12.6.23

Silvio Berlusconi e Francesco Nuti due morti della mia generazione

 Per   me      cresciuto     negli anni  80  \ 90    bombardato   (  salvo  qualche  eccezione   ) delle tv di Berlusconi e delle sue affiliate Ed allo stesso tempo ho maturato proprio sotto di lui , anzi al suo primo discorso una coscienza politica contro quel mantra del liberismo ed edonismo sfrenato, del “ciarpame”, delle barzellette e delle veline ma anche del sangue del G8 e delle ombre dei processi e della P2, ecco, per noi, soprattutto per  me  (  e   quei pochi     che       fin  dalle  origini  ) l'ho  combattuto politicamente e soprattutto culturalmente in tutti i modi e con tutta la - forse troppo poca - forza di cui  ero  capace, la morte di Berlusconi non può e non potrà mai essere una notizia come un’altra. È , almeno spero , la fine di un’epoca, e arriva, come spesso accade, quando il tempo ha mitigato lo scontro ed edulcorato la memoria. Forse è giusto così, in fondo, la morte, qualunque morte, richiede la giusta distanza e il dovuto rispetto. Purché non cancelli e non annulli la consapevolezza di quello che, per 30 anni, Silvio Berlusconi ha rappresentato nella vita politica, sociale, civile, contribuendo in modo decisivo alla disgregazione della cultura, dell’etica e delle istituzioni di questo Paese, le cui conseguenze le paghiamo ancora oggi a carissimo prezzo. La morte di un uomo merita rispetto, ma non ipocriti caroselli e santificazioni postume, a cui stiamo già assistendo da minuti a reti quasi unificate, anche e soprattutto sul servizio pubblico. Le verità storiche non si cancellano, come non si può pretendere di cambiare, dalla sera al mattina, lo stato d’animo di chi è sempre stato orgogliosamente dall’altra parte. E forse il modo migliore, più onesto e anche dignitoso, per darne l’addio è raccontarlo per quello che è stato e ha rappresentato per milioni di noi in vita, senza falsità né ipocrisie. Non esulterò ( speriamo di riuscirci ) per la sua morte ma, con la stessa fermezza, non mi unirò a chi vorrebbe trasformarlo di colpo in statista e in padre della patria.


Mentre finivo di guardare il terzo episodio della serie Questo mondo non mi renderà cattivo  di Zerocalcare  mi   arriva  come notifica  questo lancio      di  notizia  

È morto Francesco Nuti, l’attore aveva 68 anni ed era malato da tempo

Immagine di copertina

È MORTO FRANCESCO NUTI, L’ATTORE AVEVA 68 ANNI ED ERA MALATO DA TEMPO

È morto all’età di 68 anni l’attore e regista Francesco Nuti. Tra i volti più amati e noti del cinema italiano, l’interprete era lontano da anni dalle scene a causa dei suoi problemi di salute.



 Francesco Nuti questo era: un genio comico e surreale. Un attore dal talento raro e da molti incompreso. Francesco Nuti è stato un artista straordinario di cui troppo poco abbiamo goduto l’arte e la meraviglia. Quante serate a rivederlo in loop, a citarlo e a imitarlo goffamente, a ridere spesso, anche se sempre con un’amarezza e una malinconia di fondo che lo accomunava ai suoi personaggi iconici.Francesco Nuti aveva 68 anni, da tempo malato e lontano dalle scene.Sembra ovvio dirlo, ma mai come nel suo caso conta quello che resta, quello che si lascia alle spalle, non riproducibile, non tramontabile.



10.6.23

socrate spiegato ai bambini ma anche a chi è digiuno di filosofia

  ---- Ogni nostro passo in avanti  nella  conoscenza   aumenta   anche  la  nostra  ignoranza  . Ed  ogni 

nuova  risposta  genera   nuove  domande   immergendoci ancora  più a  fondo   nel   mistero del sapere . 

--- Ma   allora  che   bisogna  fare    ? 

----  studiare  ed  imparare  dai propri errori    

----- ma ..... 

