3.9.19

Le ragazze del radio: uno dei segreti più terribili d’America

visto  l'indirizzo del sito  da cui  ho tratto la storia  d'oggi     credevo fosse  uno di  quelli acchiapalike  pieni  pubblicità  o  con news  sensazionalistiche  o inventatre  . invece :  alla  fine dell'articolo  compare questa  scritta


Poi ho  fatto  varie ricerche . ed  ecco  che ho trovato  conferma .
 oltre  all'articolo  di    commentimemorabili    che  trovate sotto  ecco    cosa  dice 

https://www.notizie.it/ragazze-radio-salvarono-lavoratori/




La storia dimenticata delle ragazze del radio, le cui morti salvarono migliaia di lavoratori

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Non vengono mai ricordate, ma le ragazze che morirono a causa del radio durante la prima guerra mondiale sono le anticipatrici dei diritti dei lavoratori

Durante la prima guerra mondiale, centinaia di giovani donne andarono a lavorare nelle fabbriche di orologi, dipingendone i quadranti con della vernice luminosa al radio. Ma presto le ragazze, che letteralmente scintillavano nel buio dopo il proprio turno, cominciarono a sperimentare effetti collaterali spaventosi. Per loro ebbe infatti inizio una lotta tremenda contro la giustizia. Una lotta che però cambiò per sempre la legge sul lavoro negli Stati Uniti d’America.
Il 10 aprile 1917, una ragazza di 18 anni, Grace Fryer, iniziò a lavorare come pittrice di quadranti presso la United States Radium Corporation (USRC) di Orange, New Jersey. Ciò avvenne esattamente quattro giorni dopo che gli Stati Uniti erano entrati in guerra. Con due fratelli soldati, Grace voleva fare tutto il possibile per dare una mano agli sforzi bellici. Non aveva idea del fatto che il suo nuovo lavoro le avrebbe cambiato la sua vita per sempre. E con essa anche i diritti dei lavoratori americani.

Le ragazze fantasma

Con la dichiarazione di guerra, centinaia di donne si trovarono a lavorare per dipingere orologi e quadranti con il nuovo elemento del radio, scoperto da Marie Curie poco più di 20 anni prima. La pittura dei quadranti, considerata “il lavoro elitario per le ragazze povere”, veniva pagato il triplo rispetto al lavoro medio in fabbrica. Le donne che erano impiegate in questo tipo di lavorazione potevano quindi considerarsi fortunate. Il lavoro dava infatti alle donne la propria libertà finanziaria, in un momento di grande crescita del lavoro femminile.
Molte di loro erano ancora adolescenti, con le piccole mani perfette per il lavoro artistico. Le ragazze diffondevano il messaggio del loro nuovo lavoro attraverso l’amicizia e le reti familiari. Spesso, in questo modo, molte donne della stessa famiglia si trovavano a lavorare insieme nella medesima fabbrica.
La luminosità del radio faceva parte delle sue caratteristiche. Tanto che le “pittrici di quadranti” presto vennero chiamate le “ragazze fantasma“.
Esse infatti si illuminavano letteralmente al buio dopo la fine di ogni turno. Grace e le sue colleghe seguivano pedissequamente la tecnica che gli era stata insegnata, ovvero la minuziosa mansione di dipingere i minuscoli quadranti degli orologi. Alcuni di questi erano grandi solo 3,5 centimetri. Le ragazze si impegnavano a dipingere i quadranti con solerzia. E ogni volta che alzavano i pennelli usati in vicinanza delle loro bocche, inghiottivano un po’ della vernice verde brillante.

Verità e bugie

La prima cosa che abbiamo chiesto era: fa male questa cosa?“. Mae Cubberley, che insegnò a Grace la tecnica di pittura, raccontò più tardi quanto segue. “Naturalmente non volevamo mettere niente in bocca che ci avrebbe fatto male. Il sig. Savoy [il direttore della fabbrica] ci disse che il radio non era pericoloso. Non dovevamo avere paura“. Ma questo non era vero. Fin dal primo momento in cui l’elemento incandescente era stato scoperto, esso fu noto anche per i suoi potenziali danni. Marie Curie stessa aveva subìto delle ustioni da radiazioni del radio.
Altra gente era morta per avvelenamento del radio prima ancora della vicenda di queste ragazze. Ecco perché gli uomini che maneggiavano il radio indossavano grembiuli di piombo e manipolavano il materiale con delle pinze d’avorio. Tuttavia le pittrici di quadranti non ebbero mai tali protezioni, né nessuno le avvertì che ne avrebbero potuto aver bisogno. A quel tempo si riteneva infatti che una piccola quantità di radio, come quella che le ragazze si trovavano a manipolare, non era ritenuta dannosa, ma anzi quasi salutare. Si beveva acqua al radio come tonico e si compravano anche cosmetici, burro, latte e dentifricio contenenti tale elemento. I giornali riferivano addirittura che il suo utilizzo avrebbe “aggiunto anni alla vita!”.
Ma questa credenza era fondata sulla base di ricerche condotte dalle stesse imprese di radio che avevano costruito l’industria lucrativa attorno all’elemento. Esse ignoravano del tutto i segnali di pericolo che riguardavano tale elemento. Quando gli fu chiesto, i dirigenti di tali fabbriche dissero alle ragazze che la sostanza avrebbe “messo rose nelle loro guance”.

