12.1.21

mi sa che non basta più il 27 gennaio le merde nazi fasciste agiscono prima Svastiche e insulti antisemiti: su Zoom l'irruzione neofascista contro il libro "La generazione del deserto" della scrittrice Lia Tagliacozzo e Auschwitz, “Il vaccino rende liberi”: l’ignobile post e le sterili giustificazioni del consigliere Marco Ferrara

se questo è il prologo cosa sarà , ovviamente sullo stesso piano in quanto sono due fatti storici anche se intrinsechi di aberrazioni ideologiche e consecutivi ma divergenti , la settimana della memoria ( 27 gennaio ) e di quella del ricordo ( 10 febbraio ) . Speravo che come già detto precedentemente in : << speriamo che il QAnon italiano e i loro seguaci non ripetano nella giornata della memoria ( 27 gennaio ) quanto fece Alessandro Meluzzi su twitter l'anno scorso con l'immagine del cancello di Auschwitz >> non ci fossero cose del genere.  Invece  si  sono verificati  due  incresciosi fatti  . 
Il primo

  da  https://roma.repubblica.it/cronaca/ 11\1\2021  e   da  repubblica  del   12\1\2021


Svastiche e insulti antisemiti: su Zoom l'irruzione neofascista contro il libro sulla Shoah

                                                    di Viola Giannoli

Un'incursione vera e propria, studiata, organizzata, violenta - come fosse in una sala, ma andata tutta in onda online - da parte di un gruppo rimasto anonimo ma contro cui ora partirà una denuncia alla polizia postale. È accaduto durante la presentazione del volume "La generazione del deserto" della scrittrice Lia Tagliacozzo: "È stato scioccante"


Lia Tagliacozzo 

Insulti antisemiti, urla, minacce, svastiche, immagini di Hitler. Tutto durante la presentazione di un libro sulla memoria della Shoah e l'uso che di quella memoria si può fare oggi, come strumento di civiltà.
È accaduto domenica in diretta Zoom quando Lia Tagliacozzo - scrittrice, giornalista, autrice di "La generazione del deserto", edito da Manni - aveva appena preso la parola per discutere della sua ultima opera in un incontro online organizzato dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza in collaborazione con il Centro di Studi ebraici di Torino
A raccontare l'accaduto sono stati per primi i suoi due figli, su Facebook, scioccati, arrabbiati, disgustati da quanto avvenuto in rete. "Un gruppo di persone organizzate - scrive Sara, 20 anni, romana - sono entrate in massa nella riunione Zoom della presentazione, mentre stava parlando mia madre. Zittendola. Hanno iniziato ad urlare "ebrei ai forni", "sono tornati i nazisti" ,"vi bruceremo tutti", "dovete morire tutti". Impostando come foto identificativa immagini di Hitler e svastiche enormi".
                      La copertina del libro di Lia Tagliacozzo, edito da Manni

 Un'incursione vera e propria, studiata, organizzata, violenta - come fosse in una sala, ma andata tutta in onda online - da parte di un gruppo rimasto anonimo ma contro cui ora partirà una denuncia alla polizia postale.
"Mi era già successo - aggiunge Sara - in altri contesti non ebraici di trovarmi in situazioni di tensione e anche di scontro con gruppi fascisti e neonazisti. Questa volta è stato diverso. Questa volta era diretto proprio a me, proprio a "noi", per il fatto di essere ebrei. Non mi era mai successo. Non così. Non mi hanno mai augurato di finire nei forni. Non davanti alla mia mamma".
Quando Lia raccontò a sua figlia, per la prima volta, la storia della loro famiglia, deportata durante il rastrellamento del Ghetto e tradita, in un altro episodio, da persone che credevano amiche, "iniziai a piangere disperata - racconta ancora Sara - E mia mamma mi disse: 'Non dobbiamo essere tristi. Dobbiamo essere arrabbiate'. Ebbene sì, oggi mi si sta rompendo il cuore... Dalla rabbia"."
Oggi - dice la ragazza - ho capito quanto sia importante non chinare la testa, costruire un mondo in cui i fascisti che mi vogliono nei forni spariscano".
Non abbassare la testa, andare avanti, come ha fatto sua mamma e gli altri organizzatori del dibattito: "È stato scioccante ma non ci hanno fermato, la nostra presentazione è andata avanti, abbiamo continuato a parlare, a ragionare. Mentre loro, dopo due minuti, sono stati allontanati: loro hanno perso, noi abbiamo vinto".
La vittima dello zoombombing di domenica: "Bussarono a questa stessa porta durante il rastrellamento del Ghetto, per portare via la mia famiglia, dimezzata nei campi di concentramento. Ma stavolta hanno fallito". La figlia: "Non mi era mai capitato che mi augurassero di finire nei forni"
"I nazisti mi sono entrati in casa un'altra volta, come fecero quando bussarono a questa stessa porta, il 16 ottobre del '43 durante il rastrellamento del Ghetto, per portare via la mia famiglia, dimezzata nei campi di concentramento".
Stavolta è successo in maniera certo incomparabilmente drammatica, ma comunque oltraggiosa, violenta, inquietante su Zoom, durante la presentazione del libro sulla memoria della Shoah La generazione del deserto (Manni editore) di Lia Tagliacozzo, scrittrice e giornalista romana ed ebrea, nipote di deportati ad Auschwitz, figlia di due sopravvissuti all'Olocausto.
È stata Sara De Benedictis, vent'anni, a sua volta figlia di Lia, a raccontare su Facebook l'irruzione neofascista: "Domenica un gruppo di persone organizzate sono entrate in massa nella riunione Zoom mentre stava parlando mia madre. Hanno iniziato ad urlare 'ebrei ai forni', 'sono tornati i nazisti', 'vi bruceremo tutti', 'dovete morire' ".
Un'azione studiata, organizzata, e codardamente anonima: al posto dei nickname i cognomi di famiglie ebraiche per farsi accettare dagli organizzatori - l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e il Centro di studi ebraici di Torino -; al posto delle foto immagini di Hitler e svastiche. Almeno una decina gli incursori, voci giovani, ora denunciati alla polizia postale per risalire alla loro identità.

