21.10.21

ancora un caso di femminicidio avvenuto nel silenzio quasi totale . ci stiamo asssuefando oppure preferiamo guardare a quelli afgani ?

ci s'indigna giustamente per la morte della ragazza Afgana brutalmente uccisa e decapitata ma non si legge niente , salvo qualcuno\a , sull'ennesimo femminicidio avvenuto in Italia . Uccisa a martellate dall’ex fidanzato: a Castegnato Elena Casanova colpita in un agguato sotto casa da https://www.nextquotidiano.it/ La donna aveva 49 anni. A ucciderla è stato Ezio Galesi, un uomo con cui aveva avuto una relazione che si era conclusa un anno fa



Castegnato è un piccolo comune in provincia di Brescia. Poco più di 8mila abitanti, un posto in cui tutti si conoscono e dove vige un grande senso di comunità. Ma ieri sera un tragico fatto di cronaca ha stravolto il vivere quotidiano di quei cittadini. Un femminicidio, l’ennesimo in Italia, partito dalla folle mano violenta di un uomo che – anche a distanza di tempo – non aveva ancora accettato la fine di una relazione. E lo ha dimostrato nel modo più cruento possibile, brandendo un martello e
colpendo ripetutamente alla testa e al corpo Elena Casanova. La donna aveva 49 anni e viveva a Castegnato da oltre 15 anni. Un anno fa la fine della sua relazione sentimentale con Ezio Galesi, l’uomo che mercoledì sera – intorno alle 19 – l’ha brutalmente uccisa. Prima l’ha raggiunta fuori dalla sua abitazione, poi ha atteso il suo arrivo in automobile. E lì si è consumata una tragedia fatta di violenza irrazionale. Con quel martello ha prima spaccato il finestrino anteriore della vettura della donna, poi l’ha ripetutamente colpita alla testa. Colpi fatali. Secondo le prime ricostruzioni dei medici intervenuti sul posto, Elena Casanova è morta subito dopo il primo colpo.



E ad allertare i Carabinieri è stato lo stesso Galesi che si è fatto trovare dalle forze dell’ordine ancora lì, a pochi passi dall’automobile parcheggiata davanti alla casa di Castegnato della sua ex fidanzata. Aveva ancora il martello tra le sue mani ed è stato portato in Caserma e posto in stato di fermo. Per Elena Casanova, purtroppo, non c’era più nulla da fare. La 49enne lascia la figlia 17enne (figlia di un precedente matrimonio) e i tanti amici di quella comunità in provincia di Brescia. Adesso si attende la confessione di quell’ex compagno che l’ha colpita ripetutamente con un martello, fino alla morte. E il Giornale di Brescia riporta l’agghiacciante testimonianza di un vicino di casa. Vedendo cosa era successo ha chiesto a Galesi, in dialetto bresciano “cosa hai fatto?” e la risposta è stata “L’hó copàda. G’hére dìt che el fàe e l’hó fàt”. “L’ho ammazzata, avevo detto che l’avrei fatto e l’ho fatto”.
Eccoci ad un altro femminicidio. Di terrificante brutalità. Soprattutto perchè come al solito era pre annunciato Infatti

repubblica 21 OTTOBRE 2021


Negli ultimi tempi Ezio Galesi aveva lasciato scritte sui muri vicino alla villetta della 49enne, la tempestava di messaggi e di accuse


Scritte sui muri della via dove Elena Casanova abitava perché capisse "gli errori commessi". Ezio Galesi, 59 anni, anche lì aveva lasciato segnali del suo malessere per la fine mai accettata della relazione con la donna, operaia Iveco di 49 anni, circa un anno fa. La ex che ha ammazzato brutalmente a qualche metro dalla villetta a schiera dove la donna, mamma di una ragazza di 17 anni, abitava da una quindicina d'anni, alla periferia di Castegnato, pochi chilometri a ovest di Brescia.
La relazione con quell'uomo di dieci anni più grande di lei non era stata facile: Galesi ora la tormentava, la tempestava di messaggi e l'accusava di avere una nuova relazione. Sempre sui muri un'altra volta avrebbe scritto - "Goditi i 1.000 euro", quelli per dei lavoretti che Galesi avrebbe fatto in casa della donna e per i quali
non sarebbe stato pagato. In un'altra occasione avrebbe bucato le gomme dell'auto di Casanova. Ieri sera dopo averla colpita ha detto ai vicini richiamati dalle urla e arrivati in strada solo poche parole, in dialetto, prima di chiudersi nel silenzio: "L'ho uccisa io, l'avevo detto e l'ho fatto. Ero stufo".
Casanova appassionata di arte, animali e storia, già impegnata in campagne ambientaliste a livello locale, lavorava come operaia. Dei suoi problemi con Galesi sapevano gli affetti più stretti, compresi il fratello e l'ex marito che si sono precipitati sul posto e hanno assistito sgomenti ai rilievi dei carabinieri
Interrogato dal pubblico ministero Carlo Pappalardo nella notte a Brescia, Galesi si è contraddetto, poi ha solo detto: "In quel momento la volevo uccidere. Perché tanta violenza? Perché c'erano dei sentimenti, anzi no, ritratto e non voglio rispondere a questa domanda. E' stato un raptus". [...]

