11.1.15

Sassari: ragazzo dislessico, smartphone vietato a scuola



va bene che i telefoni a scuola sono fonte di cazzeggio e di distrazione . ma qui si non si riesce a distinguere la regola dall'eccezione . Infatti come dice in un commento all'articolo Mario Zonca:<< Dite alla Preside e all'insegnante, che sulla Gazzetta Ufficiale N. 244 del 18 Ottobre 2010 è stata pubblica la LEGGE 8 ottobre 2010 , n. 170 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. Dite alla Preside e all'insegnante che nel sito del MIUR esiste apposita sezione al riguardo, se leggono la Nuova, allego il link, per facilitarle: http://www.istruzione.it/urp/dsa.shtml >> .



   da  la  nuova sardegna del  11 gennaio 2015

Sassari: ragazzo dislessico, smartphone vietato

Insegnante e dirigente del Margherita di Castelvì lo minacciano di sospensione. La mamma: per lui è indispensabile

                 Giovanni Bua







SASSARI. John Lennon e Jules Verne, Walt Disney e Guglielmo Marconi, John Fitzgerald Kennedy e Muhammad Alì. Tutti legati dalla loro grandezza? Sì, ma anche da un disturbo specifico dell’apprendimento scoperto negli anni ’40 negli Stati Uniti, che per primi parlarono di “cattivi lettori”, e che oggi si calcola affligga in Italia 350mila alunni tra i 6 e i 19 anni, il 4 per cento della popolazione scolastica.
Cattivi lettori. Si tratta della dislessia, conosciuta e normata da una legge ad hoc (arrivata nel 2010), ma ancora troppo spesso mal diagnosticata e liquidata da dirigenti scolastici, docenti  (e a volte genitori) con scarsa voglia di fare, di apprendere, di concentrarsi o ubbidire.
Cattivi maestri. Così sembra essere successo anche in un istituto superiore cittadino, il liceo Margherita di Castelvì, dove un ragazzo al primo anno, affetto da documentata (e comunicata all’istituto) dislessia e disgrafia (difficoltà a scrivere), è stato di recente duramente redarguito da una docente e poi dalla preside. E domani dovrà presentarsi, insieme ai genitori, per ricevere “comunicazioni  disciplinari”. Motivo? Usava il cellulare in classe durante la lezione.
Lo smartphone. Il ragazzo infatti, come già aveva fatto per tutto il corso delle scuole Medie, aveva tirato fuori da tasca il cellulare per registrare i compiti a casa che la prof stava dettando alla classe. Lo scrivere sotto dettatura è infatti una delle difficoltà insormontabili per chi è affetto da disgrafia, e registrare i compiti uno dei trucchi più semplici per aggirare il problema. La professoressa però non ne era a conoscenza, o comunque poco le interessava. Per lei usare lo smartphone durante la lezione è semplicemente «male».

“Prof, mi dicono gay!”: così ho fatto coming out con i miei alunni

storia dedicata  a chi   vede  il coming  out  solo come un gesto  esibizionistico   per mettersi in mostra   , ignorando  o non sapendo che  molto spesso dietro  tale  gesto si nasconde  una liberazione da sensi di colpa e sofferenze  come la storia  che propongo oggi 




 «Non parlare con me. Se parli con me la gente penserà che sono frocio». Questa è stata una delle frasi che, quando ero adolescente, mi sono sentito dire più volte in classe, nei corridoi, nei bagni della mia scuola. A volte ciò succedeva di fronte gli insegnanti stessi, che si limitavano a invitare al silenzio. A volte imbarazzati, incapaci di reagire e di dire l’unica cosa possibile. Ciò mi umiliava due volte, come essere umano e come studente. E la mia vita è andava avanti così per diversi anni, fino a quando le cose si sono normalizzate. Ho fatto coming out e quel corredo di insulti e di parole acuminate si è dissolto nel nulla. La gente ha paura delle cose che addita come sbagliate e quando queste si palesano con un volto, un nome e il coraggio di dire «sì, è così. E allora?» certe persone scappano via. Come sempre succede ai codardi. Ma questa è, appunto, una storia vecchia. Almeno per quello che mi riguarda.
Qualche anno fa insegnavo in una scuola di un quartiere popolare di Roma, fuori raccordo. Una scuola ritenuta difficile. Moltissimi migranti, bambini/e i cui genitori si alzano alle quattro e tornano a casa col buio. Persone umili e oneste, ma a causa delle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti, spesso assenti. Quei bambini e quelle bambine, in non pochi casi, sono lasciati a loro stessi e lo vedi dai loro volti, dal loro sguardo, quanta rabbia può fare vivere in un mondo che ti descrive come corpo estraneo, ostile, e ti tratta come un reietto. In quella scuola qualcuno ebbe la brillante idea di fare un profilo falso su Facebook con il mio nome, intervallato da un bell’insulto a sfondo omofobico. “Dario er frocio Accolla” mi chiese l’amicizia. Sprofondai in un malessere che pensavo di aver archiviato più di venti anni prima, ma evidentemente certe ferite erano ancora lì, per quanto piccole o lontane. Il sostegno di colleghi e colleghe e delle mie classi stesse mi diede il coraggio necessario. voleva picchiarmi, a sentir lui. Perché ero frocio. Mi vide da lontano e mi raggiunse. Una mia allieva, nigeriana e bellissima, si frappose tra noi. «Embè? Qualche problema?» e il tipo scappò via. Come sempre succede ai codardi, appunto.
Una volta un bulletto di un metro e novanta, quasi sedicenne, venne perché
L’altro pomeriggio, durante l’ultima ora di lezione, un mio alunno mi ha detto che i suoi compagni di classe lo insultano dandogli del “gay”. Capirete da soli le ragioni per cui ho fatto coming out…
«Non c’è niente di male, ad essere gay» gli ho detto.
«Ok, ma a me dà fastidio!»
«E allora impareremo due cose» ho detto alla mia classe «la prima è che non si dice “gay” per insultare nessuno e la seconda è che se dite questo potreste offendere anche altre persone. Magari avete un prof omosessuale e non lo sapete. Oppure lo sapete, e fate finta di nulla…».
E quando i loro occhi si sono cercati, forse vedendosi scoperti, ho sorriso e sono andato avanti con le mie parole.


«Ho già detto che usare la parola “ebreo” come offesa non fa male solo a chi la subisce, ma a tutte le persone che sono ebree. Ebbene usare “gay” come parolaccia, non dà fastidio solo al vostro compagno, ma rischia di offendere anche me».
Ne è seguita una discussione sul rispetto reciproco, sulla pacifica convivenza e per premiarli ho mandato tutti e tutte a giocare in giardino qualche minuto prima.
Quanto accaduto quel pomeriggio, nella mia aula, è una tappa di un percorso lungo, che si sovrappone a una vita intera. Credo sia un atto di onestà intellettuale dare un nome alla propria identità, soprattutto di fronte a casi di discriminazione, in un contesto così delicato come quello scolastico. Fare coming out ci rende forti, aiuta ad incontrarsi, a capire che il mostro descritto da chi ne ha paura e scappa via quando lo vede, è solo un essere umano. Forse è per questo che i soliti noti non vogliono che se ne parli a scuola: per non essere scoperti di fronte alla loro vigliaccheria.
Ai miei tempi mi avrebbe fatto piacere che un prof avesse detto ai miei compagni quel «non c’è nulla di male nell’essere gay, non ha senso usare quella parola come insulto». Quel pomeriggio, un po’ grigio e un po’ gelido, ho sanato quella ferita fatta al bambino che ero trent’anni fa. E, lo credo davvero, non solo a lui.