Uno zoombombing - così si chiama il fenomeno sempre più dilagante - di stampo fascista e razzista, a Roma già accaduto ad esempio a novembre durante un dibattito sui rider organizzato dal Pd. Solo "l'ultimo degli episodi inquietanti di questi giorni" secondo la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, "che dimostra come non si debba abbassare la guardia. L'antisemitismo sul web non è il terreno di qualche folle isolato, ma una rete organizzata che va repressa e non sottovalutata".
A scioccare i partecipanti è stata la modalità del blitz e la violenza dei contenuti. "In altri contesti mi era già successo di trovarmi in situazioni di tensione e scontro con gruppi fascisti e neonazisti - si sfoga Sara - Ma questa volta, seppur dietro uno schermo, è stato diverso: era diretto proprio a me, a "noi", per il fatto di essere ebrei. Non mi hanno mai augurato di finire nei forni. Non davanti alla mia mamma"
Quella mamma che, quando Sara aveva 8 anni, le ha raccontato per la prima la storia della sua famiglia: "Iniziai a piangere, non ci potevo credere e lei mi rispose 'Non dobbiamo essere tristi. Dobbiamo essere arrabbiate'. Oggi mi si sta rompendo il cuore dalla rabbia. E ho capito che sta a me costruire un mondo in cui chi mi vuole nei forni sparisca", dice ancora sconvolta.
L'azione del manipolo di fascio-hacker è durata appena due minuti. "Una brutta storia - dice Lia Tagliacozzo - ma non hanno vinto: loro sono stati allontanati, noi abbiamo continuato a parlare. Questa credo sia la morale: non me l'aspettavo, è stato inquietante ma hanno fallito, non ci hanno impedito di fare quello che volevamo. Davanti alla violenza bisogna andare avanti a discutere e difendere i diritti".



fatto non nuovo , ma non per questo da sminuire e da prendere sotto gamba in quanto ad ogni presentazione o ricordo d'eventi o altre manifestazioni non necessariamente legati alla storia del fascismo o della 2 guerra mondiale ci sono interruzioni ed insulti di fascisti o o loro simpatizzanti come dimostra cio che è avvenuto a novembre dell'anno scorso ( qui maggiori dettagli ) durante un'iniziativa online sui rider organizzata da circolo Giustizia del Pd. Tra gli ospiti dell'evento "Garanzia e diritti, la tutela dei nuovi lavori, rider e tematiche dello sfruttamento" c'erano anche la consigliera regionale e presidente della commissione Lavoro Eleonora Mattia e l'avvocata penalista Cristina Michetelli.


il secondo ed è questo quello più grave ( senza sminuire la gravità del primo ) da https://www.frosinonetoday.it/politica/ 11 gennaio 2021 10:30


Auschwitz, “Il vaccino rende liberi”: l’ignobile post e le sterili giustificazioni del consigliere Marco Ferrara

Auschwitz, “Il vaccino rende liberi”: l’ignobile post e le sterili giustificazioni del consigliere Marco Ferrara

Parola alla difesa: "Un concetto espresso male"

Nel frattempo, tra lo sdegno del web e facendo balzare inevitabilmente il Capoluogo ciociaro ai disonori della cronaca nazionale, è stato duramente attaccato dal Pd nazionale, regionale e provinciale, dal resto della sinistra nonché dalla comunità ebraica. D’altro canto, il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani, coordinatore provinciale della Lega, ha stigmatizzato a suo modo il post di Ferrara: “Ha espresso male il concetto del dolore e per questo ha chiesto scusa”. Il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia, invece, ha preso nettamente le distanze: “Non fa parte del gruppo FdI Frosinone - ha precisato l’assessore Pasquale Cirillo e i consiglieri Domenico Fagiolo, Maria Rosaria Rotondi e Thaira Mangiapelo - bensì di una lista civica”. 
Le accuse da sinistra: a Ferrara ma anche al "trumpista" Gizzi 
Ai democrat, a partire dal deputato Emiliano Fiano, noto per il suo attivismo contro il neofascismo, le scuse e le prese di distanza non bastano: vogliono la sua testa. Al pari di Possibile Frosinone, rappresentato da Anna Rosa Frate, nonché della consigliera regionale Marta Bonafoni (Lista civica Zingaretti) e del coordinatore del movimento Pop Sergio Grossi: “Nel giro di due giorni - hanno creato un parellelo - prima il bizzarro delirio sovranista a favore di Trump dell’assessore alla cultura di Ceccano Stefano Gizzi. Poi l'aberrante fotomontaggio del cancello di Auschwitz in chiave negazionista”. In quanto a Gizzi, si parla della sua giustificazione delle tesi complottiste di QAnon sulle elezioni Usa e del violento assalto a Capitol Hill, sede del Congresso americano, nel giorno dell’Epifania. 

