27.6.14

ALLA SCOPERTA DI ZERO... Non sono un "sorcino" o "zerofolle", mi definirei piuttosto un "curioso". mia intervista

Amo la musica d'ogni tipo, purché non esageratamente commerciale. Il fenomeno Zero mi ha affiancato (mi è passato accanto, se vogliamo adattare il titolo di un bel libro su di lui scritto da Massimo Del Papa)
da sempre, ma non mi ero mai soffermato sulla sua musica per varie ragioni. Alcuni amici mi hanno spinto a farlo. Tra questi, Daniela Tuscano e Cristian Porcino, autori di "Chiedi di lui" (ed. Lulu http://www.lulu.com/shop/daniela-tuscano-and-cristian-porcino/chiedi-di-lui-viaggio-nelluniverso-musicale-di-renato-zero/paperback/product-21430369.html ),



diario appassionante e documentato che si legge come un romanzo e abbraccia tutta la carriera del cantante romano, dagli esordi agli ultimi tempi, ricco di  testimonianze dirette di amici e fans.


 - Cara Daniela, cominciamo proprio da questi ultimi. Dalle tue righe sembra emergere una differenza tra sorcini e zerofolli, zeromatti ecc., quasi fossero entità distinte. Come mai?

 «Non è esattamente così. Un tempo, lo confesso, ero molto più draconiana. Nel libro ho voluto segnare uno spartiacque tra gli estimatori della prima fase, più eterogenei, e quelli arrivati dopo il 1980, quando appunto nacque il nomignolo tuttora in uso. In genere non amo le etichette e quindi nemmeno esordi».
questa, che tende ad "appiattire" tutto in una sorta di pensiero unico. Non si tratta di snobismo, ma voglio poi sentirmi  libera di esprimere le mie sensazioni, positive o negative che siano, senza essere considerata "traditrice della causa". Ma, ripeto, adesso è solo una puntualizzazione".

- Hai insistito molto sull'ultimo scorcio dei '70, sottolineandone il lato ludico e non soltanto drammatico...

 «I '70 furono effettivamente anni travagliati, sfregiati direi: terrorismo, strategia della tensione, droga, servizi deviati... Una slavina che aveva subito una violenta accelerazione dopo l'assassinio di Pasolini. Ma io li ricordo pure felici. Non solo per la giovane età, ma per quella ventata di novità portata proprio da Zero: una piccola "rivoluzione" dei costumi, colorata, pacifica, ma significativa e senza ritorno. Renato, col trucco provocatorio e le canzoni esplicite, mise definitivamente in crisi i ruoli ingessati della coppia e della famiglia (e la famiglia, non dimentichiamolo, è lo specchio della società), ancora fortemente arcaici, che il Sessantotto non era riuscito a scalzare, soprattutto dal sentimento comune. Rese, a suo modo, pubblico il privato. Non portò la fantasia al potere, ma in alcune case forse sì. E fu un periodo di audaci sperimentazioni in campo artistico. Ecco, di questo le cronache non raccontano nulla. La considero una mancanza piuttosto grave».

 - Aggiungi che hai amato pure il Renato anni '90, quelli della rinascita...

«...e dell'umiltà. Probabilmente pochi si accorsero che dietro quella nuova corsa verso il sole c'era un uomo mutato nel profondo, ammaccato, maturato ma inevitabilmente diverso pur nell'apparente continuità dei temi affrontati. La produzione si fece più barocca e tecnicamente impeccabile e al contempo, in particolare nella prima metà del decennio, segnata dai graffi e dalle mestizie degli anni precedenti. Ebbi l'impressione che Zero, ogni tanto, si voltasse indietro, con qualche sgomento, rammentando il recente passato. Questo me lo restituiva ancora molto umano, propositivo».

- Sembra infatti di capire tu preferisca questo suo lato umano, magari incompiuto, a quello di star inarrivabile e incontestabile.

 «Senza dubbio. Per me il ruolo dell'artista è quello di sentinella, di accompagnatore se vuoi. Deve cioè aiutarti a esprimere i tuoi personali talenti. Ma questi, li hai o non li hai; non te li possono infondere né lui né nessun altro. Se qualcuno, o anche se stesso, attribuisce all'artista un ruolo simile, si attua una sorta di strabismo psicologico che altera la realtà».

- Cristian, tu ti occupi della seconda parte della carriera di Zero. Come ti appaiono, oggi, quegli anni che anagraficamente non hai vissuto? 

«Gli anni che per ovvi motivi anagrafici non ho vissuto direttamente sono quelli più importanti per capire e amare la sua musica. Anni splendidi e carichi di significato. Anni in cui l’estetica del suo linguaggio prendeva corpo e si dipanava in tutto il suo splendore. Un periodo davvero irripetibile e unico. Però grazie ai suoi album e alle numerose testimonianze video, sono riuscito a recuperare quasi tutto e posso ancora oggi godermi quell’età zeriana ormai sparita».

