11.8.23

Benita di © Daniela Tuscano

IL condominio ha i mattoni a vista, cupi, tristi. Ma in questo scorcio d'estate dànno una piacevole sensazione d'ombra. Benita è la donna alla finestra, la prima. Si affaccia direttamente sul viale, una zanzariera la separa dal mondo. Protezione che reclude: "Sono qui in

prigione", si lamenta dopo avermi fermata per
strada. Cerco d'intravedere l'interno, forse un corrimano, ma non è una casa di riposo e lei ne possiede le chiavi. Indossa lo stesso scialle di certe mie remote zie, un occhio è semichiuso, l'altro emana una luce azzurrina che si espande sulla pelle, fresca e sottile. In altre età Benita doveva esser stata affascinante. Altre vite l'hanno vista a Forte dei Marmi, di dov'è originaria e che rimpiange, con quello sguardo dei vecchi indistinto ma vero, contenente le spume del Tirreno, lunghe passeggiate, abiti di percalle, automobili da corsa, ammiratori e persino quel nome così duro e rivelatore. Illusione di padre - ne sono sicura, lo scelse lui -, e poi il matrimonio, il figlio "lavoratore di qua e di là", un nipote in Brasile ora ventenne e mai conosciuto, "mi ha promesso che viene, viene, ma non arriva mai". A Benita oggi resta la sponda sul viale e il dialogo con una sconosciuta, che appena la tocchi va di fretta, poi concede un attimo di tempo (da piccola, invece, coi vecchi parlava per ore), poi si prende un bacetto dalla zanzariera, e sente la frescura di quelle mani da bimba antica, rinverdite d'innocenza. La famiglia e i parenti non salvano dalla solitudine, nelle vite mediane c'è troppo, e ti spogli pian piano, da dentro. Ma sei ancora al mondo, assetata d'un futuro grande quanto una noce, e ti affacci a una labile speranza. Forse domani quella sconosciuta passerà, e verrà a trovarti. Te l'ha promesso.



© Daniela Tuscano

10.8.23

il prezzo di chi va in direzione ostinata e contraria è anche quella di prendere anche della cantonate e scambiare la merda per la cioccolata o viceversa

   nel mio primo    numero  , seppur parziale visto che la settimana non è ancora finita ,della mia settimana  incom  \  bolletino   settimanale  ( vedere   post  precedente  )    ho preso  uan  grossa  cantonata  .   Ringrazio  l'amica  daniela   per  avermelo   fatto notare  .Avevo preso  per  affidabile  Camillo Langone  pur essendo lontano  anni  luce  da  me   . Ma  poi  ho scoperto  che  era  autore     di  un post    che   riporto   sotto    a  futura memoria  di  voi lettori \  lettrici   democratici    sessista , misogeno  ,  e  chi  più ne  ha  più ne  metta





Nicoletta Orlandi Posti  libero 30 novembre 2011

Dibattito sulla natalità, Camillo Langone: "Il genitore è il lavoro che gli italiani non vogliono più fare. Bisogna mantenerli a vita"
Togliete i libri alle donne: torneranno a far figli