La prima vittima del radio

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Nel 1922 una delle colleghe di Grace, Mollie Maggia, dovette uscire dalla fabbricaperché si sentiva poco bene. Quello che sarebbe diventato il suo tremendo travaglio iniziò con un dente dolorante. Il dentista glielo tirò via, ma un altro dente cominciò a cariarsi e dovette essere anch’esso estratto. Al posto dei denti mancanti, la povera Mollie fu dilaniata da ulcere agonizzanti con sangue e pus. La ragazza iniziò poi a soffrire di atroci dolori alle gambe, talmente forti da renderla incapace di camminare. Il medico pensava che fossero reumatismi e la mandò a casa prescrivendole della semplice aspirina.
Nel maggio del 1922 Mollie era completamente disperata. A quel punto aveva già perso la maggior parte dei suoi denti e la misteriosa infezione si era diffusa. Tutta la mascella, la bocca e anche alcune delle ossa del cranio erano infette. Ma il peggio doveva ancora venire. Quando il dentista toccò delicatamente la sua mascella, con il suo orrore vide che essa di spezzava sotto le dita. In pochi giorni, Mollie perse l’intera mascella inferiore. La ragazza stava letteralmente scomparendo. E non era nemmeno l’unica. Anche Grace Fryer aveva problemi con la sua mascella e provava dolori sofferenti ai piedi, così come altre ragazze.
Il 12 settembre 1922, la strana infezione che aveva afflitto Mollie Maggia in meno di un anno si diffuse ai tessuti della gola. La malattia attraversò lentamente la sua vena giugulare. Alle 5 del pomeriggio di quello stesso giorno, la bocca della ragazza era inondata di sangue, con una emorragia così forte che non poteva essere fermata. La povera ragazza mori all’età di soli 24 anni. Erroneamente sul certificato di morte fu riportato che era morta di sifilide, in modo che la sua ex azienda avrebbe potuto in seguito utilizzare la cosa contro di lei.

La copertura

Il datore di lavoro delle giovani donne negò ogni responsabilità per tutte le morti avvenute nel corso di quasi due anni. Dopo una crisi economica causata da quello che sembrava un semplice pettegolezzo, nel 1924 egli incaricò un esperto per esaminare la connessione tra la loro mansione in fabbrica e la morte delle giovani donne.
Quando l’esperto confermò il legame tra il radio e le malattie, il presidente dell’azienda venne oltraggiato. Invece di accettare i risultati, pagò nuovi studi che giunsero alla conclusione opposta. Egli mentì anche in merito al verdetto della relazione inviata al Dipartimento del Lavoro, che aveva iniziato a indagare sui fatti. Denunciò pubblicamente le donne additandole come speculatrici che tentavano di affibbiare le loro malattie alla ditta.
Fu Grace a dare inizio alla lotta, decisa a trovare un avvocato anche dopo le numerose infamie che non credevano a quanto raccontato da lei e dalle altre donne. Tutti i legali a cui si erano rivolte scappavano spaventati a causa delle potenti implicazioni che poteva portare il caso. Non volevano infatti prepararsi a combattere una battaglia legale che richiedeva il ribaltamento della legislazione esistente. A quel tempo, l’avvelenamento del radio non era una malattia comprensibile. Non era neppure stata scoperta, fino a quando appunto le ragazze non si ammalarono. Le donne stesse furono bloccate dagli statuti di legge, che stabilivano che le vittime da avvelenamento professionale dovevano presentare i loro casi legali nel giro di due anni a partire dai primi sintomi della malattia.
Intanto l’avvelenamento del radio risultava sempre più insidioso. La maggior parte delle ragazze manifestarono i primi sintomi da avvelenamento anche cinque anni dopo aver iniziato a lavorare nella fabbrica di orologi. Si trovavano quindi intrappolate in un circolo giuridico vizioso. Ma Grace era figlia di un delegato sindacale ed era determinata a tenere teste a una società chiaramente colpevole.

La luce che non mente

La sfida più grande delle donne avvelenate dal radio stava dunque nel dimostrare il legame tra le loro misteriose malattie e l’elemento incriminato. Quello stesso elemento, appunto, che avevano ingerito centinaia di volte al giorno durante le ore di lavoro. Le ragazze si trovarono a combattere anche contro la diffusa convinzione che il radio fosse sicuro. Solo quando il primo impiegato maschio della ditta morì, gli esperti cambiarono finalmente opinione. Nel 1925, un brillante medico di nome Harrison Martland elaborò un test che dimostrò una volta per tutte come il radio avesse effettivamente provocato l’avvelenamento delle donne.
Martland spiegò anche cosa stava accadendo all’interno dei loro corpi. Già nel 1901 era evidente che il radio poteva danneggiare gli esseri umani quando veniva inalato. Pierre Curie stesso aveva dichiarato di non voler restare in una stanza con un chilo di radio puro, perché questo gli avrebbe bruciato tutta la pelle dal corpo, distrutto la vista e “probabilmente ucciso”. Martland scoprì che quando il radio veniva usato internamente, anche in piccole quantità, il danno era migliaia di volte maggiore.
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Il radio ingerito dalle lavoratrici si era quindi insediato nei loro corpi. Ed emetteva radiazioni costanti e distruttive per le loro ossa. Vi erano letteralmente dei buchi all’interno delle loro ossa mentre erano ancora in vita. Il radio attaccò le donne in tutto il corpo. La colonna vertebrale di Grace Fryer risultava “schiacciata” e la donna dovette indossare una gabbia contenitiva in acciaio. La mascella di un’altra ragazza fu divorata come un pezzo di legno al fuoco. Anche le gambe delle donne si ridussero spontaneamente e si fratturano.

I bagliori al buio

Spesso le donne si rendevano conto di essere state avvelenate dal radio perché vedevano il loro bagliore riflesso in uno specchio al buio. Come delle ragazze fantasma, esse si rifletteva brillando con una luminosità innaturale. Martland aveva capito che l’avvelenamento da radio era fatale. Ora che l’elemento era stato assorbito dal loro organismo, non c’era modo di rimuovere il radio dalle ossa dalle ragazze.
Nel 1938, Catherine Wolfe sviluppò un tumore a una gamba. Come Mollie prima di lei, anche lei perse i denti e pezzi della mascella. Era costretta a tenere un fazzolettino sulla bocca per assorbire il pus che continuava a sgorgare. Aveva anche visto che altre sue colleghe stavano morendo davanti ai suoi occhi e decise di fare qualcosa. Quando Catherine iniziò la sua lotta per la giustizia, si era intorno alla metà degli anni ’30. L’America era alle prese con la Grande Depressione. Catherine e le sue colleghe venivano evitate dalla comunità per aver denunciato una delle poche aziende rimaste ancora in piedi nonostante la crisi.
Sebbene ormai vicina alla fine quando il suo caso entrò in tribunale nel 1938, Catherine ignorò i consigli medici e fece dichiarazioni anche dal suo letto di morte. In tal modo, e con l’aiuto del suo avvocato Leonard Grossman, finalmente la donna ebbe giustizia. Non solo per sé stessa, ma per tutti i lavoratori. Se le altre donne non morirono in modo tremendo come successe a Mollie, esse comunque soffrirono di micidiali sarcomi.