e consigliando   tale  libro 

Nel 2010, dopo alcuni suicidi di ragazzi omosessuali vittime delle prese in giro dei loro coetanei, lo scrittore e attivista Dan Savage e suo marito Terry Miller hanno caricato su YouTube un messaggio diretto agli adolescenti che subivano bullismo e discriminazioni a scuola o in famiglia: "Quando avevamo la vostra età" raccontano "è stata dura anche per noi essere gay in mezzo a persone che non ci capivano, ma se oggi potessimo parlare ai quindicenni che eravamo gli diremmo di resistere, perché presto andrà tutto meglio, troveranno degli amici fantastici, troveranno l'amore e un giorno avranno una vita molto più felice di quanto immaginano". È stata la prima di migliaia di testimonianze che hanno dato vita a un sito e a una fenomenale campagna sul web, chiamata It Gets Better. Nel 2013 il progetto è sbarcato anche in Italia, con il nome "Le Cose Cambiano". Dall'esperienza e dal successo dell'iniziativa ha preso forma questo libro, che raccoglie i racconti e le testimonianze più belli provenienti dal progetto italiano e da quello americano. Un archivio di buoni consigli, episodi tristi e divertenti e storie a lieto fine, che unisce le parole di personaggi famosi e persone comuni, scrittori, musicisti, attori, comici, studenti, insegnanti, avvocati, attivisti, omosessuali ed eterosessuali, transessuali e queer. Per ricordare a tutti i ragazzi LGBT che stanno affrontando un momento difficile o fanno fatica a immaginare come sarà il loro futuro, che non sono soli, e che le cose presto cambieranno... 

che   è diventato anche  un sito  http://www.lecosecambiano.org Ma soprattutto  ( vedere  foto  sotto  )  


condividendo il post  , ho  già raccontato al storia   qui  sul blog  , di Viviana Bruno ( https://www.facebook.com/viviana.meladailabrianza


10.1.15

dopo i fatti di parigi inizia la caccia all'islamico facendo passare in secondo piano che uno dei morti era Mussulmano e cosi pure uno di quelli che ha salvato gli ostaggi



i  sottofondo 
La Fata - Edoardo Bennato - E Se Comincia La Caccia Alle Streghe... La Strega Sei Tu...


Come volesi dimostrare dopo gli ultimi avvenimenti ( su cui ci sono  , almeno per me   molti dubbi , ma  senza per questo esimermi dalla condanna per i criminali e il crimine ) si riverifichi la caccia all'uomo e la solidarietà pelosa ed ipocrita verso le vittime .
Infatti  Oltre  al  bellisimo  e  toccante post   della  compagna  di strada daniela  tuscano pubblicato  su  quesyte pagine  qualche  giorno fa http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.it/2015/01/si-capo.html  in cui  cui si parla  di Ahmed quel poliziotto mussulmano morto per  difendere  i vignettisti  


Vorrei  raccontare ai  i semiatori   d'odio

"Milioni di islamici pronti a sgozzare"
Affondo di Salvini dopo la strage di Parigi

"Milioni di islamici pronti a sgozzare" Affondo di Salvini dopo la strage di Parigi                                                               Matteo Salvini


"Milioni di islamici pronti a sgozzare e a uccidere". Così il segretario della Lega, Matteo Salvini.
"L'Islam è pericoloso: nel nome dell'Islam ci sono milioni di persone in giro per il mondo e anche sui pianerottoli di casa nostra pronti a sgozzare e a uccidere". Lo ha detto il segretario della Lega Matteo Salvini, secondo il quale l'Islam "non è come le altre religioni e non va trattato come le altre religioni".


e per finire  "  ciliegina   sulla  torta  "  il post delirante però non è un utente qualsiasi di un social network ma l’esponente politico di un comune isolano: Giovanna Tedde, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del comune di Bonorva  poi dimmessasi  e  scusatasi 

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Voglio che questo post sia chiaro: non accetto richieste di amicizia da parte di musulmani. Per quanto mi riguarda, e vista l’emergenza di questi anni circa il vostro ‘popolo’, potete morire ammazzati tutti. Compresi i bambini. Siete feccia che prolifera in nome di un dio che ignorate essere come quello degli altri esseri mani. Venite a farci la guerra a casa? Spero solo che il mondo vi elimini come Hitler, per errore, ha sterminato i poveri Ebrei. Voi avreste dovuto subire l’olocausto. E gradirei anche che nessuno commentasse“.
Sono parole agghiaccianti, intrise di odio e grondanti di ignoranza, che non è raro leggere su internet soprattutto in questi giorni di grande smarrimento e paura davanti ai fatti di Parigi. Parole che, complici l’immediatezza della rete e l’impunità garantita dallo schermo, trovano sempre più spazio su internet. A firmare il post delirante però non è un utente qualsiasi di un social network ma l’esponente politico di un comune isolano: Giovanna Tedde, assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del comune di Bonorva, ha pubblicato il commento sul suo profilo personale facebook. Commento presto sparito, vista la valanga di proteste e critiche che hanno sommerso l’infelice uscita dell’assessore, così come la pagina che in pochi minuti è stata oscurata probabilmente a seguito delle segnalazioni da parte degli utenti del social network.
La Tedde, 33 anni, nata a Ozieri, è stata eletta nell’amministrazione di Bonorva quattro anni fa con la lista civica “Progetto per Bonorva” e oggi è in possesso delle deleghe a Cultura e Politiche Giovanili: un ruolo importante che mal si addice all’invettiva contro l’intero mondo musulmano a cui augura di essere eliminato “come Hitler ha sterminato per errore i poveri ebrei”.
da http://pazzoperrepubblica.blogspot.it/  del  10\1\2015



L'elenco  è ancora  lungo  , ma  non mi sembra  il caso  di  gettare   benzina  sul  fuoco  con   altri cretini   specie quelli    che  lo fanno   inventandosi balle ed \o ingigantendo gli allarmi  e le situazioni  , parlanmdo  alla pancia  come fece la fallaci nei suoi ultimi libri . Essi sono    come dice  l'amico    compagno di  strada   chi sparge odio non è diverso di chi sparge morte >>  Dario Chicchero

  un altra storia   riguardante  l'islam  da 

Lassana Bathily, il commesso musulmano salva 6 ostaggi a Parigi nascondendoli in una cella frigorifera del supermercato kosher 

LASSANA

È riuscito a salvare sei ostaggi, nascondendoli in una cella frigorifera. Lassana Bathily, 24 anni, immigrato del Mali di religione musulmana, dipendente del supermarket kosher, è un altro degli eroi della vicenda che si è consumata nella zona di Porte de Vincennes a Parigi. Il ventiquattrenne, musulmano originario del Mali, si sarebbe subito reso conto della gravità della situazione: secondo il racconto dei sopravvissuti, avrebbe cercato di radunare quante più persone possibili per nasconderle in una cella frigorifera del negozio.
Bathily non avrebbe lasciato nulla al caso. Ha spento l'impianto di raffreddamento insieme alla luce della stanza, per non destare sospetti. Dopo aver messo in salvo i clienti ed essersi messo in contatto con la polizia, il giovane sarebbe tornato tra i corridoi del negozio. Sono almeno sei le persone che, alla fine delle dure ore di prigionia, avrebbero abbracciato e ringraziato Lassana.