Il lavoro che gli italiani non vogliono davvero più fare non è lo spazzino o il panettiere. Il lavoro che gli italiani non vogliono davvero più fare è il genitore. Si può capire: non esiste oggi lavoro più gravoso e meno remunerato, anzi, più tartassato. Una volta i figli piccoli erano braccia per i campi e quelli grandi erano bastoni della vecchiaia, adesso tocca mantenerli vita natural durante, come impone la Corte di Cassazione («L'obbligo di versare il contributo per i figli maggiorenni cessa solo quando il genitore obbligato provi che essi abbiano raggiunto l'indipendenza economica», sentenza 14123 della prima sezione civile). Ma non può essere solo questo a provocare lo sboom della popolazione e il boom dell'immigrazione. Culle vuote e barconi pieni sono fenomeni così strettamente legati che perfino un sincero xenofobo come me ha sbuffato, dopo la reazione leghista alla forzatura di Napolitano sulla cittadinanza ai figli degli immigrati. Io sono di destra perché sono realista: le ideologie e le utopie non me le bevo. E l'uscita di Calderoli («Siamo pronti a fare le barricate») non mi sembra piantata nella realtà, la Padania in armi è una visione ancora più utopistica dell'Italia senza frontiere che il Presidente della Repubblica vuole imporci a suon di colpetti di stato. CULLE VUOTE Da troppo tempo la Lega abbaia ma non morde. Da troppo tempo i politici, di tutti i partiti, mica solo i bossiani, preferiscono i sogni alle statistiche. La natura non tollera vuoti, bisogna metterselo in testa: non è pensabile che una nazione si spopoli senza che alle nazioni vicine venga in mente di ripopolarla. Se in Italia il numero di figli per donna è 1,32, molto sotto la soglia di sostituzione che è poi la soglia dell'estinzione prossima ventura, ci vorrebbe altro che le dichiarazioni di Calderoli, ci vorrebbe un'atomica al giorno per impedire gli arrivi dalla Siria, dall'Egitto, dalla Libia, dove i figli per donna sono più di tre. E poi le avete viste le piramidi demografiche, quelle rappresentazioni che mostrano la popolazione suddivisa in fasce di età? Non bisogna essere ingegneri o appassionati di faraoni per sapere che le piramidi, se ci tengono a stare in piedi, devono avere base larga e punta stretta. Disgraziatamente la piramide demografica italiana è stretta alla base (pochi giovani), gonfia in mezzo (tantissimi quarantenni) e piuttosto larga in alto (molti vecchi). Più che una piramide sembra una trottola e le trottole, si sa, dopo qualche giro cadono. Per non far cascare a terra il trottolone italiano bisogna dargli un appoggio e i puntelli possibili sono soltanto due: nuova immigrazione e nuova prolificazione. Il primo non me lo auguro: mi capita sempre più spesso di trovarmi completamente circondato da stranieri (alla stazione di Brescia, in viale IV Novembre a Reggio Emilia, sui regionali notturni in partenza da Bologna...) e mi sembra di vivere un incubo. Preferisco il secondo puntello però bisogna convincere gli italiani a riaccettare il duro lavoro di padri e di madri. DIO NON C'ENTRA Come? Convertendoli all'islam? Non serve: il paese più prolifico del pianeta è il maomettano Niger (7,68 figli per donna) ma subito dopo, nella classifica della fecondità, si trova la cristiana Uganda. Quindi la religione conta poco o nulla, e a riprova ecco l'Iran, precipitato anch'esso sotto la soglia di sostituzione nonostante veli e ayatollah. Che allora convenga diventare induisti? Macché: in molte zone dell'India ancora all'apparenza prolifica il tasso di fecondità sta crollando. Oppure buddisti? Niente da fare: i thailandesi si vanno estinguendo a ritmi europei. Comunisti? Peggio che andar di notte, a Cuba si fanno meno figli che nella decadente Olanda. Se non è la religione, se non è l'ideologia, qual è il vero fattore fertilizzante? LA RICETTA Io lo so ma l'ho tenuto per la fine dell'articolo perché non avevo fretta di farmi linciare. Ebbene, gli studi più recenti denunciano lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico. La Harvard Kennedy School of Government ha messo nero su bianco che «le donne con più educazione e più competenze sono più facilmente nubili rispetto a donne che non dispongono di quella educazione e di quelle competenze». E il ministro conservatore inglese David Willets, ha avuto il coraggio di far notare che «più istruzione superiore femminile» si traduce in «meno famiglie e meno figli». Il vero fattore fertilizzante è, quindi, la bassa scolarizzazione e se vogliamo riaprire qualche reparto maternità bisognerà risolversi a chiudere qualche facoltà. Così dicono i numeri: non prendetevela con me. 
                       di Camillo Langone 

meditate gente meditate 




diario dellla settimana n° 1 anno I . veronesi lancia l'associazione save opera , marcello de angelis si contraddice su mambro e fioravanti nella strage di bologna 2 agosto 1980 , beatrice vezzi contro elodie ,

cari lettori \ lettrici  
Poichè non riesco  a  stare  h24  sul pezzo  ho  deciso  di fare  una rubrica   tipo  la  zuppa  di porro  \  settimana incom  come  facevo   chi mi  segue  dai miei esordi sul web  prima  del  blog  e dei  social sa   di cosa sto parlando  , una  Newsletters  / MailList  artigianale      che  spedivo via  email      con  fatti  curiosi  ,   sfoghi  , , commenti  , ecc.   

  ecovi il primo  numero

---  strage  di Bologna   2  agosto  1980   cambio  d'idee repintine   di   Marcello De Angelis dai  verbali  del 1980  : <<  Eravamo in guerra, temevo Fioravanti >>   a  mambroe  fior  avanti  sono   innocenti  ? 
 Noi li chiamavamo i sette pazzi”. [.. ]  da  repubblica    tramite  https://www.msn.com/it-it/
Così Marcello De Angelis definiva i Nar di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Lo si evince da un verbale inserito nella sentenza pronunciata il 30 gennaio 2000 dal tribunale dei minorenni di Bologna contro Luigi Ciavardini, uno dei condannati per la strage alla stazione. 
È un documento che disvela uno spaccato storico e psicologico sull’estremismo di destra a Roma a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, e che torna di attualità proprio mentre oggi  De Angelis - divenuto ora il direttore della comunicazione istituzionale del governatore del Lazio, Francesco Rocca - nega con foga la matrice neofascista dell’eccidio del 2 agosto, difendendo Fioravanti e Mambro dalle verità “conculcate persino dalle massime autorità dello Stato”.




Certo,Mambro e Fioravanti potrebbero risolvere molti dubbi se, oltre a proclamarsi innocenti e fasre del vittimismo dicessero il molto che sannom e portando elementi a loro discarico . Ma ognuno è fatto a modo suo ed ha un doiverso concetto di infame e preferisce essere usato e farsi usare o meglio hanno scelto di non

[....]  respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c'è qualcosa da spartire
voglio soltanto che sia prigione.[...]
  cit. Fabrizio de   andrè nella  mia  ora  di libertà 
        


-- Tra Beatrice Venezi ed Elodie, la soluzione è non schierarsi prendere \ posizione
Dopo le polemiche  fatte  precedentemente   ( I II )     ragionando con il seno di pii ed a mente fredda la scelta migliore che si dovrebbe fare in casi come questi è quella suggerita da Camillo Langone per il quotridiano https://www.ilfoglio.it/
Non posso essere di destra perché poi mi tocca dire che Beatrice Venezi è brava. Non posso essere di sinistra perché poi mi tocca dire che Elodie è la nuova Mina. Mi sembra chiaro che solo un non votante possa evitare il destino del non pensante.
 E comunque sono convinto che la vera dicotomia non sia destra/sinistra ma conservatori/dissipatori: l’essenziale è conservare la ragione. Quella cosa che serve a: 1) salvarsi dal manicheismo; 2) chiudere il video di “Pazza musica” dopo i primi secondi; 3) non confondere Venezi con Von Karajan.

