2.1.21

le regine degli scacchi campionesse in un mondo maschilista

Innanzitutto buon anno   amici e nemici  .
IL post  precedente : <<La regina degli scacchi (The Queen's Gambit) ed altre storie scacchistiche>> ha  ricevuto  molte  critiche  da   parte    femministe  più  settarie    che  mi  accusano  di maschilismo e  di aver   fato passare  in secondo piano  le    regine  di  scacchi  . Beate  loro   chje  hanno i  dono  dell'onniscienza  anzichè    che quello   del  so  di non sapere  di  Socrate  .   n esso io non intendo ed   intendevo  (  e chi mi segue  o conosce   dovrebbe  saperlo )  farlo . Ho  solo ripreso  i risultati   trovati  cercando materiale  ed  news  sulla serie tv  i netflix  la regina degli scacchi. Non sapevo   che  tra i grandi campioni del passato   e  cosi importanti ci  fossero anche  donne  . 
Infatti  
  

La storia delle Regine degli Scacchi in carne ed ossa, campionesse in un mondo maschilista
Di Lillo Montalto Monella • ultimo aggiornamento: 25/11/2020

Una bambina impara a giocare a scacchi presso l'istituto superiore di Scacchi, ISLA, a L'Avana, nel novembre 2016 - Diritti d'autore ADALBERTO ROQUE/AFP or licensors


Grazie al successo della serie Netflix La Regina degli Scacchi (The Queen's Gambit, in inglese), il mondo costretto a casa dalla pandemia sembra aver d'un tratto riscoperto il fascino di uno dei più antichi giochi di strategia: gli scacchi.
Allo stesso tempo, guardando il telefilm, si è reso conto come le donne che competono ai più alti livelli scacchistici mondiali non sono la regola, bensì l'eccezione - tanto che gli scacchi sono stati definiti l'ultimo feudo del maschilismo, il solo campo da cui gli uomini riescono ancora a tenere le donne più o meno fuori.
Bobby Fischer, uno tra i migliori scacchisti di tutti i tempi (ma anche noto misogino), è arrivato a dichiarare che le "donne sono pessime scacchiste. Non so perché, immagino non siano così intelligenti". Su Fisher nel 1993 è stato fatto un film e uno degli autori di quella pellicola, Bruce Pandolfini, ha collaborato alla scrittura della sceneggiatura de La Regina degli Scacchi assieme al grande campione Garry Kasparov (anch'egli non esente da commenti controversi in passato).
Quella della campionessa Beth Harmon (interpretata dall'attrice Anya Taylor-Joy) è una storia di fantasia, basata su un romanzo del 1983.
Nella vita reale esistono sì parabole straordinarie di scacchiste, ma una sola di loro è riuscita a sfondare il soffitto di cristallo ed entrare nella Top 10 maschile.
Dietro il personaggio di Beth Harmon ci sono storie sconosciute e poco raccontate come quella di Maria Teresa Mora Iturralde, una ragazza cubana che a 20 anni - nel 1922 - sbaragliò tutti i rivali maschi e si laureò campionessa di scacchi cubana e iberoamericana. Leggenda vuole che sia stata l'unica donna ad aver mai battuto José Raúl Capablanca, considerato uno dei più importanti Grandi Maestri della storia degli scacchi (citato peraltro nella serie Netflix).
Lui stesso, campione mondiale di scacchi dal 1921 al 1927 e mentore della stessa Mora Iturralde, parla in un suo libro di una "giovane ragazza di 12 o 14 anni che mi ha interessato molto [...] e che probabilmente oggi è la più forte giocatrice femminile nel mondo".
Nel mondo ideale delle serie TV, la scacchista cubana avrebbe continuato la sua fulgida ascesa delle classifiche mondiali, battendo uno dopo l'altro tutti i colleghi maschi, fino ad arrivare alla sfida finale con il grande campione dell'Unione Sovietica.
Proprio come Beth Harmon, o come Bobby Fisher (nella vita vera).
Ma nel mondo reale, la carriera di Maria Teresa Mora si è fermata a quel campionato cubano del 1922, e lei è finita nel dimenticatoio della storia - ripescata di recente solamente da un articolo del blog specializzato Havana3am.
Un match tra Jose Raul Capablanca (Cuba) e Philip Stuart Milner-Barry in Inghilterra nell'aprile 1936AP Photo

Come sottolinea uno dei giornalisti europei che più si intendono di scacchi, lo spagnolo Leontxo Garcia per El Pais, la verità è che ne La Regina degli Scacchi nessuno (o quasi) discrimina la protagonista.
Tutto molto strano, per uno dei "submondos más machistas".
"Il modo in cui i ragazzi trattano Beth nella serie è un sogno; purtroppo la realtà non è ancora così", afferma Judith Polgár, scacchista ungherese e unica donna tra i primi 10 migliori giocatori al mondo in 15 secoli di storia.
Minore di tre sorelle che hanno rivoluzionato il gioco degli scacchi tra il 1988 e il 2014, data del suo ritiro, raramente ha gareggiato nelle competizioni femminili ed è riuscita in carriera a sconfiggere campioni come Kasparov, Karpov e l'attuale numero 1, il norvegese Magnus Carlsen.
Come Judith, anche le sorelle Zsuzsa (Grande Maestro) e Zsófia (Maestro Internazionale) hanno seguito un percorso educativo creato dal padre László, psicologo, volto a dimostrare che un bambino può ottenere risultati eccezionali se allenato fin da piccolo in un certo campo.
Per Polgár - anch'essa guarda caso soprannominata La Regina degli Scacchi - accontentarsi di competere per essere la migliore tra le ragazze impone un'autolimitazione che impedisce di ambira ad obiettivi più alti. Il famoso soffitto di cristallo, scrive El Mundo.
Oggi Judith Polgár dirge una fondazione molto attiva nella promozione degli scacchi come strumento di crescita psicologica.
Il suo destino da predestinata ricorda quello di Ana Matnadze, scacchista georgiana 37enne che oggi gareggia per la Spagna. Ha iniziato a giocare a 4 anni, in un momento in cui il governo della Georgia, in piena guerra civile, aveva bisogno di eroine nazionali, e da piccola si allenava anche per 10 ore al giorno.
Lei stessa, che ha avuto come madrina di battesimo l'ex campionessa del mondo georgiana Gaprindašvili, ricorda di aver ricevuto una chiamata dal Presidente della Georgia in persona durante il mondiale Under-10. Doveva vincere, e doveva farlo per la patria.
Un'altra Regina degli Scacchi della vita reale, poco nota ai più, si chiama Phiona Mutesi.
Ugandese, Mutesi nasce in una delle periferie più povere di Kampala, la capitale dell'Uganda. Perde il padre, morto di Aids, e una sorella e, proprio come accade con Beth Harmon in orfanotrofio, la sua vita svolta quando incontra un operaio che le insegna a giocare a scacchi (nella serie Netflix, Beth apprende i segreti dell'arte dal bidello dell'orfanotrofio). Mutesi contrae la malaria, si salva e alla fine riesce a laurearsi campionessa ugandese di scacchi.
Partita a scacchi tra le strade di Bucarest, RomaniaVadim Ghirda/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.