-----     rendendosi  conto  che  nessuno    sa  tutto di  tutto  anche  quelli che    vengono definiti   tutologi 

--- cioè   come diceva     non  ricordo   chi  so  di non sapere  ?

--- Esattamente  come diceva  Socrate 

8.6.23

la legge sulla laicità francese ha rafforzato il fondamentalismo islamico in terra francese . il caso abya nelle scuole

 

 di   cosa  stiamo parlando 
"Attacco alla laicità". In Francia scoppia il caso abaya (msn.com)


La #proibizione non è vera #laicità , soprattutto quando è labilissima ( ed quasi impossibile ) la distinzione tra #cultura e #religione . Cosi si che si da un arma all'estremismo ed al #fondamentalismo religioso . Io non proibirei niente , a meno che non violi la dignità della
persona , come il caso del burka . A chi mi risponde che sto dicendo assurdità replico ed invito a spiegarmi come mai , nel caso francese dove per via del colonialismo è da quasi due secoli uan nazione multi etnica e quindi nele scuooe ci sono diverse religioni non sono avvenuti nel periodo precedente alla legge sulla laicità , tali scontri ?

Gioele (11 anni) rinuncia alla vittoria della gara per aiutare l’avversario che è caduto

una  bellissima storia    qulla  riportata    dal corriere della   sera  . peccato che  per  l'insulsa legge della privacy   i  volti    siano oscurati  

La tribuna gremita di genitori che applaudono, il traguardo che si avvicina, l’ultima curva prima dell’ingresso sul rettilineo finale e il nome del vincitore che pare racchiuso ormai nel testa a testa fra la coppia di piccoli atleti al comando. Poi, in un attimo, accade l’imprevedibile: le gambe dei due ragazzi che si toccano, con uno che in modo del tutto involontario sgambetta l’altro e lo fa cadere.



Il primo non ci pensa un attimo: si rigira e aiuta l’altro a rialzarsi, incurante del fatto che da dietro stiano sopraggiungendo gli altri concorrenti. I due ripartono, ma il passo non è più fluido ed entrambi vengono così superati da un terzo atleta, che si aggiudica la gara.



È questo quanto domenica scorsa a Lucca, dove era in programma la tredicesima edizione del «Gran Gala Esordienti» di atletica leggera, all’interno dell’impianto con sede in via delle Tagliate. Un appuntamento di livello regionale, che ha richiamato piccoli atleti provenienti da tutta la Toscana, a precedere poi lo svolgimento del secondo meeting internazionale Città di Lucca, riservato invece ai «senior» e organizzato dall’Atletica Virtus Lucca. Tornando all’episodio della caduta, i suoi protagonisti sono stati due ragazzini di appena 11 anni, uno tesserato per i padroni di casa della Virtus — Gioele il suo nome — impegnati in una batteria dei 400 metri. A gara conclusa sono stati salutati dagli applausi scroscianti del pubblico
I valori dello sport

Il gesto di Gioele (11 anni): rinuncia alla vittoria per aiutare l'avversario che è cadutoForse una vittoria sfuggita dal punto di vista strettamente agonistico, ma una enorme soddisfazione morale per il direttore tecnico della Virtus Matteo Martinelli: «Mi sono congratulato di cuore con tutti i nostri allenatori — dice — perché quella scena, da sola, racchiude valori che da 40 anni la nostra società cerca di trasmettere agli atleti e al mondo a cui apparteniamo. Un ringraziamento, naturalmente, che intendo estendere ai genitori di Gioele».