Ora il copione, in questo caso , è sempre lo stesso: un uomo che non si rassegnava alla fine di una relazione. E, per questo, a distanza di un anno, le ha tolto la vita, e tolto la madre a una ragazza di 17 anni. Nelle stesse ore in cui denunciamo l’orrore indicibile delle donne afghane,
ricordiamoci con le debite proporzioni visto che :
[...] La “colpa” di questa giovane donna? Non si rassegnava a smettere di giocare a pallavolo,
di fare sport, di continuare ad allenarsi, come impongono i talebani alle donne.
Militava nella Nazionale Juniores di volley, sognava di diventare una giocatrice professionista, voleva andare in bicicletta, voleva vivere. Mahjubin Hakimi è morta per fare quello che qui da noi consideriamo scontato. È morta sfidando un potere maschile mostruoso. È morta difendendo un suo diritto, certo, ma in qualche modo stava difendendo i diritti di milioni di donne perseguitate nell’Afghanistan dei talebani.[ .... dalla bacheca facebook di Lorenzo Tosa ]




anche di questa mattanza quasi quotidiana, a due passi da noi, nel silenzio assordante o quasi .
Che strazio senza fine. Ecco quindi che << Non c’è bisogno di andare troppo lontano. L’orrore è qui tra noi. E non stiamo facendo nulla per risolverlo. La storia di Elena Casanova. >> ( Lorenzo Tosa )

20.10.21

La dottoressa che cura le bambole e i ricordi , Musica e nuoto: la piscina dove si impara il ritmo, Auto come opere d'arte, il restauro è in officina

A Torino esiste una dottoressa speciale: la dottoressa delle bambole. Il suo nome è Greta Canalis, ha 32 anni e come scrive nel suo sito: "Restaura bambole, orsi e sogni d'infanzia infranti". Il suo studio si trova nel cuore del centro di Torino, in via Barbaroux, a pochi minuti dal palazzo Reale e da palazzo Madama. "Ho iniziato questo mestiere per riportare in vita i ricordi. Sono preziosi e hanno bisogno di qualcuno che li sistemi", spiega Greta Canalis. Nel suo negozio ripara di tutto: dalla bambola antica a Spiderman e Ciccio Bello. "Da me arriva chiunque, dall'anziana signora che mi porta la bambola della sua infanzia, alle madri di oggi che vogliono insegnare alla bambina a prendersi cura delle cose. Essa cura le bambole e i ricordi si definisce riparatrice "di bambole, orsi e sogni d'infanzia infranti". Nel suo studio di Torino arrivano esemplari di pregio, ma anche pupazzi moderni
di Davide Cavalleri e Andrea Joly


  incuriosito da     questo  video  
Con le corde del basso un musicoterapista sardo aiuta i movimenti in vasca di campioni come Filippo Magnini e il paralimpico Usai: un progetto nato con i ragazzi disabili



di Ilenia Mura  qui    maggiori informazioni su questo bellissimo progetto  https://www.swimnswing.it/
 ho cercato     in  in rete      e   su  riccichiara.com  ho  trovato ulteriori  informazioni 

Dario Masala e il suo progetto "Swim'n'Swing": nuotare è tutta un’altra Musica - Chiara Ricci

(Graphic Art Chiara Ricci)
(Graphic Art Chiara Ricci)

La rubrica online “Piazza Navona” incontra il musicoterapeuta Dario Masala, il creatore del progetto “Swim‘n’Swing” per imparare a nuotare a ritmo di funk, jazz e swing. Nuotare non sarà più la stessa musica!

La settimana della rubrica online “Piazza Navona” inizia con un incontro davvero interessante. Infatti, ospite della nostra piazza virtuale è Dario Masala, il musicoterapeuta originario della Sardegna che ha creato ed elaborato il suo interessante progetto Swim‘n’Swing portando la musica in piscina così da aiutare anche i nuotatori disabili a creare il proprio ritmo. Si tratta di un progetto che rivede e rivoluziona il concetto di sport e del nuoto.

Ascoltiamo cosa ha da dirci Dario Masala che mosso dalla passione per il suo lavoro ha idee molto chiare. E c’è anche un messaggio per il bassista Mark King

"Swim 'n Swing"
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Quando ha scoperto il suo amore per la Musica?

Per caso, quando avevo 17 anni un mio amico mi chiese di suonare il basso. Io non sapevo nemmeno cosa fosse. Mi presero un po’ tutti in giro per questa cosa qui. Ovviamente i miei amici erano tutti musicisti mentre io ero l’unico che non suonava ma facevo gare di nuoto. Ero un po’ scoraggiato perché suonavo con questi ragazzi che erano già bravi. Io ero un po’ giù, venivo deriso da tutti ma poi incontrai una persona, un batterista che mi disse, “Guarda, ascoltati questo e vedrai che ti verrà la voglia di suonare il basso”. Ed era esattamente un video dei Level42 e lì impazzii. Mi ritirai a vita privata per sei mesi, un anno e mi misi a suonare solo ed esclusivamente Mark King.

"Swim 'n Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Quale è stata la sua formazione artistica e professionale?

Iniziai da autodidatta con i Level42, i Toto poi passai agli Iron Maiden. Avevo questa forte doppia personalità musicale che mi caratterizza in tutte le cose che faccio. Avevo questo forte dualismo dentro di me: adoravo Mark King e Steve Harris degli Iron Maiden quindi il funk con l’heavy metal. Poi iniziai a prendere lezioni da Massimo Moriconi, il bassista di Mina. Per me è stato determinante perché con  lui ho iniziato a suonare in maniera un po’ più precisa, professionale anche se poi mi sono affidato molto più al mio istinto. Ma questa è la regola numero uno di Massimo Moriconi.

"Swim 'n Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

In che modo ha intuito gli effetti terapeutici della musica ed ha deciso di diffonderli, di metterli al servizio di chi avrebbe potuto beneficiarne?

È stato importante il mio percorso di musicoterapia, un triennio che tengo tanto a lodare, mi ha insegnato molto. Ho studiato a Milano presso la Scuola CMT, Centro di Musicoterapia Studi e Ricerche. Qui docenti super preparati mi hanno fornito importanti nozioni e ho realizzato una tesi improntata sul movimento avvalendomi dell’aiuto di una neurologa molto brava qui a Cagliari e di una fisioterapista di Nuoro molto competente. Per realizzare la tesi ho musicato i movimenti di una persona con problemi sul cammino. Abbiamo usato la musica come parte integrante di un lavoro di fisioterapia e di valutazioni neurologiche riguardati il cammino. Abbiamo compiuto un lavoro sul passo abbinando pattern ritmici e musiche suonate con strumenti  a percussione e a corda. 

"Swim 'n Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Come e quando nasce il suo progetto Swim’n’Swing?