L’eredità del caso

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Il caso delle ragazze del radio è stato uno dei primi in cui un datore di lavoro fu ritenuto responsabile della salute dei dipendenti della propria società. Il caso ha portato alla costituzione dei regolamenti nei luoghi di lavoro. In ultimo, diede il via anche alla costituzione dell’Amministrazione per la Sicurezza sul Lavoro. La quale ora opera a livello nazionale negli Stati Uniti per proteggere i diritti di tutti i lavoratori.
Prima dell’istituzione dell’OSHA, ogni anno 14.000 persone morirono sul posto di lavoro. Oggi tale numero ammonta a poco più di 4.500 persone all’anno. Le ragazze del radio hanno lasciato un’eredità alla scienza davvero preziosa.Nonostante ciò, non leggerete spesso i loro nomi nei libri di storia. Perché oggi le ragazze del radio sono state dimenticate. Attraverso le parole delle donne ricavate dai loro diari, dalle lettere e dalle loro testimonianze in tribunale, il libro The Radium Girls tenta di rimediare a questo torto. Perché è attraverso la loro forza, la sofferenza e il sacrificio di queste giovani vite che i diritti dei lavoratori sono stati presi in considerazione. Tutti, in fin dei conti, beneficiamo del loro coraggio.
Grace Fryer e Catherine Donohue, per citarne solo due, sono donne che dobbiamo onorare e salutare come eroine senza paura. “Brillano” nella storia per tutto quello che hanno realizzato nella loro vita troppo breve. E brillano anche in altri modi… Perché il radio ha un’età media di 1.600 anni … ed è ancora incorporato nelle loro ossa. Le ragazze fantasma luccicheranno ancora nelle loro tombe per un bel po’ di tempo…


Ed ecco  l'articolo     di  https://www.commentimemorabili.it/ 02/09/2019


Conoscerete di certo la triste vicenda dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl.

Che abbiate o non abbiate visto la serie televisiva omonima, saprete tutti di cosa parliamo quando nominiamo la radioattività. Potrebbe non essere qualcosa di preciso, nelle vostre menti. Potrebbe essere un’idea nebulosa, figlia di disinformazione, nozioni espresse in maniera confusa ed una sinistra luminosità scintillante.
È forse per questo che la storia ha cercato di archiviare una delle faccende più oscure che siano mai capitate, oltre i disastri avvenuti in pompa magna. Perché se una centrale nucleare esplode, nonostante i tentativi di sminuire la faccenda, prima o poi si verrà a sapere. E non solamente per la nube tossica che macinerà chilometri tutto intorno.
Ma se il radio piano piano si insinua nella vita delle donne, sponsorizzato come prodotto di bellezza, elemento affatto tossico ed anzi, un toccasana, la situazione può facilmente sfuggire di mano e viaggiare sul confine del detto/non detto per decine di anni. Ovviamente mietendo vittime tutt’intorno.
Le ragazze del radio

È questa la storia delle ragazze del radio, le operaie che durante la prima guerra mondiale gestirono a loro insaputa un materiale altamente radioattivo con davvero non troppe precauzioni. Per moltissime “Radium Girls” non vi fu un domani. Le povere malcapitate iniziarono a morire come mosche prima di rendersi conto del filo del rasoio su cui stavano passeggiando.i abbiamo già raccontato in un paio di articoli (questo uno tra tutti) di come persino la celeberrima Marie Curie fosse inizialmente ignara dell’estrema tossicità dell’elemento chimico da lei stessa scoperto. È noto infatti che la donna usasse girovagare con barre di radio in tasca, non sapendo che proprio tali barrette luminescenti l’avrebbero condotta ad una tragica e prematura dipartita.Per le ragazze del radio la questione non andò tanto diversamente. Dopo la scoperta, da parte dei Curie, nel 1898, il loro apprendista Sabin von Sochocky una quindicina di anni dopo, insieme al medico George Willis, sperimentò il radio creando una sorta di vernice luminescente in grado di far luce nell’oscurità.I due erano probabilmente ignari del fatto che la strabiliante vernice luminosa avrebbe distrutto migliaia di vite negli anni a seguire. All’epoca però la questione era promulgata come innocua ed il radio veniva addirittura inserito all’interno di creme per il viso e prodotti di bellezza.
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Le ragazze del radio
Fonte: Notizie
Le operaie di cui andiamo a raccontarvi, però, lavoravano tutti il giorno all’interno di una fabbrica di orologi. Il loro compito era quello di dipingere di vernice luminosa e radioattiva i quadranti, insieme ai loro fidati pennelli a cui aggiustavano la punta con l’uso di mani nude e lingua.
Quello che avvenne tra la comunità scientifica, i media e le persone comuni fu particolarmente confuso e controverso. Sochocky e Willis parevano essere piuttosto consapevoli del fatto che il radio fosse tossico. Il primo dei due pare addirittura si sia tagliato un dito in seguito ad un graffietto intercorso con il materiale radioattivo.
Ma le informazioni a riguardo, tra la gente comune, non trapelarono per anni. I media, poi, elogiarono il radio come quella sostanza miracolosa in grado di curare praticamente ogni malattia. Pilloline contenenti la sostanza mortale venivano distribuite come fossero vitamine e la gente ne buttava giù a manciate, ignara del fatto che, se ingerito, il radio finisce per entrare direttamente nelle ossa.
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Le ragazze del radio

Ma tutto questo i media non lo raccontavano e il veleno mortale era rintracciabile ovunque in commercio. Ma torniamo alle ragazze del radio. Le operaie in questione lavoravano all’interno della fabbrica US Radium Corporation, attiva tra il 1917 ed il 1926. Il posto di lavoro sembrava un vero paradiso per una donna. Lavoro onesto, piuttosto semplice e ben pagato. Ma, come abbiamo detto, per molte fu l’ultima esperienza della propria vita.Perché orologi?, vi starete domandando. La Us Radium Corporation si occupava di diverse cose. Una tra tutte l’estrazione del radio dal minerale di provenienza, la carnotite. La vernice radioluminosa creata da Sochocky e Willis viva commercializzata dalla ditta Undark, appaltatrice del Ministero della Difesa Americana. Praticamente qualsiasi militare possedeva un orologio con quadrante e lancette radioilluminate.Come abbiamo detto, alcuni conoscevano i rischi per la salute, ma la questione non venne a galla prima di un certo periodo. D’altro canto, i chimici che maneggiavano il radio, ad esempio per estrarlo dalla carnotite, erano pesantemente equipaggiati. Schermi in piombo, maschere e tenaglie, oggetti salvavita che gli ignari operai addetti alla verniciatura degli orologi neppure si sognavano.
Le ragazze del radio