Il post dell'assessore alla Cultura di Ceccano Stefano Gizzi-2


Ferrara tenta di giustificarsi e rincara un po’ la dose 
“Preciso che il post che ho pubblicato era a titolo personale, non riguardava nè la "Lista per Frosinone" nè alcun partito politico nazionale, il post è stato da me semplicemente condiviso su Facebook senza testo scritto, preciso che la realizzazione del fotomontaggio non è stata opera mia ma di un altro utente di Facebook. Ho voluto semplicemente fare riferimento alle sofferenze che stiamo vivendo in questo periodo e al fatto che sono per la libertà nella scelta di vaccinarsi o meno con il vaccino anti-coronavirus. Se il governo italiano imponesse questo vaccino come obbligatorio, coloro che decidessero di non vaccinarsi potrebbero essere emarginati o addirittura perseguitati da leggi illiberali”. 
“Chiedo scusa a tutta Italia per avere espresso male il concetto di dolore, accostando in modo inopportuno due eventi tristi quali la pandemia e le persecuzioni nei campi di concentramento. Considero l'olocausto il maggiore crimine che è stato perpetrato ai danni dell'umanità e sono contro ogni forma di persecuzione e di discriminazione degli esseri umani. Sono contro anche a un'eventuale discriminazione e "persecuzione" che si dovesse andare a determinare, nei prossimi mesi, nei confronti di coloro che sceglieranno di non vaccinarsi contro il Covid19: sono liberi di non farlo, allo stesso modo di chi decide liberamente di vaccinarsi”. 
Zevi (Hans Jonas): “Ancora indietro per il vaccino contro gli idioti” 
Così Tibia Zevi, presidente dell’Associazione di cultura ebraica Hans Jonas: “Sì, il vaccino per il Covid ci riconsegnerà la libertà di poter tornare a vivere come amiamo. Riguardo il vaccino contro gli idioti invece è evidente che siamo ancora molto indietro. Nota di colore: il consigliere comunale in questione poteva essere di qualsiasi partito e invece guarda caso appartiene a Fratelli d’Italia”. 
A ruota gli “Amici di Israele”: “Ha utilizzato la scritta posta all’ingresso del Lager di Auschwitz, come in altri Lager nazisti, per mostrare a tutti non solo il suo estremismo no vax, ma anche la vergognosa mancanza di rispetto di una certa parte politica, nei confronti della sterminio programmato e realizzato di milioni di persone la cui unica colpa era stata quella di nascere ebrei o Sinti o di essere omosessuali o Testimoni di Geova o altro, e dunque nei confronti di una delle più grandi tragedie umane mai vissute. È vergognoso. Purtroppo questa è una parte della destra italiana. Anzi non solo italiana”. 
L’attacco del Pd nazionale, regionale e provinciale 
“’Il vaccino rende liberi’ scritto davanti al campo di Auschwitz è il fotomontaggio più vergognoso e aberrante che un uomo potesse fare - ha postato il deputato Fiano, per conto del Pd nazionale - Oggi l'ha realizzato Marco Ferrara, politico di Fratelli d'Italia, che ha utilizzato la scritta posta all’ingresso del Lager di Auschwitz, come in altri Lager nazisti, per mostrare a tutti non solo il suo estremismo no vax, ma anche la vergognosa mancanza di rispetto di una certa parte politica, nei confronti della sterminio programmato e realizzato di milioni di persone la cui unica colpa era stata quella di nascere ebrei o Sinti o di essere omosessuali o Testimoni di Geova o altro, e dunque nei confronti di una delle più grandi tragedie umane mai vissute. È vergognoso. Purtroppo questa è una parte della destra italiana. Anzi non solo italiana”. 
Sulla stessa lunghezza d’onda in quota Ciociaria, oltre al segretario provinciale dem Luca Fantini (“Non ci sono scuse, giustificazioni o travisazioni che reggano. Chiediamo subito le sue dimissioni”), anche i consiglieri regionali Mauro Buschini e Sara Battisti. Il primo ha richiesto un’immediata presa da distanza da parte del sindaco Ottaviani: “Questa volta, la prego, di dare una risposta seria, che metta da parte la sua ironia. Su questi episodi c’è poco da scherzare”. La Battisti, poi, non l’ha affatto gradita: “Io non mi aspetto le scuse da parte dei ‘fratellini’, la matrice è sempre quella. Mi aspettavo, però, che il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani prendesse una posizione più dura. A questo punto spero nelle dimissioni del consigliere”. 
Le parole di Ottaviani 
"Il Consigliere comunale Marco Ferrara ha espresso male il concetto del dolore e per questo ha chiesto scusa - ha commentato il primo cittadino di Frosinone - Ha poi chiarito che l'accostamento di due vicende tristi, davvero incommensurabili, la pandemia e l'eccidio del popolo ebraico, ha segnato pagine buie della storia contemporanea. La vera differenza, però, consiste nel fatto che la pandemia non si sa ancora se è originata dall'errore dell'uomo in un laboratorio, mentre l'eccidio dei fratelli ebrei è stato causato, certamente, dalla insana follia di alcuni, che rinunciarono all'intelletto e al dono di essere uomini". 
La replica di Frosinone in Comune 
Il consigliere Stefano Pizzutelli, immediatamente all’assalto di Marco Ferrara (“lo stesso consigliere negazionista che, però, in Consiglio comunale ci viene con la FFP2, perché negazionista in pubblico e prudente in privato”), si scaglia anche contro Ottaviani: “Per difendere il suo consigliere negazionazista interviene il sindaco con un comunicato capolavoro in cui afferma, in base, immaginiamo, a prove scientifiche inconfutabili, che il Covid sia nato in un laboratorio cinese. Ah già, giusto, oggi lo ha ripetuto Salvini ed il sindaco che di Salvini è un obbediente e umile soldatino, non può che aderire alla stessa tesi complottista”. “Benvenuti a Frosinone, benvenuti in Ciociaria - dichiara in conclusione - Benvenuti nel medioevo prossimo venturo”. 
Anche Frosinone Indipendente prende le distanze 
“Non ipotizziamo nessuna spiegazione plausibile – esterna il gruppo consiliare di opposizione formato da Fabiana Scasseddu, Marco Mastronardi e Daniele Riggi - Sono immagini di cui dobbiamo tenere memoria viva per quello che hanno rappresentato. A nostro avviso non sono eticamente "utilizzabili" in nessun altro contesto e per nessuna ragione. Prendiamo, altresì, le distanze da un comportamento reiterato poco idoneo a chi rappresenta, con il proprio ruolo, i cittadini della nostra città. Riteniamo che tutte le forze politiche presenti in Consiglio, vicine o lontane al Consigliere, debbano manifestare una posizione ferma che lo induca a rivedere le continue esternazioni che hanno inevitabilmente deragliato”.