- Fra Amo I e Amo II quale preferisci e perché? 

« Nel libro ho specificato che in un primo momento non mi aveva entusiasmato molto Amo capito I. Un disco senza alcun dubbio di qualità ma senza quell’anima zeriana che invece si riscontra, nel bene e nel male, nel II°capitolo. Il suo ultimo lavoro va inteso nel suo insieme e quindi direi di apprezzare alcune canzoni del I° e altre del II° Amo»

- E, in genere, quale preferisci dell'ultima produzione e quale ti sembra meno convincente. Spiegane le ragioni. 

« Dell’ultima produzione di Renato preferisco "Cattura". Album in cui Zero si rivela e fa intravedere la sua anima. Attraverso le sue 13 tracce sonore Renato scrive in un pentagramma la sua biografia. Mentre l’album che non mi ha convinto del tutto è "Il dono". Quest’ultimo è un lavoro troppo frettoloso e poco in linea con gli standard qualitativi della sua carriera. A parte alcuni brani direi che è un disco da dimenticare».

- Quanta "spiritualità" c'è ancora nei testi di Renato e quanto si è invece perso? 

« La spiritualità nei testi di Zero è stata sempre presente. Però adesso la sua fede si manifesta in un cattolicesimo fin troppo ostentato. Prima i suoi accorati appelli etici erano criticabili ma veri fino al midollo, mentre adesso in lui vedo tratti un po’ troppo conformisti nell’uniformarsi continuamente ai dogmi della Chiesa di Roma. Si sente la mancanza di quel Renato Zero smaliziato e talvolta ingenuo degli esordi».

questa, che tende ad "appiattire" tutto in una sorta di pensiero unico. Non si tratta di snobismo, ma voglio poi sentirmi libera di esprimere le mie sensazioni, positive o negative che siano, senza essere considerata "traditrice della causa". Ma, ripeto, adesso è solo una puntualizzazione».

25.6.14

MATRIMONI SIMBOLICI, UN ALTRO MODO PER DIRSI SÌ martina marras di http://www.ladonnasarda.it/

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In spiaggia al tramonto, con parenti, amici e damigelle. Oppure nella caletta più nascosta, durante una romantica fuga d’amore. La celebrante laica Claudia Murroni racconta i riti animisti.


Claudia Murroni  [  foto a destra ]  è una bella ragazza, capelli lisci in un caschetto lungo. Ha .39 anni, ma ne dimostra molti meno: un passato da sportiva alle spalle (è stata campionessa regionale nei 400 ostacoli, anche se sembra non ricordarsene più), una laurea in Scienze politiche. Ha vissuto a Barcellona e poi in Inghilterra dove ha lavorato nel campo degli eventi. Qualche anno fa è tornata in Sardegna e oggi si dedica all’attività di
I matrimoni di cui Claudia è celebrante sono promesse d’amore accorate, ma assolutamente simboliche: non hanno valore legale e non si ispirano al credo di nessuna chiesa. I matrimoni laico-umanisti, un’assoluta novità nell’Isola e in Italia, sono riconosciuti nei paesi anglofoni. La moda, manco a dirlo, parte dagli Stati Uniti. La filosofia è molto semplice: la celebrazione dell’amore non conosce credo e si può giurare fedeltà e sostegno al proprio partner senza bisogno di un dio garante.

Per Claudia fare da celebrante laica è una sorta di missione, animata dalla convinzione che la condivisione dei sentimenti tra due persone sia più forte di qualsiasi convenzione, legge, fede, opinione e genere. «Capita – spiega - che si decida di abbinare il matrimonio simbolico a quello civile, visto che il rito laico consente maggiore flessibilità: si può scegliere la location che si preferisce, mentre la cerimonia civile può avvenire solo nelle pertinenze comunali, a Cagliari esclusivamente in municipio».I passaggi obbligati sono quelli della tradizione: lettura delle promesse, scambio degli anelli, bacio alla sposa, firma della pergamena. «C’è chi opta per le promesse tradizionali e chi invece preferisce un testo personalizzato – racconta Claudia – non ci sono regole precise, ampio spazio è lasciato al volere degli sposi. In genere si tratta di cerimonie molto partecipate: intervengono gli ospiti, i parenti raccontano qualche aneddoto, gli amici recitano poesie. Tutti prendono parte al rito ed è molto emozionante. Ho cominciato a celebrare nel 2008, ma ancora devo fare forza su me stessa per trattenere le lacrime durante le promesse».