 





ruolo importante delle donne nella grande guerra


ecco perchè sul 10 febbraio ci sono polemiche e non c'è ricordo a 360 gradi leggi memoria condivisa

Oggi 10 febbraio , dopo aver parlato nei post precedenti ( a cui rinvio la lettura ) degli eventi storici e dele mie sensazioni    ed emozioni che costituiscono tale giornarta , provo ad affrontare il perchè su tali eventi ci sono ancora polemiche e ferite aperte . Un esempio di come dicevo dal titolo del perchè su tali eventi , come quelli del ' 900 italiano , non c'è memoria condivisa \ ricordo a 360 gradi è questo articolo   (  qui l'articolo completo  )  di Ferruccio Sansa

 [----]
ricordare è difficile quando si è carnefici (come è per l’Olocausto), ma è impegnativo anche se sei dalla parte delle vittime. Forse perché una memoria sincera pretende impegno e responsabilità. Richiede lucidità per capire cosa è successo e quale è stato il
proprio ruolo. E vuole compassione per chi ha sofferto. A lungo istriani e dalmati sono stati dimenticati. Respinti (spesso crudelmente ignorati) da quella sinistra italiana che preferiva sposare la causa di Tito (tacendone i crimini). Spinti nelle braccia di una destra che pur essendo responsabile (con Mussolini) della loro tragedia ha poi tentato di conquistarne il consenso. Insomma, istriani e dalmati sono stati traditi dallo Stato italiano che avevano cercato perdendo la propria terra e talvolta la vita.
Speriamo che quest’anno il ricordo non si risolva in distratte commemorazioni, in polemiche politiche. Che non ci induca a rivendicazioni, ma a un’onesta ricostruzione storica che sottolinei l’orrendo genocidio e la pulizia etnica compiuti dai titini, ma non trascuri i crimini fascisti nei confronti degli slavi.
Ma se si riducesse a questo la giornata di oggi rischierebbe di soffiare sui risentimenti: anch’essi stanno nel cuore, si intrecciano alla memoria. Proviamo, per una volta, a ricordare. Le vittime delle Foibe. Ma anche tutti gli italiani, quelli che persero la loro terra e chi rimase in Istria. E speriamo che il ricordo ci aiuti ad affrontare il futuro. L’Italia che – giustamente – ha avuto cura nel proteggere le minoranze altrui che vivono nel proprio territorio, ricordi finalmente le proprie minoranze all’estero.
Abbiamo lasciato un grande patrimonio in quella terra: di cultura, civiltà, bellezza. Di vita. Chi scrive proviene da una famiglia che nei giorni dell’Esodo arrivò in Italia letteralmente su un barcone. Ed è impossibile descrivere il giorno in cui si è ritrovato in un paese, Dignano (in croato Vodnjan), davanti a una tomba con il proprio nome.
Davanti a un portone che i suoi nonni varcavano ogni mattina. L’ha aperto, e d’un tratto ha scoperto che dal profondo gli risalivano le parole di un dialetto che nemmeno sapeva di aver conservato. Ma soprattutto ha sentito – proprio con il cuore – che la sua vita veniva di lì. Nel senso più profondo, la carne. Il sangue.
E all’improvviso ha ricorda
                                   Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 10 Febbraio 2014




Quindi secondo me questa legge non ha , almeno fin ora , aiutato a sanare una ferita ancora aperta : l’eccidio degli italiani nelle foibe e l’esodo di quasi trecentomila persone dall’Istria e dalla Dalmazia .anzi ne ha incrementato le polemiche e le divisioni mai sopite a causa della congiura del silenzio caduta su d'essa a cvausa della guerra fredda Ma non per questo smetterò di ricordare e di scriverci post perchè   <<  anche se  voi  vi credete assolti  siete  per  sempre  coinvolti  >>( mia  parafrasi   di una famosa canzone de  andreiana  )

ecco perchè sul 10 febbraio ci sono polemiche e non c'è ricordo a 360 gradi ( leggi mem.noria condivisa )

Oggi 10 febbraio , dopo aver parlato  nei post precedenti  (    a  cui rinvio la lettura  )   degli eventi storici  che  costituiscono tale  giornarta ,  provo ad  affrontare  il perchè  su tali   eventi    ci sono ancora polemiche  e  ferite  aperte  .
Un esempio di come dicevo  dal titolo    del  perchè   su  tali eventi  , come  quelli del ' 900 italiano  , non c'è memoria  condivisa  \  ricordo a  360 gradi è questo  articolo  di    Ferruccio Sansa   (  qui l'articolo  completo )    discendente  di profughi istriani

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ricordare è difficile quando si è carnefici (come è per l’Olocausto), ma è impegnativo anche se sei dalla parte delle vittime. Forse perché una memoria sincera pretende impegno e responsabilità. Richiede lucidità per capire cosa è successo e quale è stato il proprio ruolo. E vuole compassione per chi ha sofferto. A lungo istriani e dalmati sono stati dimenticati. Respinti (spesso crudelmente ignorati) da quella sinistra italiana che preferiva sposare la causa di Tito (tacendone i crimini). Spinti nelle braccia di una destra che pur essendo responsabile (con Mussolini) della loro tragedia ha poi tentato di conquistarne il consenso. Insomma, istriani e dalmati sono stati traditi dallo Stato italiano che avevano cercato perdendo la propria terra e talvolta la vita.
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Speriamo che quest’anno il ricordo non si risolva in distratte commemorazioni, in polemiche politiche. Che non ci induca a rivendicazioni, ma a un’onesta ricostruzione storica che sottolinei l’orrendo genocidio e la pulizia etnica compiuti dai titini, ma non trascuri i crimini fascisti nei confronti degli slavi.
Ma se si riducesse a questo la giornata di oggi rischierebbe di soffiare sui risentimenti: anch’essi stanno nel cuore, si intrecciano alla memoria. Proviamo, per una volta, a ricordare. Le vittime delle Foibe. Ma anche tutti gli italiani, quelli che persero la loro terra e chi rimase in Istria. E speriamo che il ricordo ci aiuti ad affrontare il futuro. L’Italia che – giustamente – ha avuto cura nel proteggere le minoranze altrui che vivono nel proprio territorio, ricordi finalmente le proprie minoranze all’estero.
Abbiamo lasciato un grande patrimonio in quella terra: di cultura, civiltà, bellezza. Di vita. Chi scrive proviene da una famiglia che nei giorni dell’Esodo arrivò in Italia letteralmente su un barcone. Ed è impossibile descrivere il giorno in cui si è ritrovato in un paese, Dignano (in croato Vodnjan), davanti a una tomba con il proprio nome.
Davanti a un portone che i suoi nonni varcavano ogni mattina. L’ha aperto, e d’un tratto ha scoperto che dal profondo gli risalivano le parole di un dialetto che nemmeno sapeva di aver conservato. Ma soprattutto ha sentito – proprio con il cuore – che la sua vita veniva di lì. Nel senso più profondo, la carne. Il sangue.
E all’improvviso ha ricordato.
                              Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 10 Febbraio 2014
 Quindi secondo   me   questa legge   non ha  , almeno fin ora , aiutato  a sanare una ferita ancora aperta : l’eccidio degli italiani nelle foibe e l’esodo di quasi trecentomila persone dall’Istria e dalla Dalmazia ., anzi ne  ha   incrementato  le polemiche  e le divisioni  mai sopite  a causa  della congiura  del silenzio     caduta   su d'essa  a  cvausa  della guerra   fredda 
Ma  non per  questo smetterò  di ricordare  e  di scriverci post  prerchè  <<  anche se  voi  vi credete assolti siete per  sempre  coinvolti >>  (  mia parafrasi di una   famosa  canzone De  Andreiana )

