6.9.20

innovare o no ? rimuovere un opera di un femminicida o no ?

Preparando la  carta  ed  cartone  per la differenziata    ho trovato  su repubblica  ( lo so che  è  un giornale   embeid  o maistream  anche  se  ogno tanto ci  sono articoli interessanti  )    del 2 settembre  questi due  articoli  interessanti    di cui  condivido qui  con  voi le mie  concenzioni opinioni in merito  Iniziamo  dal primo articolo  che  è la replica     con risposta  di Augias  sul  clamore  suscitato da     " il  Rigoletto ” di Damiano Michieletto  prodotto dal Teatro dell’Opera di Roma andato in scena al Circo Massimo   a luglio  . In particolare, s’è discusso sul diritto o meno del regista  di cambiare l’ambientazione 

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il rigoletto di  Damiano Michieletto

reinterpretando anche radicalmente le indicazioni del libretto.come il regista    concordo   che  <<  Le opere liriche del passato verranno riproposte perché sono il nostro patrimonio nazionale. Ma per tracciare una coraggiosa politica culturale credo sarebbe necessario promuoverne di nuove, non basta affidare ad un regista e al direttore d’orchestra una nuova lettura di opere del passato. Presentare le storie di oggi con la musica di oggi: solo così si può storicamente uscire dalla sterile discussione su quello che un regista ha o meno il diritto di fare. >> e aggiungo io  se  è  lecito aggiornare” i classici o  opere  del passato ? .  Pur  , anche  se  ci  sono  cresciuto  (  nonni ed  in parte   genitori  ed  amici\che  appassionati  di tale  genere  oltre  il prof     di letteratura italiana  all'università   che  diceva    che  le  opere  liriche  ed il testro  sono letteratura   ), non essendo  un esperto  ,  ma  un  semplice fruitore  ,   concordo    quando come  dice   Augias  


aggiornare  ma  senza  stravolgere  .lo stesso discorso  della lirica   vale  per tutte  le opere  letterarie   ed  umanistiche   .
IL   secondo  articolo  è un tema  abbastanza  delicato perchè    ha   a  che  fare  con la  libertà  d'espressione  artistica   e un crimine  . 

 ricollegandomi  a quanto   già  dicevo   riguardo  al riportare  e  trattare  i  fatti  di cronaca   nera  , il femminicidio in questo caso  , concordo   con Dario Pappalardo   e  con la decisione del museo    di Palazzo Grassi   si di ritirare l'opera    dalal mostra  ma  di  lasciarla  in catalogo [....] «A dimostrazione di come non si tratti di un atto di cancellazione, ma di un segno di cordoglio  verso tale  violenza  . Questa è stata la nostra risposta ».

5.9.20

La storia di Black Chopin, una piccola cornacchia salvata a Capri da morte certa e diventata una mascotte dell’isola.


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Capri pazza per Black Chopin: storia di un’amicizia tra uomo e cornacchia Maddalena la chiama, lei arriva. Nel giro di qualche minuto. Si chiama Black Chopin la piccola cornacchia divenuta quasi una mascotte sull’isola di Capri: era un pulcino in difficoltà, tre mesi fa, accerchiata dai gatti del porto turistico, quando la ragazza decise di raccoglierla e accudirla, con la consulenza a distanza di un veterinario, Giordano Nardini. Oggi la cornacchia vive libera nel cielo dell’isola ma risponde entusiasta ai richiami dell’amica umana, che ha 32 anni e fa la stilista (ma a Capri gestisce anche un B&B). Sembra una vera amicizia, dalla quale – certo – l’uccello ricava pasti succulenti e qualche coccola. C’ero, quando ha spiccato il primo volo”, racconta Maddalena, che la premiava di volta in volta con del cibo. “I corvidi riconoscono voce e volti degli umani”, aggiunge. Così oggi la cornacchia pare mostrare una certa predisposizione al contatto con l’uomo. “E in molti capresi mi mandano le foto di Black Chopin ai bordi di una piscina o in piazzetta: un messaggio per sottolineare la necessaria armonia dell’uomo con gli altri esseri viventi, in una dimensione forse in parte inedita dell’isola di Capri”.