Anzi, centinaia di lavoratori furono incoraggiati ad affusolare i pennellino con le labbra, cosa che a moltissimi costò la vita. Alcune donne, poi, per divertimento ed ignoranza, finivano per dipingersi unghie, denti e vestiti di quella vernice luminosa. Un’aura di sfavillante gioia mortale che però servì a qualcosa di molto più grande.Mentre i fondatori dell’azienda si riempivano di piombo per aggirare il problema, nessuno si preoccupò mai di informare le ragazze sui rischi della sostanza maneggiata quotidianamente. Tagliare i costi era diventato più importante di espandere radioattività a macchia d’olio. Come vi abbiamo accennato, le donne erano felici del proprio mestiere. I residui splendenti si attaccavano ai loro vestiti, marchiandole indelebilmente.Cosa dici però loro facevano un vanto. Le “dee luminose”, felici e soddisfatte, invitarono famiglie ed amici negli stabilimenti, andando ad aumentare ancor di può il giro di infetti al momento presenti solo in Illinois. Fino al 1922 tutto scorse tranquillo, fino a quando morì Mollie Maggia. La donna semplicemente visitò il dentista per un mal di denti. Il medico le rimosse ascessi dolorosi, ulcere pulsanti che le avevano compromesso le gengive.In poco tempo le infezioni si diffusero agli arti, rendendola incapace di camminare. Nei mesi seguenti la donna venne invasa da ulcere purulente, le furono rimosse mandibola e mascella e la poverina, appena ventiquattrenne, ad un certo punto si spense. I medici, però, insabbiarono la faccenda attribuendo la morte della povera Mollie alla sifilide. Nell’arco di due anni dozzine di giovani avevano subito lo stesso destino.

anche le nostre antenate portavono il fazzoletto

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Visto che mi s'accusa di dire ..... o amenità quando dico che , anche dai noi in molte regioni d'italia fino agli anni 1960\80 in particolare al sud e in sardegna si portava come gli islamici ( almeno quelli non integralisti ) la testa coperta con scialli e fazzoletti , riportoqui a  sinistras   questa foto di Vittoria Pes - Sotgiu di #calangianus( 1829-1901 ) 
Mia quadris nonna da parte paterna con in grembo tris nonna .
 Vogliamo scommettere che se anche voi ,specificamente mi rivolgo ai fans  
di #Salvini , andate a frugare nel baule dei nonni ne trovate parecchie d foto del genere. 
A chi mi chiede :
 1) Cosa centra il fatto del fazzoletto con l'arrivo di migliaia e migliaia di persone in italia , con il fatto che stanno anche 10 giorni davanti a Lampedusa quando nello stesso tempo li portano in un altro stato, in quanto si parla di tratta di uomini perché si sa che viene fatto per soldi. Stiamo scherzando non centra il razzismo riguardante la testa coperta. Mia nonna lo ha sempre portato il fazzoletto per quanto mi ricordi.
2) Gli uomini portavano la berritta, le donne lo scialle. Cosa piffero c’entrano Salvini e l’Islam?

Nei  paesi del mediterraneo l'origine è comune risale
a culti bizantini quindi pre islamici . poi il significato il modo d'intenderlo e d'interpretarlo è diventato  ed si è arrivati ad interpretazioni fondamentaliste ed fanatiche come le  varie  forme di velo islamico in particolare   il burqua che non c'entrano niente con la prescrizione originaria .
I salvinisti e i loro seguaci i più reazionari cattolici








da
https://it.wikipedia.org/wiki/Velo_islamico
non distinguono il velo ( quello comune con l'occidente e la chiesa cristiana ) Hijab  [  foto a  destra  ]  , dagli altri tipi in particolare il burqa interpretazione fuorviante del corano qui maggiori dettagli  E inducono all'odio e  alla paura  del diverso   la gente dicendo : << gli islamici ci voglio imporre il velo ed obbligarci ad usarlo ) >> quando le donne lo mettono perchè in alcuni paesi dove c'è ancora a differenza dell'occidente l'equazione potere temporale =potere religioso cioè mancano istituzioni politiche laiche oltre che per come il forte fattore culturale . come le nostre antenate venivano mal viste se ti toglievi il velo o il fazzoletto dalla testa





concludo con questo video in cui Quando Paolo Villaggio diede una lezione di storia a Matteo Salvini e alla Lega attraverso l’ironia.













2.9.19

cosa è il viaggio ? è ascoltare e condividere storie di gente , di mestieri , di passioni

Riporto  quello che  ho scritto  per  la  pagina e  l'account  di  fb  ,  visto che molti nei  commenti    e  in messanger    mi reputano strano  ne  approfitto  per   rinnovare  ed  aggiornare  le  FAQ 

Compagnidistrada
Pubblicato da Giuseppe Scano19 min

 trovate nei post continua qui nel blog oppure clicca sopra per poter continuare a leggere ) e nella sua appendice https://www.facebook.com/compagnidistrada/ ) non raccontiamo e non riportiamo le solite favole, ma storie vere, storie di persone, di paesi, di città ai margini dei media ufficiali o d'esse
strumentalizzate \ usate politicamente per scopi elettorali e di propaganda . Ma anche Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria o che anche resistono al martellare costante degli avvenimenti quotidiani che cancella immediatamente la memoria del giorno precedente. Infatti molto spesso n on sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. Queste pagine parleranno di persone comuni che nel loro piccolo hanno contribuito a costruire la nostra società. Perché è vero la storia è fatta dai grandi personaggi, ma è altrettanto vero che la storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte scelte.
Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria. Non sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. La storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte nel bene e nel male , con rimpianti e sensi di colpa .

Number One di Gigi Rizzi e Beppe Piroddi. prima discotecva in itralia l'altro '68


Nostalgia dell'estate e delle sue notti spensierate e danzanti ? Non preoccupatevi! 
Oggi   riporto  dal sito  https://storiedimenticate.it/   e  dalla    sua  pagina  facebook  https://www.facebook.com/StorieDimenticateLombardia/   la storia della prima discoteca di Milano e d'Italia, il "mitico" Number One di Gigi Rizzi e Beppe Piroddi. 

