12.6.22

uguaglianza a tutti i costi ed il politicamente corretto obbligato uccidono la diversità oltre che creare - rafforzare il conformismo le polemiche il caso di Michela Marzano

qualche giorno fa su Repubblica, , Michela Marzano ci ha rivelato che essere donna è uno stato d’animo che non coincide necessariamente con il sesso biologico. Per lei esistono, insomma, anche donne con il pene e chi non la pensa così non appartiene alla vasta parte del mondo femminista gender critical che rivendica la realtà del sesso, ma alla “comunità Terf”. Dice proprio così: comunità Terf.


da
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Forse Marzano, e di conseguenza Repubblica, non sa che Terf è un insulto misogino bandito dalla stampa più autorevole come il New York Times, il Washington Post e il Corriere della Sera.
Perché, dunque, usarlo? Perché non menzionare i casi di violenza sessuale e perfino di gravidanze in cella che si stanno moltiplicando nei Paesi in cui basta dichiararsi donna per essere ammessi in un carcere femminile?
O il grottesco fenomeno delle donne stupratori? O le case rifugio per le donne vittime di violenza costrette a chiudere (è accaduto in Canada) perché non accettano individui con i genitali maschili?
Soprattutto, qualcuno a Repubblica si potrebbe concentrare sui tanti problemi che affliggono le donne? Dalla parità salariale ai femminicidi che continuano ad avvenire nel nostro Paese tra l’indifferenza generale. Qualcuno si è chiesto come andrebbe ad impattare un’indistinta massa di persone non binarie sulle statistiche che rivelano le disparità tra uomo e donna nell’occupazione, nelle carriere apicali, nella quantità di lavoro domestico, nei congedi parentali, nell’attenzione alle malattie femminili come l’endometriosi?
Viviamo in un mondo che è già costruito dall’uomo per l’uomo, In un mondo non binario la donna sparirebbe del tutto. Infatti non si sa più definirla.
Cos’è una donna si chiedono i laburisti? E’ un essere umano adulto di sesso femminile, diciamo noi. E no, non ha il pene.
Non sono femminista anche se nl condivido alcune cose ed la terragni mi sembra troppo retrograda . Ma qui ha ragione un conto è il genere un altro è il sesso . Se da un lato è vero che stato d’animo di una persona che non coincide necessariamente con il sesso biologico è altrettanto vero che esiste anche chi sta bene ed s'accetta per quello ch'è uomo o donna . Infatti non riesco a biasimare chi come Tiziana Myrina Luise afferrma : << Quando il delirio esce dalle bolle social e investe il grande pubblico, certe assurdità si mostrano per quelle che sono. La cosa interessa direttamente anche le donne e gli uomini etero. Repubblica fa Propaganda woke per guadagnare lettori/ici. >>
Michela Marzano riprende su La Repubblica il dibattito in corso nel partito laburista britannico -e in
tutta la sinistra liberal occidentale: ormai c'è solo quella- sul tema surreale "chi una donna?", a fronte del quale perfino da quel  che  ricordo dei  miei studi e delle mie letture  il patriarca Sigmund Freud, che dalle donne -le isteriche- aveva tratto il più della sua scienza e del suo linguaggio, si era mostrato più giusto e rispettoso.
La questione che agita il Labour e  tutte le  sinistre liberal   riguarda le cosiddette donne trans, ovvero persone nate uomini che hanno deciso di adattare cosmeticamente il proprio corpo alla propria percezione di sé come appartenenti a un sesso diverso da quello di nascita, condizione denominata disforia di genere e che dal 2018 l'OMS definisce come "disturbo della salute sessuale": quelle persone sono donne oppure no?
La prima cosa che va osservata del didascalico articolo di Marzano secondo  la  terragni   è <<  il ricorso disinvolto all'epiteto misogino TERF (Trans Excludent Radical Feminist) che lei usa come una definizione e invece è un insulto (Terf is a slur) ormai bandito o quasi anche da gran parte della stampa mainstream (New York Times, The Economist, Corriere della Sera) proprio perché riconosciuto come marchio d'infamia: c'è speranza che prima o poi ci arrivino anche Marzano e La Repubblica?  >>  Infatti  ,  di solito    scrive  articoli interessanti  , nel    dell'ultimo articolo  testo della   Marzano ci sono anche disinformazione e omissioni .
Quella   più  evidente  , per  chi  come me   s'interessa  da  poco di questi argomenti  o  profano  su d'essi per via  cronologica   è il  fatto  che stranamente fino al passato recente le donne trans  erano appunto
uomini  che avevano intrapreso un percorso psicologico, farmacologico e chirurgico -e infine anagrafico- per arrivare a definirsi tali. Non risulta che queste persone, dette transessuali, siano mai state escluse da gruppi o iniziative femministe -anche se poche sembravano interessate a farne parte-. Oggi invece la definizione di donne trans comprende anche uomini che mantengono del tutto intatto il proprio corpo maschile, genitali compresi -le famose donne con il pene- e che si definiscono donne per semplice autodichiarazione, rivendicando di poter frequentare ogni spazio riservato al sesso femminile.  Dagli spazi fisici (spogliatoi, case rifugio, reparti ospedalieri e carcerari, ecc ,  vale la pena di ricordare a Marzano, che elegantemente omette, che i casi di violenza sessuale e di gravidanze in cella si stanno moltiplicando  ) a quelli simbolici: quote lavorative, politiche, statistiche e così via: avrà anche lei sentito parlare del grottesco fenomeno delle donne stupratori, ma non ne fa parola Questo è il cosiddetto transgender o  almeno   il  lato  negativo d'esso. Tali  problemi   
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sono analizzati meglio di tutti da Robert Wintemute (vedere qui ) professore di diritto esperto in diritti umani al King's College di Londra che nel 2006 partecipò alla stesura dei famosi principi di Yogyakarta (Marzano ne ha sentito parlare?), principi che hanno orientato tutte le successive politiche trans e che non menzionano una sola volta la parola donna.
Oggi Wintemute è pentito. Dice che i diritti delle donne non sono stati considerati durante la riunione, e che avrebbe dovuto contestare alcuni aspetti dei principi. Ammette di "non aver considerato" che "donne trans ancora in possesso dei loro genitali maschili avrebbero cercato di accedere a spazi per sole donne: nessuno pensava che i maschi con i genitali intatti potessero accedere agli spazi delle donne". Wintemute dice di aver dato per scontato che la maggior parte delle donne trans avrebbe voluto sottoporsi alla chirurgia, come avveniva in quel tempo.
Wintemute, che è gay, dice: "Un fattore chiave nel mio cambiamento di opinione è stato ascoltare le donne". A quanto pare Michela Marzano non le ascolta.