----  Veronesi lancia l’associazione Save opera: “Stanchi dei cliché della sinistra nella lirica” Il maestro dopo l'allontanamento dal festival Puccini per  la  pagliacciata  : "Aiuteremo tutti coloro che vogliono esprimere dissenso verso ciò che distrugge l'arte". È polemica
Rosa Maria Di Giorgi, presidente del conservatorio Cherubini ha perfettamente ragione << Forse adesso è tempo di fermarsi e di riflettere immettendo i necessari elementi di moderazione. La proposta del Maestro di costituire un’associazione che si batta ‘contro’ la politicizzazione definita ‘a sinistra’ della musica e dell’opera mi sembra un proposta singolare e anche pericolosa. >> Infatti sembra volersi crerare una sorta di gran giurì chiamato a battersi contro la libertà dell’arte e della cultura? Stiamo superando il limite.
Vorrei lanciare un appello ad Alberto Veronesi e tutti quegli intellettuali conservatori e statici : non evochiamo controlli sulla cultura. Si sa come si parte, non si sa mai dove si arriva. Lavoriamo invece perché la cultura torni ad essere terreno franco di dibattito e di scambio reciproco. E abbandoniamo al passato tentazioni di ‘controllo’, o meglio di ‘censura’ << che appartengono ad altre epoche della storia, delle quali, immagino, nessuno ha [dovrebbe] nostalgia >>

Paolo Fanciulli, il pescatore che ha ideato un metodo geniale per combattere la pesca illegale cioè a strascico

 non riuscendo     ad incorporare  il video    d'istangram riportato  sotto  sulla  vicenda  di paolo  fanciulli     ecco    che  riprendo    da  



Combattere la pesca illegale attraverso l'arte: alla scoperta di un museo di sculture sottomarino in Italia

Opere artistiche per contrastare la pesca a strascico: i ‘guardiani’ offrono una preziosa opportunità di ripresa alla biodiversità decimata da questa pratica illegale oltre a salvaguardare una specie minacciata e fondamentale per il clima.
DA VERONIQUE MISTIAEN  PUBBLICATO 10-02-2022

“È la pietra a dirmi che espressione conferirle: è pensierosa, tranquilla”, afferma la scultrice britannica Emily Young. Scolpisce con decisione, indossando una spessa giacca, un cappello di pelle e stivali rinforzati, mascherina e tappi per le orecchie, ma senza guanti, perché “devo sentire come reagisce la pietra, attraverso lo strumento”.



Traccia qualche linea qua e là, come riferimento per un occhio, la bocca, poi inizia a tagliare la pietra con una smerigliatrice angolare – uno strumento potente per tagliare il marmo – oppure con uno scalpello e una mazza.
“Taglio finché la pietra non mi dice cosa fare. Mentre scolpivo dietro il naso, dove sarebbe apparso l’occhio sinistro, ho incontrato un’ampia venatura bianca, che scendeva dall’angolo dell’occhio fino alla base del blocco di pietra. È la traccia di un evento geologico, ma sembrava una lacrima. Ho intitolato l’opera Il guardiano che piange”.