Pasquale Raicaldo e video di Maddalena Mangialavori

per  verificare la news        ho fatto delle ricerche  ed    ho trovato la  conferma  da  caprinews 
del  5 Settembre 2020


La storia di Black Chopin, una piccola cornacchia salvata a Capri da morte certa e diventata una mascotte dell’isola. Foto e video







La storia di Black Chopin, una piccola cornacchia salvata a Capri da una morte certa e diventata nel tempo una piccola mascotte per l’isola. Una storia di amore per gli animali, di tolleranza, di altruismo che val la pena raccontare attraverso le parole di chi l’ha aiutata fin da subito prendendosene cura, insieme a foto e video che documentano l’intero percorso.
“Ho trovato la piccola cornacchia, ormai più di 3 mesi fa, sola e impaurita giù in Darsena. Era visibilmente un pulcino in difficoltà (accerchiata com’era dai gatti del Porto Turistico), zoppicava dalla zampa destra, gonfia e dolorante. Non la poggiava neppure”.
Inizia così il racconto che Maddalena Mangialavori affida al nostro giornale online.
“L’ho osservata per parecchi minuti – prosegue la ragazza – prima di avvicinarmi e raccoglierla, perché sapevo che spesso i genitori si prendono cura dei piccoli anche quando essi cadono dal nido, ma in questo caso il tempo passava, e nessuno sembrava in procinto di giungerle in soccorso. Così l’ho raccolta io.
Non era la prima volta che salvavo un animaletto in difficoltà e sapevo già a chi rivolgermi per un consulto veterinario professionale serio.
Giordano Nardini è uno dei migliori veterinari in Italia. Mi aveva aiutato già parecchie volte in passato, e così anche questa volta.
Mi ha spiegato come prendermi cura della piccola, da come nutrirla e curarla, a come procedere a pesarla giorno dopo giorno… Sempre presente e premuroso, Giordano mi ha insegnato tutto quello che oggi so rispetto a questo meraviglioso animale. E’ stato fondamentale e sincero il suo aiuto visto che da anni porta avanti l’Aba (l’Associazione Benessere Animale, fondata nel 2007 da un gruppo di Medici Veterinari) che si pone come scopo quello di aiutare concretamente animali abbandonati e bisognosi di cure”.
Oggi Black Chopin, questo è il suo nome, è un piccolo di cornacchia sveglio e vivace. Ama il contatto con gli esseri umani, dà confidenza e vuole giocare con tutti, ma non è stato facile e immediato all’inizio.
“Le prime settimane – racconta Maddalena – sono state cruciali, ancora non ero sicura che sarei riuscita a salvarla, ma una cosa era certa: è stata cresciuta libera sempre. Mai messa in gabbia, neanche dal primo momento. Non solo per un discorso etico personale, ma anche scegliendo di operare nel pieno rispetto delle leggi Italiane che lo vietano appunto. Dopotutto quando l’ho trovata era troppo piccola, non sapeva ancora volare, ma in tutto ciò desideravo che lei si sentisse pronta e così è stato. Alla vista dei primi saltelli e dispiegamenti di alucce, io e la mia amica Michelle Lauro abbiamo passato interminabili pomeriggi insieme a lei facendole fare esercizi di volo, chiamandola con un premio in cibo da un braccio all’altro dapprima, e poi spronandola via via a voli sempre più lunghi”.
La cornacchia è un animale davvero intelligente e sensibile, e così la piccola Black è alla scoperta del mondo.
“Tutta l’isola – continua Maddalena – sta facendo pian piano la sua conoscenza, anche perchè è facile entrare in sintonia con questa buffa palla di piume nere e grigie. Si riconosce che abbia già avuto un contatto umano dagli anelli blu sulle zampe, e dalla sua enorme voglia di cibo e coccole! Fabio Ferraro inoltre mi ha aiutato tantissimo in quest’ultimo periodo, ho avuto il piacere di conoscerlo e apprezzarlo sempre di più per il grande lavoro che fa sull’isola battendosi in prima persona per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente e degli animali”.
“In questi mesi – aggiunge la “madre adottiva” di Black Chopin – l’isola sta imparando a conoscere Black, e così a ricordarsi che amare gli animali si traduce in ‘rispettarli e proteggerli’, ma significa anche accettare e comprendere che anche loro fanno parte della nostra casa, la Terra. Significa comprendere che esista una profonda connessione che ci lega tutti. Vuol dire essere davvero in armonia con l’universo.
Da questa concezione nasce la necessità di un rapporto solidale e di reciprocità con l’ambiente di cui Capri si fa portavoce da sempre per le sue bellezze eterne, e oggi ancora di più forse anche con la storia di Black, una storia a lieto fine sia per la piccola, sia per il feedback positivo dimostrato dai Capresi per la tolleranza e la cura di questa creaturina”.
“Dalle esigenze individuali nascono atteggiamenti partecipativi all’interno dell’ecosistema e ogni giorno ricevo da Fabio video di tutte le persone che entrano in contatto con Black, che le danno da mangiare e giocano”, conclude Maddalena.