Be', una femminista che non sa ascoltare le donne non si è mai vista. Ora accusatemi pure d'essere omofobo e transfobico , retrogrado , ecc .    o d'essere    fra quelli   che  
[...] 
 Per la maggior parte di noi, esiste una continuità tra il sesso e il genere. Chi nasce femmina è donna. Chi nasce maschio è uomo. E se una persona, invece, nasce femmina ma è uomo, oppure nasce maschio ma è donna? Cosa vogliamo fare? Impedire loro di essere ciò che sono? Costringere queste persone a vivere una vita inautentica? Per molto tempo, è quello che si è fatto; disinteressandosi al loro dolore, nonostante sia talvolta così grande da spingere alcune di loro al suicidio.
Oggi, però, non è più possibile trincerarsi dietro l'idea secondo la quale alla base delle molteplici differenze che attraversano l'umanità ci sarebbe sempre e solo la differenza sessuale: quella differenza iscritta nel corpo; quella differenza che porta una femminista come Sylviane Agacinski a sostenere che la specificità della donna risiede sempre e comunque nella sua "capacità produttiva".
Oggi, forse, è giunto il momento che la sinistra faccia un esame di coscienza e si riappropri delle parole della scrittrice statunitense Audre Lorde la quale, già alla fine degli anni Settanta, aveva capito che la complessità della realtà e le contraddizioni dell'esistenza necessitavano una lettura non semplicistica dell'identità di genere: "Stare insieme alle donne non era abbastanza, eravamo diverse. Staremo insieme alle donne gay non era abbastanza, eravamo diverse. Stare insieme alle donne nere non era abbastanza, eravamo diverse. Ognuna di noi aveva i suoi bisogni e i suoi obiettivi e tante diverse alleanze. C'è voluto un bel po' di tempo prima che ci rendessimo conto che il nostro posto era proprio la casa della differenza".


  Dall'articolo  ( qui per il  testo integrale ) incrimìnato di Michela  Marzano  


  Ma  non è mia  intenzione    discriminare   i transgender  o i  transessuali  perchè come   gli etero  o gli altri appratenti  al mondo LGBT   perchè  spesso  la  ricerca  del loro io  è fatto di sofferenza   ed  emarginazione  come   non  mi piace   discriminare  l' altro sesso  le  donne  . Ed  è per  questo  che critico   le

   TERF è l'acronimo di trans-exclusionary radical feminist (femminista radicale trans-escludente).Registrato per la prima volta nel 2008[1], il termine originariamente si applicava alla minoranza di femministe che assumevano posizioni che altre femministe consideravano transfobiche, come il rifiuto dell'affermazione che le donne trans siano donne, l'esclusione delle donne trans dagli spazi femminili e l'opposizione a leggi sui diritti delle persone transgender[2]. Da allora il significato si è ampliato per riferirsi in modo più ampio a persone con visioni trans-esclusive che potrebbero non avere alcun coinvolgimento con il femminismo radicale[3][4].Coloro a cui si fa riferimento con la parola TERF in genere rifiutano il termine o lo considerano un insulto; alcuni si identificano come gender critical[5]. I critici della parola TERF dicono che è stata usata in modo troppo ampio, negli insulti e insieme alla retorica violenta.[6][7][8][9] In ambito accademico non c'è consenso sul fatto che TERF costituisca o meno un insulto.[8][10][11] [12][13] 

da   https://it.wikipedia.org/wiki/TERF

 non so che   altro  aggiungere  .  con questo  è  tutto  

11.6.22

L’ultimo mecenate Giuliano Gori è un imprenditore

da   Altre/Storie - 118.  di mario  calabresi 

Giuliano Gori è un imprenditore visionario che ha dedicato tutta la sua vita all’arte, concependo un nuovo modo di viverla: non più imprigionata in un spazio ma libera di interagire con l’ambiente e la natura. Così sessant’anni fa, a Celle, sulle colline poco fuori Pistoia ha dato vita a uno dei più grandi musei all’aperto del mondo. Un uomo di 92 anni che ho davanti, camicia rossa e bretelle rosse, ha negli occhi e nella voce la stessa curiosità di quando da ragazzino entrò per la prima volta nella bottega di un pittore, dove il padre commerciante lo aveva spedito a fare una consegna, e rapito dalla vista di un paesaggio appena dipinto chiese di poterlo acquistare con i suoi primi risparmi. Era il 1945: «Avevo 15 anni, la guerra era appena finita e io sentivo che eravamo a un bivio: davanti a noi c’era il futuro. Scoprii che gli artisti erano quelli che interpretavano meglio lo spirito del tempo: molti presentavano delle cose astruse, astratte, insomma era un mondo nuovo di cui mi innamorai». Una passione che non lo avrebbe mai lasciato, tanto che quest’uomo, il suo nome è Giuliano Gori, oggi vive in una fattoria con 40 ettari di parco, sulle colline pistoiesi, dove abitano le opere di 74 artisti tra i più prestigiosi del mondo.