Le opere di Young, che è stata definita “la più grande scultrice britannica vivente”, sono in mostra e conservate in collezioni di tutto il mondo, ma è la prima volta che una delle sue creazioni viene esposta sul fondo del mare.
La scultura di 18 tonnellate di Young, The Weeping Guardian (Il guardiano che piange, N.d.T.), insieme
ad altri due enormi volti (The Gentle Guardian [Il guardiano gentile, N.d.T.] e The Young Guardian [Il guardiano giovane, N.d.T.]), che ha scolpito nel marmo di Carrara con l’aiuto di due colleghi nell’arco di cinque giorni, sono stati deposti sul fondale marino al largo della costa toscana presso Talamone (tra Firenze e Roma) nel 2015. Lì sotto, i suoi massicci guardiani di pietra proteggono la vita marina dalle reti dei pescherecci che pescano illegalmente di notte – e si spera continueranno a vigilare per migliaia di anni.
Lavorazione del marmo per l’opera “La Sirena” delle scultrici Lea Monetti e Aurora Avvantaggiato.
“The Young Guardian” (Il guardiano giovane, N.d.T.) di Emily Young. Le sculture sono realizzate in marmo di Carrara, e provengono dalle stesse cave dalle quali si riforniva Michelangelo.L’inusuale lavoro di Young si inserisce in un progetto in corso avviato da Paolo Fanciulli, un pescatore del posto, e dalla sua organizzazione non profit Casa dei Pesci, che mira a trovare modi creativi per proteggere il mare. Attualmente le sculture sottomarine a Talamone sono 39, e sono state posizionate tra il 2015 e il 2020, mentre altre 12 sono già pronte a raggiungerle, non appena ci saranno i fondi necessari.
I pescherecci a strascico trascinano le loro pesanti reti sul fondale marino, raschiandolo e distruggendo la posidonia (Posidonia oceanica), nota come erba di Nettuno, una pianta marina da fiore endemica del Mediterraneo, che forma ampi prati sottomarini e funge da nursery e santuario per molte specie marine. Inoltre, la posidonia ogni anno assorbe 15 volte più anidride carbonica di un’area di simili dimensioni della foresta pluviale amazzonica. Per queste ragioni, la posidonia è una specie protetta inclusa nella Direttiva Habitat dell’Unione Europea e nella Direttiva Quadro sulla Strategia per l’Ambiente Marino; per di più la pesca a strascico è illegale in Italia, entro le tre miglia nautiche dalla costa, ma siccome è molto redditizia, e siccome è impossibile presidiare tutti gli 8.000 km di costa italiana, questa pratica viene messa in atto lo stesso, di notte.
Ora sulla sessantina, Fanciulli pesca nella zona intorno a Talamone da quando era ragazzo. Negli anni ’80 iniziò a notare la devastazione causata dalla pesca a strascico e il conseguente impatto che questo aveva sul pescato dei pescatori locali come lui e sul loro sostentamento. Da allora tenta di contrastare questa pratica.
Nel 2006 ha collaborato con il comune di Talamone e alcune organizzazioni ambientaliste per calare sul fondo del Mediterraneo grosse bitte in cemento perché fungessero da “agenti segreti sottomarini”. L’operazione ha richiamato l’attenzione dei media, e Fanciulli è diventato un eroe nazionale – ma questo non è stato un deterrente sufficiente per i pescherecci illegali. La mafia locale ha contrattaccato, facendo in modo che lui non riuscisse a vendere il suo pesce al mercato, minacciandolo.
Doveva trovare un’altra strada. “Ha pensato: ‘Siamo in Italia. Siamo artisti. Mettendo insieme arte e conservazione potremmo avere un impatto maggiore’,” spiega Ippolito Turco, amico di Fanciulli e presidente della non profit Casa dei Pesci, che hanno creato con il supporto di varie associazioni culturali e ambientaliste.
Si sono rivolti alle cave di Carrara, chiedendo se potessero donare qualche blocco. Franco Barattini, patron di una delle cave più conosciute di Carrara – la cava Michelangelo, ovvero proprio il luogo dal quale l’artista si riforniva tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo per realizzare opere celeberrime e iconiche come il David e la Pietà – ha promesso di donare ben 100 blocchi di marmo.
Young, insieme agli artisti italiani Giorgio Butini e Massimo Lippi, e ad artisti di altri quattro Paesi, è stata invitata a realizzare delle opere. “Noi tutti abbiamo donato il nostro tempo. Ho pensato che fosse un bellissimo progetto, un ottimo modo per attirare l’attenzione sul problema”, afferma Young, il cui studio si trova nell’ex monastero di Santa Croce tra Pisa e Roma.
La Casa dei Pesci ha raccolto i fondi attraverso crowdfunding e donazioni, e Fanciulli e Turco hanno usato i loro contatti sul posto per organizzare le attività di trasporto e posizionamento delle sculture sul fondo marino. Pur avendo ottenuto tariffe “da amico”, la parte logistica viene a costare 5.000 € per ogni singola scultura.
Le opere sono state sistemate in cerchio, a quattro metri l’una dall’altra, intorno a un obelisco centrale, scolpito da Massimo Catalani, un altro artista italiano. Poco più in là sonnecchia una sirena, frutto della collaborazione tra la scultrice Lea Monetti e la giovane artista Aurora Vantaggiato, e poco oltre, tra le altre, c’è una figura distesa di Butini.
Proteggere i serbatoi di carbonio
Le sculture in marmo creano una barriera fisica per le reti dei pescherecci a strascico e contemporaneamente sono un museo sottomarino unico nel suo genere, accessibile a chiunque, tramite immersioni organizzate o individuali. “È davvero uno spettacolo sorprendente vedere con che facilità la natura si rigenera. Vogliamo portare la gente a osservare il fondo del mare e creare una nuova consapevolezza per uno sviluppo marino sostenibile”, spiega Turco.
L’iniziativa ha fermato completamente la pesca a strascico illegale nella fascia entro le tre miglia dalla costa davanti a Talamone, fino alla foce del fiume Ombrone, racconta Turco. “Ma ora le barche pirata si sono spostate a nord dell’Ombrone. La Casa dei Pesci ha in programma di proteggere anche questo tratto di mare, fino al confine del comune di Grosseto. Più a nord, starà ai pescatori e alle autorità degli altri comuni decidere cosa fare. Se tutti i piccoli pescatori e tutti i comuni seguissero l’esempio di Talamone non ci sarebbe più spazio per la pesca illegale e il mare potrebbe ripopolarsi”.
Nonostante questa vittoria, le vaste distese di posidonia, devastate dalle reti, probabilmente non si riprenderanno, afferma Fabrizio Serena, ricercatore senior associato CNR IRBIM (Istitute of Marine Biological Resources and Biotechnologies, Istituto di risorse biologiche marine e biotecnologie, N.d.T.) di Mazara del Vallo. Le alghe in genere si riproducono velocemente, ma il ciclo di vita della posidonia invece è molto più lento. “Per ottenere delle praterie di posidonia ben strutturate ci vogliono circa 30-40 anni e un ambiente protetto senza inquinamento né disturbo antropico, e questo oggi è praticamente impossibile”.
Quando una prateria di posidonia è compromessa, l’unica cosa da fare è cercare di proteggere ciò che ne rimane, aggiunge Serena. “A questo riguardo le statue di Talamone possono ancora proteggere i pochi prati di posidonia rimasti, e questa è un’importante azione di salvaguardia, un esempio unico nell’area del Mediterraneo”.
Le statue forniscono inoltre una struttura alla quale certi organismi possono attaccarsi e crescere. Dopo appena una o due settimane, le pietre erano già ricoperte da un sottile strato di microorganismi unicellulari (batteri, microalghe e funghi), racconta Serena. Un anno dopo o poco più, sulle sculture si erano insediati organismi più grandi, come cirripedi, ostriche, alghe, coralli, spugne, stelle marine e granchi.
Questa comunità strutturata ha, a sua volta, incoraggiato il ritorno di altre specie vegetali e animali. I pescatori hanno già notato che aragoste, polpi, saraghi e donzelle e anche un piccolo branco di delfini tursiopi (che non venivano avvistati da anni) sono tornati in queste acque.
I delfini, tuttavia, stanno creando problemi. “C’è un crescente conflitto tra i delfini e i pescatori perché la scarsità di cibo fa avvicinare gli animali alla costa, dove spingono i pesci nelle reti per poi cibarsene, danneggiando le reti”, spiega Enrica Franchi, ricercatrice presso l’Università di Siena. Il suo team sta collaborando con Fanciulli e i pescatori del posto per cercare di evitare che delfini e tartarughe marine (che in primavera ed estate si avvicinano alla costa per nidificare) rimangano impigliati nelle reti. L’anno scorso hanno avviato un progetto che prevede di dotare le reti di dispositivi acustici e a raggi ultravioletti per tenere a distanza delfini e tartarughe.
La speranza è che, negli anni, le sculture di Talamone siano sempre più pullulanti di vita marina. “Tra altri cinque-sette anni, se non interverrà il disturbo dell’uomo, il museo sottomarino potrebbe diventare un’area ricca di biodiversità e andare incontro, in una certa misura, alle esigenze di questo ecosistema”, conclude Serena. E le statue continueranno a vigilare in silenzio per migliaia di anni.
Le statue, afferma la scultrice Young, “sono un’impresa poetica di immaginazione, un atto di fede. Questo progetto si rivolge al futuro, e a prescindere dalla nostra presenza o meno, le statue resteranno, probabilmente per milioni di anni, portando una testimonianza della nostra umanità nel futuro ignoto, sotto forma di materiali lavorati dalla mano dell’uomo”.