 

ll 39enne Roberto tronci campione cabrarese di Karatye conquistato dai pellegrinaggi . «Nel percorso verso Compostela ho trovato la pace e l’equilibrio»

 da la nuova  sardegna  8\6\2023

Cabras
Dai grandi successi nello sport al richiamo dei pellegrinaggi di fede. Roberto Tronci, classe 1984, storico karateka sardo, è conosciuto per il suo ricco palmarès e i suoi successi nazionali e internazionali: cabrarese, figlio d'arte, cintura nera 5° Dan, con la Fijlkam è stato due volte campione italiano di combattimento e a Las Vegas si è laureato campione internazionale agli Usa Open. Oggi è diventato, sempre all'interno della Fijlkam, anche arbitro nazionale. La pandemia lo ha portato ad nuovo percorso di vita, quello dei pellegrinaggi religiosi e del Cammino di Santiago di Compostela in Spagna. «Nel giugno 2022 ho deciso di affrontare il Cammino francese per Santiago di Compostela, uno dei pellegrinaggi più famosi al mondo e che ogni anno attrae circa 300.000 persone – racconta Roberto –. Mi hanno sostenuto i miei genitori, la fidanzata, gli amici più cari e la confraternita dello Spirito Santo, di cui tutt'ora faccio parte. Ma è stata soprattutto la fede a indurmi a compiere questo passo»
La fine del Mondo La spinta interiore ha portato così il karateka ad affrontare nuove sfide, questa volta

con se stesso e con il modus vivendi dei nostri tempi. «Sentivo dentro di me come un richiamo – spiega Tronci –. Così lo scorso giugno ho iniziato a percorre i 900 chilometri del Cammino francese partendo da Saint-Jean-Pied-de-Port, un delizioso borgo ai piedi dei Pirenei, fino a raggiungere Santiago e successivamente Finisterre, "La fine del Mondo", meta finale dei pellegrini nella terra di San Giacomo. Una volta arrivati qui, nel passato i pellegrini erano soliti bruciare le loro vesti, in segno di purificazione e di inizio di una nuova vita». Ma come è riuscito Roberto a completare il percorso? «Lungo il Cammino ho riscoperto la forza e la determi azione che avevo quando gareggiavo – spiega l'ex karateka –. Questo mi ha permesso di far fronte a situazioni difficili e inaspettate come il freddo, la pioggia, e il caldo torrido delle mesetas. Con il mio zaino in spalla ho scoperto sentieri naturali, montagne imponenti, boschi rigogliosi, città antiche, piccoli borghi solitari, e altri luoghi di sconvolgente bellezza, lasciandomi alle spalle la vita frenetica della città, e ritrovando un equilibrio mentale con me stesso che solo il distacco completo dalla routine quotidiana può garantire». Incontri internazionali Non si pensi però, sbagliando, che il pellegrinaggio di Santiago sia soltanto per sportivi o ex sportivi: «È un Cammino in solitudine e lo si può percorrere anche in bici, a cavallo, in stampelle o, addirittura, in sedia a rotelle – sottolinea Tronci –. Si può, comunque, trovare la compagnia di persone diverse per lingua e nazionalità, con cui si entra in sintonia pur parlando lingue diverse. Un aspetto che rende magnifica questa esperienza, durante la quale si assapora la quiete, la pace ed il silenzio di una vita provvisoria». Il karateka cabrarese ha vissuto sulla sua pelle queste emozioni: «Nei 40 giorni di assoluta libertà ho incontrato uomini e donne provenienti da tutto il mondo – racconta –. Li ho incontrati nei sentieri, e poi nei bar, negli albergues, nei ristoranti dei paesi attraversati o dove mi fermavo a pernottare: persone semplici, libere da regole e pregiudizi, ciascuna con il proprio carico di sofferenza ed entusiasmo da condividere con gli altri. È stata pura magia, che ha liberato corpo e anima dal dolore della quotidianità». Si riparte Roberto è tornato talmente arricchito dall'esperienza che quest'anno tornerà a Santiago di Compostela, stavolta percorrendo il Cammino portoghese: «La particolarità del Cammino francese è che la mattina il sole è sempre alle spalle, mentre la sera lo si vede tramontare di fronte: è un tragitto che segue la direzione est-ovest e viene chiamato "Via Lattea", in quanto segue la linea della nostra galassia e in antichità era la bussola dei pellegrini. Quest'anno invece ho deciso di intraprendere il Cammino portoghese in compagnia di un signore conosciuto l'anno scorso, Renato di Pozzuoli, 70 anni e un forte desiderio di esplorare altri cammini. Con lui partirò da Lisbona, passando per Fatima e Porto, sino ad arrivare, per la seconda volta nella mia vita, alla cattedrale di Santiago de Compostela, dove porterò le preghiere di tutti coloro che me l'hanno chiesto». Non si è mai soli Il campione di karate ha un messaggio per tutti coloro che stanno pensando di fare un pellegrinaggio: «Il mio consiglio è di abbandonare il timore della solitudine, perché durante il viaggio non si è mai soli, ma ci si ritrova con tante altre persone con cui si condivide l’esperienza. Agli uomini e alle donne che decidono di intraprendere questa strada non posso che augurare "Buen Camino!"»