Io ho scritto tanto sul mio lavoro utilizzando poi il mio elaborato per depositare il progetto, l’idea alla sezione Olaf, Opere dell’ingegno della Siae. Lo Swim‘n’Swing nasce quando io ero ragazzino e facevo dei seminari sul nuoto con un grande allenatore ungherese che si chiamava Thomas ma dal cognome impronunciabile e difficile da ricordare. Mi ricordo questi appunti che ci lasciava e la prima voce era il nuoto è ritmo. Allora ho pensato: se il nuoto è ritmo perché non si parla di ritmo? E da lì ho iniziato a osservare tutti i nuotatori forti che lui portava con sé per farci i corsi di formazione.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

A quel punto ho iniziato a usare tutti gli esercizi di Massimo Moriconi, ho iniziato ad ascoltare le musiche più adatte alle nuotate, ho iniziato a capire dall’esterno alcuni movimenti dei nuotatori e successivamente ho iniziato a nuotare e a capire tutti i miei movimenti, “nuotandoli e suonandoli”. Dopo averli suonati con il basso ho creato una vasta gamma di esercizi e di brani via via sempre più complessi per arrivare all’optimus, cioè alla nuotata evoluta dell’atleta. Ho sbirciato le nuotate degli atleti più forti, i video didattici di nuoto, le immagini sul web e ho iniziato a suonare con il basso tutte le  loro nuotate. Questo ho iniziato a farlo quando ero agonista intorno ai vent’anni. Poi la mia vita è cambiata perché ho iniziato a lavorare in una clinica come istruttore di nuoto per i disabili all’interno di uno staff sanitario occupandomi della parte sportiva. Dopo la chiusura della clinica e dovendo ricominciare tutto daccapo ho ripreso a sviluppare e a perfezionare questa idea.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Ho iniziato a notare che ad iscriversi ai miei corsi per disabili erano anche persone senza disabilità. In termini didattici ho ottenuto molti risultati. La musica mi ha permesso di comunicare con gli allievi in maniera diversa. Questa che propongo è una variante del nuoto che non esclude tutto il resto. L’obiettivo delle mie lezioni, infatti, riguarda la fluidità del movimento e l’intenzione ritmica della nuotata. Pensiamo a Federica Pellegrini che nuota in quel modo, ha quell’espressione ritmica e musicale che io riproduco in musica principalmente con il basso e la batteria: la batteria è lo scheletro del movimento mentre il basso è il sangue della musica dando quel  senso di movimento fluido e oscillante (proprio come l’acqua). Swing e il funk sono i generi che più oscillano cosi come fluttuano i nuotatori nell’acqua. Massimo Moriconi ricorda in un suo libro: “il walking bass va suonato con efficacia e fluidità, le stesse caratteristiche richieste al surfista con la sua tavola sulle onde”.

"Swim'n'Swing" (Courtesy of Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Queste sensazioni di oscillazione e di rotondità proprie del nuoto ce l’hanno anche il funk e il jazz e i pilastri della ritmica di questi interessanti generi musicali. Il funk dei Level42, ad esempio, è un funk particolare perché è emotivo e ha un qualcosa di quasi goliardico e frizzante che sa di festa. Loro hanno questa parte giocosa, molto rotonda trasmessa da Mark King attraverso la sua risata e la sua abilità tecnica . Un nuotatore deve essere così: pensante , giocoso e istintivo. L’equilibrio tra queste virtù compone, secondo me, il nuotatore che più si avvicina alla perfezione come per esempio i grandi Phelps, Thorpe, Pellegrini e Paltrinieri. Pensiamo alle doti di coordinazione e di predisposizione di coordinazione di Mark King che firma autografi con la sinistra e suona con la destra cantando e suonando con il basso – allo stesso tempo – linee completamente differenti. Mark King dovrebbe essere oggetto di studi di Michael Touth, il neuroscienziato americano che studia le relazioni esistenti tra musica e cervello o del Professor Giuliano Avanzini dell’Istituto Carlo Besta di Milano. Questi scienziati  si divertirebbero a studiare il cervello di Mr Level42: Mark King dovrebbe mettersi a disposizione della scienza!

Come è stato accolto il suo progetto nel mondo sportivo, in particolar modo in quello del nuoto?

Il nuoto è diviso in due grandi aree: quella degli agonisti e il resto del mondo che, spesso, non avendo accesso alla tecnica agonistica, cioè quella che ti rende maggiormente fluido in acqua, si iscrive in una palestra. Un giorno una ragazza viene in piscina per fare la lezione di prova (aveva già preso lezioni in un’altra piscina ma era curiosa e un po’ scoraggiata per la sua tecnica ), entra in acqua e mi vede con il basso a tracolla a bordo vasca con il set di percussioni. Lei ha sorriso spiazzata. Le dico di nuotare e lei nuota come solitamente fa l’adulto eseguendo colpi di gambe in ottavi continui e rigidi collegati ai quarti della bracciata. Lo schema è completamente rigido portando spesso a un affaticamento notevole. Poi è uscita dall’acqua e abbiamo iniziato a suonare cose molto semplici. Poi le ho chiesto di nuotare sulla musica e ha iniziato a scivolare rispettando la metrica che aveva suonato sui bonghi. Ad ogni sua bracciata corrisponde un’estensione numerica, metrica e di intenzione ritmica. Le persone sono tutte diverse ovviamente e io cerco di capire i messaggi musicali più adatti mantenendo delle costanti , faccio quindi  rilassare i miei allievi su dei pattern ritmici a seconda degli stili (delfino, dorso, rana e stile libero). La ragazza alla fine avanzava con il minimo sforzo ed era arrivata dall’altra parte della vasca seguendo ciò che aveva ascoltato e suonato.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)
Questo è stato fatto anche con i disabili e mi sono incuriosito quando ho visto che persone senza disabilità preferivano unirsi ai corsi più specializzati per i disabili. Adesso le persone che frequentano i corsi sono tante sia a Cagliari che a Sassari, c’è infatti un team formato da psicomotricisti, nuotatori, pedagogisti musicoterapeuti, educatori, musicisti e fisioterapisti. Piano piano sta nascendo il progetto che avevo in mente.
"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (  Per gentile concessione di Dario Masala)

Quali sono i ritmi, gli stili, gli autori musicali più adatti a metter sulle note e sul pentagramma le nuotate in piscina?