La celebrante costruisce il rito ad hoc di volta in volta per la coppia: «Mi faccio raccontare ogni cosa, dal primo bacio all’anello di fidanzamento e insieme a loro decido quali dettagli inserire: ci sono vari riti accessori, come quello della sabbia, delle candele o delle corde che simboleggiano l’unione in un corpo solo». Claudia è ministro della Universal Life Church e fa parte del circuito dei celebranti laici italiani.

Il servizio è richiesto anche dalle coppie omosessuali, dal momento che si tratta dell’unica possibilità per ufficializzare, sebbene in maniera simbolica, il patto di cuore. Eppure, in Sardegna, la prima unione simbolica fra persone dello stesso sesso non è stata ancora celebrata. 
«Il rito laico, per me, è la proclamazione assoluta dell’affetto fra due persone – precisa Claudia - Ogni matrimonio è diverso: ci sono le fughe d’amore, di turisti arrivati con un volo low-cost che decidono di giurarsi amore in una caletta al tramonto. Altri vengono appositamente in Sardegna, perché ci sono stati o semplicemente perché ne hanno sentito parlare, con parenti, amici, testimoni e damigelle».In media Claudia celebra 30 unioni simboliche all’anno prevalentemente in inglese o in spagnolo, perché a sposarsi in riva al mare sono soprattutto stranieri. 
«I sardi storcono un po’ il naso, vi è la convinzione che si tratti di matrimoni finti, anche se in tanti sono affascinati». Un buon compromesso, in realtà, per indossare l’abito bianco che quasi tutte sognano, senza imbrigliarsi nelle maglie di un credo che non sentiamo addosso e senza il peso di un freddo contratto. 
«È tutto più rilassato, più sentito, più bello – continua Claudia – per noi italiani il matrimonio è quasi una tappa obbligata, i nostri riti sono rigidi. Le coppie straniere sono coppie di fatto da anni, quando arrivano al matrimonio, civile o simbolico che sia, generalmente convivono da tempo». E allora cosa cambia? verrebbe spontaneo chiedersi. «Dopo il rito simbolico io annuncio il signore e la signora X e credo che si sentano realmente marito e moglie».

Il posto più romantico per sposarsi in Sardegna? Claudia non ha dubbi: le calette della Costa Smeralda o Costa Rei.

24.6.14

fiochi nella notte di san giovanni 2014

http://www.lagosereno.org/File_inserire/Seminario_Rito_del_fuoco.pdf
http://cedocsv.blogspot.it/2010/06/la-notte-di-san-giovanni-e-la-notte-dei.html

ieri sono andato  , era  da  una  ventina  (  e più ) d'anni che  non andavo  ai fuochi  di san giovanni   forse perchè  li consideravano  noiosi  e sempre  uguali  ma poi : riascoltandomi  e  cantando  stonando



 leggendo i link  sopra  ho cambiato idea  e mi sono ricreduto  (  ecco   perchè  ho scelto  le  tag  nostalgia , ritorno al passato  )   . Ieri  sono andato  con gli amici  del  gruppo di fotografia
 ecco le mie foto






















22.6.14

CORPUS DOMINAE di © Daniela Tuscano

musica  in sottofondo  Nothing man-Pearl Jam

Secondo lo psicoterapeuta Alberto Pellai ("Famiglia Cristiana", 19 giugno 2014) ad armare la mano assassina di Carlo Lissi è stata "la cultura dell'onnipotenza narcisista". 

da   Pagina di I libri di Daniela Tuscano

Quella per cui "io posso tutto e l'altro non vale niente, quello che sento io ha valore e quello che sentono gli altri non vale niente". Ma "onnipotenza narcisista" è un ossimoro. Il narciso è per sua natura un impotente, un incompiuto, uno che ha bisogno dell'altro pena la cancellazione della propria identità/umanità. E una società individualista, costituita da tanti Io che non diventano Noi, perde i connotati di societas per corrompersi in massa di singoli incapaci di comunicare fra loro. I desideri scadono a pretese, le volontà a velleità. Tutto diventa liquido: privo cioè di forma, centro, passato e futuro. Esiste solo un indeterminato presente, o meglio una contingenza, per la quale consumare le energie del momento; quella e null'altro. A Dio s'è sostituito l'Io: ne sono scaturiti miriadi di mondi acefali, aferesi di comunità mosse solo da un istintivo bisogno. Logico pertanto che il mancato soddisfacimento di tale bisogno porti molto spesso a reazioni distruttive, primordiali come la broda in cui bene e male si mescolano e confondono, sono anzi concetti senza senso nel magma pre- o subumano che tutto macina e inghiotte.
Tratto distintivo dei nostri tempi, si suole ripetere. Ma è del tutto vero? Non v'è nulla d'ancestrale, nulla del biblico serpente antico in questi epifenomeni?
Nella precedente riflessione abbiamo cercato di smentirlo. Carlo Lissi ha squartato la moglie e i bambini divenuti insopportabili pesi non perché pazzo, non perché capriccioso Peter Pan, non perché sadico assassino ma perché degno frutto d'una mentalità radicata nella notte dei tempi. Una perversione intellettuale talmente diffusa, persino in chi ne è vittima, che le discriminazioni, le violenze, persino i crimini commessi in suo nome non ci sembrano tali, ma li accettiamo come fenomeni di "natura": è "naturale" la donna sia debole, "naturale" le spettino minori diritti nel mondo della scuola e del lavoro, "naturale" sia meno tutelata dal punto di vista legislativo; "naturale" non possa (non debba) esser sacerdote, dirigere la preghiera, salire ai vertici della scala sociale; "naturale" sia considerata di fragile intelligenza, più dedita alla sensualità, complementare all'uomo (ma non viceversa). "Naturale" sia madre (e anatema a chi non manifesta questa sacrosanta propensione): perciò l'indegno ex-prefetto di Perugia invita cortesemente al suicidio le MADRI inette a gestire un figlio drogato, ma non fa motto alcuno sulle responsabilità dei PADRI, i quali pure, nella sua mentalità, sono i "capifamiglia".