9.1.15

SI', CAPO


Era la solita aurora scialbetta, nell'XI arrondissement. Un momento che, tutto sommato, ad Ahmed non dispiaceva. Certo, il biancore del cielo poteva metter tristezza. Ma gli bastava bollire il caffè in cucina per sentirsi famiglia. Minuti lenti, claustrali, riempiti dal suo esistere. A quarantadue anni non aveva ancora moglie e gli amici non mancavano di ricordarglielo: cos'era la vita senza una sposa né una discendenza? Non era forse il matrimonio, lo scopo del nostro passaggio sulla terra? A queste osservazioni Ahmed rispondeva con un sorriso ampio, tenero e definitivo. E nessuno osava insistere. Dopo tutto, Ahmed era un poliziotto. In realtà, una ragazza aspettava in qualche luogo, senza parlare. E si dileguava nelle nebbie, dopo il saluto. Un velo d'amica. Anche Dio era solo, anzi, unico e indivisibile. Eppure presente ovunque, per tutti.
Ogni mattina Ahmed faceva la sua ricognizione nei quartieri, dove trovava altri come lui. Francesi di seconda generazione, così li chiamavano. Da lontano, a cavallo della bicicletta, lo si poteva scambiare per un postino. Aveva l'aria sempre un po' sospesa, ma l'occhio non smarriva nulla. Conosceva qualsiasi ciottolo e davanzale. E volti, certo. Dell'uno annotava il sopracciglio alzato, dell'altro la mestizia del labbro, la scriminatura dei capelli. Anche quel certo profumo di fresco, proveniente da chissà chi, l'unico in grado di ammaliarlo, e allora qualcuno avrebbe veduto, nel poliziotto solitario, un palpito sottopelle, una passione dolce e bassa, che scivolava subito via.
Quando li portava in guardina, invece, sembravano tutti uguali. La voce scolorita. "Sì, capo", rispondevano al suo invito a seguirlo. Animali disarmati. Ma lui non infieriva mai. Era il suo modo di riscattarli dall'anonimato. Trasmettere il senso del dovere e della giustizia. Cos'altro serviva, per
onorare la vita?
Quella mattina l'aria frizzava un po' di più. L'ennesima ricognizione, stavolta vicino a un giornale satirico che sbertucciava tutto e tutti. Compresa la sua fede, presentata come sanguinaria, e lui si arrabbiava: ma l'Islam non è mica così!, e allora i suoi occhi, sempre giovani, perdevano l'atavica, premonitrice gravità e s'animavano d'un lampo inconsueto. Lo notavano i suoi colleghi ma anche gli scapigliati giornalisti: uno gli aveva fatto un lungo discorso altrettanto animato e pervaso d'atea religiosità, poi si era infilato in paragoni convulsi tra Ahmed e uno scrittore algerino quasi suo omonimo, l'amico di Paul Bowles, roba sentita a scuola. Ma lui era nato in Francia da genitori tunisini e gli dispiaceva soltanto quella visione distorta della realtà.
Paziente, però, era paziente. I mattoidi avevano subito numerose minacce, e lui sospirava. Quanta fatica, il mondo. Alla fine il giudizio spettava solo a Dio.
Ahmed il tranquillo viveva nel caos ma ciò che non sopportava era lo scoppio dei fuochi d'artificio. Gli sembrava una bestemmia imitare il suono mortifero degli spari. Più s'inoltrava nei boulevard, più incrociava gente concitata, e qualcuno vociava di questi scoppi ormai fuori tempo. Ma Ahmed scosse la testa e si rabbuiò. Non si trattava di mortaretti, ma di morte. E, in quegli istanti, Ahmed si trasformava in volpe. Non pensava mai, o meglio, il suo pensiero era la corsa. E si trovò già là. La sede del settimanale irriverente!
Poi vide in bianco e nero, poi solo il nero di boulevard Lenoir, della sagoma che si avventava contro di lui. Ebbe il senso d'una spirale, il casco che volava in alto, quasi un colpo sul ring, e la calce dura dell'asfalto. Eccolo involto in un fagotto, la tuta come un sudario, e quel giovane esagitato col fucile contro di lui, dai tratti così simili ai suoi, eppure così remoti. Incredulità di bambino, l'unica che possa vincere un poliziotto. "Vuoi uccidermi?" si sente chiedere, senza capire. "Sì, capo", e la conferma stavolta è davvero incolore; livida, metallica. Ricordi di luoghi inauditi, il sorriso d'oasi dei genitori, l'alabastro di strani monti, due occhi vellutati, i libri, il giuramento, le corse spettinate, una stanza candida. Poi un secondo colpo - et adieu, Ahmed.

                                                 © Daniela Tuscano

8.1.15

The more things money can buy, the harder it is to be poor

The more things money can buy, the harder it is to be poor "We've become a market society where almost everything is up for sale – there are cash incentives for doctors who diagnose dementia patients and for teachers whose students get better exam results." The problem, says Harvard philosopher Michael Sandel, is that where money determines access to necessities such as health and education, inequality matters more than it otherwise would.



via theguardian.com: http://gu.com/p/443z7/tw




  traduzione 
Le cose più il denaro può comprare, è difficile essere poveri "siamo diventati una società di mercato, dove quasi tutto è in vendita – ci sono incentivi in denaro per i medici che diagnosticano i pazienti affetti da demenza e per gli insegnanti cui studenti ottengono migliori risultati esame." Il problema, dice il filosofo di Harvard Michael Sandel, è che dove il denaro determina l'accesso alle necessità come sanità e istruzione, disuguaglianza conta più di quanto sarebbe altrimenti.
 
 

7.1.15

le mie feste di natale e la mostra fotografica di tempio e i suoi volti organizzata dall'associazione culturtale la sardegna vista da vicino

Cari amici, come va? Vi siete ripresi dai FESTEGGIAMENTI ? Sotto l’albero o davanti al presepe avete trovato i regali che ASPETTAVATE con ansia oppure 





di   Matteo Aisoni  alias  https://www.facebook.com/studiofotografico.gallura





Come ho passato  le  vacanze  di natale  ?    semplice come tutti  gli anni , in famiglia e  cazzeggiandi al pc  .  Ecetto la  notte del 22    che    sono andato in pizzeria  con alcuni del gruppo   di fotografia  ,  ed  a  controllare la mostra   fotografica  , oltre  che  ad  acquistare   piccoli pensierini  al mercatino di natale  . 
Per  capodanno    è arrivata   un ondata  di  gelo e neve  ed  i  prezzi  nei ristoranti pèer  l'ultio dell'anno    sono un morso  a capu ehm  una esagerazione   esagerazione    sono rimasto  a  casa   anchje  perchè  uscire  per  lo spettacolo organizzato   dalla classe  '70   non faceva   , polmonite    assicurata  ,per  il gelo  .
  Quindi  l'unica  cosa  di rilievo era la mostra  fotografica  dell'associazione   fotografica   di cui faccio parte . La  mostra si  è tenuta  all'ufficio turistico (  un ex   mercato civico  di fine   '800  primi del  900  )  e  quindi  in comitanza  con i mercatini di natale    e altre iniziative  natalizie  . Infatti gli ospiti che firmano il quaderno mettevano anche  giudizi  ed  elogi al mercatino  trovate  sotto alcune  foto  mie  eccetto l'ultima presa  dala bacheca  fb di   una  di loro    .









