11.7.20

intervista a don paolo Pala autore de L’accompagnamento dei presbiteri con orientamento omosessuale-Un approccio morale e pastorale

  Mentre la Cei sembra voler promuovere una crociata contro una possibile legge sull’omofobia, sostenendo che di essa non c’è bisogno, ignorando così che quotidianamente le cronache ci raccontano di gravi episodi di intolleranza verso chi ha tendenze sessuali diverse, qualcuno all’interno della Chiesa si interroga su come favorire l’inclusione dei gay  \  omosessuali nella comunità cristiana, e in particolare su come aiutare i sacerdoti che condividono tale tendenza. Fra  i preti – infatti – ci sono , ma  non si  sa  il numero preciso in  quanto   sono latenti  . “È possibile individuare un percorso di reale sostegno ed integrazione per presbiteri con orientamento omosessuale?”. Cerca di dare una risposta a questa domanda il libro del parroco di Palau, don Paolo Pala, che presto verrà distribuito nelle librerie dall’editore Tau. Il titolo è “L’accompagnamento dei presbiteri con orientamento omosessuale-Un approccio morale e pastorale”.
Tocca un tema delicatissimo il testo scritto dal sacerdote nato a Olbia nel 1975, con alle spalle studi di teologia morale. Ma lo fa “in modo sereno ed aperto”, si legge sulla quarta di copertina.
“L’omosessualità in sé, pur nella nostra cultura emancipata”, è scritto ancora nella presentazione, “crea ancora imbarazzo, contrapposizione ideologica e dialettica, pluralità di posizioni ‘scientifiche’. Tale questione, declinata in riferimento ai presbiteri e alle persone in formazione per il sacerdozio, desta ancora più sconcerto e per una sacralità ‘offuscata’ del ministero sacerdotale, e per una contraddizione avvertita tra le qualità umane richieste e la condizione dell’orientamento omosessuale, e per il risvolto morale di una tendenza che, anche se non esercitata, porta con sé l’alone di un disordine interiore”.Per  -- sempre    secondo  http://www.farodiroma.it/ -- il problema esiste, questa è la tesi, “sicuramente con percentuali e sfumature culturali diverse, e si profila come non trascurabile. Affatto. In un clima di confusione generalizzata sull’argomento che corre il rischio di sfiorare sovente il ‘provvedimento’ emergenziale, tenendo a bada il clamore mediatico con la sua inevitabile approssimazione”, si domanda don Pala, “è possibile individuare un percorso di reale sostegno ed integrazione per presbiteri con orientamento omosessuale?”.  [....   continua  qui ] Incuriosito   sia  dall'articolo sopracitato     ,  sia  dall'intervista    aLa nuova sardegna del 11\7\2020  che  trovate  sotto  in appendice    del  libro   di Don paolo  Pala

   