Oggi, nel mondo degli scacchi - sport membro del Comitato Olimpico Internazionale, e non certo alieno da casi di doping - gareggia una donna per ogni 15 uomini.
Nella maggioranza delle federazioni, il numero di giocatrici è circa il 15% del totale, stima El Mundo.
C'è chi pensa che le competizioni scacchistiche femminili vadano abolite (la causa fu perorata nel 1999 davanti al Parlamento europeo dall'eurodeputata socialista María Sornosa), e al contrario chi le giustifica e chiede più fondi e sostegno.
Esistono competizioni riservate per età, per geografia e persino per professione, come i campionati delle Forze Armate. "Questi tornei aiutano coloro che vi partecipano a ricevere un'attenzione mediatica supplementare, ad ottenere un sostegno finanziario e a costruire relazioni con gli altri con cui hanno qualcosa in comune [...] Tuttavia, nei Paesi in cui le competizioni femminili sono state abolite in via sperimentale, la partecipazione delle giocatrici agli eventi misti si è ulteriormente ridotta, mentre le federazioni che hanno sviluppato programmi specifici rivolti alle giovani giocatrici hanno migliorato i risultati. Il dibattito è aperto", scrive il quotidiano spagnolo.
Nel 2005, l'ex campionessa americana Jennifer Shahade si è provocatoriamente fatta ritrarre per la copertina del suo libro, Chess “bitch”: women in the ultimate intellectual sport, con una canottiere scollata, guanti, sciarpa fucsia e parrucca, quasi a ricordare la Julia Roberts di Pretty Woman.
Come sottolineava Garcia nel 2016, in occasioni delle olimpiadi femminili di Baku, nellla top 100 mondiale c'era solo una donna, la cinese Yifán Hou, al 95° posto. "Un bel mistero in uno sport in cui non conta la forza bruta - ma al più la resistenza".
Al di là delle differenze genetiche, la verità, conclude Garcia, è che in gran parte del mondo "regalare una bambola ad un bambino è raro tanto quanto regalare una scacchiera ad una bambina".

1.1.21

chiusura mentale ed xenofobia di questa destra e non solo . Il caso dei nuovi nati in Liguria del vile omicidio di Agitu Ideo Gudeta . anno nuovo mentalità vecchia

 «La folla che oggi lincia un nero accusato di stupro presto lincerà bianchi sospettati di un crimine». Theodore Roosvelt

da https://www.facebook.com/groups/propagandalive/permalink/699331804304815


L'anno nuovo è  già  arrivato  ma  per  qualcuno   ancora  no  , le  lancette del tempo e  della storia  si   sono fermate   al  XVIII-XIX  secolo   periodo in cui  viene  fatto iniziare  il razzismo  moderno   che unendosi al razzismo scientifico   già presente    da prima    ha  causato i vari fascismo e  i  vari nazismi    nel XX  secolo (   secolo breve  ) le  cui  scorie    sopravvivono ancora oggi     .  Infatti 

https://genova.repubblica.it/cronaca/2021/01/01


Insulti razzisti ai primi nati in Liguria, tutti stranieri: scontro tra Toti e la Lega

Giovanni Toti


Morena, una bimba di La Spezia, è stata seguita da piccoli di origine albanese, nigeriana ed ecuadoriana. Il presidente sulla sua pagina Facebook dà il benvenuto ai piccoli liguri, ma si scatena la polemica xenofoba, che diventa un caso politico


Si chiama Morena, è nata 13 minuti dopo la mezzanotte all'ospedale S.Andrea della Spezia da una coppia di spezzini, la prima nata del 2021 in Liguria. Qualche ora dopo è venuto alla luce Louis, figlio di una coppia albanese residente a Taggia, nell'Imperiese. Il piccolo, che pesa 3,580 chili, è nato alle 3.10 battendo sul tempo Graeter, una bimba di origini nigeriane, nata alle 3.50 al Policlinico San Martino. Poi è stata la volta di Wilson Fabian, nato alle ore 7.58 al Gaslini, figlio di ecuadoriani. "Siete la nostra speranza, il nostro futuro, la forza per non mollare in questo nuovo anno che è appena iniziato - ha scritto il governatore ligure Giovanni Toti sui social - Benvenuti al mondo piccoli e auguri alle vostre famiglie a nome mio e di tutta la Liguria".

Su queste frasi però si è scatenata la polemica razzista da parte di chi ritiene sbagliato considerare liguri questi bambini. Il presidente ha fatto rimuovere gli insulti xenofobi. "Chi nasce in Liguria è ligure!", ha scritto. E ancora: "I commenti razzisti verranno rimossi dai moderatori della pagina. Una bambina che viene al mondo è una benedizione e va accolta come tale, senza polemiche inutili e dannose a qualsiasi dibattito democratico. Proviamo a iniziare il 2021 con un nuovo passo"."Non si può definire italiano, né ligure, chi nasce sul nostro territorio da genitori stranieri. Auguri e benvenuti a tutti i nuovi nati del 2021 in Liguria, ma ribadiamo che per essere italiani e liguri sia necessario intraprendere un percorso ben definito e quindi richiedere successivamente la cittadinanza, secondo quanto previsto dalle norme vigenti. No allo Ius soli". Così il capogruppo regionale della Lega, Stefano Mai, commenta il post del presidente della Liguria, Giovanni Toti, che saluta la nascita di una bimba da genitori nigeriani. "Con la Lega al governo in Liguria così come, speriamo presto, a Roma - ha aggiunto Mai - non accadrà mai che l'acquisizione della cittadinanza italiana avvenga come semplice conseguenza del fatto giuridico di essere nati in Italia.Occorre difendere le nostre tradizioni e la nostra identità. Pertanto, la trasmissione alla prole della cittadinanza dei genitori, sulla base della discendenza e non del luogo di nascita, è fondamentale".

 Ma    anche  il politicamente  corretto o buonismo      può  trasformarsi  in razzismo 

  da  https://www.fanpage.it/  del  31\12\2020 

Perché anche definire Agitu Gudeta “simbolo di integrazione” è razzismo

  di   Annalisa Girardi

Le parole usate in questi giorni dai giornali per raccontare l’omicidio di Agitu Ideo Gudeta trasudano razzismo e ci mostrano come i media italiani siano lo specchio di una cultura intrinsecamente xenofoba. Definire Agitu Ideo Gudeta come un “esempio di integrazione” non fa che alimentare la retorica del deserving migrant, discriminatoria e ingiusta.