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ecco perchè se pur critico certi loro atteggiamenti non riesco ad essere anti LGBT(Q ). Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto

Ogni mio ulteriore  commento alla  storia   di Enzo  (uso  ancora  il nome  maschile  in quanto  anagraficamente  e chirurgicamente  non è  donna  )    che leggerete sotto  è inutile  ed  non aggiunge  niente  di più  a quanto   detto   sotto    da lui  stesso  .   Ser non    queste  poche  righe  prese  dall'articolo  riportato sotto  

 La    sua  è  una  storia    particolare  in quanto  Innocenzo Giagoni ha 55 anni ed è nato a Roma dove ha vissuto fino al 1992 per trasferirsi, poi, in Sardegna. Nel 1986 è entrato in polizia. Dopo aver chiesto e ottenuto il trasferimento nell'isola, ha lavorato nei diversi reparti della polizia della provincia di Sassari. Nel 2010 è arrivato in città ed è entrato in servizio alla polizia stradale di Olbia, successivamente, nel 2013, l'anno in cui il ciclone Cleopatra devastò la Gallura provocando la morte di 13 persone, tra cui la compagna di 42 anni e la figlia di quasi due anni, lavorava alla polizia di frontiera all'aeroporto "Olbia Costa Smeralda"

Detto questo  lascio la parola  alla  sua  storia   presa   Da  la   nuova  Sardegna  del  12\1\2021

Enzo è diventato Carla: la nuova vita dell'ex poliziotto

                        Carla durante l'intervista (foto vanna sanna)

Giagoni, 55 anni, era sopravvissuto all'alluvione che gli aveva strappato moglie e figlioletta. Ora sta diventando donna

OLBIA. Carla Baffi non è una persona qualunque. E non solo perché Carla prima era Enzo, ma soprattutto perché Carla, quando era ancora Enzo, è sopravvissuta all’alluvione del 18 novembre 2013 a Olbia. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai.Enzo Giagoni, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent’anni di servizio alle spalle, ha deciso di cambiare sesso e lo ha fatto dopo un lungo travaglio interiore. Un percorso che deve ancora concludere. «Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia».


 «Sono Carla. E ora sono quella che sono sempre stata. Non potevo più continuare a farmi del male costringendomi a vivere una vita che non sentivo mia». La gonna ha preso il posto dei pantaloni, i tacchi hanno soppiantato le scarpe basse, la parrucca nasconde i riccioli neri ribelli. Ma il suo animo è sempre stato quello di una donna anche quando indossava giacca e cravatta o la divisa da poliziotto. Così è stato fin da quando era bambino e di nascosto infilava i collant e indossava i vestiti delle clienti dell'affittacamere di sua madre. «Ho dovuto far morire Carla mille volte rinnegando me stessa, il mio vero essere, per non far soffrire gli altri. Ora è tempo di essere liberamente, fisicamente e totalmente Carla», dice. Nella sua nuova vita non c'è più spazio per Enzo Giagoni. L'uomo che è stato per quasi cinquant'anni vive solo nei documenti. Per la legge lei è ancora uomo, ma Carla Baffi - così ha scelto di chiamarsi - da un anno ha cominciato il suo complesso percorso di transizione che la porterà ad essere riconosciuta anche legalmente donna, col cambio di generalità e i conseguenti interventi chirurgici. Accavalla le gambe avvolte dagli stivali neri. Gli occhi brillano sotto i capelli a caschetto. È pronta per raccontare. Dice che spiegare, per lei, è liberatorio. Sì, perché Carla, o meglio Enzo, 55 anni, romano, ex poliziotto, con trent'anni di servizio alle spalle, non è suo malgrado una persona qualunque. È sopravvissuto all'alluvione del 18 novembre 2013. Ha visto morire davanti ai suoi occhi la compagna Patrizia e la loro figlia Morgana di 23 mesi, trascinate via dalla piena. Una ferita che nel suo cuore non guarirà mai. «Cinque anni dopo la loro morte ho deciso di dire basta: non potevo più continuare a nascondermi. Ho deciso di uscire allo scoperto. E di combattere per essere me stessa. Quasi tutti ormai sanno di Carla e io mi sento felice e libera di esserlo. Non indosso più abiti maschili, me ne sono disfatta. Racconto di me perché voglio che sia chiaro a tutti una cosa: quella che sono ora, non è un riflesso o una conseguenza del trauma subito nella tragedia di sette anni fa. Voglio demolire preconcetti o idee sbagliate: Carla è sempre esistita, è sempre stata dentro di me, ma non potevo farla vedere agli altri», spiega. E va avanti, con l'impeto di chi vuole far emergere la verità. «Ho avuto quattro donne nella mia vita, tutte importantissime. E tutte sapevano. Alcune hanno accettato la mia parte femminile, altre no. E io per non perdere il loro amore, nascondevo Carla, la reprimevo. Spesso le persone con cui parlo mi chiedono se sono sicura di ciò che sto facendo, se sia la cosa che desidero. La mia risposta è sì, è ciò che ho sempre desiderato. Non rinnego nulla della vita di Enzo perché mi ha dato due splendide figlie, la più grande che ha 30 anni, nata dal mio matrimonio, e la piccola Morgana, avuta con Patrizia, ma col senno di poi, vedendo la serenità con cui vivo ora e la conflittualità che Enzo aveva dentro se stesso e nelle relazioni con le donne, mi dico che avrei dovuto cominciare il percorso molti anni fa. Avrei dovuto far nascere Carla prima anziché farla morire continuamente per non far soffrire gli altri».I ricordi affiorano veloci nel suo racconto. Immagini ed emozioni del passato, forti e nitide come allora. «Sono stata consapevole del mio essere femminile fin da quando avevo sette anni. Amavo i collant, rimanevo incantata a guardare gli abiti sui letti e negli armadi delle clienti della piccola pensione che mia madre adottiva, mamma Michelina, aveva a Roma. Ho vissuto con lei fino al 1992. Andavo con mamma a pulire e sistemare le camere e qualche volta, di nascosto, indossavo i loro vestiti. Quando lei mi beccava, piangeva. Non capiva. Io ricordo benissimo la sensazione che provavo quando mettevo quegli abiti: mi sentivo bene, tranquilla, protetta. Ma quando vedevo mamma piangere, facevo sparire tutto. Non volevo che soffrisse». Parlare e spiegare della sua nuova vita alle persone che hanno conosciuto Enzo e che ora si ritrovano davanti Carla, non è certamente facile. «"Guarda che non sono più quello di prima: quando ci vediamo capirai"», avvisa prima di incontrare - puntualmente vestita con gonna e tacchi - chi ancora non lo sa. «So che ci vuole tempo per metabolizzare, è normale, lo capisco. Ma per me affermare la mia vera identità è fondamentale. Spero di realizzarmi presto anche sotto l'aspetto professionale, trovare un lavoro ora è molto difficile, molti non capiscono la natura di una transgender». Carla un anno fa, ha cominciato il percorso di transizione. È seguita dal Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica) del San Camillo Forlanini di Roma che ha accertato la disforia di genere (disturbo dell'identità sessuale), ed è sotto terapia ormonale al Policlinico Umberto 1 di Roma. Con le relazioni finali delle due strutture sanitarie, quando arriverà il momento, potrà chiedere al tribunale il cambio delle generalità e iniziare il percorso chirurgico, come prevede la legge. «A mia mamma biologica, mamma Teresa, che oggi ha 90 anni, ho cercato prima di farglielo capire e poi gliel'ho detto chiaramente. "Ti ho partorito come Enzo, per me è difficile accettarlo", mi ha detto. Ma, poi, un giorno l'ho vista che mi lavava un vestito, un altro giorno mi ha consigliato di usare la piastra per i capelli come fanno le mie sorelle perché mi lamentavo dei miei ricci... Mi ama e piano piano si abituerà. Ci vuole tempo per tutti. Ma io in questo tempo che serve agli altri, continuerò a percorrere la mia strada. Chi mi vuole bene, capirà»