Il locale che seppe intercettare cambiamenti epocali nel comportamento dei giovani: basta coi lenti e basta coi balli di coppia, le ragazze e i ragazzi volevano ballare da soli, tutta la notte.

Number One Milano


Via dell’Annunciata è una bella ed elegante strada del centro di Milano. È l’ultima traversa di via Manzoni, prima di piazza Cavour, e cinge a Est il quartiere di Brera in un abbraccio morbido come un maglione di cashmere adagiato sulle spalle. Le linee architettoniche dei palazzi che la costeggiano sono un perfetto compendio della storia di Milano: ci sono edifici dell’Ottocento, degli anni Trenta e anche degli anni Cinquanta. Epoche diverse, stili diversi, ma tutti accomunati da due elementi imprescindibili: sobrietà e signorilità. Via dell’Annunciata è una via tranquilla. Anzi, tranquillissima. Sui citofoni non ci sono cognomi, ma solo numeri. Di lì non ci si passa per caso. Non è una via commerciale, solo un paio di bar anche loro dall’aria pacata, qualche esercizio di vicinato e molti uffici di liberi professionisti, avvocati, commercialisti, notai e architetti. Lì vicino si trovano anche i Giardini Perego, piccola area verde nel cuore della città progettati alla fine del Settecento da Luigi Canonica, lo stesso che pochi anni dopo progettò anche il Parco di Monza, e una delle associazioni più prestigiose di Milano, quella degli Amici della Scala. Se non fosse per la Questura, nella parallela via Fatebenefratelli, che garantisce un’inevitabile via vai di auto e sirene, la via potrebbe essere così tranquilla da essere considerata quasi noiosa. Ma allora perché, per la ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, abbiamo deciso di raccontarvi la storia di una via così monotona? La risposta, cari lettori, è molto semplice: perché è lì, in via dell’Annunciata, ed esattamente al numero 31, che i milanesi hanno smesso di ballare i lenti.
Ve li ricordate i balli lenti? Quelli che si danzavano ondeggiando su di una piastrella? Quelli dove fra ragazzo e ragazza doveva essere tenuta una certa distanza di sicurezza misurabile in palmi? Ma certo che ve li ricordate. Come si possono dimenticare quei momenti trascorsi a cercare il momento giusto per scoccare il primo bacio. Ecco, lì dove la strada fa una leggera curva verso sinistra e dove si trova un palazzo stretto e alto, con una facciata irregolare cinta da una cancellata scura, nel 1968 venne inaugurato il Number One, la prima discoteca intesa in senso moderno di Milano e d’Italia. E ad aprirla non fu un imprenditore qualunque, ma niente meno che Gigi Rizzi, il playboy protagonista della famosissima, chiacchieratissima e paparazzatissima love story con Brigitte Bardot. Sì, proprio lei, una delle donne più belle del mondo, l’icona sexy degli anni Sessanta, musa ispiratrice di registi, poeti e cantanti. In una parola: BB. Per quei pochi che non conoscessero i fatti, spendiamo le prossime dieci righe per fare un po’ di storia.
Number One Milano anni 70
La via e lo stabile della prima discoteca di Milano e d’Italia, il Number One, come si presentano oggi.
Estate 1968, Costa Azzurra, mentre la stragrande maggioranza di giovani italiani manifesta per strada contro il Vietnam e contro il sistema borghese-capitalista, Gigi Rizzi, rampollo di una nota famiglia di imprenditori edili piacentini, fa letteralmente furore nei locali di Saint Tropez. Lui, assieme a un paio di amici, fra cui l’inseparabile Beppe Piroddi, sono i re incontrastati dei locali notturni della località francese. Feste, balli scatenati sui tavoli, la notte che sembra non finire mai. Le ragazze cadono letteralmente ai lori piedi e Gigi Rizzi riesce a piantare la bandiera italiana nel punto più sensibile dell’orgoglio francese. Lui e BB diventano la coppia più ricercata dai fotografi e loro non si negano. Anzi: capelli al vento, camice a fiori e piedi nudi diventano il simbolo involontario di un “altro Sessantotto”.
Ma anche quell’estate, esattamente come tutte le altre, è destinata a finire e con lei termina anche la passione fra i due giovani e spensierati amanti. A Gigi Rizzi e a Beppe Piroddi quei giorni pazzi e fuori da ogni schema lasciano però qualcosa in eredità, oltre allo struggente ricordo delle numerose amanti: la consapevolezza che il modo di divertirsi dei giovani sta cambiando. I night club, i dancing e le balere funzionano ancora. Tuttavia, la rivoluzione giovanile in atto fa capire ai due che non sta cambiando solo il modo di pensare e di vestirsi dei ragazzi, ma anche di ballare. Basta col lento, considerato troppo borghese, e basta in generale coi balli in coppia. I giovani di fine anni Sessanta vogliono ballare da soli.