Giuliano Gori


Non conoscevo Giuliano e non avevo mai sentito parlare della sua incredibile collezione di “arte ambientata” fino alla telefonata di un amico poche settimane fa, a dire il vero non riuscivo bene a capire e credere a quello che mi diceva: «Un grande museo all’aperto, unico nel suo genere, dove le opere d’arte sono integrate nel paesaggio, ci sono Richard Serra e Sol LeWitt, Burri, Oppenheim, Melotti, Penone…». Mi ha spiegato che si trovava in Toscana, in una fattoria poco fuori Pistoia, e che il suo fondatore era una persona speciale. Poi, per rompere il mio scetticismo, ha solo aggiunto: «Chiama Sandro Veronesi e chiedi a lui chi è Giuliano Gori». Allora ho telefonato a Sandro, lo scrittore di “Caos Calmo” e de “Il colibrì”. «Giuliano Gori – mi ha risposto senza indugi - è quello che tutti gli italiani che hanno fatto fortuna nel secondo dopoguerra avrebbero dovuto cercare di diventare. Giuliano ha seguito l’esempio di tanti come lui, in Italia e in Toscana, nei secoli passati: mecenati che hanno fatto circolare la propria ricchezza per produrre opere d'arte, chiamando artisti da tutto il mondo. Ciò che ha fatto a Celle è unico».
Così sono andato alla Fattoria di Celle a scoprire qualcosa che non immaginavo, un’idea dell’arte che non pensa che lo spazio e l’ambiente siano soltanto dei contenitori di opere d’arte ma, invece, parti integranti dell’opera. Un parco in cui ben 53 opere dialogano con la natura e con il paesaggio, in cui puoi camminare per ore tra alberi e prati in quello che forse è il più grande museo all’aperto del mondo. Prima di partire ho curiosato negli archivi, per scoprire che già nel 1999 il New York Times dedicava a questa folle visione una pagina intera e ho deciso che per prima cosa volevo perdere l’orientamento nel labirinto in pietra a fasce bianche e verdi (come le chiese romaniche toscane), che percorrendolo si immagina sia un quadrilatero ma solo vedendolo dall’alto si scopre che è un triangolo.


L’articolo del New York Times del 1999 dedicato a Giuliano Gori


Il “Labirinto” di Robert Morris


Giuliano Gori mi aspettava al computer, dietro la scrivania a cui si siede ancora ogni giorno, ha cominciato subito a raccontarmi della sua casa di Prato che a partire dalla metà degli Anni Cinquanta trasformò in un rifugio per artisti, scrittori, poeti, scienziati: da Salvatore Quasimodo ad Alberto Burri fino a Rita Levi Montalcini.
Lui era un imprenditore tessile, che ha fatto fortuna con le stoffe e gli arredi per il cinema, ma il suo amore erano gli artisti: «Arrivavano da Milano o da Napoli, da Torino e da Roma, essendo noi proprio al centro si fermavano tutti, venivano a trovarci. Una sera a mezzanotte Renato Guttuso suona il campanello. Rispondo spaventato: “Chi c’è alla porta?”. “Sono Renato”. “Renato, che ci fai qui, cosa è successo?”. “È successo che stavo andando a Milano e mi sono fermato qui”. “Ma io sto dormendo”. “No, tu dormivi”. “Dai, ti apro, sali”. Anche mia moglie Pina si alzò e preparò una spaghettata. Sono ricordi indimenticabili di una vita impagabile».
Mi racconta un mondo che non esiste più, delle trattorie intorno a Brera a Milano: «In via di Fiori Oscuri c’era un ristorante dove andava sempre Lucio Fontana, era un artista straordinario perché non aveva mai soldi ma voleva sempre pagare lui. Ricordo che io insistevo per offrire e il proprietario, visto che Lucio aveva dei conti abbastanza lunghi, lo pregava: “Senta li faccia pagare una volta, almeno una volta”. E lui secco rispondeva: “Non ti preoccupare, stai zitto e segna”». Giuliano è stato uno dei primi ad acquistare un “taglio” di Fontana, i famosi quadri che fecero clamore perché erano delle tele tagliate o bucherellate: «Ero a Venezia, in una galleria sotto il ponte dell'Accademia, quando il gallerista tira fuori un’opera e mi dice: “Ero a mangiare con Fontana e guarda cosa mi ha presentato alla fine del pranzo” e tirò fuori un quadretto con taglio verticale, giallo e fondo nero. Lui era stupito ma io ero rapito e gli chiesi subito di comprarlo. A Prato mi presero tutti in giro, dicevano che ero pazzo, ma io ero entusiasta perché quello era un gesto coraggioso, un gesto che dimostrava che tutto può essere arte».


“Katarsis”, l’opera di Magdalena Abakanowicz


Trenta figure in bronzo, prive di testa e braccia, allineate su quattro file


La casa era sempre più piena di opere ma, alla fine del 1961 dopo un viaggio in Spagna, Giuliano decide che l’arte non deve stare più al chiuso ma deve stare fuori, stare nell’ambiente. «Avevo visto un museo di arte catalana a Barcellona e avevo avuto una folgorazione: portare le opere nell’ambiente. Ricordo che telefonai a mia moglie e le raccontai: “Pina, preparati a ritornare con me a Barcellona perché mi stanno circolando un sacco di nuove idee nella testa. Bisogna cambiare il modo di collezionare!”. Lei mi disse: “Che bello, quanto ti sento felice, ma anch’io ho una bella notizia per te: stiamo aspettando il terzo figlio”. E così, sessant’anni fa, insieme all’idea dell’arte ambientale nacque il nostro Paolo».
Per quasi dieci anni andò in giro per la Toscana a cercare lo spazio giusto dove far crescere la sua collezione, alla fine trovò questo immenso spazio sulle colline sopra Pistoia e cominciò a invitare gli artisti, ma mai avrebbe immaginato che un giorno l’avrebbe aperta al pubblico, cosa che è accaduta invece esattamente quarant’anni fa, l’11 giugno del 1982. «Un giorno chiamai i miei quattro figli e dissi: questa cosa deve essere per tutti, altrimenti non ha senso andare avanti, ma dobbiamo essere tutti d’accordo. Fummo tutti d’accordo e aprimmo il cancello alle visite».
Da allora la fattoria è aperta alle visite guidate, che sono gratuite e si svolgono due volte al giorno (bisogna prenotarsi sul sito).