Agitu Ideo Gudeta è stata uccisa due giorni fa. È stata trovata morta nella sua casa a Frassilongo, in provincia di Trento, dove si era trasferita dall'Etiopia. Nelle ultime 48 ore i media hanno dedicato moltissima attenzione all'omicidio e una parola ricorrente che è stata usata, che però non si capisce bene cosa c'entri con la violenza che ha messo fine alla vita di Agitu Ideo Gudeta, è stata "integrazione". Ma perché? Se la sua storia fosse stata diversa, la sua vita avrebbe forse avuto meno valore? I lettori avrebbero forse dovuto dispiacersi meno per la sua morte ? 
Il racconto della morte di Agitu Ideo Gudeta trasuda razzismo
Le parole usate per raccontare l'omicidio di Agitu Ideo Gudeta trasudano razzismo. E ci mostrano come i media italiani siano lo specchio di una cultura intrinsecamente


xenofoba, incapace di raccontare storie come quella di Agitu Ideo Gudeta, della sua vita tanto quanto della sua morte, se non in maniera fuorviante. Sottolineando che in Italia una donna come lei sarà sempre etichettata come una migrante. Perché in fondo, definirla un "modello di integrazione", è solo un altro modo per ricordare che lei non fosse italiana. Ma che, nonostante questo, potesse essere un esempio. I giornali, in queste ore, hanno semplicemente  alimentato la retorica del "deserving migrant", evidenziando come siamo ancora anni luce dall'essere veramente un Paese accogliente, solidale e libero dal razzismo.

La sua non è solo una storia di migrazione 
Agitu Ideo Gudeta era già stata in Italia prima di stabilirsi a Frassilongo e fondare la sua attività. Aveva infatti studiato alla facoltà di Sociologia a Trento, per poi decidere di tornare nella sua città natale, Addis Abeba, dove aveva denunciato le politiche di land grabbing, cioè l'appropriazione di terre da parte di multinazionali o governi stranieri senza il consenso delle comunità che le abitano. Nel suo Paese aveva ricevuto minacce ed era stata costretta a fuggire. Era quindi tornata in Italia, in Trentino, dove aveva iniziato la sua attività come allevatrice di capre di razza mochena, una specie autoctona a rischio estinzione, recuperando allo stesso tempo terreni abbandonati. Aveva anche aperto una bottega nel centro di Trento, la Capra Felice. Anche qui, tuttavia, aveva ricevuto minacce per il colore della sua pelle. Che però non sono state riconosciute come tali, perché in Italia è ancora facile fare finta che il razzismo non esista. Due anni fa, infatti, un vicino di casa è stato condannato a 9 mesi per lesioni dopo averla aggredita, ma sono cadute le accuse per stalking e l'aggravante dell'odio razziale, avanzate dal pm.
Basta con la retorica del deserving migrant*
Oggi però non sentiamo parlare di Agitu Ideo Gudeta come imprenditrice, come simbolo di emancipazione per le donne, come allevatrice ambientalista. Tutto viene in secondo piano rispetto al suo essere un'immigrata. Raccontare la sua vita sotto la definizione di "esempio di integrazione" è l'ennesima affermazione del razzismo in questo Paese. Se fosse stata "solamente" una donna arrivata dall'Africa, magari su un barcone, in fuga da violenza e discriminazione, la sua morte sarebbe stata meno grave ? Perché è questo che suggerisce una retorica che ancora una volta separa tra i migranti buoni, ben integrati e protagonisti di storie eroiche, e quelli cattivi. Quelli che uccidono e stuprano, proprio come il suo presunto assassino.
Parlare di Agitu Ideo Gudeta come dell'eccezione alla regola non le fa onore. Svilisce anzi la sua memoria. Perché il fatto che fosse "perfettamente integrata" non c'entra nulla con il suo valore. Che è dato da ben altro, come ci racconta la sua storia. Ma una persona come Agitu Ideo Gudeta in Italia resterà sempre una migrante. Certo, ben integrata, ma una migrante.

concludo   con le  ultime  righe  di  bellissimo articolo del  settimanale   https://www.internazionale.it

[...] 
La notizia del suo assassinio aveva fatto pensare a molti in un primo momento, anche a me, che le gravi minacce di morte che aveva ricevuto in passato fossero state sottovalutate, finché è stato escluso qualsiasi collegamento. E tuttavia, in un paese in cui i femminicidi sono aumentati del 5 per cento nel 2020 a fronte di una diminuzione di tutti gli altri reati, dà angoscia pensare alla sequenza di violenze psicologiche e fisiche che una donna di 43 anni ha dovuto subire nel corso della sua vita per il fatto di essere una donna, per il fatto di essere un’attivista e un’ambientalista, per il fatto di essere nera e immigrata, per il fatto di essere economicamente indipendente al punto da dare lavoro ad altri come imprenditrice, per essere riuscita a inventarsi un lavoro in un ambito tipicamente maschile come la pastorizia, dando forma ai suoi studi e ai suoi desideri. Per quel sorriso che sfidava l’ordine delle cose e anche per futili motivi.

 che tenta  di liberarsi   di quando detto  da  fanpage  



https://www.ultimavoce.it/deserving-migrant/

ALTERNATIVE A I SOLITI FILM NATALIZI E ALE REPLICHE televisive

Quest'anno  sono riuscito ,  in maniera maggiore    rispetto    agli anni passati , a   mettere  in  atto   quello  di cui   parlavo   nelle  mie  guide   di sopravvivenza  natalizia. Perchè nche  se  ci sono   dei  film  natalizi    non convenzionali  mi annoiano  e mi mettono troppa  malinconia    portandomi    ad  elucubrazioni  e  seghe mentali nostalgiche  del  tipo    : <<  ma  s'è passato perchè non passa  >>  .  Ecco   cosa    da meta\ fine   novembre  (   quest'anno " l'atmosfera  natalizia  è iniziata  in     anticipo    vuoi  per creare una  fittizia  speranza  con il covid  ,  vuoi   perchè hanno fiutato  l'affare  ed  intercettato    che  la gente  gioca  d'anticipo  )  fino  ad  oggi ,  ho letto e  visto  ed  rivisto   ( dove  non trovaste  recensioni   \  pareri   vuol  dire  che  ne  ho  già parlato  in post precedenti o  sul miei  social  )     ma  soprattutto  per   non annoiarvi  con la mia  prolissità  ho diviso  il post  in due  parti  .  