6.7.20

LE RIFLESSIONI DEL FILOSOFO SORRIDENTE - L'ultimo libro di Cristian Porcino


Porcino dà alle stampe un nuovo lavoro, Ciao, Prof!, ed è subito gioia. Come definirlo? Diario d'un insegnante ai tempi del Covid? Riflessioni degli studenti alle prese con la DaD? Troppo poco, e anche scontato, per un autore la cui cifra è l'imprevedibilità. Assieme a Cristian Porcino si sa da dove si parte ma non dove si arriva. E ciò fa di lui, oltre che un narratore, un autentico docente: colui che conduce, stimola e fa emergere la creatività di ogni ragazzo/a. Un novello Socrate - uno dei ricordi del Nostro si apre proprio con questo nome - che prende per mano i suoi Fedone e le sue Diotima, infrange le loro certezze, li fa deragliare, li emoziona, li diverte, per poi condurli sui Campi Elisi del sapere infinito. E irrisolto. Porcino assomma l'entusiasmo del giovane alla saggezza del filosofo. Non fornisce risposte, non è il suo compito. Solo nella diuturna ricerca crescono le civiltà, solo in essa si diviene adulti. Un filosofo sorridente, come il Luciano De Crescenzo cui il volume è dedicato, come la Filosofia del sorriso della quale vengono elargite vivide pennellate, ma non per questo meno rigoroso. Il titolo confidenziale del libro non deve ingannare: il "prof" è sì un amico, però la sua è una philia, affinità d'animo; elevazione. Così, si possono affrontare temi molto seri - i più squisitamente letterario-filosofico-amorosi quali Abelardo ed Eloisa, la coppia Sartre-De Beauvoir o un commosso ricordo di Sepulveda, e altri storico-antropologici (appassionanti i monologhi di Eva e Ipazia sulla condizione femminile), o di più stretta attualità: la pandemia certo, ma anche il razzismo, l'omofobia, la nonviolenza, spaziando da Marco Mengoni a Tiziano Ferro, da Woody Allen ad Harry Potter, da Pinocchio a Margaret Atwood, senza dimenticare la lezione di papa Francesco. Al termine, Porcino si fa da parte per lasciare la parola a Chaplin e al suo celeberrimo Discorso all'umanità: e ha l'umiltà di non affiancargli chiose, che necessariamente svilirebbero la pregnanza di quell'appello. Perché se è vero che le parole hanno un peso - per citare ancora Ferro -, le troppe parole sono un vuoto affabulare, un cupio dissolvi della comunicazione; chi le dilapida è una mala persona, ammoniva Carducci. Un poeta, naturalmente. E la poesia è il luogo dove il verbo si fa carne: "Io sono il ricordo, io sono te", sintetizza Porcino nella lirica conclusiva. E qui, davvero, non occorre aggiungere altro.

(Prof.ssa Daniela Tuscano)


3.7.20

Il senatore leghista Pillon invita a insultare i gay prima che la legge possa punire l'odioquindi vuol dire che possiamo mandarlo affanculofacciano qualche legge che lo vieta ?

Secondo il leghista Simone Pillon,  ed  i suoi  seguaci  poter uscire di casa senza dover temere di essere picchiati  ed insultati  sarebbe «un capriccio». Ovviamente dice anche che prima bisognerebbe pensare a quella pandemia che non gli interessa quando il suo "capitano" cerca voti violando ogni disposizione sanitaria,

 
così come pare non essersi neppure sprecato nel vomitare il so odio contro la proposta di legge Zan dato che lo troviamo a ricopiare fedelmente la propaganda di Jacopo Coghe, ossia il leader della lobby di Brian Brown di cui Pillon è faccendiere. Il risultato è questo post di ,  tesi   da me non condivisa   dice  https://www.gayburg.com/2020/06/  rara violenza ideologica, partito da un tale che si vanta di
odiare i cittadini sulla base del loro orientamento sessuale: Afferma anche che lui non permetterà che chi delinque possa essere punito. Poi, spacciando per il Milano Pride un evento che col Milano Pride non aveva nulla a che fare (ma si sa che ai "cristianissimi" leghisti piace molto dare falsa testimonianza se serve a seminare zizzania e ad odiare il prossimo loro), il leghista invita i suoi proseliti a dare libero sfogo ai peggiori insulti omofobi quasi come se l'insultare i gay lo eccitasse come una scolaretta: Opponendo i i gay a chi va a messa quasi come se il senatore fosse troppo leghista per riuscire a comprendere che anche i gay possono andare a messa, si passa a deridere chi usa i preservativi al posto di invitare il bambini al sesso bareback come la sua setta è solita fare. Eppure non aveva nulla da dite quando il suo amatissimo Salvini non usava la mascherina, se ne fregava del distanziamento sociale e cercava voti baciando persone anziane (e dunque a rischio).
 << Ma  >> ---  sempre  secondo   https://www.gayburg.com/2020/06/il-senatore-leghista-pillon-invita-a.html  ---  << evidentemente   <<  a lui interessa spargete odio, mica dire cose che abbiano senso... Ovviamente Pillon giura sul suo dio (che probabilmente si chiama Matteo) che è colpa dei gay e non del leghista se ci sarà un ritorno di quell'epidemia che i populisti negano sia mai esistita, tranne quando gli serve contro qualcuno. >> 

Ed  a  chi mi dice  che   sono  favorevole  a leggi  liberticide    sappia  che  concordo   con


Cari Salvini, Pillon e similari succedanei, bisogna ringraziarvi perché i vostri post, commenti e video sull’argomento sono la prova più evidente della necessità di una legge contro l’omofobia.