“Spazio Teatro Celle”, l’opera di Beverly Pepper (1992). Due forme piramidali in ghisa fanno da palcoscenico e le gradinate sono blocchi di tufo in mezzo all’erba che possono ospitare 300 persone


La mappa delle opere presenti nel parco della Fattoria di Celle


Gli chiedo chi sia l’artista che gli è rimasto di più nel cuore, ma non vuole rispondere: «Ma che domanda è? Come se mi domandassi se c’è un figliolo a cui voglio più bene, come si fa?». Insisto e allora un nome lo pronuncia, quello del grande scultore Fausto Melotti, scomparso nel 1986. «Avevamo una grande amicizia e quando io e mia moglie abbiamo fatto le nozze d’argento ci ha regalato una sua opera incredibile: un letto d’argento. Quando lo vidi gli dissi che era matto, che non potevo accettare e allora lui mi scrisse questo biglietto: “Tu lo devi accettare perché non ho trovato nulla di più prezioso per te”».
L’ultima opera realizzata è figlia della creatività di Sandro Veronesi, lo scrittore che ho chiamato per sapere chi era Giuliano: «Tu non lo sai – mi ha raccontato Gori – ma Sandro prima che scrittore è architetto, perché così volle il padre ingegnere, così un giorno lo chiamai e gli dissi: “Senti Sandro, tu sei architetto ma non hai fatto una architettura. Qui a Celle c’è una voliera, unica opera realizzata da Bartolomeo Sestini, famoso poeta della fine del Settecento, che era anche lui architetto per volere del padre. Perché non fai un’opera anche tu?”. Lui ci ha lavorato 16 mesi e ha realizzato la “Serra dei poeti” introdotta da trenta cipressi».


La “Serra dei poeti” di Sandro Veronesi del 2018


Mi parla ininterrottamente da due ore e mi chiedo dove trovi tutta questa vitalità, quale sia il suo segreto: «Ogni mattina quando mi alzo sono sicuro che non ce la farò a fare tutto quello che vorrei. La mia scrivania è sempre piena e guardo avanti, anche il passato ci insegna a vivere il futuro. Bisogna usare bene ogni ora della nostra vita, non sprecare mai il tempo, dare valore a ogni giornata». Fuori dalla sua finestra il sole tramonta, si vede un panorama di colline che arrivano fino a Vinci, e di fronte alla casa una scultura di Robert Morris, che mi accorgo tiene anche sul tavolo: una venere in bronzo del 2012 che ricorda l’inizio dell’arte, le pitture rupestri degli uomini primitivi.


“Venere”, la scultura in bronzo alta tre metri di Robert Morris




Una riproduzione in scala dell’opera di Morris sulla scrivania di Giuliano Gori



"L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni". Pablo Picasso

10.6.22

non sempre il silenzio è indifferenza ma è ancora sconforto è rassegnazione davanti ad orrori della realtà


  nel post precedente : senza parole davanti all'ennesimo stavolta doppio femminicidio sono stato in silenzio perchè   per  parafrasare   questa   frase     di  homer   Simpson   questa  frase     se la memoria  non m'inganna  è  questa   riporta  dal video   qua  sotto  


 ho preferito  non scrivere niente  piuttosto che dare  l'impressione  l'impressione di essere un  tipo retorico e moralista    ecco  che  ho scelto  di non scrivere niente  , ed ero ancora  scosso , visto che  stavolta     le  donne uccise  sono due   ,   ex  e  nova   partner  . Oltre ad essere  già  stato condannato ed  aver  fatto  un percorso  psicologico     che   evidentemente     è stato  causa  burocrazia  ,  e chissà  cos'altro  ,   fallimentare .  Quindi  il  mio  silenzio  non  è  , come mi  avete  accusato  via  email    ,  da indifferenza  . Infatti  in periodi  come      questi    che  stiamo attraversando  , mi  capita  di rifiugiarmi   in  quella   che   gli studiosi  (  seri e  improvvisati   )   di  scienze  sociali  chimano anestesia  sociale  che  può esere messo  in atto con  droghe  naturali o  sintetiche  , legalio illegali   o come nel mio caso  fantasia  ed  immaginazione  (  anche    se nel passato     non ho  disdegnato  , per  provare  e   farmi un esperienza   gli altri   casi  🤣😢  )  .
  E poi certi  fatti , mi hanno fatto esaurire  le parole   ed  i pensieri  razionali  , ed  per  evitare  di cadere nel  populismo \  qualunquismo  o peggio  nella pancia  . meglio il silenzio  e  lasciare  che a parlare  siano  i fatti  

il nuovo presunto talento del calcio azzurro willy gnoto è partito da un campetto parrochiale

 sarebbe   bello  che    gli oratori   o le  scuole  calcio   non sia  solo    un eccezione    ma  che diventi   la regola   solo  cosi  si può arginare  e forse  salvare   il declino  del calcio italiano 

L'oratorio di Gnonto dove è nato un campione



Sul Lago Maggiore un prete accolse il papà di Willy e gli affidò l'incarico di custode del campetto parrocchiale: il nuovo talento del calcio azzurro è partito da qui

di Andrea Lattanzi

caso incontrada sono i media che fanno bodyshaming o la massa non educata al linguaggio del corpo e ed alle immagini ?

 va bene   c'è  l'abuso   del corpo femminile  ed  un erotizzazione  mercificata     come dimostra  il bellissimo  saggio