I musicisti cui io faccio riferimento sono: Mark King e quindi i Level42, i Toto, Allan Holdswroth (in particolar modo il suo disco Secret determinante per il mio lavoro), poi ci sono delle interpretazioni di Standard Jazz di Massimo Moriconi, Bill Evans, Sting e il batterista Vinnie Colaiuta. Ci sono alcune canzoni di Vasco Rossi dei primi dischi come Sensazioni forti (nella sua parte centrale è un po’ swing) e Amore, altri brani degli Earth, Wind & Fire, Dizzie Gillespie e Charlie Parker, Miles Davis, gli Yellow Jackets. Spendo poi due parole per Fabio Poddighe Sassares quattro volte campione di pentathlon, allenato da Ilario Ierace il quale ogni tanto mi concede un concerto insieme al suo atleta. Lui nuota e io suono sulla sua nuotata perfetta (dispari – asimettrica).

A chi è rivolto il suo progetto?

Il mio progetto è rivolto a chi ama il cambiamento e ha anche un po’ di timore di cambiare. Perché chi ha timore di cambiare, se cambia, diventa felice. Io mi entusiasmo dell’entusiasmo ma mi entusiasmo ancora di più con la persona che non sa di avere del talento in una cosa e quasi ride prima di scoprire di averlo. E far sì che questo si realizzi per me è interessante. Una persona che si iscrive perché vuole nuotare e rassodare i glutei non gliene frega nulla del basso o di Sting. Poi a un certo punta si compra il basso. Molti dei miei allievi in piscina, soprattutto le donne, hanno acquistato il basso e ora hanno una loro vita bassistica.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Quali sono i suoi programmi per il futuro?

I miei programmi per il futuro… io so cosa voglio ma non esiste. Non esiste perché occorrerebbe un imprenditore che anziché costruire un ipermeracto in mezzo alla città o in periferia costruisse una piscina dotata di una sala di registrazione con il marchio Swim’n’Swing realizzando un sistema unico replicabile ovunque. È un nuovo modo di pensare il nuoto con piscine molto più piccole delle tradizionali. Ma nella realtà non esiste. Esiste nella mia mente. Questo sistema avrebbe un grande successo perché non ci sarebbe concorrenza, non esistono altre realtà simili, non esistono persone in accappatoio che arrivano col basso a  bordo piscina.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Un altro obiettivo è quello di coinvolgere musicisti anche di fama internazionale facendogli suonare il loro strumento sulle nuotate degli atleti. Seguo un ragazzo che è stato costruito dal punto di vista didattico da me, con il mio metodo e successivamente allenato da Gianluca Fenu (sport full time Sassari). Lui è in carrozzina e ha un solo braccio funzionante. È un ragazzo splendido. Ha avuto un incidente ed è arrivato terzo ai Campionati italiani paralimpici nel 2018 a Brescia. Lui con un braccio solo è come se suonasse la batteria in acqua. Mi immagino musicisti suonare su nuotate di atleti disabili e non disabili, tutti insieme, dove la musica e l’acqua facciano da riduttori di barriere così da costruire un ritmo e orchestrare dei movimenti sempre più coordinati. Sarebbe interessante poi far suonare i grandi campioni della musica con i grandi campioni del nuoto. Fondamentalmente penso a Mark King e a Ian Thorpe: sono fratelli e non lo sanno.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Tra i suoi musicisti preferiti c’è Mark King il quale è molto sensibile alla Musicoterapia impegnandosi in prima persona. Vuole lasciargli un messaggio?

Lasciare un messaggio a Mark King… caspita. L’ho visto in concerto tre volte: al Royal Albert Hall nel 2008 e gli ho stretto la mano. In realtà non ho stretto la mano a Mark King ma a un pensiero perché quando una persona diventa così grande diventa un pensiero. Mark King si stacca da Mark King e diventa un sistema di pensiero artistico. Tutti i grandi  si staccano dalla musica che fanno e diventano libri, parole, modi di essere e questo è quello che accade con Mark King e sarà cosi  anche fra cent’anni.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Cosa chiederei a Mark King? Di suonare a bordo vasca sulle nuotate dei miei allievi disabili  e di nuotare con noi. Piccoli laboratori percussivi con coloro che già hanno una minima preparazione in acqua  e vorrei che venisse nella nostra vasca per suonare il basso sulle nuotate degli atleti. Soprattutto sulla nuotata di Luigi Usai che, a seguito di un incidente stradale, è in carrozzina e ha solo un braccio funzionante. Mark King si renderebbe conto che se suonasse un 7/4 col suo basso sulla nuotata di questo ragazzo (un pattern abbastanza semplice che  farebbe in tre secondi) proverebbe la stessa sensazione di suonare con Gary Husband alla batteria.

"Swim'n'Swing" (Per gentile concessione di Dario Masala)
“Swim’n’Swing” (Per gentile concessione di Dario Masala)

Quale nuotatore vorrebbe mettere in musica?

Mi piacerebbe mettere in musica Michael Phelps, cioè la sua nuotata e poi far suonare Mark King sulla nuotata di Michael Phelps. Ci vorrebbero un po’ di prove, vasca sgombra da corsie, impianto per basso di fianco la piscina, King e Phelps che si accordano su come arrangiare la nuotata. Io spiegherei le piccolissime direttive poi mi leverei di mezzo… lì il concerto è sul piatto d’argento.