23.6.20

ricordo ancora il primo giorno scuola .... un pensiero assopito e la nostalgia si fa avanti leggendo la storia di Mimi Salis alias Su Mastru Salis: un vero maestro, non solo di scuola.

sulle  note     della   sigla  del famoso  cartone  Libro cuore Leggo questo storia trovate  sulla  home  di facebook

  da  Diego Ibrahim Manca  Ieri alle 00:29

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Su Mastru Salis: un vero maestro, non solo di scuola.
Oggi voglio raccontarvi la storia di un uomo che, negli anni 60, in un piccolo paese del centro Sardegna riuscì a dare una svolta decisiva alla lotta all'analfabetismo innescando un processo di cultura del bello e della responsabilità che ancora oggi si respira profondamente. La fortuna di averlo conosciuto, di aver potuto assistere alle sue narrazioni, di aver potuto condividere anche se per poco, una passione comune (l'amore per la propria terra) e aver avuto il privilegio di poter godere della sua fiducia, mi danno forza e speranza nell'inseguire i miei sogni. Il patrimonio enorme 
L'immagine può contenere: una o più persone, occhiali_da_sole, vestito elegante e spazio all'apertodi testi, scritti, appunti, lavori di studio vari, i millemila reperti raccolti, schedati, organizzati e presentati nel museo della tecnologia contadina di Santulussurgiu che oggi porta il suo nome, sono ben poca cosa in confronto allo straordinario esempio di vita che ha lasciato ad un'intera comunità. Molti di noi che oggi non si arrendono al ruolo di semplice spettatore passivo ma si impegnano in prima persona per quello in cui credono, è anche merito suo.