Veronique Mistiaen è una giornalista pluripremiata che si occupa di questioni sociali e umanitarie, sviluppo globale e ambiente per le maggiori testate britanniche e internazionali. Seguila su Twitter.


Paolo Fanciulli, il pescatore che ha ideato un metodo geniale per combattere la pesca illegale

Hai mai sentito parlare di Paolo Fanciulli? Ecco coda questo pescatore ha ideato per combattere la pesca illegale

pesca illegale
Paolo Fanciulli, il pescatore che ha ideato un metodo (Foto Canva) – Orizzontenergia)

Quando parliamo di Paolo Fanciulli, facciamo riferimento a un pescatore che a partire dagli anni ottanta ha cominciato quella che è una vera e propria lotta per la salvaguardia dei mari, della nostra salute e soprattutto dell’ambiente che ci circonda. Lui, infatti, combatte assiduamente contro la pesca illegale, o per meglio dire a strascico: questa, infatti, se effettuata a tre miglia dalla costa può comportare delle conseguenze anche molto importanti per i nostri mari e anche per tutti noi. Va, infatti, a sradicare la vegetazione marina, a rovinare i fondali e causa anche dei danni a dir poco irreversibilità alla nostra biodiversità tanto preziosa.Inizialmente la sua è stata quasi una lotta senza risultati e, proprio per questo motivo, senza speranza. Questo, almeno, fino a quando non è stato raggiunto un anno fondamentale nella storia di questo pescatore: stiamo parlando del duemila sei, quando arriva a formulare l’idea che avrebbe rivoluzionato e cambiato una volta per tutte il suo modo di approcciarsi a questa lotta e anche di fare la differenza: per scoprire di cosa stiamo parlando, non dovete fare altro che continuare a leggere insieme a noi di Orizzonteenergia.

Pesca illegale, la lotta del pescatore di Paolo Fanciulli

pesca illegale
Paolo Fanciulli, il pescatore che ha ideato un metodo (Foto Canva) – Orizzontenergia)

Il duemilasei, infatti, rappresenta una tappa a dir poco fondamentale e indispensabile nella storia del pescatore Paolo Fanciulli ma anche, più in generale, di quella che è la lotta contro la pesca non legalizzata, intensiva e spesso dannosa per tutto l’ecosistema marino che ci circonda, ci supporta e ci permette di vivere come facciamo ogni giorno anche senza esserne realmente consapevoli. Proprio in quest’anno, infatti, egli insieme alla sua onlus e con l’aiuto di aziende e cittadini volontari ha installato delle strutture di marmo lungo i fondali dei mari toscani.L’obiettivo di queste sculture è molto specifico ed è, dunque, proprio quello di andare a ostacolo e per tanto ostruire la pesca illegale e soprattutto ormai fuori controllo. Questo avviene perché le reti di un pescatore, nel momento in cui si scontrano con queste sculture, vengono irrimediabilmente danneggiate e strappate, rendendo così impossibile continuare e portare avanti questa attività.

pesca illegale
Paolo Fanciulli, il pescatore che ha ideato un metodo (Foto Canva) – Orizzontenergia)