Al disperato "perché?" urlato da Cristina Omes [nella foto con i genitori] mentre riceveva i fendenti del suo aguzzino tale mentalità non prevede risposta. La donna non può che esser muta, accettando in silenzio anche la propria eliminazione fisica. Non può, non deve capire. È una domanda, quella di Cristina, imprevista, atta solo a scatenare la furia di chi non la considera persona. E, con le coltellate, le replica nel solito, assurdo modo dei dittatori: "Perché sì!!!".
Il maschilismo è dunque fenomeno remoto; forse, addirittura, l'origine d'ogni violenza successiva. 
Tutto si spiega? Andiamoci piano.
La strage di Carlo Lissi ci pone di fronte ad altri inquietanti interrogativi e responsabilità. Lissi non è, come speravano leghisti e razzisti, un extracomunitario, magari "negro", non un talebano o musulmano (per i soggetti suindicati, i termini sono sinonimi), non un deviato sessuale ne' tantomeno una "mela da scarto" alla Stefano Cucchi, su cui poter riversare odio feroce ammantato da modi flautati. 
Carlo Lissi non era nulla di tutto ciò, bensì il figlio modello sognato dalle famiglie perbene, e anche da quelle per male: bianco, piacente, diplomato, salutista, col villino in Brianza (ah, la cara e vecchia siepe del campetto, umile e pia!), tutto casa e chiesa. Eccoci arrivati a un altro aspetto della questione: la chiesa.
Perché Lissi, fra gl'innumerevoli pregi della sua vita tutta in discesa, vantava quello di giovane devoto: oratorio, assistenza regolare alla Messa, altro che edonista perso nei suoi tatuaggi. Oddio, i tatuaggi li aveva pure lui, le sopracciglia non dimenticava di ritoccarle, l'abbronzatura alla moda non gli mancava mai, ma quella sua fede, i sani insegnamenti ricevuti, quelli l'avranno preservato dalle nefaste influenze dell'"air du temps", no?
Ebbene... no. Allora spingiamoci più in là: ferme restando le responsabilità personali, quale Vangelo è stato trasmesso a quest'anima smarrita? Interrogativo mai sollevato - e "pour cause" - da alcun giornale, osservatore più o meno accreditato, laico o cattolico che fosse.
Quale Bibbia, quale Vangelo ascoltiamo e assimiliamo la domenica? Il Vangelo delle brave persone? Il Vangelo della siepe? O quello dell'accoglienza del diverso, dell'estraneo, del perseguitato? Il Vangelo dei bianchi? Quello che si confonde con la tutela dell'ordine costituito? Quello devozionale dell'immobilismo? Che promuove non la famiglia ma il familismo, caricatura borghese contro cui lo stesso Cristo lancerebbe strali infuocati, e nasconde dietro vapori d'incenso l'ipocrisia dei rapporti interpersonali?
Quale Bibbia, quale Vangelo trasmettono i nostri pastori? Quello letterale e fondamentalista di certa gerarchia ecclesiastica, che pare talora dare avallo alla perversione intellettuale del sessismo? Quello per cui Dio è maschio? O una Bibbia e un Vangelo d'un Dio fatto carne, carne declinata nei due sessi, carne viva e benedetta e non materia da rinnegare?
È la Bibbia e il Vangelo della tradizione semitica o dell'astratto dualismo platonico? È, infine, la Bibbia e il Vangelo della differenza, dello Spirito che, lungi dall'annullare, arricchisce il corpo? Un corpo, anzi un corpus, non solo "domini", ma anche "dominae"?
"L'uomo non È Cristo e non ha il potere di distribuire i doni. [...] È una creatura con alcuni doni e molti difetti. Sarà sua somma saggezza cercare il rimedio ai propri difetti in quel membro [la donna] che lo completa", scrive Edith Stein - a lei, e non ad altre/i, si deve la prima formulazione sistematica del pensiero della differenza -. 
Amare e rispettare la donna (e, di conseguenza, ogni diversità) come corpo divino, è il cuore del Dio trinitario e relazionale, l'esatto contrario dell'onnipotenza narcisista fondata sull'idolatria dell'Io. Questo Vangelo scomodo e sovversivo, sappiamo ascoltarlo, comprenderlo, metterlo in pratica?
Se non rispondiamo a tali domande, continueremo a occuparci di questioni secondarie, a privilegiare l'ontico all'ontologico, a immergerci in rivoli di parole, perdendo di vista la Parola-carne. Ne abbiamo forse vergogna. Forse, ce ne scandalizziamo.