Gilda Sportiello, deputata, mentre allatta suo figlio a Montecitorio. una news che non dovrebbe fare notizia vista la normalità e naturalezza dell'atto

    


concordo      con    questo account   di Linkedin 

Carolina Rossi• Già seguiC.E.O. @ NOVA OMNIA GROUP .-. CONSOLE ONORARIO .-. LEGGO, SCRIVO E PARLO DI DONNE, DIRITTI, INCLUSIONE, MINORANZE.


Gilda Sportiello, deputata, mentre allatta suo figlio a Montecitorio.
È accaduto ieri mattina.
Una bella immagine, dolce nella sua spontaneità, nella sua normalità.
Eppure.
Può sembrare incredibile nel 2023, ma questa è la prima volta nella storia che una donna allatta in Parlamento.
Vorrei che questa immagine diventasse talmente normale, ovvia, da smettere di essere una notizia.
Cessi di destare scandalo nei bigotti una donna che allatta in un luogo pubblico.
E, soprattutto, non sia un lusso e privilegio di poche, ma diventi norma per tutte le donne fuori di lì che conciliano a fatica lavoro e famiglia, figli e carriera Ecco cosa ci vedo in questa foto, in questa splendida foto.


Pero  allo  stesso tempo  osservo     che La signora nella foto è privilegiata. Penso con tristezza a tante donne che sono sottopagate o che lavorano nelle fabbriche con turni impossibili. In molti luoghi di lavoro le donne NON sono trattate come gli uomini. Per fare figli servono certezze. Le donne oggi vivono nella precarietà, in tutti i sensi. Poi ci sono le nicchie di mercato...quella minoranza che fa notizia.. Ma le altre, la maggioranza conosce bene il verso dantesco..."Quanto sa di sale lo scendere e salir per le altrui scale".  Infatti m i    chiedo E la foto chi gliela ha fatta?
Un momento così intimo, personale può essere un momento di propaganda  oppure  è un atto spontaneo ? Perché gira sui social ? Quante lavoratrici possono fare questo?

7.6.23

Quelle "signorine per bene che giocavano a calcio" e sfidarono il duce: la prima squadra di football femminile



da  https://cultura.tiscali.it/storie/articoli/


Nasceva novant'anni fa a Milano. Libri, articoli e uno spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che sta girando l'Italia raccontano la vicenda del Gruppo Femminile Calcistico milanese

                                     di    Francesca Mulas


“Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnasstico lo sport del calcio”. Così la giovane milanese Losanna Stringaro difendeva novant'anni fa, sulle pagine del quotidiano Il Littorio, il suo Gruppo Femminile Calciatrici, la prima squadra di calcio femminile nata in Italia. L'esperimento, come lo chiamarono le stesse fondatrici, durò poco meno di un anno ma rivoluzionò per sempre la visione dello sport italiano e fu una preziosa prova di coraggio e libertà nel tempo in cui il fascismo imponeva la sua visione autoritaria e oppressiva sulle donne.