E’ inutile sottolineare come, sin da subito, questa idea del pescatore ha avuto un effetto positivo per i nostri mari e soprattutto nel limitare l’azione incontrollata che si stava ormai verificando da anni, se non addirittura decenni, a discapito proprio della natura. Proprio in queste zone, al giorno d’oggi, è stato possibile ottenere un ritorno quasi totale della biodiversità marina, l’ecosistema è rinato e soprattutto questo è diventato un vero e proprio museo marino che ha permesso di sviluppare anche degli itinerari di turismo sostenibile. Insomma, Paolo Fanciulli ha senza dubbio rivoluzionato la pesca e potrebbe anche aver fatto un passo non indifferente nella lotta contro l’inquinamento.


 e  da 





9.8.23

due antipodi del calcio Gigi Riva e Gigi Buffon

 

Gigi Riva La forza di una storia senza tempo da portare a scuola come educazione civica


Che fosse bello me l’avevano detto. Ma non pensavo tanto. Parlo del docufilm di Riccardo Milani su Gigi Riva: “Nel nostro cielo un rombo di tuono”.Mi sono preso una serata nullafacente di agosto e ho fatto l’esperimento: me lo sono visto con altre due generazioni, mio figlio e il nipotino più grande (nove anni domani, auguri!). E mi sono imbattuto in una figura ancor più leggendaria di quanto già mi apparisse. Anzi, la lentezza del filmato mi ha aiutato a metabolizzare fino in fondo le immagini e le parole, il campione e il contesto, il genio calcistico e la storia sociale.

FOTO ANSA

Rombo di tuono Gigi Riva con la maglia del Cagliari

 E siccome anche la modestia e la saggezza sanno avere una loro involontaria prepotenza, mi sono inchinato a ogni particolare. La vita e la morte in fabbrica del padre operaio, gli stenti della mamma, le restrizioni in collegio. Gli osservatori che lo vedono giovanissimo nei tornei minori senza diventarne sanguisughe sotto specie di procuratori. Le voci sulle richieste delle squadre di Milano e di Torino e poi la destinazione Sardegna, come allora capitava ai pubblici dipendenti riottosi o ai carabinieri da punire. Dove c’era il banditismo con i sequestri di persona e a sentirla nominare, quell’isola, ti metteva un po’ i brividi. E poi la singolare contemporaneità degli arrivi che ne avrebbero segnato la storia: l’aga Khan che avrebbe spremuto per sé le bellezze dell’isola e Gigi Riva che avrebbe spremuto sé stesso per portarla in cima alla storia sportiva del Paese. E le immagini dei gol che attraversano un pezzo di vita nazionale, dalla   metà degli anni sessanta ai primi anni settanta.

Gol che entusiasmano ancora oggi tre generazioni, rivelando che la qualità non è solo la velocità o la potenza. Perché segnare al volo di testa tuffandosi distesi a pochi centimetri dall’erba (in nazionale) o segnare in rovesciata perpendicolare alla porta sollevandosi a due metri da terra (in campionato, a Vicenza) non te lo fanno fare né la palestra, né la tattica. Guardavo di sbieco mio nipote restare a bocca aperta a ogni prodezza. Osservavo soprattutto il fisico da dio greco non scolpito dalla chimica e perciò straordinariamente più bello, nel suo nitore scevro dai tatuaggi. Altro che nostalgie della propria giovinezza. Solo io l’avevo visto giocare eppure le altre due generazioni si commuovevano con me davanti al grande romanzo d’amore tra lui e la sua terra d’adozione. Rivedevo le beghe miserabili di un mercato estivo in cui tutto può accadere e mi incantavo una volta di più per quella storia fantastica e orgogliosa di un orfano di operaio che rifiuta la Juve e gli Agnelli perché non si vive solo di soldi e di potere. Quella storia di un atleta che deve fama e fortune alle sue gambe ma che una gamba se la spezza due volte (unico nella storia) in nazionale, per onorare fino in fondo la maglia dell’italia. “Lo rifarei”, risponde a chi lo intervista a proposito della prima frattura, prezzo memorabile dell’ennesimo gol regalato ai tifosi azzurri.

Parla piano Riva, nel docufilm. Mentre ha le sembianze in chiaroscuro di oggi ma anche mentre esibisce le sembianze giovani e luminose di allora. Con la stessa modestia, la stessa saggezza che ne fanno un simbolo al di sopra dell’italia odierna. Un linguaggio pulito, corretto, irreprensibile, lui che non poté studiare molto. Modernissimo, lui che diventò campione europeo nel pieno del sessantotto e vinse lo scudetto nell’anno scolastico e politico di piazza Fontana (anche se all’epoca non lo realizzai…).

Il docufilm sciorina immagini e parole che sembrano non appartenerci più ma che, a giudicare dalle reazioni delle tre generazioni riunite davanti allo schermo, ci appartengono eccome. Da qui una irresistibile fantasia: perché non fare di questa storia esemplare una testimonianza di educazione civica nelle scuole? Altro che gli anemici manuali sui diritti e sui doveri. E poi volete mettere la forza meravigliosa del racconto?