© Daniela Tuscano

concerto pearl jam jam san siro 20\6\2014

  Io  credevo che  mio cugino    esagerasse  a volere  andare  li   , nonostante  posti numerati   5 ore prima ,    quando   il concerto iniziava    alle  20.30 ( puntualità permettendo  ) come   s'evince  da da   questo  mio  scatto ( l'altro lo trovate sotto ) prima cher  mi si scaricasse  il cellulare  .   io  stupidità mia   che avevo  consumato la batteria  sminchionando con internet , non mi  sono  ne  comprato un carica batteria   portatile  nè   l'ho ricaricato durante  la  pausa  quelle  due  ore  prima del  concerto  quando  ero a casa sua  a Como  . 
  Invece  come potete  notare   sia    dalle  sue  foto  ,sia   dall'altra  con il mio cellulare  
 di mio cugino   https://www.facebook.com/roberto.facchini.92

  c'era  già  un  casino  di gente . E poi  fra   aspettare   gli altri   suoi amici  che  sono  venuti  con la metro   e  la  fila per i " viveri "  e  il Merchandising (  la maglietta  ed  il poster\locandina  del concerto  )   dalle  16.20  che    siamo  entrati     alle  18.15


Un  Vaff   a repubblica  del  21\6\2014  quando dice  
Italia-Costarica, ecco perché abbiamo perso

                         


Miracolo, forse per  qualche ordinanza  del comune di Milano  in modo  d'accontentare  sia  i residenti  del quartiere  sia perchè a  differenza  (  ovviamente senza  generalizzare  )   dei gruppi  e  cantanti italiani gli  Americani   e  i paesi del nord  Europa    ci tengono alla puntualità  , il concerto  è iniziato  subito dopo, il consueto ed   tollerabile "quarto d'ora   accademico " ,  dopo la  deludente ( per  non dire  di peggio  partita  della nazionale  )   trasmessa   con il maxi schermo .
Fortunatamente mi sono portato  dietro  oltre  alla macchina  digitale( prima  slideshow ) e  la  videocamera (  seconda   slideshow    e video  ) .





N.B
le foto ( sia dal cellulare , sia quelle della slideshow , ed i video )sono  state prese  lontano  dal  palco  più  precisamente  dal anello in basso  settore    centrale,   e  poi  è  un po   che non prendevo in mano  la  videocamera  , ma  soprattutto ero  emozionato  davanti ad  alcune delle   mie canzoni preferite  . Inoltre  avevo  vicino  ,  e  davanti   che   si agitava e pogava  come se  fosse sono il  palco . Quindi   quindi mi  scuso con    1) i puristi   ., 2 )  il   il  gruppo  ., 3)  il  fans  club italiano  http://www.pearljamonline.it/.Per per  chi volesse   delle  foto  decenti   ecco questa  galleria  della radio che ha sponsorizzato il concerto  www.virginradio.it/galleria/pearl-jam-in-concerto-a-milano-san-siro/
e  sempre  dallo stesso sito



oppure  da un video trovato  sulla  bacheca  di Stefano Steno Ceccarelli un mio contatto  di facebook
un   concerto emozionante .bellissimo , intenso .in  un ottima  cornice   Infatti 




un ottimo concerto mi  ha   commosso  e  fatto  piangere sin dall'inizio di un concerto, con Release, Nothingman






gli altri video li trovate  sul mio canale  di youtube 
 (   ripeto l'url per  i nuovi del blog )