La storia, ancora poco nota, è stata ben raccontata dalla giornalista Federica Seneghini che tre anni fa ha dato alle stampe per le edizioni Solferino "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce", un saggio che ripercorre la vicenda di Rosetta, Giovanna, Marta, Elena e le altre donne coraggiose che, appassionate di calcio, scelsero di dare vita a una squadra tutta al femminile sfidando i pregiudizi e gli stereotipi che volevano le donne chiuse in casa mentre gli uomini si occupavano di politica, cultura, lavoro e sport.

 Oggi quello stesso incredibile coraggio è al centro di "Le fuorigioco", spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che racconta la storia del GFC, il Gruppo Femminile Calcistico milanese nato tra il 1932 e il 1933; lo spettacolo, che da mesi sta girando il Paese, andrà in scena il prossimo 23 giugno a Sestu, provincia di Cagliari, per il festival “Storie di donne, donne e la storia”.



                                 L'attore Michele Vargiu nello spettacolo "Le fuorigioco"

Era l'autunno del 1932 quando un gruppo di ragazze fondò la squadra per sole donne. Nonostante allora questo sport fosse roba da uomini, le intenzioni delle giovani erano serissime: crearono un programma con regole ben precise e lo inviarono a tutti i giornali perché lo pubblicassero, con l'obiettivo di cercare altre donne interessate a entrare in squadra. Il gioco era diverso da quello maschile: le partite erano divise in due tempi da 15 minuti l'uno, si calciava rasoterra e il pallone era "poco più grande di una palla di gomma, di quelle con cui giocano i bambini". Insieme alla nota stampa le "tifosine", come loro stesse si chiamavano, allegarono anche una foto di gruppo realizzata in uno studio fotografico.
Il 26 marzo 1933, davanti a un pubblico di parenti e amiche, ci fu il primo allenamento della squadra, mentre a fine maggio il giornale "Il Calcio Illustrato", l'unico che prese sul serio l'idea e diede spazio alle notizie del GFC, dedicò un'ampio spazio a interviste, commenti, opinioni intitolato "Un'ora con le calciatrici milanesi". Il giornalista notò un gioco piuttosto lento, scarsa abilità e parecchia inesperienza, tuttavia il suo era un punto di vista finalmente serio a fronte di tanti commentatori sarcastici, e sottolineava "poca agilità in corsa, cadute che erano dei crolli, assenza di dribbling, abuso del colpo di punta al pallone, pochissimi i colpi di testa e gli shoots" nel gioco delle ragazze, come riporta lo studioso Marco Giani nell'articolo "'Amo moltissimo il giuoco del calcio'. Storia e retorica del primo esperimento di calcio femminile in Italia" pubblicato nella rivista La Camera Blu del 2017. "Costituiamo una famiglia sempre in aumento, ci vogliamo bene, e continueremo", così Losanna Stringaro al giornalista de Il Calcio illustrato.



Arrivava nel frattempo l'autorizzazione al gioco da parte di Leandro Arpinati, che in quei mesi presiedeva il Coni e la Figc, a patto però che le ragazze giocassero a porte chiuse; le calciatrici furono costrette a chiedere un certificato medico a Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, allora considerato tra i medici più autorevoli dal fascismo, che diede il suo consenso: "Io credo che dal lato medico - scrisse - nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile. Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!".
Conquistato il sì dalle autorità politiche e sanitarie, non restava alle ragazze che giocare: la prima partita ufficiale si disputò l'11 giugno 1933 nel campo milanese Paolo Filzi tra le milanesi "G.S. Ambrosiano" e il "G.S, Cinzano" che conquistò la vittoria con una rete a zero su gol di Mina Bolzoni; sugli spalti, un migliaio di persone. Pochi mesi dopo Leandro Arpinati lasciò la presidenza del Coni e il suo posto venne occupato da Achille Starace, gerarca fascista e uomo meno incline alle sperimentazioni rispetto al suo predecessore, che impose la fine del Gfc suggerendo altri sport "più consoni" al genere femminile.
L'esperienza di Elena Cappella, la più piccola della squadra ad appena 14 anni, Giovanna, Gina, Rosetta e Marta Boccalini, Losanna Stringaro, Brunilde Amodeo, Maria Lucchese e le altre giovani coraggiose si concluse così. Se le partite erano terminate restava invece eterno l'esempio del gruppo di coraggiose che scelsero di rompere gli stereotipi e mostrare al Paese che le donne potevano liberarsi dal ruolo di angeli del focolare e cercare divertimento e libertà in un campo sportivo. A queste donne pochi anni fa il Comune di Milano ha intitolato una strada nella zona di Parco Sempione.