   e  gli appartennti alle bancarelle , facendo passare in secondo piano  la mostra ftografica  Ma  va bene lo stesso  , in quantoi tempio   pausania , essendo  un paesetto   dove  spazi gratuiti o  a  basso  prezzo   dove  gliartisti   posso esporrere  le  loro opere  , scarseggiano  o   sono inesistenti  bisogna  accontentarsi  di  quello  che  c'è  .  
Ora  poichè sono di parte   eccovi un reportage con il video  dele nostre  foto la  mia  è  al  04.15 - 04.21  fatto dal portale  web galluranews.altervista.org


Tempio Pausania, Mostra Collettiva Fotografica. Tempio, il suo volto, i suoi personaggi. Espressioni di un territorio di memorie e storia.




Tempio Pausania, 30 dic. 2014

La mostra collettiva fotografica che in questo periodo di feste è stata promossa dall’associazione culturale “La Sardegna vista da vicino” è in esposizione presso i locali dell’Ex Me-Ufficio Turistico della città, in piazza Mercato a Tempio. Una serie di scatti di scorci, di personaggi della città che hanno il merito di ricercare, nelle espressività e nella chiarezza del momento, i tratti antichi e moderni della nostra realtà gallurese. La pregevole esaltazione della pietra, delle rughe profonde della millenaria cultura, dei visi di alcuni personaggi, ne fanno una continuazione del viaggio intrapreso dalla giovane associazione già da qualche tempo. La carrellata di foto, che è raccolta nel video allegato, non riesce a catturare ciò che invece l’occhio, seguendo il principio del “visto da vicino”, coglie nella pienezza del messaggio che ciascuna foto racchiude. Ognuno di noi vi potrà leggere le emozioni, la ricchezza e il sapiente uso del bianco e nero, o l’ironia di certe foto che attraverso un titolo, fanno meglio comprendere lo sforzo creativo che è sempre alla base di ogni istantanea. Ogni foto è un piccolo racconto e ogni racconto un grande e prezioso excursus nella nostra storia, negli angoli più nascosti di un’architettura unica e, per tale motivo, da tutelare e valorizzare.







La mostra ha questo scopo, oltre quello di mostrare quante belle capacità esistano nel territorio, ossia di associare il momento dello scatto alla nostra cultura, nel segno della ricchezza di questo immenso patrimonio e nella sua piena e matura capacità di aprirsi alla contaminazione tra passione e arte. Un bravo collettivo a tutti i fotografi che hanno saputo, ciascuno a modo proprio, attraversare quel ponte di storia e ricordi, mantenendo fede alla tradizione del viaggio attraverso il tempo che solo la fotografia sa regalare.

Direttore della banca umiliato da questa lettera di una signora di 86 anni..Fantastica dimostrazione che i vecchi non sono solo rincoglioniti ma hanno qualcosa da insegnare




vera o falsa che sia questa storia ,sia  che  sia  diventata  virale  che non  ,   è la dimostrazione di come i vecchi non sono solo ricncoglioniti o esseri inutili oppure peggio strani ed inutili perchè non comprendono il mondo attuale o lo giudicano con paramentri e valori diversi dai nostri che dovre mo in parte fare nostri usandoi come base di partenza dfa cui ripartire ed educare le successive generazioni per migliorare questo schifo di mondo ... ma questo è un altreo discorso che se volete riprenderemo 
Quella che stai per leggere è una lettera realmente scritta da una signora di 86 anni al direttore della sua banca. Una lettera talmente spettacolare da essere stata pubblicata sul New York Times.
Egregio Signor Direttore,
Le scrivo per ringraziarla di aver bloccato il mio assegno con cui ho tentato di pagare il mio idraulico il mese scorso. Secondo i miei calcoli, dal momento in cui ha controllato se c’erano i fondi necessari fino all’arrivo di essi, erano passati appena 3 nanosecondi. Mi riferisco naturalmente all’accredito automatico mensile della mia pensione… un accredito che, lo ammetto, avviene puntualmente da “soli” 8 anni.
Le faccio inoltre i complimenti per quei 30 dollari scalati dal mio conto a titolo di sanzione per il disagio causato alla sua banca.
Le confesso che questo spiacevole incidente mi è servito per rivedere e cambiare il mio approccio al mondo finanziario. Io rispondo personalmente alle vostre lettere e alle vostre telefonate, al contrario, quando sono io a contattarvi, mi ritrovo sempre a che fare con un’entità impersonale fatta di lunghe attese e voci pre-registrate… questo è quello che ormai è diventata la sua banca!
D’ora in poi anche io, come lei, scelgo di rivolgermi soltanto ad una persona in carne e ossa.
D’ora in poi mutui e prestiti non verranno più pagati automaticamente, ma tramite assegno spedito alla vostra banca e indirizzato personalmente a un vostro dipendente da nominare.
Come lei saprà benissimo, è REATO ai sensi della legge aprire una busta intestata ad un’altra persona. Allego a questa lettera un modulo di contatto che un suo dipendente dovrà compilare per la ricezione dei miei assegni.
Mi dispiace che il modulo sia lungo ben 8 pagine, ma ho bisogno di sapere tanto sul suo dipendente quanto la sua banca vuole sapere di me, non c’è alternativa.
E’ pregato di notare che tutte le copie delle cartelle cliniche del suo dipendente devono essere controfirmate da un notaio, e dei dettagli riguardanti la sua situazione finanziaria (reddito, debiti, attività e passività) devono essere accompagnati da prove documentate.A tempo debito, a mio piacimento, rilascerò al suo dipendente un codice PIN che lui/lei dovrà utilizzare prima di mettersi in contatto con me. Mi dispiace che il codice sia lungo 28 cifre, esattamente il numero di pressioni sui tasti del telefono che faccio per accedere al mio saldo del conto tramite il vostro servizio telefonico.
Come si suol dire, l’imitazione è la più sincera forma di adulazione!
Vorrei aggiungere qualche altro piccolo appunto. Quando mi chiama è pregato di premere i tasti come segue:
AD INIZIO CHIAMATA PREMA (*) PER SELEZIONARE LA LINGUA INGLESE.
#1 Per fissare un appuntamento.
#2 Per richiedere un mancato pagamento.
#3 Per trasferire la chiamata nel mio soggiorno, nel caso io sia lì.
#4 Per trasferire la chiamata nella mia camera da letto, nel caso stia dormendo.
#5 Per trasferire la chiamata nel mio bagno… nel caso sia impegnata nei miei bisogni fisiologici.
#6 Per trasferire la chiamata al mio cellulare, se non sono a casa.
#7 Per lasciare un messaggio sul mio computer, verrà richiesta una password per poter accedere al mio computer.
#8 Per tornare al menú principale.
#9 Per fare un reclamo.
A volte si troverà di fronte a delle lunghe attese, ma non si preoccupi! Una musica melodica le farà compagnia per tutta la durata.
Le faccio i miei più sinceri auguri per un felice, anche se spero meno prosperoso economicamente, anno nuovo.
Una sua umile Cliente
E si ricordi: mai complicare la vita ad una persona anziana. Innanzitutto non ci piace sentirci vecchi, quindi non ci vuole molto per farci incazzare
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Sassari Cacciati dal reparto mentre il padre muore La denuncia dei familiari di un malato terminale: dovevano pulire la camera e lui è rimasto solo quando esalava l’ultimo respiro

ancora  una  volta  , dopo il caso  del paziente  morto da  solo  e senza  amici     perr motivi  di privacy  ,  un altro  caso  di  cinismo   \  mancanza  di sensibilità    , interessa  la sanità  Sassarese  .
Ma   nelle  facoltà universitarie  oltre  ad  insegnare la materia    dovrebbero  insegnare  un po'  di rispetto   e di umiltà  verso   chi soffre  ed i loro familiari
Da  la  nuova sardergna  online  del7\1\2015