Sirens e Black...ecc
l'inizio live più bello di sempre...tre ore di brividi ed emozioni  bravissimi.....e bellissimo San Siro!!!! , Una forte emozione poter dire io c'ero . 
"Fintantoché riusciremo ad andare d'accordo almeno per una serata, noi vinceremo contro tutto": con queste parole di fede nel rock pronunciate prima di 'Rocking In the Free World' Eddie Vedder ha siglato ieri sera il concerto dei Pearl Jam a San Siro. Non la prima volta in assoluto negli stadi italiani per la band americana, già testati da gruppo-spalla degli U2 nel 1993, ma la prima da protagonisti come si può ( da repubblica online ) "Porch" (Ten) suonata in acustico da Eddie Vedder con tanto di maglia di Cassano prima della partita non ha portato gran fortuna. Ma i 62 mila di San Siro (sold out) non hanno di che lamentarsi: i Pearl Jam, senza gruppo spalla, suonano 34 canzoni in tre ore di concerto (niente gruppo spalla, non fa per loro). 
evincere anche dalla scaletta (  foto  a  sinistra   presa da  http://www.tgcom24.mediaset.it/  )  
Il concerto inizia come  panorama.it aveva previsto : partenza lenta, con "Release" (da Ten), "Nothingman” (da Vitalogy) e il singolo "Sirens" (Lightning Bolt). Si accelera poi con "Go” (da Vs) e “Do the evolution” (Yield) e "Corduroy" (Vitalogy). 
Verso la fine, Eddie Vedder dedica "Just Breathe" (Backspacer) alla moglie: "L'ho conosciuta qui a Milano, 14 anni fa, ed è diventata mia sposa e la madre dei mie figli".
Si chiude come previsto con "Rockin' in the Free World" (cover di Neil Young, con il figlio del batterista alla chitarra al posto di Mike McCready). Ma non prima di aver suonato "Alive":

Infatti  confermo il giudizoio sul concerto    e qui  chiudo con la  recensione dell'evento  fatta  ttp://www.repubblica.it/spettacoli/musica/
Non so  cos'altro dire se  se  non che  n'è valsa  la pena  di  :  farsi  quella  sfacchinata ( alzarsi alle  4.30 del mattino per  andare ad Olbia  (  50 minuti  di macchina     con la vecchia stra   perchè  l'altra  è bloccata  dall'alluvione  di novembre  )  prendere  alle  7 l'areo per linate  tornare  a 01.00  dal concerto   trovare un albergo senza prenotazione alle  2  del mattino    e  poi  ripartire  da malpensa   per  prendere il volo del  10.55    e  prenderlo al volo perchè  il terminal  2  di lmalpensa  è un casino  per trovare  il gate del  tuo volo    , e  tornare  fra una cosa  l'altra  a tempio  alle  14  e  poi   dopo 3  ore  fra pranzo e   riposino   andare   a fare il turno per  una tua mostra  di fotografia   a cui  ,  sic  non ha  potuto  partecipare  all'inaugurazione  perchè  eri al concerto 


Una maratona di musica ed emozioni. Per la loro prima volta allo stadio di San Siro, i Pearl Jam hanno presentato uno show fiume, 35 canzoni in tre ore di uno spettacolo che ha avuto anche spazi "intimi", come la dedica di Eddie Vedder alla moglie per il loro anniversario o l'happy birthday corale dei 70mila presenti per il compleanno della compagna del batterista Matt Cameron.C'era molta curiosità di fronte a questo evento, perché per la band di Seattle non era solo il debutto nel "Alive", "Jeremy", "Even Flow"), per gli estratti dall'ultimo, non proprio esaltante, album "Lightning Bolt" e anche per momenti intimi ("Just Breathe"), chicche ripescate dal vastissimo repertorio ("Thin Air") e brani più accattivanti perfetti per trascinare il pubblico a ballare felice ("Better Man", "Rockin' In The Free World").                                                       In una scatenata "Daughter"riescono persino a trovare il modo di inserire un pezzo di "Let It Go", il successo di Demi Lovato dal film Disney "Frozen".l concerto è un lungo percorso al quale il pubblico viene introdotto, come usuale per la band, con un approccio morbido, con pezzi lenti che creano l'atmosfera e danno il tempo tanto alla platea quanto a un emozionato Vedder di scaldarsi e prendere contatto con l'evento. Ma che contatto: "Release", "Nothingman" e "Black" riportano subito indietro di venticinque anni. Senza contare che il cantante ha offerto un antipasto prima della sciagurata partita dell'Italia, con una versione chitarra e voce di "Porch". È lui il fuoco dell'attenzione: accompagnato dall'immancabile bottiglia di vino e da un blocco appunti con i discorsi da fare in italiano, si conferma front man dalla voce potente e dal carisma unico, per quanto molto meno mobile sul palco rispetto a un tempo (e forse un po' acciaccato a giudicare da come si muove nel finale). Ma è tutto il gruppo a girare a mille, con gli infiniti assoli Mike McCready, il pulsare costante del basso di Jeff AmentStone Gossard a cucire con la sua chitarra e Cameron a picchiare come un forsennato.Il palco è spartano, quasi commovente nella semplicità delle luci e degli "effetti speciali" (delle saette fatte con le lampadine). Anche i due maxi schermi laterali sono al minimo sindacale ma è la musica che fa lo show, al punto che uno potrebbe chiudere gli occhi ed essere investito dalla sua energia in egual maniera. In particolar modo nel finale composto dalle due sezioni dedicate ai bis. Che non sono i classici due o tre pezzi di rito, ma ben tredici. Con un travolgente crescendo emozionale, dalla parte acustica, aperta dalla dedica di Vedder alla moglie con relativo ricordo del loro incontro dopo il concerto milanese del 2000, per arrivare a furibonde rasoiate punk come "Spin The Black Circle". E alla fine è tutto lo stadio, con le luci accese, a ballare e a salutare. Si replica a Trieste domenica con, ci potete giurare, una scaletta del tutto diversa.