Piroddi e Rizzi, che erano già titolari di alcune quote di un famoso locale di Saint Tropez, l’Esquinade, decidono così di portare un po’ di Costa Azzurra anche a Milano. Dopo avere gironzolato per la città in cerca del posto giusto per qualche mese, decidono di aprire la loro discoteca, la prima in assoluto nel Bel paese, in via dell’Annunciata 31. Il successo è immediato è inarrestabile. Il locale diventa subito il centro della movida milanese. Sulla pista e sui divanetti in velluto tigrato del Number One sfila la meglio gioventù milanese e le più belle modelle internazionali. Un nome su tutti: Odile Rodin, la vedova di Porfirio Rubirosa, il “padre” di tutti i play boy, Gigi Rizzi compreso. Gigi Rizzi, però, è come una rockstar maledetta. La sua candela brucia da entrambi i lati e il Number One è destinato a durare l’espace d’un matin, esattamente come la love story con BB: il 15 giugno del 1971, alle 5 di mattina, una bomba fa saltare in aria il locale.
Number One Milano bomba
Il 15 giugno del 1971, alle 5 di mattina, una bomba fa saltare in aria il Number One di Milano.
Milano, suo malgrado, da qualche anno ci ha fatto l’abitudine alle bombe, ma questa del Number One fa scalpore. Le indagini della Polizia scattano immediatamente, ma a parte la testimonianza di un giovane garzone che racconta di una Mini Morris vista passare più volte lungo la strada prima del botto, gli autori dell’attentato rimarranno sempre anonimi. I detective di via Fatebenefratelli, tuttavia, sanno molto bene qual è il significato di quella esplosione. Da più di un anno nel capoluogo è in atto una vera e propria lotta fra gang per il controllo dei locali notturni che i giornali hanno ribattezzato “la guerra dei night”. La malavita milanese, esattamente come è accaduto in Costa Azzurra con i marsigliesi, non appena si è accorta che questo nuovo tipo di locale attirava giovani ha cercato di metterci sopra le mani e poi ha iniziato a sommergerli con chili e chili di droga, eroina e cocaina soprattutto.
Pochi mesi prima del Number One infatti era toccato a un altro locale notturno saltare in aria. Si trattava del Bang Bang di via Molino delle Armi, all’interno del quale gli attentatori avevano versato litri e litri di benzina. Lo stesso Number One, alla fine del 1969, era stato oggetto di un tentativo di estorsione: due milioni di lire al mese in cambio di protezione. Rizzi, però, aveva denunciato tutto facendo arrestare il colpevole e il problema sembrava risolto. Invece, no. Il peggio doveva ancora arrivare. Breve e fugace, l’apparizione del Number One sancì comunque la fine di un’era. Quella dei night club come la Porta d’oro, l’Astoria o il Maxim, dove a seconda della serata potevi incrociare il “cummenda” col portafoglio gonfio di banconote, Gianni Rivera in libera uscita da Nereo Rocco, la divina Rita Hayworth accompagnata da Frank Sinatra o Francis Turatello col suo codazzo di scagnozzi. Col Number One sparisce l’orchestra che suona la musica da vivo nei dancing e compare per la prima volta la figura del disc-jockey. Una piccola rivoluzione della pista da ballo iniziata in Francia e Inghilterra con l’apertura delle prime discoteche europee e proseguita anche all’ombra della Madonnina. Dopo il botto del giugno ’71, la questura fece alcuni rilevi all’interno del locale al termine dei quali emersero irregolarità amministrative tipo la mancanza di un numero adeguato di uscite di sicurezza. Era il segnale per la definitiva uscita di scena.
Number One Milano
Il Number One intercettò i cambiamenti sociali dell’epoca: basta col lento, considerato troppo borghese, e basta in generale coi balli in coppia. I giovani di fine anni Sessanta volevano ballare da soli.
Rizzi già da qualche mese si era chiamato fuori dall’iniziativa per dedicarsi al cinema e Piroddi colse la palla al balzo per non riaprire più. Il Number One non aveva niente a che vedere con certi locali dalle dimensioni enormi di oggi giorno. Era tutto sommato piccolo, oltre ai divenetti in velluto tigrato aveva una pista da ballocol pavimento illuminato da sotto, una piccola consolle, uno spazio per la band, dei separé e un ovviamente un bar. Non era aperta a tutti. Era un posto esclusivo che si riempiva come un uovo in occasione di feste o particolari eventi. Bella gente, ragazze fantastiche, minigonne e macchine di lusso. L’esperienza durò poco, più o meno tre anni, ma a suo modo segnò l’avvento di una piccola rivoluzione. Basta coi lenti e i balli di coppia. Il Number One aveva rotto gli schemi. Di lì a poco, infatti, iniziarono ad aprire lo Studio 54 di corso XXII Marzo, omonimo dello Studio 54 di New York, l’Odissea 2001 di via Forze Armate e il Prima Donna di via Verri, dove per volontà della direzione il biglietto d’ingresso si pagava a peso. Nel senso che all’ingresso c’era una bilancia con sopra scritto “10 lire all’etto”.