                                       Auto come opere d'arte, il restauro è in officina
Viaggio nel laboratorio del Cuneese dove una coppia di sposi recupera modelli storici utilizzando le tecniche applicate per la conservazione dei beni culturali . Barbara e Ivano Toppino sono marito e moglie, lei restauratrice, lui carrozziere. Con una passione in comune: le auto d'epoca. Così dieci anni fa hanno messo su insieme, alle porte di Alba, in provincia di Cuneo, un luogo singolare: l'Atelier Toppino, dove si recuperano appunto le auto storiche utilizzando le tecniche del restauro d’arte. L'ultima novità? L'uso di un particolare laser per ripulire i metalli, un'idea che presentano alla fiera Auto e Moto d'Epoca di Padova del 21-24 ottobre 2021. Ecco un viaggio dietro le quinte del loro atelier, tra carrozzerie rimodellate, risanamenti di tessuti, studi sulle vernici, lavori certosini su auto ma anche carrozze.


di Giulia Destefanis

19.10.21

Da Assunta Legnante a Vincenzo Boni, da Angela Procida a Gianni Sasso, capitano della nazionale di calcio per amputati: sono i portavoce di 2000 atleti disabili e chiedono che non si spenga l'eco delle Paralimpiadi di Tokyo: "Perché qui in gioco c'è la vita"

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Oltre la disabilità: i campioni e le storie dello sport campano senza barriere

Angela Procida 

Sono storie di passione e di coraggio. Storie straordinariamente normali. Perché loro rispondono tutti allo stesso modo, più o meno: "Non chiamateci eroi, semplicemente ci mettiamo gioco, come se i limiti non esistessero". Eppure i limiti ci sono, o meglio: ci sarebbero. Un arto mancante, la sedia a rotelle, la vista che non c'è più, o quasi. Quanto basta per smettere di giocare? Per nulla. Perché l'esercito silenzioso degli atleti paralimpici campani suona la carica per chi vorrebbe desistere, dopo una diagnosi o dopo un incidente. O non vorrebbe neanche iniziare, in caso di una malattia congenita.

 La nazionale di calcio 
E se va spegnendosi l'eco delle ultime Paralimpiadi di Tokyo, dove l'Italia ha conquistato 69 medaglie (secondo risultato di sempre ai Giochi dopo le 80 di Roma 1960), l'obiettivo - oggi più che mai - è continuare a far crescere il movimento.  Dice Rossana Pasquino, classe 1982, beneventana, paraplegica dall'età di 9 anni,schermitrice: "Sappiamo che tanta gente, guardandoci giocare su una carrozzina, superare i limiti, ha pensato: forse è il momento giusto per iniziare, forse è tutto possibile. Ecco, per me Tokyo è stato soprattutto questo: il fascino di un villaggio olimpico condiviso con 4000 atleti, miriadi di diverse disabilità eppure la stessa voglia di esserci, di fare sport, di provare a scalare il nostro personale Everest". Chapeau. Non ha vinto la medaglia, lei, ma ha fatto centro.

Noi, esempio per tanti ragazzi


Vincenzo Boni, napoletano, classe 1988, è invece affetto dalla sindrome di Charcot MarieTooth, una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico, da quando aveva 6 anni. Ma ha iniziato lo stesso a nuotare.
"Quando ci sono avvenimenti come le Paralimpiadi, diventiamo all'improvviso celebri. La Rai ci ha aiutato, mostrando gratuitamente le nostre gare e noi ci siamo sentiti ciascuno nel suo piccolo icone di resilienza. Ora però bisogna assecondare questa scia. Tanti ragazzini con disabilità si sono detti: 'Chissà, forse allora posso farcela anche io'. Se mi sento un ambasciatore dello sport per disabili? In fondo lo sono, perché giro nelle scuole per testimoniare quanto possa essere importante fare attività sportiva. Ecco, le Paralimpiadi sono state una piccola rivoluzione culturale. Lo sport è soprattutto la chiave per accettare se stessi. E io al nuoto devo tantissimo".
Classe 1978, originaria di Frattamaggiore, Assunta Legnante ha iniziato a lanciare il peso da adolescente. Disegnava il cerchio della pedana con il gesso, in uno spiazzo alle spalle del cimitero comunale: da piccoli, la fantasia è l'alleato migliore per arrivare ovunque. E lei è arrivata per davvero ovunque: campionessa europea indoor del getto del peso a Birmingham 2007, primatista nazionale indoor con la misura di 19,20 m, volte campionessa paralimpica e detentrice del record mondiale di categoria con la misura di 17,32 m.

Assunta Legnante 

Perché la sua vita è fatta di due vite, come quella di tanti atleti paralimpici: colpa di un glaucoma congenito. "Lo avevo sempre gestito con i medicinali - racconta - ma poi dal 2009 i miei occhi hanno iniziato ad abbandonarmi, finché nel 2012 ho perso completamente la vista". Ed è lì, quando tutto si fa buio, che il carattere fa la differenza. "Mi chiamò la Fispes, che ami corteggiava insieme al Comitato Italiano Paralimpico per propormi le Paralimpiadi. Io risposi proprio così: 'Ma siete matti? Come fa un cieco a lanciare un peso?'. Decisi di provare". Il resto è storia recente, in parte recentissima: a Tokyo Assunta Legnante ha vinto la medaglia d'argento.


Il movimento in Campania: un esercito di 2000 atleti


In Campania esistono circa 220 società iscritte al registro paralimpico, che abbracciano naturalmente diverse discipline, per un totale di circa 2000 atleti disabili praticanti. Per molte associazioni, la sopravvivenza è spesso appesa a un filo. Lo scorso agosto il Comitato italiano paralimpico (Cip) ha stanziato 5 milioni di euro per le società sportive paralimpiche. L'obiettivo? Sostenere la ripresa delle attività dopo la pandemia. La Campania si è vista assegnare, quali contributi a fondo perduto, la somma di circa 170 mila euro già ripartita ed erogata a 92 società sportive, in misura proporzionata all'attività e ai risultati raggiunti. "Soldi utilissimi, una boccata d'ossigeno - l'unica pubblica - per non morire", spiega Carmine Mellone, presidente del Cip Campania.
"I riflettori si spegneranno dopo le Paralimpiadi? Inevitabile. - prosegue - Mi rammarica che l'attenzione mediatica, di cui siamo grati alla stampa e alle televisioni, non si traduca in un'attenzione concreta nella politica regionale. Il presidente De Luca non ha ancora assegnato la delega allo Sport, né è stato costituito il comitato tecnico sportivo con undici rappresentanti, previsto già dieci anni fa dalla legge regionale sullo sport. Lo sport è una Cenerentola, quello per disabili ancor di più. In Puglia, per dire, sono stati destinati all'attività paralimpica 500 mila euro in tre anni per le scuole. Da noi, zero. Con queste premesse, aver portato otto atleti paralimpici campani alle Paralimpiadi è stato un piccolo miracolo per il quale ringraziamo i tanti, atleti e tecnici in primis, che hanno fatto tanti sacrifici, in particolare durante il lockdown. Questo è un movimento che, per ora, si regge sull'appassionato impegno delle singole società, cuore pulsante di un movimento che noi abbiamo il privilegio di coordinare".