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Ma  soprattutto    ha  avuto  sempre  dalla nuova   sardegna  


IL  ricordo doloroso di quel giorno: «Volevo morire con loro. Ora chiedo giustizia»
«L'acqua me le ha strappate via»

OLBIA
Il 22 dicembre scorso Morgana avrebbe compiuto 9 anni. E anche quest'anno, come ad ogni compleanno, Carla le ha portato il regalo. L'ha poggiato sulla sua tomba, nel cimitero di Calangianus, dove la piccola è sepolta insieme alla mamma. «Le ho regalato la trousse di Barbie. La sua prima trousse. Sono certa che a 9 anni, vispa com'era e desiderosa di essere una signorina più grande, avrebbe chiesto a me e alla mamma i trucchi». Morgana aveva 23 mesi quando la piena ha travolto l'auto sulla quale viaggiava insieme ad Enzo, che era alla guida, e a Patrizia che la teneva in braccio nel sedile a fianco. La macchina finì nel canale di via Belgio, diventato un tutt'uno con la strada. L'inferno vissuto quel giorno è un ricordo vivo nella mente di Enzo, oggi Carla. Un mese fa, l'ha ripercorso davanti alla Corte d'Appello di Sassari dov'è è in corso il processo di secondo grado (l'alluvione provocò sei vittime in città) per i quattro imputati, ex amministratori e dirigenti del comune di Olbia, tutti assolti in primo grado. «Ho cercato di aprire lo sportello di Patrizia ma non ce l'ho fatta. Ho dato una spallata al mio e si è aperto. Ho afferrato la manina di Morgana che era in braccio alla mamma convinto di poter trascinare tutte e due fuori dalla macchina, ma in quel momento è arrivata l'ondata e me le ha strappate via... La macchina è sparita», ricorda. Quando capì che erano morte, tentò il suicidio tuffandosi nello stesso canale. «Volevo morire anch'io». Era stato salvato da un abitante della zona che lo aveva afferrato per le maniche del maglione e legato alla ringhiera del suo giardino. È stato in malattia per un anno e mezzo e poi riformato dalla polizia al compimento del trentesimo anno di servizio. Un anno dopo Cleopatra, insieme ad altri olbiesi, si era infilato gli stivali di gomma ed era andato a spalare fango in un paesino ligure devastato da un'altra alluvione. Per questo gesto aveva ricevuto il "Premio bontà", un riconoscimento che ogni anno premia degli olbiesi impegnati nel sociale.Non si è costituito parte civile nel processo. Ma porta avanti la sua battaglia in sede civile (assistito dall'avvocato Angelo Merlini). Nell'ultimo anno la vita di Enzo si è trasformata. Ha deciso di "liberare" quella donna che sentiva di essere da sempre e che viveva imprigionata nel corpo di un uomo. Ma la sua fiducia nella giustizia non è mutata, né tanto meno la determinazione nel volerla raggiungere. «Se nel canale ci fosse stata la barriera che c'è ora, la macchina non ci sarebbe finita dentro - ribadisce - Non mi fermerò finché non avrò giustizia. Arriverò fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo se sarà necessario». 

10.1.21

le parole per l'inclusione fra rispetto e boiata del politicamente corretto parte II

Smaltendo  su watzapp   molti messaggi  di auguri   dell'ano nuovo  e   le  segnalazioni  di   articoli  dei siti    dei atri  compagni  di strada  e  amici     ho letto  l'articolo che  trovate  sotto . Esso   mi da modo  di specificare meglio     quanto   dicevo  nel precedente post   : << le   parole   per  l'inclusione  fra  rispetto e   boiata  del politicamente   corretto   il caso   Confcommercio e lo spot contestato: l’uomo «lavoratore» e «sua moglie, la sua famiglia >>
Infatti  è  vero       come dicono  molti esperti di comunicazione    ed alcuni linqìguisti    moderni che   il linguaggio   scritto e  parlato   ci rappresenta  e  certe  forme  di convenevoli   ed  formalità   posso danneggiare    l'autenticità   della  comunicazione  tra persone e persone  .  Tesi sostenuta   anche 
 dall'articolo     sotto    riportato  dal    compagno di strada  Cristian Porcino  .  Ma    a mio  avviso   tale  situazione  si può risolvere  con 1)   un  uso dei sinonimi  e  contrari   2)  ridefinendo   lo stile con cui le persone stanno in Rete, vuole diffondere l’attitudine positiva a scegliere le parole con cura e la consapevolezza che le parole sono importanti.  come la  bellissima iniziativa  del  sito   https://paroleostili.it/cambiostile/  ma     mal  usata perchè   la  prima  arma      concreta   dove  darne  un esempio    non solo    a  discuterne  (  anche  se   fatto in maniera  eccelsa   )     è il web       il   sito suggerisce con    :  


IL  Manifesto della comunicazione non ostile per la politica è un impegno spontaneo e personale preso da politici e amministratori locali affinché il dibattito sia concentrato su contenuti e idee orientati al bene comune, attraverso un linguaggio rispettoso e non ostile, evitando che la rete possa diventare una zona franca dove tutto è permesso ed educando invece alla responsabilità le community di riferimento.