  Sempre  dallo  stresso  giornale  


Buffon Insegnerà i valori della nazionale: bestemmie, scommesse e “boia chi molla”

Dunque a 45 anni Gigi Buffon si ritira dal calcio e entra a far parte dei quadri Figc: sarà capo delegazione e poiché - come scrive la Gazzetta - è “adorato trasversalmente da bambini e ragazzi, sarà anche coinvolto nelle iniziative che la Federcalcio promuove nelle scuole per promuovere i valori della nazionale”. Un testimonial perfetto diremmo. Vediamo perché.

SCUOLA. Buffon dirà ai giovani che sognano di diventare calciatori di crederci, ma di pensare prima di


tutto allo studio. Che nella vita è tutto. Lui, bocciato due volte alle superiori (ragioneria), pur di iscriversi all’università di Legge a Parma presentò addirittura un diploma di maturità falso di un istituto di Roma mai frequentato che gli valse una denuncia per truffa: era il 1997, patteggiò con una multa di 6,5 milioni di lire.
EDUCAZIONE.Se l’istruzione è importante, il rispetto e la buona creanza sono tutto. Il primo comandamento del buon cittadino è “Non bestemmiare”: specie se lo fai negli stadi italiani, spesso semi-deserti, dove la bestemmia viene sentita in mondovisione, amplificata e corri il rischio di essere multato e squalificato come capitò al distratto Gigi in un Parma-juventus con bestemmia urlata all’indirizzo del giovane Portanova. 
RISPETTO DELL’AUTORITÀ.
 È poi molto importante aiutare l’arbitro che svolge un ruolo difficile e fondamentale. Se ad esempio succedesse di trovarne uno che all’ultimo minuto ti fischia un rigore contro che ti fa perdere la qualificazione (come l’inglese Oliver in Real Madrid-juventus 1-3), devi mantenere il self control, non protestare, non farti espellere e evitare di andare in tv a dire che “l’arbitro ha un bidone dell’immondizia al posto del cuore”. Potresti ricevere 3 giornate di squalifica. E non starebbe bene.

LEALTÀ.

È il valore alla base di ogni attività sportiva: vincere slealmente è una sconfitta. Se per esempio sei un portiere e ti capita di respingere un tiro, poniamo di Muntari, con la palla che ha superato di mezzo metro la linea di porta senza che l’arbitro se ne sia accorto, niente di male: dici all’arbitro che quello era gol, palla al centro e la partita riprende. Sportività e giustizia vengono prima di tutto.

ILLECITI.

Se poi si affacciasse lo spettro delle partite “combinate” e il tuo allenatore, poniamo Antonio Conte, venisse indagato e squalificato per aver partecipato a incontri truccati, sarà importante prendere le distanze e non dire mai che il detto “Meglio due feriti che un morto” che giustifica accordi illeciti nel calcio prevale su tutto. Sarebbe disdicevole.

SCOMMESSE.

Scommettere sulle partite per chi fa il calciatore è un reato grave. Non si può fare. Nemmeno se hai un amico che ha una tabaccheria-ricevitoria a Parma, si chiama Massimo Alfieri e al quale mandi 14 assegni da 50 a 200 milioni di lire per un totale di 1 miliardo e mezzo che vengono subito trasferiti sul conto di Lottomatica. Neanche se questa ricevitoria ha una percentuale di vincita dell’83%. Non si fa.

FASCISMO & NAZISMO.

È infine molto importante non lanciare messaggi sbagliati e diseducativi. Se per esempio ti presenti a un’intervista post-partita con una maglia con la scritta “Boia chi molla” sul petto, o scegli di giocare col numero 88 (che significa HH, la sigla di Heil Hitler) o ancora festeggi il trionfo al mondiale con uno striscione su cui compaiono la croce celtica e la scritta “Fieri di essere italiani”, non dai un bell’esempio. Ora Gigi Buffon spiegherà tutto a tutti.

la sardegna non è solo vip o turismo di massa di Alessandro Cordella

da  Le 10 cose da vedere in Sardegna (expedia.it)
 Stamani per lavoro mi sono trovato in una parte della Sardegna che Sardegna non è. Almeno per me. Vengo da una famiglia abbastanza sarda anche se vengo ritenuto, se non accusato, di essere ospite in terra straniera. Mia madre sarda di Calangianus. Mio padre romano e suo padre, mio nonno, di Paulilatino, ad un passo da Ghilarza. Ad un passo da Gramsci. Frequento la Sardegna da 51 anni ma non ho mai avuto la morbosa curiosità di recarmi nei luoghi turistici più rinomati, più pompati
dall'opulenza. La Sardegna è un qualcosa di più profondo, di arcaico. Si nutre di ospitalità, di rispetto, di inclusione. La Sardegna è lì, in quelle notti invernali in cui il maestrale la carezza. Non la vedi proprio lì vicino al caminetto che scalda illumina? Non la vedi rappresentata da quell'anziano che con lento parlare ti racconta il tempo andato tra un vino e un pezzo di caciu? Non li vedi i suoi occhi induriti dalla campagna che riflettono il granito ingentilito dalla sacra pianta del mirto? Non lo vedi il suo volto inciso dal tempo e ridotto ad una scorza di sughero? Oh amico, io l'ho vista quella Sardegna. L'ho respirata. Suadente lei mi ha sedotto, rapito, reso figlio, nipote, marito, padre e, chissà, un giorno anche nonno. C'è una Sardegna che passa per il fumaiolo del caminetto spargendo storia e civiltà. Una cultura contadina della quale dovremmo, se non proprio far ritorno, almeno tener conto.