da  http://cultura.panorama.it/musica/
catino milanese ma anche la prima volta di un tour negli stadi, location in passato da loro avversata in maniera esplicita. Come spesso accade, il passare del tempo e il sempre più esiguo numero di nuovi miti in campo rock hanno trasformato in fenomeni di massa gruppi prima di culto. E così se nel 1992, in piena rivoluzione grunge, a vedere i Pearl Jam al Sorpasso c'erano poche centinaia di fan (evento ricordato da Vedder nel corso del concerto), ora che il grunge è un ricordo diventano un'icona attorno alla quale si raccolgono anche convenuti dell'ultima ora. Il potere dei Pearl Jam è di riuscire ad accontentare tutti, die hard-fan e curiosi.Perché con una scaletta così ampia e strutturata c'è spazio per i brani più famosi






Islanda, niente ruspe nei luoghi del mito così gli Elfi fermano la nuova autostrada

la  repubblica  21\6\2014

HANNO vinto gli elfi. Giù le mani dalle nostre case di lava, dai silenzi della verde brughiera. Ferme le ruspe, spenti i caterpillar: la nuova superstrada che doveva collegare la periferia della capitale Reikjavik con la meravigliosa penisola di Alftanes, dove si trova la Casa Bianca del presidente Olafur Grimsson, si è improvvisamente arrestata davanti al "popolo invisibile": «Dicono che gli elfi vivano in un gruppo di rocce lungo il percorso: dobbiamo rispettare questa credenza », ha spiegato il portavoce del Dipartimento stradale islandese Petur Matthiasson all'incredula inviata della Bbc , mostrando i puntini rossi della "Cappella degli elfi" e della "Chiesa degli elfi" sulla cartografia ufficiale del progetto.

Il braccio di ferro tra economia e fiaba andava avanti da mesi, e si è risolto a vantaggio dei miti del Grande Nord agitati come un vessillo dagli ambientalisti: un simbolo contro cui la ragion di stato ha abbassato la guardia e stralciato il progetto. Alla fine si è trovata una mediazione: la casa degli elfi è salva, le immense rocce della "Chiesa" e della "Cappella" di roccia lavica in cui la veggente Ragnhildur Jonsdottir assicura che gli "uomini invisibili" vivano indisturbati da millenni non saranno demolite per distendere l'asfalto della superstrada ma verranno accuratamente sollevate e spostate un po' più in là, lasciando il tempo agli elfi di trasferirsi temporaneamente al sicuro per sopportare il trasloco. Un'operazione che costerà una fortuna, ma che rispetterà i gioielli disegnati dalla natura nei campi di lava di Galgahraun, la terra selvaggia abitata dagli
elfi che la superstrada attraverserà.
Dicono gli studi (Università d'Islanda, 2007) che sei islandesi su dieci credano agli elfi, ma non è esattamente come credere a Babbo Natale: identificano negli elfi la personificazione della natura incredibile che in Islanda è intensa come uno schiaffo. Il canto dei ghiacciai in movimento, il tremito della terra schiantata dai vulcani, la magia delle aurore boreali... «Qui la tua casa può essere distrutta da qualcosa che non vedi, i terremoti; il vento può sollevarti da terra, l'odore di zolfo ti avverte che il fuoco brucia non troppo lontano dalle tue suole», dice Terry Gunnell, docente di cultura popolare all'Università d'Islanda.



Dopotutto, «mi sono sposato in una chiesa con un Dio invisibile esattamente quanto gli elfi, quello che può sembrare assurdo in realtà è piuttosto comune in Islanda», spiegò l'ambientalista Andri Snaer Magnason a dicembre quando scoppio la protesta contro la superstrada e iniziò la sua battaglia combattuta fianco a fianco con la veggente amica degli elfi. Per mesi, giorno dopo giorno una piccola folla di islandesi inferociti per una strada «inutile» che avrebbe «tagliato in due i campi di lava » creando «un danno ambientale immenso» ha assediato il cantiere tentando di fermare i lavori. Alla fine, gli elfi hanno convinto il governo. Se c'è una cosa che non piace agli islandesi è sentirsi apostrofare come paesani creduloni. Ma gli elfi, quelli non si toccano: il mondo misterioso della natura non si offende, si rispetta.