La banca le accredita 50mila euro sul conto per errore, lei trova il modo per non restituirli: è tutto legale

da il sito leggo tramite https://www.msn.com/it-it d'oggi 7\6\2023


La fortuna può arrivare in modi inaspettati, ne è un esempio la storia della donna che da un giorno all'altro ha trovato sul suo conto corrente un accredito del valore di circa 50mila euro. Nonostante fosse stato frutto di un errore della banca, la fortunata ha deciso di tenere per sé il denaro e investirlo nell'acquisto di due case a un'automobile, il tutto senza incorrere in problemi legali. Come ha fatto? Ha spiegato tutto in una serie di video pubblicati su TikTok 
che hanno scatenato la curiosità degli utenti.Aprille Franks, influencer americana di Las vegas, nota anche come business e lifestyle coach, ha condiviso la sua straordinaria esperienza su TikTok. Un giorno d'ormai vent'anni fa ha ricevuto un'e-mail che la informava dell'accredito sul suo conto di $ 50.000 (circa 46mila euro). Siccome non era in attesa di alcun pagamento, ha contattato amici e familiari per sapere se qualcuno avesse fatto un bonifico per sbaglio. Poi ha contattato la banca per segnalare lo sbaglio, ma dalla filiale le è stato detto che non c'era alcun errore e la transazione era legittima. Aprille a quel punto ha deciso di tenere i soldi per sé, dal momento che nessuno li aveva reclamati, ma non prima di sentire il parere del suo avvocato in merito.
Il legale le ha consigliato di denunciare nuovamente l'accredito, stavolta per iscritto e conservando la documentazione, e di non toccare i soldi per almeno 30 giorni. Aprille ha anche rilasciato una dichiarazione pubblica a un giornale, in modo da essere certa che - in caso di errore - il legittimo proprietario dei 50mila dollari potesse reclamare la cifra. Ma nessuno si è mai fatto avanti, e la cospicua somma è rimasta legittimamente a lei. Solo mesi dopo la banca l'ha contattata tramite un avvocato chiedendo il rimborso dell'accredito avvenuto per sbaglio, ma era ormai troppo tardi: Aprille si è difesa sostenendo che fosse stata proprio la banca a non aver rispettato la sua stessa policy non avviando un'indagine entro dieci giorni, mentre lei aveva denunciato tutto secondo procedura. «Non ho infranto la legge e sì, sono stato fortunata. Buon per me», ha detto.
Se oggi 50mila dollari possono essere di sicuro una cifra considerevole, quando sono avvenuti i fatti - nel 2000 - sono stati in grado di cambiare radicalmente la vita di Aprille. In un altro video su TikTok la donna, che oggi ha 47 anni, ha spiegato come ha investito la somma. Ha comprato due case, una delle quali è stata poi rivenduta come forma di investimento, e un'automobile.

6.6.23

Sciarada di parole di ©️ Silvia Serra







Sciarada di parole
che s'insinuano
sotto la pelle,
come
linfa che scorre,
silenziosa...
Accurati
i versi che scelgo
per inondar di gioia
il mio
piccolo mondo...
Ricevo
languidi
sguardi
che
sono enigmi
del cuore
o della mente ?
Non voglio lottare,
mai più,
ne' per te
ne' per me...
Voglio
rivivere
all'alba
senza ferite
nascoste,
con te...


                                                                            ©️ Silvia Serra  foto   di      𝓫𝔂 𝓿𝓲𝔃𝓮𝓻𝓼𝓴𝓪𝔂𝓪