Cacciati dal reparto mentre il padre muore                                      
La denuncia dei familiari di un malato terminale: dovevano pulire la camera e lui è rimasto solo quando esalava l’ultimo respiro           

                                          di Nadia Cossu



SASSARI. « Due minuti, abbiamo chiesto che ci lasciassero ancora due minuti. Erano gli ultimi respiri di mio padre, volevamo tenergli la mano io, mia sorella e mia madre. Lui se ne stava andando...». Ma proprio mentre delicatamente accarezzavano il viso di quell’uomo ormai consumato dalla sofferenza, qualcuno ha deciso che dovessero uscire dalla stanza.
«Il motivo? Dovevano pulire il pavimento e ci hanno detto di allontanarci – racconta Giuseppe, il figlio del paziente ricoverato lunedì mattina nel reparto di Medicina d’urgenza del Santissima Annunziata – Ci siamo rifiutati di andar via, abbiamo spiegato che un infermiere e il medico poco prima ci avevano permesso di stare vicino a mio padre perché di lì a pochi minuti sarebbe morto. Come potevamo lasciarlo in quel momento? Non avremmo mai potuto né voluto farlo. Io avevo passato la notte accanto a lui ed erano appena arrivate in ospedale mia sorella e mia madre».
Ma comprendere i sentimenti altrui non è dote che appartiene a tutti. Pochi istanti dopo «si è presentata la caposala del reparto che con un tono decisamente poco amorevole ci ha ripetuto di uscire dalla camera perché gli addetti dovevano lavorare. Anche a lei abbiamo ribadito che non ci saremmo mossi». Risposta che ha suscitato, evidentemente, una reazione accesa che ha richiamato l’attenzione del medico di turno. «Anche lui mi aveva detto di stare vicino a mio padre perché erano gli ultimi istanti di vita, speravo facesse qualcosa e invece è arrivata la medesima richiesta: andare via».
«Non avevamo intenzione di fare storie – tiene a precisare Giuseppe – anche perché non volevamo che mio padre potesse in qualche modo percepire quella tensione. Ma sicuramente non eravamo disposti ad allontanarci da lui».
Finché non è arrivata la decisione finale, quella che Giuseppe non ha timore a definire «il culmine di una prepotenza inaccettabile». «Ci hanno detto che allora lo avrebbero spostato da quella stanza. In quel modo saremmo dovuti uscire per forza. E così hanno fatto». Il letto del paziente è stato messo in movimento mentre si discuteva della impellente necessità di spazzare il pavimento. E quando l’uomo veniva portato in un’altra camera, in quei pochi metri di corridoio che lo separavano dai suoi cari, ha esalato l’ultimo respiro. «È successo proprio ciò che temevamo – racconta il figlio con la voce spezzata dalle lacrime – Due minuti, non avevamo poi chiesto tanto...».
È a quel punto che figli e madre, distrutti dal dolore, si sono guardati negli occhi: «Ci siamo soltanto detti: “non è giusto”. Perché a nessuno dovrebbe essere proibito di tenere la mano del proprio caro nel momento della morte. Mia sorella ha persino detto a quelle persone che avrebbe pulito lei il pavimento. E lo avrebbe fatto senza problemi».
Qualche minuto per la constatazione del decesso e sono ripartiti i ritmi frenetici del reparto. Come è giusto che sia, perché le emergenze sono frequenti, il flusso di pazienti in entrata che spesso purtroppo lottano tra la vita e la morte è continuo e non c’è il tempo di fermarsi. «Ma sono spariti tutti. È stato fatto l’accertamento della morte e nessuno si è fatto vivo almeno per dire un “ci dispiace”. Almeno questo ci saremmo aspettati». 

Ora   di fronte a certe situazioni se non si ha un po di umanità non non si ha nemmeno alcun diritto di svolgere un mestiere il quale la dote maggiore dovrebbe essere proprio l'UMANITA' . Infgatti come dice   nel commento sulla pagina di fb del  giornale   Alessio Madeddu [...... ] Fare l'infermiere o il medico deve essere una vocazione non solo guardare il conto al 27, non è bello che una persona per avere un ricovero come si deve personale come si deve debba andare fuori.... Non tutti possono. Vergogna
 Non so  cos'altro aggiungere a quanto  giàdetto     . Mi fermo qui   perchè due parole  sono troppe  ed  una è poco  . 

6.1.15

anche un piccolo gesto può valere più dell'oro

Ti sveglierai e ti addormenterai migliaia di volte nella vita. Andrai a lavoro, riderai con gli amici e piangerai solo nella tua stanza o abbracciato a qualcuno cui vuoi bene. Affronterai mille situazioni e farai innumerevoli errori, ma nel momento in cui aiuterai qualcuno che ne ha davvero bisogno facendo qualcosa che a te costa davvero qualcosa ti renderai conto che quello e solo quello è il momento in cui sei vissuto davvero.  Non ricoIrdo la fonte


 
Infatti  in questo news   presa da  http://www.panecirco.com  

vengono raccontate 4 storie, 4 spaccati della vita quotidiana che ognuno di noi ha vissuto e vive tutt’ora. I protagonisti sono persone comuni che, trovandosi di fronte a persone bisognose e in difficoltà, hanno fatto una scelta. Ecco quale



Questo video dimostra quanto può essere grande il cuore delle persone. Nonostante la paura, la solitudine, l’odio e tanti altri sentimenti negativi sembrano essere gli assoluti protagonisti di questa nostra società…forse una piccola e flebile luce di speranza ancora c’è! E quella luce sta proprio dentro il cuore di ognuno di noi, una luce che si alimenta della bontà e generosità dei nostri piccoli gesti.
Non serve chissà quale supereroe, grande politico o coraggioso rivoluzionario per cambiare in meglio questo mondo, siamo noi ad avere il potere e l’opportunità di poterlo cambiare. Come?
Alimentando quella luce interna, facendo si che diventi sempre più forte e luminosa. Così come i protagonisti di questo video, trova nella tua quotidianità l’occasione per essere d’aiuto a chi ne ha bisogno, anche con il più piccolo e insignificante gesto…magari per chi lo riceve può significare davvero tutto.
In questo video vengono raccontate 4 storie, 4 spaccati della vita quotidiana che ognuno di noi ha vissuto e vive tutt’ora. I protagonisti sono persone comuni che, trovandosi di fronte a persone bisognose e in difficoltà, hanno fatto una scelta. Ecco quale…