"Se puoi sognarlo puoi farlo"


Qui De Coubertin impera. Perché c'è competizione e agonismo (sono, del resto, il "sale" dello sport), ma tornare da Tokyo senza una medaglia al collo non è stato, per nessuno, fonte di amarezza. C'è chi ci riproverà a Parigi nel 2024, c'è chi è contento così e basta. "Sono andato in Giappone con la voglia di divertirmi, di mettermi alle spalle la pandemia e di gareggiare in un impianto stupendo. - dice Alessio Boni - Certo, mi sarebbe piaciuto vincere una medaglia, ma ho stretto volentieri una mano a chi è stato più bravo di me e, senza retorica, sono tornato a Napoli arricchito dall'esperienza e confortato dalla percezione che il movimento paralimpico natatorio, in particolare quello italiano, sia in grande crescita. Lo attestano, del resto, i tanti ragazzini che si avvicinano allo sport e le strutture che si affiliano alle federazioni paralimpiche".

Angela Procida 

Quinta, nella finale dei 50 dorso S2, è invece arrivata Angela Procida, appena 21 anni, volto genuino e sorridente di Castellammare di Stabia. Il suo motto è semplice: "Se puoi sognarlo, puoi farlo". Lei ha iniziato a sognarlo dopo la tragedia. Accade sempre così, in queste storie spesso tremende e senza sconti. Aveva 5 anni quando in un incidente stradale persero la vita il padre e la sorellina di sei anni. "Io subii un danno permanente alle gambe, che mi ha costretto sulla sedia a rotelle. L'incidente ha cambiato la mia vita. In peggio? No, in alcune cose in meglio". Dice proprio così, Angela. E aggiunge: "Bisogna guardare il lato positivo di ogni cosa. Oggi, a 21 anni, sento di essere in grado di affrontare qualsiasi ostacolo. Ognuno di noi può contribuire a modificare i destini del mondo". E sullo Sport, quello con la 's' maiuscola: "Aiuta a riabilitarsi, in tutti i sensi. Nel senso fisico e meccanico, naturalmente, ma anche e soprattutto in senso psicologico. Ti aiuta a superare i limiti, ti dà tranquillità".

Angela Procida  

Alessandra, Emanuele e Matilde: storie straordinarie


Alle Paralimpiadi di Tokyo la Campania ha calato anche altri assi: Alessandra Vitale, capitana della Nazionale italiana di "sitting volley" e giocatrice della società Nola Città dei Gigli, è ambasciatrice del Comitato Italiano Paralimpico. "Quando parlo della mia esperienza - dice -  voglio far capire che tutto si può superare, che è necessario riuscire a vedere lo stesso problema da un altro punto di vista o, per dirla in altro modo, cercare più punti di vista a un problema". E dopo il Giappone (dove la Nazionale italiana di sitting volley è finita sesta), la "mission" di Alessandra non si ferma: "Continueremo a essere presenti nelle scuole e nei centri di riabilitazione, dove porterò la mia esperienza e cercherò di far capire come lo sport possa essere in questi casi un'ancora di salvezza fondamentale. Io non sono nata con la mia disabilità: non avevo assolutamente idea di quello che poteva significare. Lo sport per me è stato un appiglio importante: voglio trasmettere questo messaggio a tutte le persone che incontro".

Alessandra Vitale 

E ancora: napoletano doc è Emmanuele Marigliano, classe 1995, già oro ai campionati europei di nuoto di Madeira, in Portogallo: il ragazzo di Barra, periferia est di Napoli, ha scelto il nuoto per scopi terapeutici, a causa di una disabilità causata da un'asfissia neonatale. Ha subito, nel corso della sua vita, 14 interventi chirurgici. "In Giappone non è arrivata la medaglia, ma esserci è stato già un grande risultato. Ringraziamo i tanti che ci hanno seguito, i media che hanno fatto da cassa da risonanza. Partecipare a un evento del genere, per me che sono partito da zero, è motivo d'orgoglio: spero che in tanti, con storie simili alla mia, possano arrivare a tagliare un traguardo del genere".

Alessandro Brancato, canottiere del Reale Yacht Club Canottieri Savoia, è arrivato invece quinto ai Giochi Paralimpici di Tokyo a bordo del "quattro con PR3Mix". A Parigi 2024 l'obiettivo sarà il podio.


Altro sport, altra storia. Neanche a dirlo, eccezionale. Matilde Lauria è una judoka sordocieca: ipovedente all'età di tre anni a causa di una miopia maligna che, negli anni, è peggiorata. Dopo la vista ha iniziato a perdere anche l'udito.
Vive a Montesanto, tesserata con l'associazione polisportiva Partenope, è iscritta alla Fispic (Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi) frequenta la Lega del Filo d'oro. A 54 anni ha coronato il sogno di una Paralimpiade. "Ho gareggiato per tanti ragazzi e ragazze ciechi, sordi o con altre disabilità, a cui nessuno ha mai detto che possono essere bravi in uno sport", dice. Touché.