8.8.23

Bongiovanni, la sfida dei figli Barbara e Andrea tra spartiti, vinili e cd: “Ora pure la classica si ascolta sul cellulare” ma io resisto

 


È sicuramente un’istituzione. Per la musica e la cultura, ma non solo. «E portarlo avanti per me è quasi un dovere», spiega Barbara Bongiovanni, socia assieme al fratello Andrea di Bongiovanni, negozio ed editore musicale fondato nel 1904.La data fa impressione.«Sì. La data ufficiale in realtà per mio padre era 1905, poi abbiamo trovato dei cataloghi datati 1904. Il mio bisnonno Francesco era arrivato a Bologna a fine Ottocento dalla Sicilia per il servizio militare, venne assunto in un negozio di musica che dopo un anno ha rilevato. Ha iniziato lui a pubblicare e vendere spartiti e ad affittare strumenti, conserviamo ancora il suo flauto. Il negozio si chiamava “Stabilimento musicale Francesco Bongiovanni” ed era sotto il Pavaglione, poi si è spostato in via Rizzoli e nel 2000 in via Ugo Bassi. È stato gestito da Francesco, poi Edoardo e Teresita negli anni della guerra. Mio padre Giancarlo dopo un periodo di lavoro in Agip si è dedicato al negozio continuando le edizioni musicali e avviando per primo le registrazioni dal vivo, con un concerto di Mirella Freni che gli valse un premio della critica discografica».

&nbsp;Il titolare Bongiovanni con Luciano Pavarotti&nbsp;

 Il titolare Bongiovanni con Luciano Pavarotti 

 

Ora ci siete voi.

«Mio fratello Andrea fin dagli anni ’80 e ‘90, che si dedica soprattutto alle edizioni, e io in negozio. Chiaro che oggi è tutto diverso, è un po’ come per il mio bisnonno, che sarà stato sicuramente traumatizzato dal passaggio da spartiti e spettacoli in teatro alle registrazioni dei concerti».

EIKON STUDIO di Gianluca Perticoni
EIKON STUDIO di Gianluca Perticoni 

EIKON STUDIO di Gianluca Perticoni
EIKON STUDIO di Gianluca Perticoni 

Oggi com’è?

«È tutto online, e questo colpisce soprattutto la musica classica. L’utente di classica, a meno che non sia un collezionista, non cerca le ultime uscite ma ascolta tutto sul telefono a costo zero o quasi, anche noi ci dobbiamo reinventare».

In che modo?

«Prima al piano terra avevamo le registrazioni, i cd e i dvd, mentre nel seminterrato gli spartiti. Dall’anno scorso abbiamo portato al piano del negozio gli spartiti e i dischi, sotto non abbiamo ancora deciso cosa fare. Forse, ma ci stiamo ancora pensando, potremmo mettere strumenti per chi si vuole esercitare, come gli studenti fuorisede. Ma al momento quello che ci sostiene, assieme agli spartiti, sono cd e vinili di musica leggera, perché il fruitore della leggera ha un rapporto diverso col disco, magari sono ragazzi che appendono il disco in camera».

Si direbbe il contrario, che l’ascoltatore di classica sia più “tradizionale”.

«No, non vengono più ristampate le cose vecchie e a parte qualche rarissima eccezione escono poche novità di classica, il mercato è quasi azzerato e le case si adeguano. Qui vengono soprattutto persone che cercano dischi fuori catalogo. L’altro giorno, per esempio è venuto un uomo che cercava Wagner cantato in italiano da un cantante specifico. L’abbiamo trovato».

Non è un tradimento affidarsi alla musica leggera?

«No, la classica e l’opera ce l’abbiamo ancora, ma non esce quasi più niente di nuovo, forse la gente questo non lo capisce. Per un po’ sono andate bene alcune registrazioni dal vivo, ma oggi va tutto su You Tube. La musica leggera l’avevamo da tanto tempo, poi negli anni ’80, con l’apertura di Ricordi mio padre decise di toglierla. Quando Ricordi ha chiuso l’abbiamo riproposta».

C’è un ritorno del vinile?

«Sì, per fortuna, mentre il cd è in declino. Le stesse case discografiche non sanno bene cosa pubblicare perché non è facile prevedere la risposta. È uscito un cd di Taylor Swift che si è esaurito immediatamente perché ne avevano stampate poche copie».

Ma com’è portare avanti un’istituzione della musica?

«Per me è la mia vita. È una cosa che sento istintivamente di dover portare avanti, perché la adoro. Adesso poi mio figlio Marcello ha un entusiasmo incredibile, è anche più bravo di me».

Ma chi è il cliente tipo?

«C’è il cantante di opera che viene a prendere gli spartiti, studenti e insegnanti di musica, oppure giovani che comprano cd o vinili. Ci sono meno clienti di lirica o sinfonica, o i clienti di una volta: per anni sono venute persone tutti i giorni a chiedere le ultime uscite e comprare dischi».

Quali sono gli autori cui siete più legati?

«Beh, sicuramente Respighi o Cimara, pubblicati dal mio bisnonno, poi il cantante Alfredo Kraus, ma anche Mirella Freni, Mariella Devia, Renato Bruson».

Avete anche inventato il “firmacopie”.

«Più o meno, sì. Mio padre coglieva l’occasione dei concerti e invitava cantanti e maestri in negozio a firmare gli album, ci sono passati tra gli altri Luciano Pavarotti, Riccardo Muti, ma anche Kraus, Cortez, Lavirgen».