PORTOSCUSO: DA ''GLOBETROTTER'' AD ABUSIVO IN ''VILLA TUGURIO''

da  videolina del 4\1\2015 

Portoscuso un uomo di 64 anni vive da quasi tre anni in una sorta di tugurio in attesa di risposte dal comune per una casa dignitosa. Il servizio è di Luca Gentile. L intervistato è: PIERPAOLO SEDDA

5.1.15

Milano saldi esagerati: a Milano entri nudo e ti vesti gratis

macchinu  (  follia  )  protagonismo  , mancazna   di € ?  chi lo  sa   . L'unica  cosa  è  che ormai  non c'è più senso del ridicolo  pur  d'avere  capi firmatio  a gratis 
Saldi esagerati: a Milano entri nudo e ti vesti gratis Hanno sfidato il freddo presentandosi in biancheria intima nelle prime ore del mattino di fronte al negozio  Desigual in via Torino, a Milano, e sono stati ricompensati con abiti gratuiti per rivestirsi da capo a piedi: sono i cento vincitori del 'Seminaked party in red', iniziativa lanciata dal brand spagnolo per celebrare l’inizio dei saldi invernali (Lucia Landoni)
 
 le  altre  26 foto le  trovate    su  http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/01/05/ più precisamente  qui 

PINO DANIELE NON C'È PIÙ


"All'intrasatta", direbbe Totò. Pino non te l'aspetti, ti stordisce. Pino era l'adolescenza ribelle, quando davvero il Sud somigliava all'Africa laica, che si liberava dall'oppressione coloniale. Le canzoni di Pino Daniele fiammeggiavano come un tramonto violento. Contenevano rabbia, passione, mestizia. Ed erano, soprattutto, numerose. "Terra mia", "Napule è". "



Chillo è nu buono guaglione" (un femminiello, cioè), "Che calore", "Je so' pazzo", "Oi né"... pur se io resto legata in particolare a "Nero a metà" dove mi piace praticamente tutto. "Voglio di più" e "Alleria" varrebbero l'acquisto dell'album, un album già del successo, eppure ancor scabro, masaniellesco, scuro come un dipinto barocco. Greco anche, il tipo fisico in cui Daniele giustamente si rispecchiava. Pino cantava quasi sempre in un napoletano smozzicato, lallazione di bimbo sporco, e tuttavia lo capivi, anche se a Milano, e non solo lì, non afferravi una sillaba. Il napoletano di Pino Daniele non era l'unica lingua ad aver conquistato l'universalità, ma l'ha raggiunta in modo diverso sia dalla grande tradizione che l'aveva preceduta, sia dai contemporanei che facevano di tutto per scrollarsi di dosso l'immagine convenzionale della loro metropoli. Nel momento in cui esasperava certi tratti lazzareschi, Pino se ne staccava nettamente. Era la Napoli che non ci stava, la stessa - paragone spontaneo, scontato, lo so: ma inevitabile - dell'amico Troisi.
Poi, certo, il meglio l'aveva dato in quegli anni '70 ormai allo scarto (e allo sbando). Poi erano state belle canzoni, emozionanti pure, ma legate, inevitabilmente, a una storia diversa. Come tanti, come tutti. Ma Pino, e Napoli Centrale, e James Senese, e Tullio De Piscopo già con una sua vicenda, e gli sguardi seri e cupi nelle copertine in bianconero... restano impressi negli occhi e sul rigo musicale. Per me, era ancora una volta tramonto. Quello dell'estate '79, all'Arena di Milano, ancor semisconosciuto, durante un concerto gratuito (in coppia con Finardi, e quasi suo supporter) organizzato dall'Unità. Allora ci si credeva, e allora io credevo in Ilaria, amica d'una conclusione, amica d'un biennio in corsa. Amica smarrita. Pino lo ascoltammo sdraiate sul manto erboso e spelagno, ancor tiepido di stelle, e il mondo sembrava migliore.

                                            © Daniela Tuscano

4.1.15

la leggenda dei dimonios ( la brigata sassari ) nacque da una rissa fra soldati sardi e soldati laziali ?

Come  ho già  detto  su mie   account  e  pagina di facebook 
a tutti\e voi e d ai vostri contatti che si meraviglionoo mi dicono che sono strano perchè racconto nel mio blog ( www.ulisse-compagnidistrada.blogspot.com ) racconto storie della gente e del mondo animale . << Non sempre la storia è quella raccontata nei libri o registrata negli archivi. La storia infatti cammina anche seguendo percorsi che restano oscuri, dei quali si conoscono magari gli effetti e le conseguenze, ma non l'origine. Rimangono cioè nell'ombra uomini e donne che, con le loro vite e le loro scelte, hanno determinato eventi che hanno poi lasciato il segno. Questi protagonisti della storia, senza nome e senza volto, sono destinati a essere inghiottiti dall'oblio. Ma ci sono rari casi in cui ricordi remoti o testimonianze apparentemente insignificanti possono, dopo moltissimi anni, riaffiorare dalle nebbie del tempo e ricomporsi, annodando il filo sottile di vite sconosciute al grande rocchetto della storia. >>( Piero Mannironi  la nuova sardegna  versione  online  del  4\1\2015  )
Spero    che questra  sia  La  risposta   a chi mi chiede  nonostante il maifesto e  le faq  con rispettivi aggiornamenti  il  perchè  del tag :  le  storie ,  storie  , ecc  e  soprattutto perchè racconto simili cose
La  storia  che riporto  oggi  , secondo me  verosimile perchè  :1)  c'è  una testimonianza   indiretta  padre-figlio, ma  allo stesso tempo  anche  diretta coomilitoni  e  amici del padre   che   può essere  confermato incrociando i  datti  d'archivio .,  2)  dal  fatto che   almeno fin 'ora dagli archivi militari ufficiali   (  ma mai dire  mai  magari per  il centenario salterà fuori  qualcosa chi  lo  sa'  ) , come  dice  lo  stesso articolista , non dicono nulla sul perché e sul come lo Stato maggiore dell’esercito del regno d'Italia decise di creare questa unità [  i due reggimenti    151  e  152  della brigata  Sassari  ] , composta solo da sardi, che diventò storia  e  leggenda nella Grande guerra.
Ora  per soddisfare  la  vostra  curiosità   eccovi  l'articolo vero e proprio  preso  da  La nuova  sardegna  online  ( non so  la data esatta di quello cartaceo )  del  4\1\2015  

La leggenda dei “Dimonios” nacque da una rissa furiosa

Nel 1914 un piccolo gruppo di artiglieri sardi a Genova si ribellò a violenze e angherie. Un generale incredulo: «Una brigata di questa gente può vincere qualsiasi guerra»

di Piero Mannironi



È il caso della nascita della Brigata Sassari. Gli archivi dell'Esercito documentano la sua costituzione il primo marzo del 1915 con due reggimenti, uno a Sinnai e l'altro a Tempio. Ma non dicono nulla sul perché e sul come lo Stato maggiore dell’esercito del regno d'Italia decise di creare questa unità, composta solo da sardi, che diventò leggenda nella Grande guerra. Ma che fu anche un importante laboratorio politico perché, come scrisse Emilio Lussu, «fu il deposito rivoluzionario della Sardegna del dopoguerra»