Un’applicazione pragmatica sui toni e lo stile da adottare durante i confronti e i dibattiti con gli avversari, siano essi online oppure offine.

 

Un ottima iniziativa ma senza un esempio vale poco e finisce solo per essere uno dei tanti bla... bla ... ovvero solo chiacchere e non sostanza \ fatti .Ma ci sono qui sul canale youtube di Smile and Learn - Italiano dei tutorial ricchi di consigli e indicazioni. Quali sono i temi affrontati nei video? Le regole di comportamento sui social e quelle di protezione della propria privacy online, come usare il telefono con gli amici o a tavola con i genitori, come riconoscere e contrastare il cyberbullismo e le fake news. I protagonisti delle storie sono ragazzi e ragazze che stanno imparando come vivere in Rete e affrontare questo divertente viaggio nel cyberspazio, fatto di tanti amici provenienti da tutto il mondo e di molte cose da imparare divertendosi. Quindi  una  bella  iniziativa     senza  per  questo  stravolgere    e deturpare  la nostra   grammatica  e la nostra lingua scritta    proprio  una  bella    come  il  titolo  dell'articolo di Cristian  






                Una bella scommessa

La vita è una bella scommessa. Inutile negarlo. 
Il 31 dicembre del 2019 nessuno di noi poteva immaginarsi un 2020 così nefasto. Il Coronavirus ha cambiato le nostre abitudini e ha limitato drasticamente i nostri contatti fisici. Paradossalmente ogni fine anno giochiamo d’azzardo con il destino scommettendo su un nuovo cavallo vincente in grado di esaudire ogni nostro sogno




 Tale scommessa si rivela però quasi sempre deludente e non all’altezza delle nostre aspettative. Proprio per tale motivo non mi azzardo nemmeno a fare una previsione per il 2021 o ad augurare i soliti e alquanto patetici auguri che circolano con regolarità ogni capodanno. Mi preme invece invitarvi a riscoprire il valore della gratitudine, e soprattutto vi invito a non smettere mai di sperare in un futuro migliore. Tale speranza si concretizzerà soltanto se ci ricorderemo del principio di reciprocità teorizzato da Kant. Non dimentichiamoci mai la formula che regola le nostre esistenze: Io+Te = Noi. Ripeto spesso ai miei allievi che non esiste nessun futuro se non lavoriamo insieme per il bene comune. Come ha affermato Barack Obama: “O impareremo a convivere, a cooperare e a riconoscere la dignità degli altri o soccomberemo". Il Covid-19 ci ha risvegliato bruscamente dall’apatia morale che regola quotidianamente le nostre esistenze. In pochi mesi ci siamo accorti che la presenza e i gesti di affetto di chi amiamo non sono qualcosa di scontato ma una conquista quotidiana. L’abitudine è nemica della felicità. “Molti dei problemi che affrontiamo oggi riguardano uno squilibrio nel modo in cui sviluppiamo il cuore e la mente. Troppo spesso l'enfasi è rivolta allo sviluppo di un cervello potente nonostante il fatto che come esseri umani abbiamo il potenziale per sviluppare cordialità. Il buon senso ci dice che possiamo essere felici, anche poveri, se siamo anche calorosi, mentre essere benestanti ed egocentrici ci lascia infelici” Dalai Lama.
Vi porgo quindi i miei auguri attraverso i versi di una canzone di Bruce Springsteen che ci ricordano il valore del tocco umano e l’importanza dei rapporti interpersonali: “Non sto cercando preghiere o pietà/ non sono venuto alla ricerca di un sostegno voglio soltanto qualcuno con cui parlare/ e un po’ di quel tocco umano solo un po’ di quella umanità Non c’è pietà sulle strade di questa città/ niente manna a piovere dal cielo nessuno che trasformi questo sangue in vino/ siamo solamente tu ed io questa notte / dimmi, in un mondo senza pietà/ pensi che sia troppo quello che chiedo? Voglio solamente qualcosa a cui attaccarmi/ e un po’ di quel tocco umano solo un po’ di quella umanità”(Human Touch).
                                        Cristian Porcino

nuove forme di libertà Göteborg Film Festival, il distanziamento sociale è estremo: un solo spettatore su un'isola deserta e Beatrice Zott, la 19enne che accudisce le capre di Agitu Gudeta: «Altro che social e vestiti griffati, con la natura ritrovo me stessa»

Leggi anche  
Per  la  prima storia  

per    la  seconda  
 https://goteborgfilmfestival.se/en/ sito del festival  

da    https://www.open.online/ 7 GENNAIO 2021 - 08:48
                                      di Fabio Giuffrida



Beatrice Zott, la 19enne che accudisce le capre di Agitu Gudeta: «Altro che social e vestiti griffati, con la natura ritrovo me stessa» – L’intervista: «Altro che social e vestiti griffati, con la natura ritrovo me stessa» – L’intervista








Per dedicarsi alla sua passione, la ragazza ha lasciato la scuola e sacrificato i suoi fine settimana, specialmente in estate. «Non mi importa più di niente, vado in giro così, con i capelli spettinati, libera, finalmente sono me stessa»
Beatrice Zott ha 19 anni. È lei che si occuperà delle capre di Agitu Gudeta, imprenditrice etiope barbaramente uccisa da un collaboratore nella sua casa a Frassilongo, in Trentino. Un’occupazione insolita per una ragazza così giovane che – confida a Open – passa «tutta la mattina e tutta la sera a lavorare»: «Prima stavo sempre sui social, ero la classica persona a cui piaceva vestirsi bene. Ora, invece, non mi importa più niente, vado in giro così, con i capelli spettinati, libera. Ho ritrovato me stessa e, passando molte ore da sola, ho più tempo per conoscermi meglio». Certo, un profilo Instagram e uno Facebook ce l’ha – «sono comunque una ragazza di 19 anni» – ma ci trascorre «pochissimo» tempo. La natura e gli animali hanno la «priorità assoluta».
«Devo preoccuparmi di loro che non hanno più un padrone»