Letture
Oltre  agli inserti  ,  saltando   con  il  metodo 'sti  cazzi , gli articoli   ormai   spam e pubblicità occulta    ,  sul natale  ) dei giornali   ed  i  settimanali    ci  sono  fumetti  (  regalatoi  o  acqwuistati  )   i   libri che  hai  acquistato o  ti  hanno regalato    prima  e per le  feste .Nel mio  caso   Alcuni    che  ti   regalano   durante l'anno  o a natale  nel mio caso    essendo   corposi    in maggior  parte  ( M  l'uomo della  provvidenza  il seguito  M  il  figlio del  secolo  di  Antonio Scurati,   i  diavoli   di G. Maria Brera  da  cui  è trattala serie  tv  ,Caporetto di Alessandro Barbaro ) alcuni    gli sto ancora leggendo    .  Quest'anno     quest'anno   ho letto o sto  finendo  : 1)  Ezio Mauro la  dannazione   1921  la  sinistra  divisa    all'alba del fascismo     sulla  scissione    di Livorno     in cui dalla costola  del Psi  nascque  Pci .,  2  )  dylan   dog  Oldboy     Horror  christimas  3)  scheleteri  di  Zero Calcare  . 

 Film   e  serie    TV 

Rai 
Lupin III – Il film“, live action diretto da Ryūhei Kitamura. 
 niente  d'eccezionale     e niente  di  nuovo  per  chi  è   cresciuto  con l'anime  ed  il manga   
Loving Vincent
L'incredibile storia della vita di Van Gogh attraverso i suoi quadri. Un potente e suggestivo racconto realizzato con oltre 60000 tele dipinte a mano per un viaggio nell'arte e nel mistero della scomparsa di uno dei più importanti pittori di sempre. Bellissimo   mi   fatto vedere la  voglia  di  rivedere    e  far vedere  ai miei  familiari  il bellissimo     Opera senza autore (Werk ohne Autor) è un film del 2018 diretto da Florian Henckel von Donnersmarck.Ispirato ad eventi reali, il film, che ha ricevuto due candidature ai premi Oscar 2019 nelle categorie miglior film in lingua straniera e miglior fotografia, racconta tre epoche di storia tedesca attraverso la vita tormentata di un artista.

La serie  dell'alligatore  
Serie  bella ottima  la   fusione  tra  realtà  italiana  , noir  e  hard   boilet  .Ottima  la resa  tv   dei  romanzi  del ciclo omonimo di Carlotto . fianle  troppo utopistico   di  difficile   comprensione   per  chi    vede  solo una  puntata   o  non è  abituato   a  fare  contro informazione o lotte  sociali  . 

il  canale   Netflix 

  • Porco rosso 
  • la  forma della  voce  

 The Midnight Sky   di Clooney 
 m'aspettavo leggendo la  sinossi il solito   film   .  invece   non è  solo  quello .   un film bello pur  non essendo    fra i migliori  di  clooney   come  dice  queste  due  recensioni  1  )  https://www.bestmovie.it/ e 2)  https://www.linkiesta.it/

Sully    discreto  , vivo   , motivante  , ottimista  

Hai i  tuoi occhi 
  tema  attuale  sui pregiudizi etnici  cosa  succcede  se   ad addottare  un bambino \a    banco  è  una  coppia  di  colore  . ma  resa   mediocre      ,  giusto  per  passarci  la serata  . 
                                                                                      


Isola delle rose 
Bello un po' romanzato ma efficace da creare nel pubblico interesse ad approfondire le vicende reali del fatto . ( per chi vuole approfondire in questo articolo di viaggi.corriere.it di 13 pagine trova ulteriori news e differenze tra il film e la vicenda reale ) . In un articolo uscito pochi giorni fa sul quotidiano francese “Le Parisien”, la giornalista Catherine Balle lo ha descritto come "una commedia energica e piena di vita". Una popolarità destinata a crescere a giudicare dal numero di spettatori e recensioni, che lascia ben sperare sulle possibilità che questo film avrà di ottenere importanti riconoscimenti nei prossimi mesi. 


La    serie  la  regna di scacchi 

avvincente , intenso . Molto ben  fatta soprattutto le parti sugli scacchi vistoi che L'allenatore di scacchi Bruce Pandolfini e il già campione del mondo di scacchi Garry Kasparov hanno preso parte al progetto come consulenti. Infatti  il  Responso da parte della comunità scacchistica è  stato abbastanza  positivo   infatti  secondo wikipedia 

La serie ha ricevuto elogi dalla comunità scacchistica per la sua rappresentazione del gioco e dei giocatori,[22] il Campione del mondo Magnus Carlsen le ha dedicato un post su Instagram[23] e le ha dato una valutazione di 5/6, [24] definendola «molto godibile» per quanto «un po' troppo irrealistica».[25] Il grande maestro britannico Nigel Short, vicepresidente della Federazione Internazionale degli Scacchi, ha rilasciato su Twitter a Beth Harmon il "certificato virtuale" di grande maestro.[26] È stata, tuttavia, criticata per il fatto che siano state utilizzate esclusivamente partite fra giocatori maschi come base per quelle fittizie al suo interno. La WGM Jennifer Shahade, in un post su Twitter, ha scritto che: «la serie è splendida ma usare alcune partite di donne sarebbe stato fantastico». Ha inoltre fatto riferimento al disappunto di chi scopre che Beth Harmon è un personaggio inventato e che la presenza di partite femminili sarebbe stata «di consolazione per scacchiste realmente esistenti quali Judit Polgár, Vera Menchik o Ljudmyla Volodymyrivna Rudenko».[27]

Mi  sembra che ì creatori    della serie   si siano ispirati alle caratteristiche dell’homo patiens descritte da Viktor E. Frankl nel suo libro Ovvero, “l’homo patiens è colui che trasforma la propria sofferenza in una conquista”.
Talmente  ben  fatta    che  sembra,  come  ho  già   avuto modo  di dire  ,  in un post precedente  riprendendo  una   storia  sugli  scacchi  una  storia realmente  avvenuta  



il ragazzo che catturo il vento
come ingegnarsi per vivere Un ragazzo di 13 anni viene espulso dalla scuola che frequenta quando la sua famiglia non può più pagare la retta. Il giovane, quindi, impara a costruire un mulino a vento per salvare la propria gente dalla carestia. 


Benvenuto a Marly-Gomont (Bienvenue à Marly-Gomont)
un film del 2016 diretto da Julien Rambaldi.La pellicola, di produzione franco-belga, è incentrata sulla vita del medico congolese Seyolo Zantoko. medico di Kinshaza, si trasferirà, siamo negli anni  '70,per lavoro con la famiglia in un paesino   della  francia   profonda  francese, ma le persone lì non hanno mai visto gente di colore.


A spasso con Bob (A Street Cat Named Bob) 
Un bellissimo   film del 2016 diretto da Roger Spottiswoode e scritto da Tim John e Maria Nation. Tratto dal romanzo autobiografico omonimo di James Bowen del 2010, il film è interpretato da Luke Treadaway, Ruta Gedmintas, Joanne Froggatt e Anthony Head e il gatto Bob. Tratto da una storia vera

Mudbound
un film del 2017 diretto da Dee Rees.  Il tema  razziale  degli Stati uniti   d'America  negli anni  1930\40  trattato  in maniera  non retotrica  e  buonista \ melensa  . Esso  è un adattamento cinematografico del romanzo Fiori nel fango (Mudbound) di Hillary Jordan.