Nelle trincee - tra la sofferenza, la paura, la furia e l’odore acre della morte - maturò infatti tra i contadini e i pastori in divisa e i loro ufficiali una coscienza nuova della propria identità regionale, anzi nazionalregionale.
Le testimonianze. A fornire una versione molto credibile di come nacque la Brigata è oggi Daniele Lostia Falchi, detto Lelle, di Orotelli. Il suo racconto, che colma un vuoto storico, è il frutto di un lavoro lungo e paziente di ricucitura di testimonianze raccolte negli anni. Ed è un racconto ricco di
passione e di emozioni perché è anche la storia di suo padre: Andrea Lostia di Orotelli, classe 1894, figlio di Giovanni Battista e di Antonietta Marteddu.
«All'origine della Brigata Sassari – dice Lelle Lostia – c'è la storia poco conosciuta di un gruppo di artiglieri sardi che, nel 1914, si ribellò alla boria e agli abusi dei commilitoni continentali. Tra di loro c'era anche mio padre».«Era un uomo molto energico e deciso – continua Lostia –. Fu chiamato alle armi nel 1912, all'età di 18 anni, e destinato al reggimento di artiglieria Fortezza da Costa a Genova. Si distinse fin da recluta quando riuscì a far sparare il gigantesco cannone da 420 millimetri, allora in fase di collaudo. Per questo ottenne come riconoscimento una medaglia».
Ma Andrea Lostia era anche un uomo molto riservato e avaro di parole. Della sua esperienza militare parlò raramente in famiglia. Così il figlio Lelle conobbe la storia del padre attraverso il racconto delle persone che l'avevano conosciuto in quegli anni difficili e che con lui avevano condiviso molte esperienze.
«A Buenos Aires, per esempio, – dice Lelle Lostia –, incontrai anni fa un certo Gianmario Lunesu che mi raccontò come mio padre aveva aiutato lui e molti altri sardi a Genova, dove erano in attesa di imbarcarsi per l'Argentina, la terra promessa».
Ma fu soprattutto un certo Borianu Sanna di Bitti, ex commilitone di Andrea Lostia, a parlare di quella tremenda rissa che poi condizionerà la storia. «Lo incontrai quando aveva 82 anni – dice Lelle – e doveva essere uno dei pochi ex commilitoni di mio padre ancora in vita. Fu lui che mi disse: “Tutte le volte che ci trovavamo in fila per il rancio o per lavarci, noi sardi venivamo ributtati indietro a gomitate. I continentali si credevano superiori ed erano molto più numerosi di noi. Ma dal giorno che gli abbiamo dato quella batosta con tuo padre Andrea le cose sono cambiate e noi sardi passavamo avanti ai continentali nelle file».
«Ci fanno filare come bestie». In quel 1914 cominciavano a soffiare i primi venti di guerra. Il conflitto era imminente e nell’Esercito tutti i congedi erano stati sospesi. Nei reparti si respirava un'aria pesante e la tensione era altissima. Anche nel reggimento Fortezza da Costa di Genova.
«Mio padre era diventato attendente del capitano – continua il racconto di Lelle Lostia –. Una sera tornò in caserma e trovò i suoi amici sardi silenziosi e avviliti. Uno di loro gli disse: «E non bides, Andrì, chi no sunu piccande a truba, e non intendes cussu romanu a punzoso serradoso e brazzoso arzadoso abbochinande chi pro isse bi cherete totta sa Sardigna (non vedi Andrea che ci fanno filare come bestie, e non senti quel romano che a pugni serrati e a braccia alzate urla che per stendere lui ci vuole tutta la Sardegna)”. La risposta di mio padre fu come una frustata: E boisi itte sezzisi ispettanne a l'istrubbare a susu chin corazu e animu determinadu chenza los timere, poi li damus a bidere chi no bi cheret totta sa Sardigna pro los crepare e los isperdere? (e voi cosa state aspettando a saltargli addosso con coraggio e con determinazione senza temerli, poi gli facciamo vedere che non ci vuole tutta la Sardegna per dargli una lezione e farli scappare)».
Orgoglio e rabbia. Fu la scintilla che scatenò una rissa cruenta e furiosa nella quale un pugno di sardi diede una severa lezione a tutto il reggimento di artiglieria Fortezza da Costa. Un sergente maggiore finì addirittura in ospedale per una coltellata in pancia. Le autorità militari pensarono subito a una rivolta contro lo Stato, sospettando infiltrazioni angioine repubblicane tra i sardi. Andrea Lostia fu indicato come il capo di quella ribellione e arrestato. Poi, fu trasferito a Piacenza in attesa del processo.
«Di alcuni protagonisti di quella terribile rissa – dice Lelle Lostia – sono riuscito a conoscere i nomi: Giorgio Satta Puliga di Buddusò, Burianu Sanna di Bitti, Daniele Mulas di Fonni, Domenico Curreli ed Emanuele Soro di Olzai, Salvatore Nieddu di Nuoro e Giovanni Maria Masala di Nule. Mio padre escogitò uno stratagemma per non far sapere ai familiari che si trovava in carcere. Scriveva cioè una lettera per la madre a Orotelli e poi la infilava in una busta più grande indirizzata a Genova al suo amico Daniele Mulas, il quale sfilava la prima busta e la spediva ai Lostia a Orotelli. Ma due cugini di mio padre seppero per caso a Sarule, da un soldato in licenza, che mio padre era finito nei guai e non era più al reggimento. Mio zio agronomo e un suo cugino medico partirono allora per Genova dove seppero che mio padre era in carcere a Piacenza, in attesa di essere giudicato per ribellione contro le istituzioni».
I Lostia presentarono allora al comandante del reggimento le loro credenziali di appartenenti a una famiglia nobile e fedele alla casa reale, tanto che un loro zio, Giovanni Battista, nel 1808, era stato posto da re Vittorio Emanuele a capo della reale Governazione di Sassari e nominato anche comandante della Giurisprudenza.
Lo stupore degli ufficiali. Il colonnello, anche grazie alla testimonianza del capitano di cui Andrea Lostia era attendente, capì che non esisteva alcun complotto e non c’era stata una rivolta, ma solo una furiosa rissa tra sardi e continentali. Il suo rapporto convinse anche il generale che dispose l'immediata scarcerazione dell'artigliere Lostia.
«Mi fu raccontato – prosegue Lelle Lostia – che il generale, del quale non conosco però il nome, rimase profondamente colpito da quella rissa e si chiedeva come fosse stato possibile che un gruppo esiguo di sardi avesse potuto sbaragliare un intero reggimento. “Non è possibile, non è possibile” ripeteva incredulo. Dopo alcune ore convocò i suoi ufficiali e disse: “Se è vero, come è vero, che un gruppo di sardi riesce a sbaragliare un reggimento al completo, allora se riusciamo a formare una brigata di soli sardi potremmo vincere qualsiasi guerra”».
L'idea piacque allo Stato maggiore: erano nati i diavoli rossi, i Dimonios.
«Onestamente non posso essere più preciso e riferire date certe. E sfuggono alcuni nomi – conclude Lelle Lostia –. Ma questa è la storia come io l'ho appresa da una serie di testimonianze, alcune anche dirette. E con le mie parole voglio onorare la memoria di mio padre e il valore e la balentia dei sardi che hanno partecipato alla Grande guerra sugli altipiani del Carso».