Due volte al giorno – racconta – si sposta dal suo paesino a quello di Agitu Gudeta, sale fin lassù dove prepara «cinque balle di fieno», ovvero i pasti per gli animali per tutta la giornata. Macina chilometri e chilometri non solo per dar loro da mangiare ma anche per «tenerle pulite e soprattutto per gestire le caprette gravide che rischiano di partorire tutte negli stessi giorni». Quando le hanno chiesto di prendersi cura degli animali, a cui Agitu Gudeta era particolarmente attacca, non ci ha pensato un attimo: «La richiesta mi è arrivata dal sindaco di Frassilongo (che a Open ha assicurato massimo impegno nel prendersi cura degli animali, ndr) a cui ho detto subito di sì. Non potevo fare altrimenti, devo preoccuparmi di queste caprette che non hanno un padrone. Poi io per Agitu avevo un grande rispetto. L’ho conosciuta quattro anni fa ed era diventata anche un’amica di mia madre».
«Ho interrotto gli studi, andavo al liceo artistico»


BEATRICE ZOTT | In foto la 19enne con le capre

Per Beatrice Zott quello di accudire gli animali non è affatto un lavoro nuovo o improvvisato. Nonostante la giovane età, infatti, ha già fatto esperienza in Svizzera, Valle d’Aosta e l’anno scorso nelle valli trentine dove ha gestito un grande gregge. Papà e nonno sono pastori, è cresciuta «a natura ed animali». Certo, questo le è costato l’interruzione degli studi. «Fino a due anni fa andavo al liceo artistico, poi ho lasciato per dedicarmi a questo. Non tornerei indietro, non sono pentita perché questo lavoro mi dà libertà. Certo, non c’è sabato e domenica, specialmente in estate quando si lavora tanto
e, dunque, devo rinunciare alle uscite. Ma, credetemi, sono felice».
L’eredità che lascia Agitu Gudeta
Le caprette di Agitu Gudeta, dunque, sono in buone mani. L’imprenditrice etiope è stata uccisa da un suo collaboratore che l’avrebbe presa a martellate per uno stipendio che lui riteneva non essere stato pagato. Il colpo alla testa le è stato fatale. Per lei – che era fuggita dall’Etiopia a causa di violenze e persecuzioni e che, in Italia, si era integrata fin da subito – non c’è stato niente da fare. Il suo sogno – ed è questo ciò che lascia in eredità – era quello di allargare la sua azienda di allevamento, la “Capra felice”, magari con la costruzione di un agriturismo. Aveva già aperto due punti vendita in cui vendeva formaggi e prodotti cosmetici a base di latte di capra. Ma il suo desiderio, quello più intimo, era che le caprette che lei adorava venissero trattate bene, che fossero felici. Ed è questo il compito affidato ora a Beatrice Zott.

La  seconda   invece  

Sono aperte le candidature per accaparrarsi l'unico biglietto disponibile per partecipare alla più importante rassegna cinematografica di Scandinavia: siete pronti a finire (da soli, esiliati in un faro, a 5 stelle però) su un'isola in mezzo al mar ?

da  https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema   e   del 07 GENNAIO 2021

                               di  
 Clarissa Cancelli  e  Valeria Rusconi

Guardare sessanta film per sette giorni consecutivi su un'isola deserta. È l'esperimento sociale di distanziamento estremo, chiamato The Isolated Cinema, ideato dal Göteborg Film Festival, il più grande evento cinematografico in Scandinavia, ora in versione online a causa del Covid-19. Un appassionato o un'appassionata di cinema potrà trascorrere una settimana, in totale isolamento, in un lussuoso boutique hotel sull'isolotto di Pater Noster, al largo della costa occidentale della Svezia. Senza cellulare, senza computer né libri. A fare compagnia al prescelto saranno solo le sessanta pellicole (numero decisamente ridotto a causa della pandemia) selezionate dal festival. L'obiettivo è esaminare l'impatto dell'isolamento sull'uomo e il ruolo che può avere la visione di un film in solitudine. C'è tempo fino al 17 gennaio per fare domanda.




 

Il Göteborg Film Festival, con la sua storia ormai più che quarantennale (è attivo dal 1979), trampolino di lancio per i nuovi lungometraggi nati nel grembo di ghiaccio della penisola scandinava con destinazione resto del mondo grazie a un concorso e un premio tutto suo, il Dragon Award Best Nordic Film, non si lascia abbattere dalle circostanze infauste e sfida la pandemia autoesiliandosi. Proprio così: in tempi in cui è fondamentale cambiare le proprie, vecchie (ahimè) abitudini adottando un comportamento giudizioso che preveda il minor numero di contatti con altri esseri umani stando alla larga da ambienti affollati, il Festival di Göteborg fa uno sgambetto al virus e segue alla lettera le norme imposte dal coronavirus. Che, per una volta almeno, riescono a trasfigurare un contenitore culturale in un'opera d'arte nell'opera d'arte. Povera, quasi brutalista e quindi estremamente affascinante nella sua essenzialità.

Una rassegna cinematografica che, da evento in cui gli assembramenti rappresentavano una consuetudine gioiosa poiché mezzo necessario per compiere appieno il rito della collettività, di unione tra tanti sconosciuti davanti a uno schermo – ovvero cinema – diventa unica. Unica intesa proprio come 'uno'. Solitaria. Non più 160mila visitatori ma un solo spettatore, con a disposizione un biglietto di andata (e di ritorno, state tranquilli) per la remota isola svedese di nome Hamneskär. Più che una vera e propria isola, però, si tratta di un cumulo di scogli, circondati da macchie sparute di vegetazione strinata dal vento e dalle intemperie, con un faro nel mezzo riconvertito in hotel. Un hotel che, come va di moda oggi, viene definito 'boutique', cioè di lusso, un 5 stelle caldo e accogliente per combattere il gelo.