L'ischitano Gianni Sasso con la maglia della nazionale di calcio per amputati 

Tutti insieme, senza differenze


Uscita agli ottavi di finale e ai quarti, anche Pasquino sfoglia con piacere l'album dei ricordi. "Tokyo resta un'esperienza indimenticabile, fino a tre anni fa non immaginavo di potermi giocare le mie chance in una Paralimpiade. - dice - Certo, l'appetito vien mangiando e una volta in Giappone confesso che avrei voluto toccare con mano qualcosa che non c'è stato. E soprattutto nella sciabola contavo di conquistare una medaglia. Ma va bene così. E poi la vera conquista, anche grazie al numero significativo di medaglie complessive, è aver fatto rumore, tutti insieme". Rumore, già.
Come quello che fa chi partecipa a "Più Scherma meno schermi", il progetto di integrazione e inclusione realizzato spontaneamente in una palestra di Napoli, complice l'impegno di Sandro Cuomo, ct della Nazionale italiana di Spada. L'obiettivo è far allenare e combattere insieme - per la prima volta - soggetti con diverse disabilità unitamente ai normodotati, mettendoli ad armi pari in pedana. Perché l'ultima sfida è proprio questo: abbattere anche le differenze. Accade per esempio nel "baskin", la nuova attività sportiva che si ispira al basket e che in Campania sta trovando terreno fertile: è stato pensato per permettere a giovani normodotati e giovani disabili di giocare nella stessa squadra (composta sia da ragazzi che da ragazze, altro dettaglio di non poco conto). In campo scendono dunque giocatori con qualsiasi tipo di disabilità (fisica e/o mentale) che consenta il tiro in un canestro. "Si mette così in discussione la rigida struttura degli sport ufficiali e questa proposta, effettuata nella scuola, diventa un laboratorio di società", spiegano gli ideatori della disciplina.


Un calcio alle barriere


Lo Sport con la 'S' maiuscola, dunque. Dove il risultato finale non è assillo, assolutamente. Non è arrivata sul podio, ai recentissimi Europei in Polonia, la Nazionale italiana di calcio per amputati: è finita sesta sulle quattordici partecipanti, staccando comunque il pass per i Mondiali, in programma nel 2022 in Turchia. Tra i veterani, uno straordinario ultracinquantenne di IschiaGianni Sasso. Aveva 16 anni quando fu travolto da un'auto - lui era in vespa - su una strada della sua isola. Sognava di diventare Maradona, non si è dato per vinto. "Vidi la mia gamba staccarsi e rotolare via, sembrava la fine di tutto. E invece non mi sono mai fermato - racconta oggi a Repubblica - e con il triathlon sono arrivato alle Paralimpiadi a Rio de Janeiro. Ma il mio grande amore resta il calcio, senza dubbio. Bomber del Vicenza e colonna della nazionale, oggi racconta: "Il movimento calcistico italiano sta facendo grandi passi in avanti, ma ci sono paesi come la Turchia, che ha appena vinto gli Europei, dove la popolarità della nazionale di calcio per amputati è quasi vicina a quella dei cosiddetti normodotati. Al ritorno in patria, Instabul ha celebrato la sua nazionale campione d'Europa. A Cracovia, in ventimila hanno seguito la partita inaugurale del torneo. Noi stiamo crescendo, qualche anno fa sembrava inimmaginabile anche solo un campionato per squadre nazionale: quest'anno avremo anche la Coppa Italia. E credo in generale - continua Sasso, che ha anche un passato da podista (con record del mondo annesso) - che l'attenzione per gli sport paralimpici non scemerà: abbiamo finalmente raggiunto una popolarità e una simpatia nel grande pubblico tali da garantirci una certa continuità nel tempo".Il dubbio, semmai, è nella vita quotidiana, dove - nei meandri di città piene di insidie, Napoli in primis - gli ostacoli - che siano pregiudizi o marciapiedi insormontabili - continuano a sopravvivere. "C'è ancora tanto da fare. - spiega Sasso - E lo dico dopo aver toccato con mano realtà come l'Australia e gli Stati Uniti, dove anche chi vive in carrozzella riesce autonomamente a fare la spesa o andare al museo. Ma sono ottimista: la sensibilità di chi amministra sta crescendo e aiuterà a risolvere difficoltà anche strutturali. Penso ai nostri edifici, alle barriere architettoniche, ai centri storici. Io faccio attività di coaching e parlo nelle scuole. Con i bambini, è bellissimo. Loro non hanno filtri: ti chiedono che fine abbia fatto l'altra gamba, vogliono palleggiare con te. Stabiliscono una forte empatia e comprendono il valore della diversità. Quel che dico a tutti è che non importa arrivare alle Olimpiadi, o alle Paralimpiadi: l'importante è misurarsi con sé stessi, e lo sport può essere decisivo". E queste storie lo dimostrano.

La storia del padre che denuncia il figlio 16enne che aveva pestato un compagno di scuola È accaduto a Castrolibero, in provincia di Cosenza. Il giovane ha pestato un ragazzo di 14 anni e, alla fine, ha confessato tutto ai genitori che non hanno esitato e lo hanno portato dai Carabinieri


Questa lettera  e  questo  fatto mi interrogano prima come zio diretto ( la figlia di mio cugino ) ed indiretto  (  il nipote di un parente lontano di mia nonna   paterna  )  e poi come cittadino. Essa Impone a tutti noi una riflessione profonda sulle nostre idee, le nostre convinzioni, sul confine tra le nostre certezze e le nostre debolezze umane. Mi auguro di non vivere mai quello che stanno vivendo i genitori di entrambi, vittima e carnefice, ma mi auguro, se mai dovessi ritrovarmi in quei panni, di avere la stessa dignità di questi genitori. Ma  soprattutto  , mette  in discussione   , le mie credenze  che     certi   genitori    difendo  i  figli a spadfa  tratta  anche  quando  sono  colpevoli  e  li giustificano  sempre  . 
 riprendono  la  news  dal  contatto