Pornocultura. Viaggio in fondo alla carne, il libro di Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca. La pornografia non è più eloquente nel descrivere il lecito e l’illecito del nostro campo visivo. La scrittura si rivela goffa dinanzi alle nuove forme dell’oscenità che abitano tra le mura delle nostre case e si fanno socialità corporea.
Pornocultura. Viaggio in fondo alla carne” (Mimesis, 2016; pp. 142) di Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca ama parlare delle viscere di ciò che si vede, di come l’ambiente mediatico che ci plasma perde rappresentanza di fronte all’iniziativa individuale e di massa di eros e di contatto. L’autrice e l’autore in questione puntellano di riferimenti storici l’evoluzione dell’immaginario pubblico focalizzandosi sul post seconda guerra mondiale come uno dei momenti nevralgici dell’umanità in cui la tecnica ha esibito le sue tragiche contraddizioni. Carne umana come paesaggio creato da se stessa. L’umanesimo e la scienza che si sposano in modo osceno. 

 da me recensito      con intervista  agli autori  ( vedere archivio  blog   ) . Infatti mah io ci vedo ,  forse perchè sono cresciuto a sotto il berlusconismo e la defilippi , solo del semplice gossip .Ma dire : << 
(...) Ciò che mette i brividi di questo metodo - perché questo è un metodo - è l’esibizione morbosa del corpo, la ricerca ossessiva dello scoop e del gossip, il body-shaming occulto e ipocrita che fa leva - sapendolo - sugli istinti più bassi di chi guarda (e giudica).[....] >> ( Lorenzo Tosa in questo post >> mi  sembra    esagerati il bodyshaming lo fanno gli altri che non sono educati ad interpretare le immagini o a vedere i corpo di una donna al di la dei consueti canoni estetici di  perfezione assoluta   proposti dai media e dalle tv   di cui ho parlato     più volte    qui  nel post . per il resto hai ragione lo stesso  Tosa  quando dice  

È uno scatto rubato, di quelli da paparazzi e teleobiettivo, che non ha nessuna logica, nessun altro senso o scopo se non quello di mostrare una donna in un momento privato, nella peggior posa possibile, con i chili in più scientemente evidenziati con l’unica

intenzione di esporla ai giudizi, ai commenti maligni, al tribunale social. Non c’è nulla che non vada nell’immagine di Vanessa Incontrada, sia chiaro. Non c’è nulla che non vada in lei, che è e resta una donna straordinariamente bella nelle sue linee, nelle sue imperfezioni (e in qualunque posa). Il corpo di Vanessa è normale, normalissimo. È quella foto, semmai, a non esserlo. Una foto, nella redazione di una rivista di gossip, si sceglie, tra centinaia di scatti. Si seleziona con chirurgica precisione. Nulla è lasciato al caso.

Infatti  La verità è che hanno provato a umiliare una donna, ma hanno finito solo per esaltarne la bellezza. Che col fisico non c’entra nulla o almeno non ci si dovrebbe basare solo su d'esso