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Il porno che emancipa Per i ragazzi dei Paesi repressivi, l’industria del sesso è spesso l’unico strumento di liberazione dell’immaginario

da d di repubblica DI NICOLA BARONI

 I film porno piacciono anche alle donne | RagazzeOnline

 Porn is business». Michael Lucas risponde senza neanche pensare alla domanda se abbia mai consideratoil suo lavoro come una forma di attivismo. Nato a Mosca nel 1972 da genitori ebrei e naturalizzato statunitense, una laurea in legge, nel 1998 ha fondato la casa di produzione cinematografica Lucas Entertainment, specializzata in pornografia gay.
 «Ciò non significa che non possa avere un impatto positivo sulle persone. È quello che ho vissuto io stesso: la società russa in cui sono cresciuto considerava l’omosessualità qualcosa di criminale, di cui vergognarsi. Non se ne parlava, e quando lo si faceva gli omosessuali erano rappresentati come clown, esseri umani effeminati, volgari e senza sessualità». Poi nel 1990 un amico che viaggiava per lavoro in Occidente tornò con un porno in videocassetta. «Per la prima volta vidi che le persone gay erano esseri umani sensuali, di bell’aspetto, maschili e muscolosi: cose che prima non avrei neanche potuto immaginare. Inoltre facevano sesso divertendosi, senza paura, orgogliosamente: fu una liberazione».L’omosessualità in Russia è stata depenalizzata nel 1993, ma dal 2013, con la scusa di proteggere i minori, è vietata la “propaganda gay”, concetto volutamente ambiguo. Il consumo di pornografia è permesso, ma non la sua produzione, con conseguenze paradossali. L’attivista Yulja Tsvetkova lo scorso giugno è stata accusata di “produzione e diffusione di materiale pornografico” per aver postato sul social VKontakte disegni stilizzati di vagine, e rischia fino a 6 anni di carcere; ma questo stesso social è una delle piattaforme più utilizzate dai russi per accedere alla pornografia pirata statunitense, omosessuale e non. «I social e i media del Paese oggi permettono di conoscere la realtà occidentale, inoltre ci sono club e associazioni gay. Una situazione simile a quella della Russia in cui sono cresciuto si ritrova oggi in molti paesi africani e mediorientali», continua Lucas. «Ricevo migliaia di messaggi sui miei profili social da giovani di tutto il mondo, molti da paesi musulmani, che mi esprimono gratitudine per il mio lavoro».La Lucas Entertainment è rimasta una casa di produzione indipendente, mentre tutte le altre negli ultimi anni sono state acquisite dai due colossi del settore (AEBN e MenGeek), incapaci di fronteggiare da sole la pirateria e la concorrenza delle piattaforme che monetizzano la produzione amatoriale, come OnlyFans. Eppure è solo attraverso la pirateria che i video di Lucas - scaricati, tagliati, rimaneggiati, compressi - arrivano agli smartphone dei ragazzi ugandesi, che se venissero scoperti a ripetere quegli atti rischierebbero addirittura l’ergastolo. «Fino all’università non immaginavo nemmeno esistessero porno gay», racconta uno studente di 30 anni di Kampala, da tre anni in Italia, che preferisce mantenere l’anonimato. Poiché il costo della connessione a Internet in Uganda è elevato, per molti l’unico modo per accedere a questi contenuti è lo scambio su chat a basso consumo di dati: «C’erano diversi gruppi WhatsApp in cui si condividevano immagini e video porno. Un amico mi ha fatto entrare in un gruppo di cinquanta persone: non ci conoscevamo, si parlava di tutto ma in maniera superficiale. Poi, un giorno alla settimana (il porn Tuesday), era dedicato alla condivisione di video da parte di chi poteva scaricarli, magari dall’ufficio. I video erano di pochi minuti, di bassa qualità, ma bastavano». Più che un piacere superfluo, quello era il loro unico spazio di libertà: «Il sesso gay era considerato una deviazione innaturale e immorale, con quei video ho scoperto che due uomini potevano divertirsi facendo sesso, che questo poteva essere una gioia e che l’omosessualità non c’entrava nulla con la pedofilia, al contrario di quanto volevano farci credere».