Il fotografo di Mauthausen (El fotografo de Mauthausen)
un ottimo film spagnolo del 2018 diretto da Mar Targarona e interpretato da Mario Casas, Macarena Gómez e Alain Hernández. Il film racconta la storia del fotografo Francesc Boix durante la sua vita nel complesso del campo di concentramento di Mauthausen-Gusen.[

31.12.20

nozze record ( 57 anni di matrimonio ) e 105 anni d'età


DI SEBASTIANO DEPPERU
  nuova  Sardegna   del 31 DICEMBRE 2020


Nozze record e 105 anni un super nonno a Trinità




Francesco Angelo Prunas (zio Cicchinu) ha festeggiato ieri il suo compleanno Per lui il traguardo è doppio: pochi mesi fa ha toccato i 75 anni di matrimonio





TRINITÀ
Se per molti il 2020 sarà un anno da dimenticare, per zio Francesco Angelo Prunas invece è stato un anno molto importante. Ieri ha compiuto 105 anni e qualche mese fa ha tagliato il traguardo dei 75 anni di matrimonio con la moglie Antonia Fara.
Zio Cicchinu - come lo chiamano tutti - è l'uomo dei record: è tra le prime cinque persone più longeve dell'isola e tra quelli che hanno avuto un matrimonio tra i più lunghi di sempre. Da qualche mese, ha qualche problema di salute che lo costringe a letto ma zio Cicchinu ha sempre goduto di una salute di ferro. Classe 1915 ha attraversato due guerre mondiali, tre anni sotto Francisco Franco in Spagna, il "secolo breve" e tutti cambiamenti che il nuovo millennio ha portato. Il 29 luglio 1945 ha sposato la sua amata (che oggi ha 91 anni) ed è ancora compagna di vita: un amore che dura da 77 anni dalla quale sono nati 5 figli, 11 nipoti e 10 pronipoti. E' sempre lucido e ha tanta memoria come raccontano i figli. «Mi piace raccontare episodi della mia vita - dice zio Cicchinu - ho fatto la guerra ed è, veramente, una brutta cosa. E' meglio stare nella nostra amata terra. Ho conosciuto Francisco Franco e Benito Mussolini. Erano anni diversi e lontani». A 105 anni, si può fare il bilancio di una vita. Quella di zio Cicchinu sembra divisa in due: la giovinezza in giro, con la guerra e il dovere verso la Patria; la seconda fase matura in Sardegna, con il lavoro, l'amore e la famiglia. Le sue uscite dall’isola, infatti, sono state sempre per rispondere alla Patria. A Verona, il 20 aprile 1937 con la cavalleria; poi, dismesse le divise, a Firenze in borghese e dopo una settimana imbarcato a La Spezia come assistente veterinario. Il 23 dicembre dello stesso anno, è partito come volontario per la guerra di Spagna dove è rimasto fino al luglio del 1939. Zio Francesco Angelo Prunas è uno dei pochissimi, se non l’unico reduce della guerra di Spagna combattuta dall'Italia a fianco di Franco. Trasferitosi a Siviglia ha partecipato all’operazione militare a Miranda-Ebro. Nel primo anno, però, è stato infermiere, e ha partecipato ad azioni di guerra in Catalogna. Nello stesso anno, zio Prunas ha conosciuto la figlia del generale Franco. A Roma, ha incontrato per due volte Benito Mussolini e ha ricevuto 4 medaglie. Dopo la campagna di Spagna, è rientrato a Napoli (luglio 1939) e poi a Vignola. E' stato richiamato nel 1941 a Cagliari, Domusnovas e Carbonia per vigilare dei prigionieri slavi. Nell'ottobre 1943 è rientrato a casa dove è iniziata la sua nuova vita con Antonia.

29.12.20

FNCL AL COVID E AL 2020 PER UN ANNO MIGLIORE

 


musica    consigliata

Lucio Dalla - L'anno che verrà
CSI - Fuochi nella Notte di San Giovanni (live @ Acoustica Videomusic)

 
leggi anche  

In questo post   di  fine d'anno  , ma non si  sa mai  che  trovi qualcos'altro  da  raccontare o condividere  durante il  periodo di pausa ,  oltre  a   mandare   come suggerito    da  queste due  canzoni  sotto riportate  sotto  a FNCL  l'anno  ormai   prossimo alla fine  

 




voglio oltre alla puntata sul capodanno concludere con po' d'ottimismo riportando due storie piene di speranza che sono , almeno per me , punto di riferimento per andare avanti e resistere alle brutture del covid e non solo .  Entrambe  prese da https://www.mariocalabresi.com/stories/