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A Castrolibero (Cosenza) accade che un ragazzo di 16 anni massacri di botte uno di 14 e poi confessi tutto ai genitori. In tanti avrebbero difeso il figlio, lo avrebbero coperto, giustificato oltre ogni evidenza. Loro, i genitori dell’aggressore, no. Hanno fatto una cosa molto più semplice e difficile a un tempo: hanno informato le forze dell’ordine. Poi il padre ha spiegato tutto in una lettera di rara dignità e cruda bellezza.
“Da poche ore abbiamo appreso, da nostro figlio, che è lui l'autore dell'aggressione al giovane di Castrolibero. E, da quello stesso istante, il mondo ci è crollato addosso, con una sola certezza: quella di dover informare le Forze dell'Ordine.
Il fatto, da qualunque angolazione lo si guardi, è di gravità inaudita. È grave per la giovane vittima, è grave per la sua famiglia, è grave per nostro figlio, è grave per nostra figlia che,
frequentando quella stessa scuola, rischia di portare il peso di comportamenti non suoi e, se possibile, è ancora più grave per me e mia moglie, che stiamo vivendo il dramma di un fallimento. Perché in questo momento ci troviamo a sperimentare che quello del genitore è veramente il mestiere più difficile al mondo.
Non facciamo altro che chiederci dove abbiamo sbagliato, dopo aver vissuto una vita intera guidati dai valori dell'accoglienza, della correttezza e del senso di responsabilità. Valori lontani anni luce da queste azioni. Non so se avremo mai risposta a questa domanda, ma, proprio sulla base dei valori che ci guidano, riteniamo giusto che nostro figlio impari ad assumersi le sue responsabilità ed a rispondere delle sue scelte e delle sue azioni, sebbene ancora minorenne”.
[....] << Se davvero voglio aiutare mio figlio >> ha dichiarato   a https://www.nextquotidiano.it/  << devo farlo alla luce del sole, non possiamo nasconderci. C’è bisogno che la comunità capisca”, ha scritto il padre del 16enne che aveva picchiato, solo qualche giorno fa, un 14enne in un cortile della sua scuola. Perché il giovane, per motivi ancora da chiarire, aveva ripetutamente colpito al volto l’altro ragazzo. E la madre di quest’ultimo aveva condiviso sui social le foto del minore con il volto insanguinato dal letto del Pronto Soccorso della cittadina in provincia di Cosenza.
Lo aveva fatto per cercare la verità dietro a quell’assurda aggressione. Lo aveva fatto per chiedere a chi avesse visto quel pestaggio di farsi avanti e testimoniare. Ma i giorni sono passati, senza notizie in merito. Fino al “crollo” del 16enne che ha deciso di raccontare ciò che aveva fatto al suo compagno di scuola. E, allora, i suoi genitori hanno trovato il coraggio educativo di fare quel che doveva essere fatto: andare dai Carabinieri per auto-denunciare il proprio figlio. E il padre ha spiegato perché ha deciso di portare avanti questa dolorosa decisione: “Il fatto, da qualunque angolazione lo si guardi, è di gravità inaudita. È grave per la giovane vittima, è grave per la sua famiglia, è grave per nostro figlio, è grave per nostra figlia che, frequentando quella stessa scuola, rischia di portare il peso di comportamenti non suoi. Ed è grave per me e mia moglie, che stiamo vivendo il dramma di un fallimento. Perché in questo momento ci troviamo a sperimentare che quello del genitore è veramente il mestiere più difficile al mondo>>.
Credo come lui che tutti dovremmo dir loro grazie per questo esempio in quanto questi sono Genitori di rara correttezza e responsabilità nei confronti della vittima, del figlio e di loro stessi....decisione difficile, molto difficile , ma che in futuro consentirà a questi genitori il poter andare a testa alta davanti al mondo ...... e per il figlio speriamo un grande insegnamento di vita che difficilmente dimenticherà !!! Infatti questa è una vicenda che racconta di come, spesso e volentieri, sia difficile per i genitori rendersi conto di ciò che fanno i propri figli. Ma si racconta anche come ci sia il tempo per recuperare e restituire al mondo un senso di educazione in linea con il proprio ruolo genitoriale.

 Questo per tutti quelli che dicono che dietro ad un qualsiasi gesto, non c'è una buona famiglia. I ragazzi seppur abbiano alle spalle una buona educazione e valori spesso compiono gesti che nulla hanno a che fare con ciò che gli è stato insegnato. Non sappiamo cosa in quel momento gli passava per la testa, questo non significa che i suoi genitori non siano delle brave persone. Il fatto che lui stesso alla fine abbia denunciato la cosa ai genitori vuol dire che le basi le ha... Ora resta solo da capire e lavorare su di lui perché non si ripeta questa violenza. Complimenti ai genitori per la denuncia, la lettera e per metterci la faccia prendendosi tutta la responsabilità.


 

 

18.10.21

la storia di Jamil primo cittadino di Rimini e come è andata a finire a rondanina

 



      riepilogo 
COSA ERA SUCCESSO

Questa volta si sono recati al voto in 49 e il primo cittadino è stato eletto con uno scarto di 3 voti
Dopo il clamoroso pareggio nel comune più piccolo della Liguria, a Rondanina vince Tufaro

da https://www.primocanale.it/notizie/ lunedì 18 ottobre 2021






GENOVA - È finita 26 a 23 nel comune di Rondanina per il sindaco Gaetanino Giovanni Tufaro. Sì, perché nel comune più piccolo della Liguria, dove gli elettori sono in totale 76, si era finiti al ballottaggio per l’elezione del nuovo primo cittadino. Al primo turno Tufaro, ingegnere residente (e lavoratore) a Genova, già sindaco per due mandati qualche anno fa, ha ottenuto gli stessi voti del 'rivale' Claudio Casazza, pompiere in pensione e residente in paese, anche lui già consigliere. Il clamoroso pareggio – 22 voti a testa, con una scheda bianca – avevano sorpreso la cittadina in alta val Trebbia.
Lo scarto di 3 voti ha fatto sì che vincesse la lista Innovazione Progresso Rondanina. Gaetanino Giovanni Tufaro era già stato sindaco dal 1995 al 2004. Questa volta i 49 votanti hanno tutti espresso chiaramente la propria preferenza, senza schede bianche o nulle. Se così non fosse stato, davanti ad un nuovo pareggio, avrebbe vinto Casazza della lista civica Rondanina per noi in quanto candidato 'più anziano'. L'affluenza questa volta è stata del 64,47%, superiore rispetto al primo turno di quattro elettori.