che coraggio hai avuto questa donna che usa lo pseudonimo di Anna Ziliani


 dalla pagina  fb    Piccole Storie


Esattamente un anno fa come questa sera io e la mia più cara amica eravamo sedute al tavolino di un locale di amici, sotto casa.
Nell’ arrivare avevamo incontrato un mio conoscente che ci aveva quindi invitate a sederci con lui e 2 suoi amici, tutti e 3 medici. La serata (dalle 21 alle 23, c’era ancora il coprifuoco) procede
piacevolmente, verso la chiusura ce ne andiamo tutti e 5 a comprare le sigarette 200 mt più avanti. Durante il tragitto uno di loro ci offre dell’acqua che accetto volentieri (e non ditemi che non avete mai bevuto l’acqua di un vostro amico/a perché non vi crede nessuno ) e lì inizio a capire che c’è qualcosa che non va.
Ormai però è tardi: il mio cervello cerca di mettere insieme i dubbi e i pensieri ma non prima di trovarci a casa loro, così, a caso.
Saliti in casa il mio sesto senso da stronzetta si acuisce ma mi sento rallentata e quasi rassegnata. Ci offrono un bicchiere di birra, mentre loro si stappano 3 bottiglie. Io bevo un sorso e mi trovo a masticare qualcosa. Con chissà che sguardo buffo cerco di far capire a Vale di non bere dal bicchiere ma forse non mi spiego proprio benissimo.. Dopo una serie domande e frasi inquietanti capisco che è ora di prendere in mano la situazione, ho un po’ timore ad alzarmi e andarmene con la mia amica ma non c’è altra soluzione. Con la scusa del coprifuoco la prendo sottobraccio, li ringrazio e li saluto. Loro insistono, noi ce ne andiamo comunque. Scese in strada cerco di spiegare a Vale cosa è appena successo senza farla spaventare, vado a prendere la macchina e andiamo al Civile.
Da lì ragazzi.. la mia consapevolezza verso il genere umano è totalmente cambiata. Già nell’ arrivare con la mia auto (chi mi conosce sa) ci hanno prese per due ragazzine ubriache che avevano fatto chissà quale incidente e volevano smaltire l’alcol. Non hanno quindi creduto al nostro racconto ma ci hanno fatto lo stesso le analisi delle urine. Era passata solo mezz’oretta quindi il risultato era negativo. Non hanno chiesto se stessimo bene, se volessimo parlare con qualcuno. Uscendo a fumare vicino alle infermiere le sentivo prenderci in giro.
In cerca di chissà quale conforto chiamo degli amici che mi rispondono “ma cosa vuoi che sia un po’ di droga in un bicchiere”.. che ci sarebbe anche stata come frase, se l’avessi chiesta un po’ di droga, magari durante una serata..
Alle 7 del mattino, uscendo dall’ospedale, ci fermiamo in caserma accanto a casa mia pensando di fare le paladine della giustizia. Due ragazze stanche, un po’ svestite e spaurite. Il carabiniere ci risponde “ma vi hanno stuprate? No? E allora cosa possiamo fare per voi?”
Mi faccio prestare una chiavetta da un appuntato, salgo in casa, mi scrivo da sola l’esposto, torno in caserma e glielo lascio. Riposiamo un paio d’ore.
Grazie a conoscenze quel pomeriggio andiamo in Poliambulanza e ci rifanno le analisi delle urine. Ovviamente tutti gentili e arrabbiati per noi, un po’ papà e un po’ mamme. Risulto positiva a metanfetamine, metadone, thc, forse ghb visto le modalità, dicono, ma non hanno i reagenti per quello.
Per vie traverse e controverse veniamo messe in contatto con i piani alti. Molto alti. Lì prendono sul serio la situazione facendo subito partire l’indagine e anzi, ci ringraziano per esserci esposte, dicono che non capiti spesso che le ragazze si accorgano di essere state drogate, o che denuncino. Io sconvolta gli dico” ma mi sembra il minimo fare qualcosa, io sono una vecchia stronza, se sabato sera avessero beccato due ragazzine??” Ci capiamo.
Nel frattempo il maggiore giornale della mia città viene in possesso del nostro esposto e decide di fare subito un mega articolone. Mi faccio dare il numero del direttore, lo chiamo, ci litigo, chiedo di aspettare o di omettere dei dettagli. Niente. Sostiene che sia importante fare informazione, dice di avere una figlia e di avere paura. Spiega che siamo state fighe, che deve usare il nostro esempio. Gli rispondo “e io, che vivo da sola a pochi metri da questo individuo, e che ora verrò esposta così, non devo avere paura?” Gli si rompe la voce, si scusa. La telefonata finisce e il giorno dopo l’articolo esce lo stesso.
È passato un anno, avete letto sul giornale altri articoli di informazione e prevenzione contro gli abusi, le droghe, gli stupri?
O avete letto solo di donne drogate, abusate, stuprate?
Quella sera la nostra vita poteva cambiare e potevamo trovarci a convivere con uno stupro alle spalle. Eppure non è questo che mi ha colpita di questa storia perché per fortuna mi conosco bene e avevo sempre saputo come avrei reagito in caso mi fosse successo qualcosa del genere e infatti così è stato.
No, mi hanno segnata l’indifferenza, la superficialità, l’ignoranza.
Questa persona frequenta ancora gli amici che abbiamo in comune e, come gli altri due, fa ancora il medico.
I primi carabinieri che non hanno fatto niente fanno ancora i carabinieri e le persone che ci hanno sorriso dicendo che esageravamo sorridono ancora al pensiero.
A me invece hanno detto che certe cose della mia vita sono successe perché sono una persona frivola e superficiale.
Forse loro non sono mai dovuti andare dalla propria mamma dopo 24 h, ancora vestite da sabato sera, a dirle “guarda mamma, vedi che sono ancora truccata bene, che sto bene, che sono qua con te e sono felice quindi non agitarti però siediti che devo raccontarti una cosa, tanto la scopriresti domani dal giornale..”
Ora mi chiedo, bisogna davvero arrivare allo stupro per scandalizzarsi e fare qualcosa?
Gli stronzi stupratori esistono ed esisteranno sempre, se pensano di poter fare una cosa del genere a una donna probabilmente non hanno un cervello tale da essere definiti umani pensanti.
Ma gli altri, tutti gli altri, quelli che guardano, che scusa hanno?

                                                   Anna Ziliani

sebastiani dessanay ha fermato su cd il suo viaggio doppio CD 377:

Il viaggio   di Sebastiano Dessanay, nei 14 mesi di pedalate tra il 2018 e il 2019 su e giù per l’isola Attraverso i monti, In laguna, sugli Altopiani basaltici, Sotto le pale eoliche, tra Spèndulas e Miniere,<< non è stata una competizione con fotofinish e podio a ogni fine tappa, con champagne, baci di miss e antidoping. Bensì una sessione di composizione a tappe, lunga tutto un viaggio e scandita dai tempi lenti della bicicletta. Ma una volta messe le 28 tracce su un buon impianto di trasmissione del suono, come da lui stesso suggeritoci, ecco che veniamo catapultati in quel suo particolare Giru de Sardigna da Nùgoro a Casteddu ritrovandoci deretu in fatu suo: un po’ come vettura ammiraglia con ruote e corde di ukubass di scorta; un po’ come inseguitori sulla sua scia, quasi nel tentativo di strappargli una maglia che gialla non può essere come al Tour, rosa nemmeno come al Giro e rossa neppure come nella Vuelta. Forse arancione, colore che domina l’elegante digipak di 377:, un telaio che una volta aperto vincola a sé due cd, come se fossero le ruote del biciclo, e una mappa. Ecco che ci viene quindi male parlare di ultima fatica del nostro riferendoci solo a quella discografica. Sa podda mera e sìnchera, la fatica sudata poi ricompensata dagli abbracci comunitari delle 377 biddas e tzitades>> Sebastiano la ha assaporata e  faticata   prima di comporre l’album: quando ha sfidato le incognite meteo-fisiche di questo outdoor culturale per raggiungere le rispettive destinazioni. Luoghi nei quali ha composto «frammenti sonori» («uno al giorno») c la  si può    sentire  già dalla prima traccia (Si parte!) con il fiatone su corona e pignone. Passando al resto      del doppio  cd  (l’ascolto è consigliato «in maniera lenta e creativa ), sono diversi i motivi per cui 377: questa settimana ha preso la tête de la course della  rubrica   di https://www.sascena.it/sebastiano-dessanay-377/ <<  Stiamo parlando di un album che dà musica alla letteratura di viaggio; stiamo parlando di un album che, appunto, può essere ascoltato leggendoci gli antichi resoconti di La Marmora, di Lawrence, di Valery; oppure di una colonna sonora del nostro viaggiare in quest’isola che è certamente diversa da quella del trio citato, ma che ancora poco conosciamo. E poi c’è la ricerca sonora: con la musica etnica che sposa il jazz riuscendo a dare luci nuove a una miscela che, a dirla tutta, non è certamente inedita; con gli arrangiamenti in perenne tensione con l’orografia de su connotu, con le insenature de su meledu con le campede de s’assussegu. Di spessore anche le incisioni del vivere quotidiano attraverso le musiche e le coralità della tradizione orale sarda: frammenti di canti come quelli a tenore, polifonici e a chiterra che sarebbero stati dei filler in un altro album ma non in questo diario di Incontros, Ammentos e Tramas coloridas. Sebastiano riprende il contrabbasso una volta in studio e con lui ci sono Peter Waters al piano, Roberto Migoni dietro le pelli e i piatti, Francesco Morittu alla chitarra classica e campidanese, «il lirismo degli ospiti Max De Aloe e Emanuele Contis» rispettivamente all’armonica e al sax. «Questi musicisti – spiega Dessanay – hanno contribuito a creare sonorità e atmosfere che descrivono bene in musica ciò che ho provato durante il viaggio: l’entusiasmo dell’inizio, lo stupore davanti a scenari incredibili, davanti alla natura, all’archeologia, la malinconia trasmessa da alcuni piccoli paesi in via di spopolamento, la calma ammirando alcuni paesaggi incontaminati e a volte desolati, l’energia degli abitanti di alcuni paesi vivaci, e anche la tristezza di alcune storie narrate». Buon viaggio a chi ha il disco tra le mani per la prima volta. Anche se, come da fiatone finale, Il viaggio continua.  >>
bello ed interessante . una musica tradizionale e moderna insieme lontano dai luoghi comuni e folkoristici della nostra identità fatti generalmente ad e consumo del turismo di massa . le canzoni , come il viaggio
non seguono un ordine cronologico ma ciò non toglie niente all'ottimo lavoro . Un guardare avanti senza perdere le origini . Uno di quei casi a cui si può rispondere quando ti chiedono ma che musica fai ?