21.6.14

il cardinale martini una voce inascoltata dalle gerchie della chiesa . Georg Sporschill,- Stefano Stimamiglio ( Chi salva una vita salva il mondo intero , San Paolo, pagg. 160, 14 euro).

da  repubblica  del 21\6\2014

ROMA. LA CHIESA è "indietro di duecento anni se non di trecento". Così scrisse il cardinale Carlo Maria Martini nel Testamento pubblicato il primo settembre del 2012. Il testo venne raccolto in limine mortis da padre Georg Sporschill, gesuita austriaco, che oggi assieme a Stefano Stimamiglio racconta per la prima volta la sua vita ( Chi salva una vita salva il mondo intero , San Paolo, pagg. 160, 14 euro).



Padre Sporschill, nel 2012 vi fu chi sostenne che quel Testamento non era del tutto autentico.
"Tutte le parole pubblicate mi furono dette da Martini l'ultima volta che l'ho incontrai a Gallarate, l'8 agosto 2012, ventitré giorni prima che ci lasciasse, e le ritengo autentiche. Una volta tornato a casa avevo pensato di saltare qualcuno fra i passaggi più duri, ma Ruth Zenkert  -  la donna che da anni lavora insieme a me con i bambini di strada e rom in Romania  -  mi disse che avrei dovuto lasciare quelle parole, come lui le aveva espresse. E così ho fatto. Martini è stato un uomo molto profondo nella sua fede e allo stesso tempo dotato di un amore leale e fedele per la Chiesa. Quando si ama qualcuno, si soffre se lo si vede in difficoltà. Per questo ha patito nel vedere che gli uomini di questo tempo non la ritengono un interlocutore credibile con cui confrontarsi. Per lui il sintomo evidente della malattia era l'indifferenza della gente. Questa sua idea, insieme ad alcune cause che lui vi intravedeva  -  e cioè gli intrighi di curia e la nomina di alcuni vescovi  -  l'ha espressa sia oralmente che per iscritto più volte a papa Benedetto. Da quanto so, però, senza ottenere risposta. Di Giovanni Paolo II pensava che fosse un uomo con un carattere forte, che lo portava talvolta a non ascoltare ragioni su alcune decisioni già prese. Quando destinò lui che era un torinese, a Milano, le perplessità che espresse a Wojtyla furono da questi respinte senza tante discussioni. Martini è stato sempre leale con i Papi, tanto che ha sempre espresso loro la sua idea sullo stato della Chiesa senza infingimenti. E devo riconoscere anch'io che, fino all'arrivo del "suo" candidato, cioè di papa Francesco, ben poco si è mosso nella Chiesa. Bergoglio era già un "papabile" nel Conclave nel 2005 in alternativa a Ratzinger e credo che sia stato proprio Martini  -  è soltanto una mia opinione  -  a proporre ai cardinali il suo confratello argentino".

Fu anche la pubblicazione di quel Testamento che contribuì ad appiccicare addosso a Martini l'etichetta di Antipapa.
"La sua risposta è sempre stata: "Non sono un 'Antipapa', sono un 'Antepapa'": in questo è stato profetico".

Martini ha spinto la Chiesa a farsi promotrice di riforme in vari campi, fra questi la sessualità. Cosa pensava dell'Humanae Vitae di Paolo VI?
"Faceva spesso l'esempio dell'Humanae Vitae come materia su cui portare la discussione ecclesiale riguardo a matrimonio e sessualità. Vedeva come un grande problema il crescente numero di divorziati nelle società occidentali e si rendeva anche conto che sulla sessualità la psicologia e la medicina dovessero essere prese in seria considerazione dal magistero della Chiesa, non prima però di avere chiesto scusa per alcune posizioni dure del passato".

Cosa pensava del Vaticano?
"Era un religioso tutto di un pezzo e quello che accadeva dentro le mura vaticane lo faceva soffrire molto".

Si sarebbe mai aspettato Martini l'elezione di Bergoglio?
"Credo di sì. Diceva che il Papa avrebbe bisogno di avere intorno a sé gente un po' matta per tentare strade nuove. Per "matta" intendeva "coraggiosa". Con Francesco mi sembra che la realtà abbia superato la fantasia: il Papa argentino è, in questo senso, un po' "matto". Ha il coraggio di vivere secondo uno stile diverso, quello che Martini auspicava: vicino alla gente, soprattutto a quella in difficoltà. Di lì, e solo di lì, lo Spirito Santo dà la forza per fare le riforme"