L'isola di Hamneskär circondata dai flutti
 

Un luogo necessario per rendere tutto più allettante e permettere al fortunato, unico spettatore del Göteborg Film Festival che verrà (è programmato da venerdì 29 gennaio a lunedì 8 febbraio, in versione online-streaming tramite abbonamento, mentre lo spettatore rimarrà sull'isola per sette giorni), di vedere, lontano dal rumore e dai problemi del mondo, la selezione in concorso. Anche se a causa della pandemia il festival ha dovuto ridurre drasticamente la sua programmazione, passando da una media di 450 titoli ad appena 60, l'Italia può gioire: tra i film è infatti presente anche Molecoleil documentario di Andrea Segre girato a Venezia durante il primo lockdown. Il titolo dell'iniziativa, che per assonanza ricorda una delle più interessanti nel nostro paese, Il cinema ritrovato di Bologna, è Il cinema isolato, e può definirsi – oltre le definizioni canoniche – anche un esperimento sociale: siamo davvero pronti a guardare scorrerci davanti agli occhi delle storie, vere, fantastiche, sognanti, felici o drammatiche introiettando ogni singola emozione custodendola – anzi, obbligatoriamente, tenendola – solo per noi stessi? L'intento (dichiarato) del festival, infatti, non è solo quello di promuovere la settima arte ma di esaminare l'impatto dell'isolamento sull'uomo e il ruolo che la visione di un film in solitudine ha su di esso.

Venezia 77 - Il doc 'Molecole' sulla Venezia in lockdown preapre la Mostra

In passato, il Göteborg Film Festival aveva già portato agli 'estremi' l'idea più scontata di fruizione del cinema. Un altro peculiare progetto era stato quello che aveva in cartellone titoli esclusivamente a tema religioso da far proiettare in luoghi sacri, a ogni latitudine di culto: in una chiesa, in una moschea o in una sinagoga. E se agli spettatori di sesso maschile, poi, fosse stato richiesto di guardare alcuni specifici lungometraggi seduti non su calde e comode poltroncine di velluto rosso ma distesi con le gambe spalancate su un lettino di ferro, di quelli usati dai ginecologi durante le loro visite? Anche questo è stato uno dei molti esperimenti della rassegna nordica.
Parallelamente a questa iniziativa, il festival organizzerà due altre esclusive proiezioni 'per uno' in due iconici luoghi di Göteborg: lo Scandinavium, una delle arene più note in Svezia dove si svolge il campionato mondiale di hockey su ghiaccio, e il Draken Cinema, la sala dove solitamente vengono presentate le anteprime. Ad Hamneskär, e in particolare nel faro-hotel di Pater Noster (si chiama proprio così, 'Padre Nostro', ecco, non allarmatevi ulteriormente), una sola cosa è certa: non sono ammessi i cellulari – e dunque ogni contatto con l'Oltremare – e neppure i libri, altra 'finestra' verso l'esterno. Chi verrà scelto per questa impresa affascinante ma non così emotivamente semplice da sostenere dovrà accettare di abbandonare tutto, ma siamo sicuri per trovare molto.

Hamneskär, situata al largo della costa occidentale svedese, può essere raggiunta esclusivamente in gommone (o in elicottero, se il tempo è buono. Se...) dal paesino da 1.400 abitanti circa di Marstrand, frazione del comune di Kungälv, nella contea di Västra Götaland, o da Göteborg, la seconda città più popolosa della Svezia dopo Stoccolma e la quinta del Nord Europa.

Una sala dell'hotel Pater Noster 

Una volta là, a parte lo schermo allestito all'interno del resort Pater Noster, potrete fare i conti solo con i vostri demoni (o angeli). Certo, l'hotel 5 stelle, a vederlo sulla carta, fa spuntare subito un sorriso: l’agenzia di design svedese Stylt ha infatti trasformato la casa del maestro del faro del XIX secolo dell’isola rocciosa – per la precisione si tratta di una struttura in ferro dipinta di uno sgargiante rosso costruita nel 1868, automatizzata nel 1964 e poi caduta definitivamente in disuso nel decennio tra il 1977 e il 1987 – in un alloggio da sogno. Quella luce che un tempo illuminava l’orizzonte per guidare i marinai attraverso le nere, pericolose acque nordiche ora profuma di legno e folklore, grazie anche ai dettagli rustici originali, ai cimeli marittimi d'epoca, ai mobili tradizionali nordici e alle tonalità ispirate alle acque circostanti. Con le sue sole nove camere doppie per un massimo di 18 ospiti (ma voi sarete soli, ve lo ricordiamo!) e una zona notte realizzata all'esterno, sugli scogli e sotto la volta celeste limpidissima, disponibile ai turisti a un costo di circa 435 dollari a notte inclusi i pasti principali, Pater Noster più che un hotel sembra davvero il set di un film.

Volete dormire sugli scogli, a bordo mare? Il Pater Noster ve lo propone 

Stiamo tutti guardando il cinema in isolamento, ora, e questo cambia il nostro rapporto con esso; abbiamo visto nuovi tipi di lungometraggi in questo periodo che hanno assunto un significato diverso a causa della pandemia”, ha dichiarato Jonas Holmberg, il giovane critico cinematografico svedese e direttore artistico, dall'aprile 2014, della rassegna. “Una scena in cui le persone abbracciano uno sconosciuto, ad esempio, sembra molto diversa in un momento in cui non ci si può abbracciare”, ha continuato Holmberg.

Il direttore della rassegna Jonas Holmberg foto: Göteborg Film Festival

Il direttore ha dunque tracciato il profilo, anzi, i requisiti assolutamente necessari, che deve possedere il candidato – che verrà scelto dopo un colloquio diretto realizzato in videocollegamento – di questa esperienza cultural-sociologica: Essere amanti del cinema, accettare di registrare un video-blog giornaliero ed essere emotivamente e psicologicamente in grado di trascorrere una settimana in questo tipo di isolamento. Con l'esplosione degli schermi e le immagini in movimento che possono essere viste ovunque e in ogni tipologia di situazione, vogliamo proporre una riflessione non solo sul cinema e su chi lo fa ma anche su come lo fruiamo in questa nuova epoca”, ha aggiunto Holmberg. Fiero sponsor dell'annuncio (guardate la clip sopra, in questo articolo) che promuove l'iniziativa di cine-isolamento: “Niente telefono. Niente amici. Niente famiglia. Nessuno. Solo tu. E 60 film in anteprima”. E se, come diceva Wim Wenders, “i grandi film cominciano quando usciamo dal cinema”, l'isola che risuona tra i venti come una 'preghiera del Signore' è lì per dimostrarlo.