SU MASTRU
di Diego Manca

Sono un uomo fortunato: nella mia vita ho avuto buoni maestri, anche se la parola “maestro” per gran parte della mia vita era legata a una sola immagine, a quella del Maestro Salis, Franziscantoni come talvolta lo chiamavano scherzosamente i suoi ex allievi e i tanti amici.
Per tutti, a Santulussurgiu, era però, inequivocabilmente, “Su Mastru”, il Maestro per antonomasia.
Sono andato via dal mio paese all’età di 14 anni, per frequentare la scuola alberghiera di Alghero e un giorno me lo vidi davanti, sul lungomare, con il suo sorriso buono e scanzonato, i suoi capelli a spazzola, il viso paonazzo perché si era messo a correre per abbracciarmi; lui così alto si doveva chinare molto per potermi abbracciare e subito mi domandò come stavo e come andava la scuola e se mi piaceva la città. Ah, era così curioso di tutto e io mi sentivo così importante che Su Mastru si interessasse a me. Era lì per un convegno dell’UNLA, acronimo di Unione Nazionale per la Lotta all'Analfabetismo.
Da allora sono sempre vissuto fuori dal mio paese, all’estero e poi in continente, ma ho sempre mantenuto i contatti con lui, informandolo di ciò che facevo e a volte chiedendogli un consiglio, non come a un padre, ma come a un fratello maggiore. Una delle ultime volte che l’ho visto, alla festa dei cinquantenni leva 1949; ero andato a casa sua insieme a compare Michele Ardu, anche lui suo allievo e amico, per convincerlo a venire alla festa, alla quale non poteva mancare, poiché i festeggiati erano quasi tutti suoi ex allievi delle elementari. Venne e fece felice tutta la compagnia e, soprattutto, noi lo vedemmo felice, circondato dall’affetto e dalla stima di tutti.
Un paio di mesi fa, mentre cenavo con compare Michele Ardu, che finalmente dopo tanti anni era venuto a trovarmi a Firenze, squilla il telefono e compare Niccolino Migheli, anche lui suo allievo e amico, con la voce rotta dalla tristezza, ci informa che il maestro Salis è morto. In quel momento abbiamo capito che eravamo diventati orfani non solo di un padre spirituale, ma di un amico, di un fratello, di un vero maestro.
Francescantonio Salis è stato il mio maestro alle scuole elementari, dalla prima fino all quarta, quando lasciò l’insegnamento per dedicarsi completamente al “Centro di Cultura”. Allora sapevo poco di quello che realmente faceva per il nostro paese, per i giovani e per gli anziani, sapevo solo che il Centro di Cultura Popolare era stato fondata dall’Unesco per combattere l’analfabetismo e che al maestro Salis era stato assegnato il premio Unesco per l'Educazione degli adulti.
Ricordo ancora una comica conversazione nel mio vicinato, in un assolato pomeriggio d’estate: Tia Niccolina, una mia vecchia zia che frequentava la scuola serale per imparare a leggere e a scrivere insieme a tanti altri adulti del paese, appoggiata allo stipite della porta di casa gridava alla sua compagna di scuola Tia Vittoria:
“Ittoria, cun cantas emmes s’iscriet vendemmia, duas o tres?” (Vittoria, con quante “emme” si scrive vendemmia, due o tre?)”
“Boh”, custu sero du domannamus a su mastru.” (Boh, stasera lo domandiamo al maestro).
Non scrivo queste cose per prendere in giro le mie vecchie zie, che prendevano molto sul serio il fatto di poter imparare a leggere e a scrivere. Tia Niccolina aveva in Australia suo figlio Raffaele e finalmente poteva scrivergli di proprio pugno, ma soprattutto, poteva leggere le sue lettere. Tante altre madri e padri di emigrati, che avevano i figli nella lontana Germania o addirittura in Australia, potevano finalmente comunicare con loro perché avevano imparato la magia della scrittura e non solo: stavano iniziando a fare i primi passi nella letteratura, poiché molti di loro, anche se avevano già settanta o ottant’anni, avevano incominciato a leggere libri.
Subito dopo cena scappavo per andare al “centro”, dove avrei ritrovato altri ragazzi della mia età, anche loro come me ansiosi di vedere la “televisione”, dato che lì era uno dei pochi luoghi in paese dove si poteva guardare. Naturalmente c’erano anche parecchi adulti, che spesso rimanevano dopo la scuola. Sapevamo tutti però che prima dello spettacolo, prima del “Carosello”, “Su Mastru” ci avrebbe letto qualche pagina: andava avanti e indietro con il libro in una mano mentre con l’altra mimava l’azione descritta, sudato, a volte con la voce roca, oppure sorridendo per qualche frase comica o ironica, facendo sorridere anche noi. Partecipavamo tutti alla lettura, ci faceva vivere ciò che ci leggeva e ce lo faceva amare. I libri erano “Canne al vento” di Grazia Deledda, “I figli di Pietro Paolo” di Antonio Cossu, “Sonu ‘e Taula” di Giuseppe Fiori, “Lettera ad una professoressa” di Don Milani. Tra l’altro, la figura a cui il maestro Salis assomiglia di più è senz'altro Don Milani, il priore di Barbiana. L'uno e l'altro erano consapevoli che solo operando per la crescita culturale delle comunità si poteva costruire una società migliore e più giusta. Quando alcuni anni fa andai a vivere in campagna a Vicchio, nel Mugello, a pochi chilometri da Barbiana, ho conosciuto un paio di persone che erano state allieve di Don Milani e parlando con loro mi accorsi quanto avevamo in comune: un amore e una stima immensi per i nostri maestri, che sono stati per noi dei padri, degli amici, delle guide
Quando ricordo il periodo della mia adolescenza, penso a quanto sono stato privilegiato: con altri ragazzi della mia età passavo interi pomeriggi al “centro” a giocare con Checco, una cornacchia ubriacona e chiaccherona che il “centro” aveva avuto in affidamento da Bachis Migheli, un fabbro emigrato in Australia oppure andavo a prendermi un libro alla biblioteca, che il maestro Salis aveva fortemente voluto, e nelle lunghe e fredde giornate invernali ho passato lì dei momenti indimenticabili. Spesso il maestro mi consigliava cosa leggere oppure discuteva con me di ciò che stavo leggendo in quel momento, facendomi spesso ridere con la sua ironia e senso dell’umorismo. Ecco perché per molti della mia generazione è stato un vero maestro di vita e maestro nell’arte di vivere: faceva poca distinzione tra il proprio lavoro e il gioco, tra la fatica e il divertimento; questo è uno dei motivi per cui è stato tanto amato. Il maestro Salis rimarrà immortale attraverso i pensieri, i ricordi e l’amore delle persone che, come me, gli hanno sinceramente voluto bene.