Pur non essendo femminista e d essendo moto critico verso tali atteggiamenti ( vedere url sotto ) condivido mote delle loro battaglie . Infatti Pur condividendo istanze e lotte ho sempre pensato – e ancora in parte penso – che appartengano a un territorio di rivendicazione esclusivo, che richieda al maschio riconoscimento e impegno, ma gli suggerisca anche di non mettervi il il suo piede invadente e storicamente inopportuno. Insomma almeno nella rivendicazione dei diritti, si riconosca alla donna la prerogativa di fare a meno di noi, che di quei diritti siamo spesso nemici. A noi il compito di ascoltare e provvedere, per quanto ci compete.
Questa volta – però come fa anche Mario Alberto Marchi Giornalista, consulente di comunicazione su il fatto quotidiano in questi giorni – un poco femminista voglio esserlo, perché le cronache recenti offrono uno spunto di riflessione importante, al quale – da maschio – non voglio sfuggire .
Quello che più mi ha colpito in questo senso è in realtà il caso di cronaca meno considerato forse perchè difficilmente usabile e strumentalizzabile a scopi elettorali e di governo . Una ragazza eroinomane ha partorito suo figlio in un rudere, nel mezzo del tristemente famoso boschetto dalla droga di Rogoredo, alle porte di Milano. Dagli speciali di alcuni giornali in tempi non sospetti , cioè prima che avvenisse il fatto , E’ una specie di discarica umana, di terreno di smaltimento di quel rifiuto rubano che è il mondo della droga almeno quella dei poveri che non trova collocazione in nessun sistema di riciclo. Non ci si va per drogarsi, poi dipende da caso a caso da storia a storia , ma per viverci, finché dura.
Le relazioni sono tra spacciatori, in genere appartenenti alla feccia della categoria commerciale richiesta anche dalla classe alta e consumatori, in genere relitti umani che non si drogano più per qualcosa: si drogano e basta. Qualsiasi relazione gira intorno a questo e ne condivide una sorta di lenta, inguaribile disperazione.In questo teatro lei era rimasta incinta, aveva trascorso nove mesi di gravidanza e alla fine ha partorito.
Nessuna differenza rispetto a nove mesi prima: la droga, il trip, la sporcizia, la fame, il vomito, i soldi probabilmente le marchette con chi le poteva dare la roba o con chi trovava interessante far sesso in auto con una donna incinta. Nessuno che le abbia mai detto “ferma, ci penso io”. Nessuno che le abbia mai chiesto “di quanti mesi sei?”. Nessuno che le abbia mai chiesto , almeno da quello che ne sappiamo “come lo chiamerai”. Insomma quelle quattro stupide cose che si dicono a una donna incinta per esprimerle il più banale senso di partecipazione.Nulla. La droga, il trip e tutto il resto. Punto.
Ecco, dall'inizio alla fine è stata sola. Questo dovrebbe colpire, la solitudine dal primo all'ultimo momento di quello che c’è di più esclusivamente femminile, col suo carico di responsabilità e sofferenze, anche se annegate nel torbido della dose, dell’ago in vena.
Sola si è ritrovata anche la protagonista di un’altra storia, assurta alle cronache negli stessi giorni, Deborah, la ragazza che per difendere sé e la madre ha dovuto uccidere il padre. Lei – poi – è stata perfino lasciata solo ad assumersi la responsabilità di perseguire un uomo violento, intervenire durante l’ennesimo massacro a suon di botte, riconoscere la sua colpa e comminare la pena, diventata in quel momento inevitabile. Deborah è stata perfino lasciata solo a sostituirsi alla polizia, al magistrato, al giudice, al carcere. Solo che Deborah non è lo Stato, ma una persona, che non verrà giudicata assassina, ma in qualche momento della sua vita futura potrebbe sentire di esserlo stata. E sarà sola anche allora.
Condannata alla solitudine ma a differenza delle altre due il suo caso fu usato come mero strumento di politica politica propagandistica per giustificare la politica xenofoba e anti democratica in ambito dell'immigrazione era stata anche – a suo tempo – Pamela Mastropietro. Certo, sola anche lei a districarsi nel groviglio di legami famigliari difficili, frequentazioni pericolose, droga. Poi sola col mostro – chiunque fosse e quante facce abbia avuto, non importa – che l’avrebbe uccisa e fatta a pezzi. La solitudine della gioventù vissuta ai margini? No, perché prima di trascorrere le ultime ore con i carnefici, Pamela visse anche la oscena e schifosa solitudine nella quale l’aveva costretta l’uomo che le aveva dato un passaggio e poi umiliata approfittando di lei per pochi euro.
