furioso perché "forte come la morte è l'amore". E' una donna che si alza e va in ricerca: e ci va trascinata da un fremito d'amore, ci va inconsapevole e incosciente di tutto. Il suo è un desiderio vivido e acceso e anche fortemente sensuale. Immaginare questa ragazza che esce per le strade notturne di Gerusalemme, in quelle case aperte come bocche nere, affascina e inquieta.
Ma s'alza, si muove, esce, il pericolo non la spaventa. La guida la forza dell'amore - e dell'assenza. E intanto descrive l'amato che le manca: lo idealizza? Come noi, come tutti, quando non abbiamo di fronte l'oggetto del nostro amore? Ma si può amare chi non si vede? Gli psicologi in questo caso parlerebbero di nevrosi perché l'uomo è relazionale e della relazione ha bisogno.
Eppure, spesso, il compimento è dolore, venato da sottile delusione. L'amato non è ideale, e con lui trascorriamo però il resto dei nostri giorni, com'è giusto, nemmeno noi siamo idealità, ma abitudine, reciproco sollievo. Allora la vita appare un cammino, allora affiora la speranza. La speranza è la sorella minore e indispensabile del viaggio terreno.
Quando i cristiani si accorgono della divinità di Cristo? Quando non c'è più; quando umanamente è troppo tardi. Manifesta la sua regalità in croce, gorgo bituminoso del non-ritorno. E poi scompare, e quando l'afferri si dilegua, come ad Emmaus.
Non è cambiato niente dopo Emmaus, perché i discepoli sono ancora pieni di timore, ancora stanno rintanati nelle loro case, hanno timore dei sacerdoti. Si riuniscono per pregare o forse solo per ricordare con rimpianto? Gesù non è più materialmente tra loro e in loro c'è una grande nostalgia. Però non è la conclusione. Con la Pentecoste arriva un'altra persona. Il Consolatore.
Ma perché consola? Perché è Persona. Dotata cioè di un pensiero e di un'autonomia. E' una persona strana, che non si vede, ma che percepiamo dentro di noi all'improvviso; in un certo senso ci inabita. Lo Spirito santo ci "spiega tutto", anche quello che non riusciamo a capire e di cui non potremmo portare il peso, non con la forza della ragione ma con quella dell'amore. Un amore stavolta compiuto, realizzato, non più deluso, ossia ostacolato, dai limiti dell'umana natura. Egli la comprende e la supera. Non solo speranza nel cammino, ma ideale incarnato. Un assaggio di paradiso.
Soltanto allora il Vangelo si fa città ed esce dalle catacombe, va a cercare gli amati, non solo tra gli eletti ma fra quei "diletti" che ancora non conosce: diviene missionario e cattolico - cioè, universale. E' ancora una donna orientale ma anche - soprattutto - cosmopolita.
L'amore fa compiere "cose folli" non in quanto smania di possesso geloso ma per eccesso, semmai, di giustizia; perché è l'ideale che si compie e s'incarna; si fa abbraccio di tutti. Diventa potente e oblativo.
La Chiesa si fonda su quest'ideale incarnato. Ha un compito più gravoso di quello dell'uomo Gesù, amplificare il suo ventre materno a ognuno, e lo fa attendendo ogni giorno, senza condizionare e mutare di fronte a un diniego, ma mantenendosi fiamma viva, e vagando per le strade a ogni ora, in particolare di notte, e all'alba, quando dorme il cuore del mondo.