la prima 

Il mondo intorno a una panetteria

18 dicembre 2020 | diCesare Martinetti*
Qui è “Vietato entrare di cattivo umore”. Ma non è sempre facile essere di buon umore, di questi tempi. Andrea mi racconta che, poco dopo l’inizio di quest’accidenti di pandemia, un giorno è entrato in negozio un ragazzo che conosceva da qualche anno. Lui e poi è arrivata anche lei. Venivano da studenti, si sono sposati, hanno fatto un figlio, compravano il pane di giornata, un pezzo di focaccia, qualche biscotto, insomma le cose normali di una famiglia. Ma quel giorno era diverso perché quel ragazzo, timidamente, tenendo il suo bambino per mano, lo ha preso da parte e gli ha chiesto se gli poteva vendere il “pane freddo”, a metà prezzo. Andrea non ha capito subito. Che voleva dire “freddo”? Quello del giorno prima, ovvero quello avanzato perché lui e lei – tutti e due laureati – avevano perso il lavoro e dovevano tirare la cinghia. A questo punto Andrea gli ha risposto: «Senti, facciamo così: tu prendi il pane come hai sempre fatto, al resto ci penseremo».
Andrea Bertino, 51 anni, quinta generazione di panificatori a Torino, davanti al forno in pietra del 1854
Ecco, una panetteria è un buon posto per capire cosa sta succedendo intorno a noi. E la panetteria Bertino di via Bernardino Galliari 14, a Torino, è un luogo dove converge il mondo e si riflettono tutti i modi e i colori delle sue facce. San Salvario, quartiere multietnico per luogo comune e per dimensione esistenziale, poveri e benestanti, formicolante incrocio di gente che va e che viene, la prima immigrazione di colore a Torino è sbarcata qui accanto alla stazione di Porta Nuova, giusto dietro la sinagoga e la sua babele. Lo storico mercato di piazza Madama Cristina a due passi, vecchie botteghe artigiane e nuovissimi studi di coworking, l’antico bistrot dal nome misteriosamente esotico di “Samambaia” vicino al nuovo “laboratorio-caffè Orso” di via Berthollet. Locali e localini che hanno forgiato una nuova anima in questi luoghi, quella della “movida” che detta così c’era già venuta un po’ a noia prima di conoscere il Covid-19 e alla quale adesso guardiamo con giustificata inquietudine.
Andrea Bertino ha 51 anni ed è la quinta generazione di una famiglia di panificatori. Il trisnonno serviva la Casa Reale, dalla bottega di via Viotti, vicino a piazza Castello. Qui in San Salvario la famiglia è arrivata intorno agli anni Venti (del Novecento) e dunque siamo al secolo di un compleanno scivolato senza clamore in questo 2020 già carico di troppo stress. 
Alice, moglie di Andrea Bertino, all’ingresso della panetteria. È sua l’idea della scritta “Vietato entrare di cattivo umore”
La particolarità di questo posto, però, non è nemmeno quella, ma il forno, che data esattamente 1854, ed è un forno in pietra, “uno dei più antichi d’Europa”, come dice la scritta che sta dietro al bancone. Fino al 1945 veniva alimentato dal fuoco di legna; adesso a far calore sono le resistenze elettriche inserite nei tunnel di porcellane che corrono sotto i dieci metri quadrati del piano di pietra dove cuoce il pane, esattamente come una volta. Andrea scherza su quella definizione di “antico forno d’Europa”, anche perché c’è chi gli chiede se vuol «rimanere al Medioevo». Oggi, i primi requisiti che si chiedono per un forno sono efficacia e rapidità; e qui c’è solo la prima delle due. Per fare il pane ci vuole il tempo che ci vuole, un paio d’ore per le forme più grandi; anche mezz’ora per i panini. È probabile che di forni così ce ne siano altri, ma in attività per la quotidiana e rituale cottura di quel primordiale impasto di acqua e di farina che chiamiamo pane, a Torino c’è solo questo. Andrea ha sentito dire di un altro forno così a Battipaglia, ma chissà.
Intorno a questo totem di pietra e di mattoni c’è un’azienda famigliare, Alice, la moglie di Andrea, che sta in negozio con Elena e Mary. Sotto, nel “pastino”, in quella cripta che custodisce il tabernacolo del forno, dalle 4.30 di notte sono al lavoro in quattro e costituiscono una sorta di micro Sant’Egidio: Jennifer, nigeriana, detta il “Generale” perché tiene tutti in riga; Barkely, del Camerun, addetto a pizze e focacce farcite; “Lasagna”, del Senegal, responsabile delle cotture; “Confucio”, l’unico italiano, il mago di lieviti e impasti. È anche l’unico ad essere arrivato per vie normali, gli altri ve le lasciamo immaginare, ognuno di loro è un libro di avventure e di orrori attraverso quei campi profughi della Libia che lasciano stigmate nell’anima e nella carne. Ma qui, dove lievita e cuoce il pane, il ciclo della vita è già ripartito, visto che Barkely è appena diventato papà.
Barkely, del Camerun, è addetto a pizze e focacce. “Lasagna”, senegalese, è il responsabile delle cotture
Andrea, che in questo “pastino” è entrato quando aveva 13 anni, racconta di aver tenuto insieme la sua truppa in questi mesi facendo «capriole e salti mortali». Il bilancio ha seguito la curva (ma al rovescio) della pandemia: si vende meno pane, molte meno pizze, focacce e biscotti, i consumi si sono ridotti all’essenziale, si sente l’affanno nell’ultima settimana del mese. Di storie come quella del ragazzo che voleva il “pane freddo” ce ne sono decine. A fine giornata Alice e le ragazze fanno i pacchetti con il pane che resta e lo mettono in una cesta: chi ne ha bisogno ne prende, senza pagare niente, c’è chi lo fa quasi vergognandosi, è normale, ma va bene così.
Non sono arrivati aiuti dallo Stato ma Andrea nemmeno li ha chiesti perché dice che in questo momento «c’è chi non ha da mangiare e non mi sembrava giusto». Non c’è ostentazione, in queste parole che Andrea accompagna con i gesti delle mani perché qui non c’è niente di astratto, né nei sentimenti né nella pratica. È come fare il pane, è tutta una questione di rumori e di odori, l’impasto “sbuffa” quand’è pronto, il pane profuma quand’è cotto.
È una forma naturale di fisiologia della notte e del mondo di San Salvario, dove questo posto così semplice e così unico con il suo karma valica le frontiere invisibili, verticali e orizzontali, della città. Per entrare nella leggenda del forno di pietra si viene dalla collina e dal centro, in coda da Bertino si incontrano vecchi amici, qui c’è il sigillo delle più antiche regole alimentari bibliche che si mescola ai sapori dell’Africa e naturalmente al buon gusto italiano. E in cambio ti viene chiesta una sola cosa: non entrarci di cattivo umore.

*Cesare Martinetti (Torino, 1954), giornalista dal 1976: “Gazzetta del Popolo”, Ansa, “la Repubblica”. A “La Stampa” dal 1986. Inviato, corrispondente da Mosca, Bruxelles e Parigi, vicedirettore. Due libri, “Il padrino di Mosca” (1995) e “L’autunno francese” (2007), entrambi editi da Feltrinelli.


Il giorno che ho lavato il mio abito nella fontana

25 dicembre 2020 | diMario Calabresi

Era il 7 luglio 2007. Era una giornata bellissima. Maria aveva appena finito di lavorare a Casal Palocco, nell’estrema periferia romana, quasi a Ostia, dove da sette anni si prendeva cura di tre bambini della famiglia di un medico. Era appena salita sull’autobus 709 per arrivare fino all’Eur. La destinazione finale era la casa di un’amica, vicino all’aeroporto di Ciampino, era stata invitata a cena. Erano solo le 17:30 ma il viaggio era molto lungo. Maria si era seduta davanti, vicino all’autista, aveva un vestito bianco, un mazzo di fiori e una bottiglia di vino. Dopo la prima fermata vide entrare in una rotonda una bellissima moto rossa, la seguì con gli occhi, era affascinata dal casco tutto colorato del ragazzo che la guidava. La moto si affiancò all’autobus, accelerò prima di una strettoia, lo superò, ma si trovò improvvisamente di fronte una macchina, accelerò ancora di più e riuscì a evitarla. «Poi ho visto la moto volare, ha fatto due o tre giri nell’aria ed è caduta su un muretto. Il ragazzo era per terra, seduto. Si è tolto il casco e si è buttato indietro. Si agitava sdraiato sull’asfalto. L’autista era sceso e si era messo al telefono per chiamare soccorsi. Nessuno si muoveva sull’autobus. La voce dentro di me diceva: “Vai, vai, lo devi aiutare”. Ho superato lo spavento, mi sono alzata, ho lasciato il vino e i fiori sul sedile e sono scesa».