da d   di repubblica  

di Nicola Baroni


L’Uganda è il Paese con il maggior numero di ricerche su Google per “gay sex pics”. Al secondo posto la Nigeria, dove gli atti omosessuali sono puniti con la pena di morte. Il costo della connessione e la scarsità dei mezzi tecnologici per ora consentono a entrambi gli Stati africani di non preoccuparsi di bloccare l’accesso alla pornografia online. Cosa che invece la Cina fa sistematicamente da 12 anni: nel solo 2010, 60mila siti web sono stati chiusi e migliaia di cyber cinesi puniti per diffusione di pornografia online. Nonostante la censura, la Cina è il terzo Paese per numero di accessi a Pornhub Gay, sottosezione della più grande piattaforma di pornografia online, che nel 2019 ha avuto 42 miliardi di visite, circa 115 milioni al giorno (il 6% del traffico del sito riguarda la sezione gay). «I giovani sono sempre riusciti ad aggirare la censura in vari modi», spiega Runze Ding, 31 anni, originario di Shenzhen e dottorando in Media e Comunicazione all’Università di Leeds. «I più tecnologici oggi usano VPN, cioè una rete di telecomunicazioni privata che permette di cambiare la posizione virtuale del proprio IP, per accedere a piattaforme occidentali, da OnlyFans a Twitter, che è sempre più utilizzato per diffondere pornografia. Molti utiizzano i gruppi di WeChat -il WhatsApp cinese - per vendere e acquistare video, poi ci sono le chat online, i social come Weibo, le app di live-streaming, insomma ogni piattaforma è buona». Ding ha passato quasi un anno, tra il 2016 e il 2017, con alcune comunità di giovani omosessuali di Guangzhou e Pechino, e ha intervistato 82 ragazzi nati tra gli anni ’80 e ’90. Uno degli obiettivi era capire il loro rapporto con la pornografia per uno studio pubblicato lo scorso giugno sul Porn Studies Journal. «Tutte le persone che ho incontrato hanno consumato pornografia fin da giovani: hanno imparato tutto lì, perché l’educazione sessuale nel Paese non include ovviamente i rapporti omosessuali».
Con la diffusione di Internet, quei ragazzi hanno avuto libero accesso alla pornografia occidentale e giapponese, fino a quando il governo non se ne è accorto. Tra il 2010 e il 2013, all’apice della censura online, hanno cominciato a comparire alcuni video della serie Chitu, una misteriosa casa di produzione locale. «Gli attori erano cinesi, forse prostituti, i video non di buona qualità se confrontati con quelli occidentali e giapponesi, e molto focalizzati sull’atto sessuale, senza contesto», spiega Ding. Prodotti scadenti, ma in cui per la prima volta compariva il corpo cinese sessualizzato e quei ragazzi scoprivano di essere non solo voyeur ma chiamati direttamente in causa: «A sorpresa, nonostante la scarsa qualità, tutti i miei intervistati apprezzavano quei video perché li sentivano più autentici. Per loro era più facile immedesimarsi».
La produzione locale negli ultimi anni era riemersa attraverso alcune app di live-streaming, ma il Governo nel 2018 ha attribuito la responsabilità dei contenuti trasmessi dagli utenti alle società proprietarie delle app, incoraggiandole a spiarsi e denunciarsi a vicenda. Nello stesso anno due donne sono state condannate a 10 anni di prigione per aver diffuso racconti a tema omosessuale. Il gruppo Lesbian Database ha sfidato la censura pubblicando video porno con attrici vestite: sono stati rimossi. «Ora i creatori cinesi di contenuti pornografici, piccole compagnie o individui, si stanno spostando su piattaforme occidentali come Twitter e OnlyFans», spiega Ding. «Rischiano, ma sono più determinati della censura». Con oltre 100 miliardi di dollari di fatturato annuale, stigmatizzata dai moralisti, disapprovata dalle religioni, snobbata dall’intellighenzia, trascurata dagli economisti, ostacolata dalla politica, l’industria del porno sarà anche solo un business, ma in alcuni casi è l’unica che racconti a molti ragazzi quanto sia eccitante la libertà.  

le risposte d'analfabeta funzionale Jovanotti: "Mozart e Tony Effe sono colleghi" - Belve 17/12/2024

Caro Jovanotti alias Lorenzo Cherubini Anche nelle provocazioni o nell'ironia ci dev'essere un minimo di cultura di ba...