Un corollario drammatico di momenti di solitudine, sopratutto i primi due nei quali sono state lasciate tre giovani donne, proprio in quanto donne e davanti ai quali io – in quanto uomo – mi sento di dire che non è nemmeno una questione di femminismo, perché non si tratta di diritti civili da codificare, ma di concetto della persona.
La ragazza del boschetto di Rogoredo non aveva alcun diritto civile da rivendicare, ma l’aspettativa naturale di sentirsi diventare madre e non un tossica incinta, quella sì. Deborah avrebbe potuto rivendicare tutto, dall'intervento di un assistente sociale all'arresto del padre mostro, ma soprattutto il non dover ricorrere – per sopravvivere – allo strumento più classico proprio del maschio violento: la forza. Pamela, poi – che ha attraversato tutte le stazioni della via crucis umana che una ragazza possa percorrere – si è trovata talmente sola ed usata politicamente con la sua condizione femminile da subirla come strumento di abuso perfino da chi avrebbe potuto soccorrerla.In questo spazio, di solito, mi occupo di diritti e di storie Ecco questa volta voglio occuparmi del mio diritto a non entrare nel territorio delle sensibilità femminili, ma di denunciare che l’alternativa non può essere quella di voltargli le spalle e lasciare che diventi un deserto di solitudine o peggio come il caso di pamela sfrutta per scopi ideologici Lasciate sole ed usate nel momento di maggiore fragilità. Questa è in sintesi la loro storia. Non dimentichiamole e non consideriamole solo un numero del lungo elenco delle vittime della nostra vigliaccheria e misoginia.
Una ragazza di 21 anni ha denunciato di essere stata stuprata da tre persone nella notte tra sabato e domenica nel piazzale antistante al Factory, una delle più note discoteche romane. La ragazza, che è stata soccorsa dal titolare della discoteca e dal fratello, ha raccontato di essere stata violentata da un ragazzo conosciuto all’interno del locale e da altri due amici. Dopo averla stuprata i tre si sono dati alla fuga. Curiosamente però il Ministro dell’Interno Matteo Salvini – che come sappiamo riceve ogni mattina il rapporto dei crimini commessi e delle operazioni di polizia – non ha detto nulla.
Per questa volta Salvini non parla di castrazione chimica per i colpevoli
Forse il titolare del Viminale si è distratto, oggi è a Palermo per la giornata del ricordo della strage di Capaci, però il dubbio che il motivo sia un altro viene. La ragazza violentata infatti è di origine etiope. Ed è questo particolare che forse ha bloccato la mano di molti sovranisti famosi che ogni volta che un negro stupra una donna bianca sono sempre in prima linea a chiedere la castrazione chimica o altre pene medievali. Questa volta invece nulla. Della nazionalità dei presunti violentatori non si sa nulla, potrebbero essere italiani, potrebbero essere stranieri. Ma non è rilevante. O almeno non dovrebbe esserlo.
Inutile ricordare che tutte le volte che il violentatore è straniero, meglio se africano, Salvini non si fa problemi a parlarne o a farne il nome. Lo fa dicendo che non può farlo altrimenti lo accusano di razzismo. Ma quando si è trattato di parlare dello stupro per il quale erano stati denunciati un consigliere e un attivista di CasaPound Salvini si è guardato bene dal dire di quale stupro parlava.
Per la ragazza etiope violentata – sul suo corpo in ospedale sono stati trovate tracce compatibili con una violenza sessuale – Salvini non ha trovato il tempo per fare un piccolo post, un tweet, nulla. Ma non è l’unico a stare zitto.
Giorgia Meloni è occupata a passeggiare sul Tevere
Tace Giorgia Meloni, impegnata invece in un tour del “degrado” romano a base di frigoriferi abbandonati sulle sponde del Tevere nelle baraccopoli dove vivono i poveri cristi. Eppure forse è più grave il fatto che una donna venga violentata della presenza di rifiuti ammassati a Roma. Questione di priorità, in quelle zone vivono barboni e stranieri senza permesso di soggiorno, in discoteca le cose cambiano.
E non c’è nemmeno bisogno di dire che il problema non è la discoteca. Il problema è che questo stupro non può essere usato per fare campagna elettorale. Almeno finché i bravi politici e i patridioti di Twitter sempre pronti a denunciare i crimini degli immigrati, saranno certi della nazionalità degli stupratori. Perché il silenzio sullo stupro di Roma, che se a commetterlo fossero stati i neri o gli zingari avremmo già la gente con le fiaccole per strada, le ruspe nei campi Rom e un paio di decreti di espulsione pronti (inutili, perché prima si va a processo), al momento non esiste. E non esiste perché la vittima non è abbastanza italiana anche se vive in Italia da 15 anni. Uno stupro è uno stupro ed è un crimine orribile, a prescindere che a commetterlo siano “bianchi o neri, giovani o anziani”. Eppure Salvini di questo stupro non parla. Come mai?
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