  da  https://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv  del  25 GIU 2013 11:24

L’ALTRO ’68 DI GIGI RIZZI: NON AVEVA MAO COME IDOLO MA FECE LA RIVOLUZIONE NEL LETTO DELLA BARDOT (E NON SOLO)

Mughini scatenato. “I suoi valori fondamentali facevano riferimento alle potenzialità e all’entità dell’organo maschile. “Animella, basanotto, mezzalama, duro da militare, duro da culo, duro da ergastolano, duro da dio”. Loro tutti naturalmente pensavano di averlo duro da dio”…


Giampiero Mughini per "Libero"
Un giorno di fine giugno del 1968, a notte inoltrata, Brigitte Bardot entrò in una discoteca di Saint-Tropez e siccome di uomini belli e svettanti se ne intendeva molto, come avrebbe potuto non notare quel marmoreo italiano ventiquattrenne da cui la giovinezza e la vitalità maschile eruttavano come da un vulcano? Gigi Rizzi il suo nome, la danza a piedi nudi e il gioco delle carte le sue risorse migliori, le bellissime donne da avvolgere e spupazzare la sua meta e il suo lavoro 24 ore su 24.
gigi rizzi nel reality la fattoriaGIGI RIZZI NEL REALITY LA FATTORIA
Fosse stato per lei e per il tipino femminilmente vorace che era, Brigitte gli avrebbe messo le mani addosso all'istante. Si limitò a fargli arrivare in mano un bigliettino in cui lo invitava a fare sci d'acqua, all'indomani mattina, innanzi alla sua villa celeberrima. In un suo libro in cui si vanta, e non gli si può dar torto, di essere stato attore protagonista di un "altro Sessantotto" che non quello degli studenti che rumoreggiavano contro il capitalismo, Rizzi racconta che quella notte non andò a dormire.
gigi rizzi nel reality la fattoriaGIGI RIZZI NEL REALITY LA FATTORIA
E con tutto questo alla mattina dopo sciò benissimo e tutto il resto che immaginate. Esattamente una domenica di fine giugno, alla sera tarda del 23 giugno, ed esattamente in una villa dalle parti di Saint-Tropez, il cuore di Rizzi si è arrestato per sempre. Lui che aveva vissuto a gran velocità, è morto velocemente. Aveva 69 anni ed era tornato a vivere in Liguria dopo avere girato mezzo mondo.
Se ne va con lui un pezzo del sogno che è stato di tutti, quel tempo in cui era sembrato non ci fosse un limite allo strapotere della bellezza di uomini e donne che incastravano le loro notti e le loro danze. Brigitte se l'era tenuto in casa e lo aveva apprezzato per la durata di tre mesi. Dopo di che gli fece trovare la valigia fuori dalla porta. Lei era una creatura di cui il poeta e autore di teatro Roberto Lerici scrisse che mangiava quando aveva fame e beveva quando aveva sete.
GIGI RIZZI E LA MOGLIE DOLORES MAYOLGIGI RIZZI E LA MOGLIE DOLORES MAYOL
Tre mesi furono sufficienti per esaurire il suo appetito di un «italien» seppure talmente bello. Pochi mesi prima le erano bastate poche settimane per consumare il suo appetito di un uomo all'opposto di Rizzi, di un poeta e cantautore ebreo di cui avresti detto a prima vista che era bruttarello e invece era un mostro di fascino, il francese Serge Gainsbourg. Da Gainsbourg a Rizzi, da un polo all'altro dell'universo maschile, Brigitte gustava, consumava, gettava via.
gigi rizzi e franco califano nel duemilaseiGIGI RIZZI E FRANCO CALIFANO NEL DUEMILASEI
A SAINT-TROPEZ
Figlio di un imprenditore ligure, il Rizzi del giugno 1968 non aveva esattamente un'arte e una parte che non fosse quella di dedicarsi anima e corpo alle rappresentanti eccelse dell'universo femminile. L'ho detto che il suo era un lavoro 24 ore su 24, giorno e notte, e ci voleva anche un po' di «roba» per tenere quel ritmo e quelle prestazioni. Straripante di simpatia e di una comunicativa maschile persino sfacciata da quanto puntava diretto al cuore delle belle, il suo era un professionismo accurato quanto alla conquista delle girls, alla perizia nella scelta dello champagne e dei vini i più acconci alla situazione, ai segreti del tavolo da gioco.
gigi rizzi e ira furstenbergGIGI RIZZI E IRA FURSTENBERG
A Saint-Tropez lui e un gruppo di playboy italiani che le foto del tempo ci tramandano addobbati con quella loro divisa da battaglia, la camicia ben sbottonata a mostrare orgogliosi il pendolo che sbatte sul torso, avevano un loro tavolo perennemente riservato nel locale più famoso della cittadina francese, il Byblos. Rizzi, Beppe Piroddi (più tardi marito di Corinne Cléry, morto qualche anno fa), lo statuario Franco Rapetti, Gianfranco Piacentini. (Quanto al tavolo da gioco mi ha raccontato che una notte vinse 100mila dollari a Ted Kennedy, il quale non glieli pagò mai).
Gigi Rizzi e Brigitte BardotGIGI RIZZI E BRIGITTE BARDOT
«Les italiens», come venivano chiamati, avevano la nomea di inarrivabili quanto a conquiste femminili. Se incontravano una ragazza subito le offrivano di che vestirsi da capo a piedi, ciò che le «material girls» non disdegnano affatto. A detta di Elsa Martinelli, che di Rizzi è stata molto amica, i playboy francesi non arrivavano alle caviglie degli «italiens» in fatto di eleganza e generosità.
gigi rizzi e brigitte bardotGIGI RIZZI E BRIGITTE BARDOT
Figli anche loro dei Sessanta, s'erano dati come idolo né Mao né Herbert Marcuse e bensì il leggendario playboy sudamericano Porfirio Rubirosa. I valori fondamentali del gruppo erano riassunti in una specie di scala Mercalli che faceva riferimento alle potenzialità e all'entità dell'organo maschile. «Animella, basanotto, mezzalama, duro da militare, duro da culo, duro da ergastolano, duro da dio». Loro tutti naturalmente pensavano di averlo duro da dio.
giggi rizzi e minnie minoprioGIGGI RIZZI E MINNIE MINOPRIO
TERRE E BESTIAME
Più tardi il vento in poppa di cui avevano goduto questi «altri» Sessantottini scemò di intensità. Piroddi e Rizzi avevano inaugurato a Roma nel 1969 un locale atto alle celebrità e ai loro spassi notturni, quel Number One che stava alle spalle di via Veneto. Nei cui bagni trovarono, nel 1972, un bel po' di droga tanto che lo chiusero. Nei secondi anni Settanta Rizzi se ne andò in Argentina a occuparsi di terre e bestiame, e finché non è tornato in Italia alcuni anni fa. L'ho avuto di fronte in parecchi set televisivi. Per ragioni di invidia maschile avrei dovuto odiarlo da schiattarne, e invece era molto simpatico. Dello spaccamontagne dei Sessanta era rimasto poco. Al contrario, lo trovavo un po' timido quando gli indirizzavo una battuta.

l'estate sta finendo e d io sono ancora vivo parte 2

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Senza volermi sentire troppo sfigato raccolgo le idee in attesa di un finale di estate snervante, un autunno pesante, un inverno infinito e nuove mirabolanti avventure.
Solo io sto aspettando il vento fra i capelli, la pioggia sul tetto e le guanciotte rosse dal freddo?

Luogosanto, il dentista che diventò vignaiolo La cantina Piero Mancini celebra i primi trent'anni di vita ricordando il suo fondatore

Le loro  vigne  situate in Gallura, nell’angolo nord orientale della Sardegna. Tra giganti di granito e querce secolari le nostre uve crescono scaldate dal sole d’estate e accarezzate dal vento di maestrale che contribuisce a mantenere un microclima dove i vitigni trovano la loro perfetta ambientazione. Qui
alleviamo le nostre uve: il Vermentino di Gallura, unica DOCG della Sardegna, il Moscato di Gallura DOC, il Cannonau di Sardegna DOC, il Merlot, il Cabernet, il Pinot e lo Chardonnay.
All’interno della Tenuta di  Balajana della Famiglia Mancini, nel comune di Luogosanto, sorgono antichi stazzi galluresi, finemente restaurati, quella che in Gallura viene chiamata cussorgia , nel quale potrete vivere l’atmosfera unica della natura magica e selvaggia e degustare loro vini. Per   Ulteriori   informazioni ed prenotazioni    potete  consultare   il loro sito      
https://www.pieromancini.it/ da cui sono prese le foto delle vigne e la cartina geografica a sinistra oppure    andare in loco oppure   : 1) informazioni e prenotazioni contattare:Laura: +39 346 5939675 info@vignetipieromancini.it 2) andare se venite dalle nostre parti in loco Vigneti Piero Mancini (Tenuta di Balajana) Strada Provinciale N. 14 Km 4 07020 – Luogosanto (OT) – Sardegna – Italia