    al prossimo viaggio   per i comuni  piccoli borghi   che  sono stati saltati   nel  frattempo  acquistate  il   cd 

Il bellissimo poster A3 realizzato da Valentina Vinci Illustrator che si trova all'interno del doppio CD 377: 🤩
Il CD è in vendita sul sito dell'associazione
https://www.377aps.org/negozio/
o sulla mia pagina Bandcamp
https://sebastianodessanay.bandcamp.com/album/377
oltre che nei seguenti punti vendita:
alta fedeltà Cagliari
I ricavati delle vendite andranno a supportare le prossime attività dell'associazione 377,

8.6.22

senza parole davanti all'ennesimo stavolta doppio femminicidio


La vittima del primo femminicidio è Lidia Miljkovic, 42 anni, ammazzata a colpi di pistola. Un'ordinanza del 2019 vietava all'assassino di avvicinarsi a lei. L'uomo aveva armi ed esplosivi

CHI è Talatou Clementine Pacmogda A VIGLIACCAMENTE offesa a Lucca, svastica e disegno porno "in dono" alla scrittrice ivoriana da due studenti a cui aveva fatto lezione

DI COSA  STIAMO   PARLANDO

Lo riporta oggi La Nazione con un'intervista alla scrittrice la quale afferma: "Due ragazzi di 15 e 16 anni mi hanno dato quella foto per il colore della mia pelle. Mi avevano avvicinato dicendomi 'Ti vogliamo fare un regalo' e poi mi hanno dato quella foto", "poi si sono messi a ridere e ho detto loro 'Regalate questa foto a me

che sono una donna?'". L'episodio risale a sabato scorso quando Clementine Pacmogda ha trascorso una mattinata con gli studenti di Barga. Lei, nata in Costa D'Avorio e cresciuta nel Burkina Faso, vive a Borgo Val di Taro (Parma) ma è molto conosciuta in Valle del Serchio, in Toscana, dove viene coinvolta in iniziative coi giovani sul razzismo, sull'orrore del nazismo e sul rispetto delle donne. "Perché hanno consegnato quella foto proprio a me?", ha anche commentato Clementine Pacmogda, che è rimasta turbata dall'episodio e che ha deciso di presentare una denuncia ai carabinieri.

   generalmente   i media  si concentrano   sul  vigliacco   attacco , ebbene invece  io preferisco    parlare  di lei     e raccontare   quello    che ha dovuto passare prima di venire  qui in italia  . Ma non fa  notizia   perchè :    non è   venuta  con  barconi  non ha  dovuto  affrontare  i centri libici 