Francesco Miele, pilota d’aerei, in sella alla sua moto rossa

La storia che mi ha regalato Maria è una delle più belle che ho incontrato in questi mesi, l’ho scoperta presentando il libro “Molte aquile ho visto in volo” di Filippo Nassetti, e ho pensato che fosse quella giusta per la newsletter di un Natale difficile, in un anno difficile.
«Il ragazzo era pallido, tremava. Ha allungato la mano, mi ha stretto un braccio e mi ha detto: “Non sento più la gamba, cosa è successo, dimmi cosa è successo?”. Allora ho guardato e ho visto una scena che non dimenticherò mai: la gamba era staccata sotto il ginocchio, i jeans strappati la tenevano insieme, ma stava perdendo tantissimo sangue. “Tutto a posto”, gli ho detto, poi ho preso coraggio e ho chiesto all’autista di togliersi la cintura. Non capiva. Gli ho ripetuto di togliersi in fretta la cintura dei pantaloni, l’ho presa e l’ho stretta più forte che potessi sulla coscia del ragazzo, per provare a bloccare la perdita di sangue. L’avevo imparato a scuola, alle elementari, quando avevo fatto il corso. In Moldavia avevamo lezioni di primo soccorso ogni settimana. Mi ricordavo che si doveva fermare l’emorragia all’inguine.Intanto cercavo di tenerlo sveglio e cosciente. Ricordo ancora la raffica di domande. “Come ti chiami?”. “Francesco”. “E di cognome?”. “Miele, come il miele delle api”. “Che lavoro fai?”. “Il pilota”. “Cosa piloti?”. “Gli aerei”. “Per che compagnia?”. “L’Alitalia”. Mi ha detto anche il modello che pilotava ma io non sapevo niente e non ho capito, poi gli ho chiesto se potessi chiamare qualcuno, avvisare un parente. Ci disse un numero e l’autista provò a chiamare, ma non rispondeva nessuno. Francesco smise di parlare e cominciò a chiudere gli occhi, allora cominciai a prenderlo a schiaffi in faccia per non farlo svenire, mi ricordavo che la maestra a scuola diceva che un ferito non doveva mai perdere conoscenza. Aveva paura e abbracciò le mie gambe. Rimase stretto a me fino all’arrivo dell’ambulanza. Quando lo portarono via risalii sull’autobus, il vestito di lino bianco era tutto macchiato di sangue. Arrivata al capolinea, l’ho lavato alla fontana dell’Eur».
In ospedale amputarono la gamba di Francesco sopra il ginocchio. Maria arrivò alla sua cena sconvolta, ebbe una notte di incubi e per giorni non pensò ad altro se non a quella scena. Ma non sapeva a chi chiedere notizie.

Maria Donica da bambina, in una vecchia foto che conserva nella memoria del telefono e che le era stata scattata insieme ai nonni

Anch’io volevo notizie, volevo sapere come è andata a finire questa storia, e sono riuscito a rintracciare Maria. Da quattro anni e mezzo vive a Londra, di cognome fa Donica ed è nata nel 1975 a Podgoren (il nome significa: “paese che sta sotto le montagne”), in Moldavia, tra Ucraina e Romania. In un pezzo di terra che quando è nata faceva parte dell’Unione Sovietica. Mi dà appuntamento quando i figli sono a lezione, ha l’accento romano. Arrivò in Italia che aveva 23 anni, nel 1998, poco prima di Natale, raggiungendo il fratello più piccolo che viveva già vicino a Roma: «Il nostro sogno, dopo il crollo dell’Urss, era andare all’estero, Spagna, Grecia o Italia. Ma non era così facile: ricordo i viaggi con l’autobus di notte per andare al consolato in Ucraina per ottenere il visto. Poi ho avuto la fortuna di trovare lavoro come ragazza alla pari. Il padre della famiglia che mi accolto era ginecologo ed è stato poi lui, anni dopo, a far nascere i miei figli Riccardo e Francesca. Grazie alla Bossi-Fini, una legge discussa che a me però ha cambiato la vita, ho avuto il permesso di soggiorno e ho visto un futuro».Ma prima di parlare del futuro, di quello che è successo dopo, le chiedo del suo passato. «Mia nonna a 45 anni, l’età che ho io oggi, aveva l’aspetto di una settantenne, faceva la contadina, andava nei campi a raccogliere il tabacco alle 5 di mattina. Fin da piccola mi portava con lei e la fatica che faceva è uno dei motivi per cui sono scappata. Anche mio padre era agricoltore, è mancato quando avevo nove anni, la mamma, che lavorava in Comune, pochi anni dopo. Mi hanno cresciuto i nonni. La nonna era molto religiosa, ogni domenica facevamo parecchi chilometri a piedi per arrivare in chiesa. Partivamo prestissimo perché la messa iniziava alle 9. Durava fino a mezzogiorno, si stava sempre in piedi nella messa ortodossa. Mio nonno, che invece era molto comunista ed era l’autista del sindaco, quando ci incrociava sulla strada faceva finta di non vederci, andare in chiesa era una cosa vietata. Quando è andato in pensione ed è finito il comunismo è diventato l’economo della parrocchia. Mia nonna non ci poteva credere e gli diceva: “Adesso che sei diventato vecchio e hai paura di andare all’inferno, vieni in chiesa…”».

Francesco e Maria, all’epoca fidanzati, durante il loro viaggio a Venezia per il Capodanno del 2008

Francesco, dopo l’incidente, venne portato all’Ospedale Grassi di Ostia, poi venne trasferito in elicottero al San Camillo a Roma dove lo operarono. Maria non sapeva come trovarlo, non aveva nessun riferimento. Mentre racconta le si rompe la voce: «Ogni volta che ci ripenso mi emoziono». Prese la guida del telefono e cominciò a cercare Miele, ne trovò tre: «Prima chiamai Salvatore, ma non rispondeva nessuno, poi Katiuscia, un nome russo, mi sembrava improbabile, invece era la sorella. Presi fiato, imbarazzata: “Sono la ragazza che sabato ha assistito all’incidente, non mi prenda per matta, volevo solo sapere come sta”. Lei si mise a piangere: “È al San Camillo, intubato, in Rianimazione, è in fin di vita per un’emorragia interna, gli hanno tolto la milza e amputato la gamba”.
Da quel giorno cominciò a tenermi informata e una mattina mi chiamò per chiedermi se volessi accompagnarla in ospedale. Passò a prendermi lei con la macchina. Francesco era appena uscito dalla Rianimazione. Dietro il vetro della sua stanza c’erano tantissimi amici, quando la sorella disse chi ero, tutti cominciarono a ringraziarmi ed ero terribilmente imbarazzata. Il padre gli disse che c’ero anche io, lui ricordava solo vagamente una ragazza bionda che lo aveva preso a schiaffi. Erano tutti convinti che sarebbe tornato presto a casa, ma nessuno riusciva a immaginare con che futuro. Mi colpì molto una frase che sentii in quel corridoio: “Non potrà più fare il pilota, il sogno della sua vita è finito”».
Maria tornò a trovare Francesco durante la riabilitazione in un centro specializzato, Villa Fulvia: «Parlavamo molto, lui mi faceva un sacco di domande e abbiamo cominciato a conoscerci. Sono tornata molte volte, ero affascinata dai suoi racconti di viaggio, dalle sue storie, pendevo dalle sue labbra. Tornando a casa una sera ricordai cosa mi diceva la nonna: “Nella vita devi sposare un pilota d’aereo”. Chissà perché, forse perché sognava per me di volare via dalla fatica dei campi. Il pilota lo avevo incontrato, anche se non ci eravamo mai nemmeno sfiorati, ma era un pilota con lo sguardo triste e la grande preoccupazione di non poter pilotare più».