 
                                La famiglia Mancini (foto Vanna Sanna)

La natura qui sa essere davvero bella. Il verde delle colline e della vigna incornicia antichi stazzi fatti di blocchi di granito. Il resto lo fa la passione per la terra e per il sapore dei suoi frutti. Nelle tenute di Balajana, nel cuore incontaminato della Gallura, a poche curve da Luogosanto, la famiglia Mancini ha voluto celebrare una storia che affascina anche gli astemi. Aperitivo sul prato, cena all’aperto, calici di cristallo e musica di sottofondo. La festa dei trenta anni della cantina Piero Mancini ha radunato amici di una vita, esperti del settore, imprenditori e qualche esponente del mondo politico regionale. Il momento più emozionante è stato sicuramente quello in cui signora Marisa, moglie di Piero Mancini, ha voluto raccontare come tutto era nato.
le  loro  tenute da  https://www.pieromancini.it/gallery/


Festa a Balajana. La cantina delle Vigne di Piero Mancini è una delle più importanti in Sardegna, sia per qualità che per numeri di produzione. A farla da padrone è il vermentino, ma vanno forte anche gli altri tipi di vino. Per questo la famiglia Mancini, a trenta anni esatti dalla fondazione della cantina orgogliosamente gallurese, ha organizzato una festa privata per raccontarsi e ringraziare chi c’è sempre stato. Tutto è cominciato prima del tramonto, per non privare gli ospiti dei colori della natura e della grande vigna. Attorno agli stazzi della tenuta è stato prima servito un gustoso aperitivo, poi l’ottima e raffinata cena a base di pesce. A fare gli onori di casa Marisa Paulis, moglie di Mancini, scomparso nel 2001, e poi i tre figli: Laura, responsabile marketing e comunicazione, Alessandro, responsabile area agronomica e commerciale, e Antonio, responsabile area produzione e amministrativa.
Meglio la vigna. La storia della cantina cominciò molto prima della fondazione dell’azienda. «Io e mio marito ci sposammo nel 1959 e da subito capii quali fossero i suoi obiettivi – racconta Marisa Paulis -. I miei parenti mi regalarono come dono di nozze un assegno, con il quale avrei dovuto comprarmi delle posate d’argento. Ma Piero mi prese l’assegno e mi disse: “Che ce ne facciamo delle posate d’argento? Meglio se ci compriamo un pezzo di terreno per piantarci qualche vite”. E così fu». Piero Mancini, originario di Monti, e stimato dentista a Cagliari, subì continuamente il richiamo della Gallura, della terra e della vite. Pian piano cominciò ad acquistare diversi pezzi di terra da trasformare in vigneto, girando anche il mondo per apprendere tutti i segreti legati alla viticoltura.
Trent'anni fa. Nel 1989 Piero Mancini riuscì a coronare il suo sogno di sempre: aprire una cantina tutta sua, proprio di fronte al golfo di Olbia. «Vendemmo tutto quello che avevamo per costruire la cantina. E a me, che protestavo perché al contrario delle mogli dei suoi colleghi non possedevo una pelliccia, diceva: “Tu di che ha tre trattori!”» ricorda col sorriso la moglie. Alla produzione dell’uva venne così affiancata la
vinificazione e l’imbottigliamento. Nacquero i primi vini con l’etichetta Piero Mancini. Il successo fu pressoché immediato: le produzioni Mancini, tutte di grande qualità, ottennero presto il giusto riconoscimento, con l’esportazione che superò fin da subito i confini regionali e nazionali.

che palle il politicamente corretto ti va vedere razzismo dove non c'è . il caso di Dior che cancella la campagna social con Johnny Depp

la gente non si rende conto che il significato con gli anni ed i secoli cambia e si trasforma da un significato negativo ad uno positivo . E che le parole possono avere anche un altro significato a seconda dei contesti in cui si usano . Per me vedendo tale video che trovate sotto ,ha passato un sentimento di orgoglio per quella cultura. E sì, questa cultura c'è come base la vita selvaggia e questo che è il bello .  Infatti   rivedendolo   mi sembra l'esatto contrario. E' anzi una manifestazione di rispetto nei confronti della civiltà pellerossa. Ma i soliti bigotti benpensanti devono sempre estremizzare tutto. Spero che alla fine la facciano passare comunque.Che cavolo di mondo siamo diventato. Ma dai cosa c'è di offensivo, è una cavolo di pubblicità .


"Quello spot è razzista!": e Dior cancella la campagna social con Johnny Depp
Forti proteste per la pubblicità di un profumo che fa riferimento alla cultura dei nativi americani

Bufera social su Dior e Johnny Depp per uno spot di un profumo che fa riferimento alla cultura dei nativi americani. La pubblicità, dopo un lancio su Twitter, è stata giudicata "razzista e profondamente offensiva" da un gran numero di utenti e da rappresentanti della comunità nativo americana, e l'azienda cosmetica ha quindi deciso di cancellare il tweet e ogni riferimento alla campagna dai social media.
"Un autentico viaggio nel profondo dell'anima nativa americana, in un territorio sacro, fondante e secolare" recitava il lancio Twitter. Nello spot per il profumo "Sauvage" si vede Depp camminare nella zona delle Red Rocks, nello Utah, impilando delle rocce per segnare il suo cammino, mentre l'attore Canku One Star interpreta una danza di guerra nativoamericana e l'attrice canadese Tanaya Beatty segue a distanza Depp.
L'accusa è quella di appropriazione di elementi per dare l'idea di una cultura selvaggia e arretrata. "E' profondamente offensivo e razzista - ha detto il Ceo del gruppo di controllo dei media IllumiNative -, non ho idea di come nel 2019 qualcuno possa pensare che una simile campagna possa andare bene".
La casa di moda respinge le accuse. In una nota ha ricordato che il filmato è stato realizzato in collaborazione con consulenti nativi americani proprio con l'obiettivo di "evitare i cliché e l'appropriazione e la sovversione culturale che spesso caratterizzano le rappresentazioni dei nativi".