Basnewende
Quarta di copertina del libro 
               dal sito Amazon

Talatou Clementine Pacmogda nasce nel 1977 in Costa D’Avorio. Figlia di genitori immigrati dal Burkina Faso. Cresce in Burkina Faso perché i genitori decisero di ritornare nella terra di origine quando lei era ancora bambina. Perse presto il padre e fu mandata prima dell’età scolare nella capitale del paese, Ouagadougou, dalla zia del padre.All’età di otto anni, nel 1985, fu iscritta alla prima elementare. Dopo sei anni di scuola primaria, passò brillantemente la licenza elementare. Rimase un anno senza la possibilità di iscriversi alle medie per mancanza di soldi per il pagamento della tassa scolastica. Nel 1992, si iscrisse alla prima media grazie a uno zio che la portò con lui in un’altra città del paese dove lavorava. Passò l’esame della licenza media nel 1996 e iniziò le superiori. Passato l’esame della maturità nel 2000, dovete ritornare nella capitale per vivere di nuovo con la zia del padre, dove si pativa la fame e le mancanze varie.Fece le pulizie in una copisteria per poter iscriversi a Linguistica all’Università di Ouagadougou. Sostenuta da un padre missionario, riuscì a discutere la tesi di laurea magistrale nel 2005. Dopo dovette cercare un lavoro per sopravvivere e continuare gli studi.
Fece la giornalista come tirocinante per tre anni nella Radio Rurale del suo paese. Nel frattempo dava lezione in una scuola in sperimentazione in una cittadina fuori dalla capitale.Senza la possibilità di avere un mezzo di trasporto adatto, dovette fare 40 km chilometri volte la settimana per raggiungere la scuola dove faceva l’insegnante.Fra alti e bassi discusso la tesi di laurea specialistica nel 2008. In quello stesso anno, vinse una borsa di studio per un dottorato alla Scuola Normale superiore di Pisa. Riuscì così a coronare il suo sogno di portare il titolo di dottore, il 30 giugno del 2012.Si sposò a Pisa con Dario Fasano medico, all’epoca specializzando, a dicembre del 2012 a Pisa. Da febbraio 2015 è cittadina italiana. In questo stesso anno diventò madre di una bambina dopo aver perso un maschietto nel 2014 di nome Basnewende. Fece vari lavori dopo il dottorato fra cui: assegnista di ricerca, impiegata Poste Italiane, supplente di francese ecc. Ora sta si sta preparando per il concorso dell’insegnamento nelle scuole. Nel 2020 Talatou Clementine Pacmogda ha pubblicato il libro Basnewende che ha ricevuto commenti favorevoli. Dopo una vita difficile, affrontando problemi e avversità Talatou Clementine Pacmogda ce l’ha fatta.Una storia vera, drammatica ma piena di speranza. L’autrice, con un suo particolare linguaggio narrativo, racconta al lettore le sue vicissitudini. E lo fa in maniera spontanea, fresca e coinvolgente. Il suo sorriso e la sua risata raggiungeranno il cuore di chi affronterà con lei questa avventura… Basnewende.

l'unico commento che mi sento di fare è che
ormai con le zucche vuote non c'è più niente da fare se non la denuncia . infatti << All'inizio ho cercato di dimenticare, poi il pensiero di quanto accaduto mi faceva male - ha detto -. Mi hanno affrontato a viso scoperto, ridendo, avevano una faccia strana, Perché? Per loro ero un'immigrata che non conosce il senso di una svastica, il pensiero di quanto accaduto mi faceva male. Certo - ha concluso la diretta interessata - sono ragazzi, poi mi sono detta No, non si può lasciar perdere.>>

7.6.22

Serena Melani, prima donna comandante di una grande nave nonostante i femminicidi

Nonostante le donne fanno gli stessi lavori ed gli stessi ruoi degli uomini come dimostra quest'articolo di repubblica del 7\6\2022


 
Dall'istituto nautico di Livorno al primo incarico come ufficiale di coperta sulle navi mercantili, prima di passare nel 2010 alle navi da crociera e diventare capitana nel 2016. Da qui il balzo fino a diventare comandante, la prima comandante donna di una grande nave. Serena Melani, che sarà al comando dalla Explora I, brand di lusso della compagnia Explora Journeys (Msc Crociere), racconta che a spingerla così in alto sia stata "la passione per gli oceani". L'annuncio della sua nomina è arrivato nei giorni scorsi in occasione del varo della nave da crociera e adesso la comandante si unirà al team che lavora nello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, per seguire da vicino l'allestimento e preparare l'equipaggio per la consegna e il viaggio inaugurale, fissato per la fine del prossimo anno.
"La nomina della comandante Melani - commenta Pierfrancesco Vago, Executive Chairman della divisione crociere del gruppo Msc - è un altro importante traguardo nel lancio di Explora Journeys. I suoi valori, insieme alla sua professionalità, al suo curriculum e alla sua esperienza nei viaggi di lusso, rappresentano tutto ciò che io e la famiglia fondatrice avevamo immaginato per questo ruolo fondamentale nell'ambito del nostro brand".
"Siamo molto felici - aggiunge Michael Ungerer, Chief Executive Officer di Explora Journeys - di avere la comandante Melani con noi al timone di Explora I, in sintonia con la direzione, lo stile e l'approccio che abbiamo immaginato per la nostra prima nave verso le sue destinazioni, alcune molto conosciute e altre al di fuori delle rotte turistiche, grazie alla sua esperienza e passione per l'esplorazione unite al suo rispetto per il mare e la natura".
Lei, la comandante Serena, spiega che il viaggio sia anche una ricerca di "connessioni emotive e interpersonali con personale e viaggiatori, sia a bordo che a terra. Crescendo sulla costa toscana - aggiunge - sono molto felice di far parte di un brand lifestyle di lusso europeo e di assumere il comando di Explora I".
Nel suo primo anno di attività, Explora I toccherà 132 porti in 40 paesi, comprese due destinazioni mai visitate prima da navi da crociera, Kastellorizo in Grecia e Saint Pierre in Martinica. Gli itinerari prevedono Mediterraneo, Europa del Nord, Regno Unito, Islanda, Groenlandia, Canada, la costa orientale degli Stati Uniti, Caraibi, America del Sud e le Hawaii. La durata dei viaggi parte da sei pernottamenti fino al Grand Journey di 44 notti in Nord Europa.Tra il 2023 e il 2026 saranno varate quattro navi da crociera, due delle quali sono già in costruzione. Ma si parla anche della possibilità di proseguire con il piano di sviluppo della flotta con una quinta e sesta nave.

 i  femminicidi  continuano 

Femminicidi, la professoressa Antonella Castelvedere uccisa dal marito in Gran Bretagna: arrestato l'uomoFoto Essex police
 
Bresciana di origine, da 25 anni lavorava come docente universitaria. Lascia una figlia di 12 anni, l'omicidio nella contea dell'Essex: il marito l'ha colpita più volte con un coltello