Francesco fa sci d’acqua, così come esercizi ed attività che lo aiutano ad allenare il corpo per pilotare gli aerei nonostante la protesi alla gamba

Francesco si era messo a studiare se fosse possibile farlo senza una gamba, ma non trovò nessun esempio in Europa. Finché un amico non gli portò la fotocopia di un articolo di un giornale americano: parlava della storia del capitano dell’aviazione militare americana Andrew Lourake, tornato a volare dopo l’amputazione della gamba sinistra a causa di un incidente in moto. Era la stessa storia. Lourake lavorava alla base militare di Andrews, poco fuori Washington, dove decolla l’aereo del presidente degli Stati Uniti, l’Air Force One. Prima dell’incidente Andrew pilotava l’Air Force Two, quello del vicepresidente, poi riuscì a diventare capitano di voli di linea. Francesco lo contattò su Skype e presto diventarono amici. Andrew gli spiegò tutto quello che aveva fatto e gli insegnò una serie di esercizi da fare per riuscire a portare un aereo anche in condizioni difficili o di emergenza. Era una questione di forza, di capacità di muovere nel modo corretto il bacino per supplire alla gamba e dare forza alla protesi.
Francesco cominciò a fare esercizi ogni mattina e ogni pomeriggio alle macchine e in piscina. Si allenava con una pedaliera e non vedeva l’ora di tornare al simulatore. «Aveva alti e bassi, ma adesso aveva un obiettivo. Un giorno a Villa Fulvia mi fece una sorpresa: si alzò in piedi dalla carrozzina e si avvicinò. Non avevo mai capito quanto fosse alto. L’ho abbracciato e ci siamo guardati negli occhi. Non sapevo cosa fare e mi chiedevo: ci prova o non ci prova? Ho mosso impercettibilmente la faccia verso di lui, il primo passo l’avevo fatto io, lui a quel punto mi ha baciata. Da quel giorno ci siamo incontrati tutti i giorni, mi mancava l’aria quando non lo vedevo. Poi è tornato a casa e siccome ci piace molto cucinare abbiamo fatto una cena più bella dell’altra. A Capodanno siamo andati a Venezia, abbiamo preso l’aereo, faceva freddo ma sono stati tre giorni meravigliosi. Da allora non ci siamo lasciati più».
Francesco ricominciò a frequentare il centro di addestramento dell’Alitalia, ad addestrarsi al simulatore. «Ricordo la prima mattina che ha messo la divisa dell’Alitalia, per giorni si era addestrato sul marciapiede di fronte a casa a camminare con la protesi. Io lo osservavo dal balcone, provava anche a farlo con la valigia, eravamo tutti e due emozionatissimi. Arrivò il giorno dei test, dell’esame di idoneità, uscii con lui quella mattina ma io andai insieme a un’amica in un santuario sulla via Appia. Feci quello che avrebbe fatto mia nonna: pregai. E chiesi una sola grazia per la mia vita: che Francesco potesse tornare a volare». Così è stato.

Francesco e Maria, con il figlio Riccardo, a Roma nel 2012: lei ha appena ricevuto la Medaglia d’Oro al Valor civile per l’atto di coraggio con cui gli ha salvato la vita

«Da quel momento cominciò una vita nuova, lui era tornato a pilotare e un giorno si presentò da me con un bellissimo anello, per chiedermi non di sposarlo ma di fare un figlio insieme. Anzi due. L’anno dopo nacque Riccardo. Nel 2012, un pomeriggio è tornato a casa e mi ha detto: “Vestiti carina che c’è una sorpresa per te”. Entrammo in un palazzo vicino a Piazza Venezia, sul portone c’erano suo padre, sua madre, sua sorella e un fotografo. Pensai che mi volesse sposare ma pensai anche: me lo dovrebbe chiedere prima. Lui non diceva nulla. Siamo saliti in una sala bellissima, è arrivata una signora che ha cominciato a leggere un foglio, parlava di un gesto di eroismo e poi mi ha consegnato la Medaglia d’Oro al Valor civile. Ero confusa e felice».Il matrimonio arrivò solo nel 2014, quando era già nata Francesca, con la possibilità di lavorare a Emirates. Per entrare nella compagnia di Dubai doveva essere sposato, non erano accettate compagne. Si sposarono in fretta e furia, Francesco passò tutti gli esami ma la commissione medica alla fine disse di no. «Ci rimase male, aveva il desiderio di portare i figli a vedere il mondo, farli studiare in inglese. Una sera, poche settimane dopo, mi disse: “E se andassimo a vivere a Londra?”. Io ho pensato subito alla pioggia, poi ci siamo andati per una piccola vacanza e abbiamo capito che era il posto giusto. Siamo tornati solo noi due per cercare casa: abbiamo fatto un cerchio sulla cartina intorno a Heathrow e abbiamo iniziato a cercare dove c’era più verde. L’abbiamo trovata subito. Piccola ma molto carina e vicino a una scuola. C’era solo un piccolo problema: Francesco non aveva un lavoro a Londra. Ma non ebbe dubbi: “Lo troverò”. Ci trasferimmo noi e lui cominciò a fare il pendolare. Poi trovò posto come pilota di EasyJet  .
La selezione fu molto dura ma dopo la prova in piscina ebbe il posto.
 Ricordo esattamente quando me lo disse. Ero a scuola dei ragazzi, al saggio di musica, mi arrivò un sms: “È fatta anche questa volta”. Ho lanciato un grido. Tutti si sono girati a guardarmi: “Scusate, una buona notizia”».

Maria si emoziona di nuovo: «È tutto qui. Sono stata fortunata. Siamo stati fortunati. Quando apro l’armadio, ogni mattina, vedo il vestito bianco. Non l’ho mai buttato anche se non ci entro più dentro. Mi serve a ricordare come è cominciato tutto, come da una tragedia possano nascere anche cose buone. Ho un solo piccolo rimpianto: la nonna è mancata prima, non ha fatto in tempo a sapere che ho sposato un pilota».


buon anno  a  tutti\e    vicini e lontani