31.8.19

Gian Marco Carboni, ex Dimonios, strappò alla morte un carabiniere Premiato con la medaglia d’argento, ora fa il passacarte. Il motivo: è bipolare



SASSARI. Ogni tanto la sindrome bipolare trasforma il soffitto della sua camera in un widescreen. La notte, in quel buio non buio rischiarato dai pensieri, Gian Marco Carboni spalanca gli occhi, e la mente va in rewind. Rivede le immagini che scorrono. Sono perlopiù anime ancora sporche di morte, che forse non lo abbandoneranno mai.
Ora sta bene. Dice: «Vedi cosa ha scritto il mio psichiatra tre giorni fa? Compensato. Quindi tranquillo: non stai parlando con un matto».

L’autoironia è un’ottima medicina, che lui assume in dosi massicce. Poi ci sono gli altri farmaci, quelli chimici, che si trasformano in un navigatore interiore, capace di mantenere l’umore sulla retta via. Ma talvolta la sindrome bipolare riprende il volante, sterza bruscamente e preme sull’acceleratore della vita. Se Gian Marco Carboni ora si ritrova nel presidio sanitario di San Camillo, a Sassari, con una scrivania davanti, una penna tra le mani, l’umore sotto i piedi e una risma di fogli da fotocopiare, invece di stringere un bisturi chino su un letto operatorio, lo deve agli smottamenti emotivi della sua malattia. Lui, medico di trincea, promettente chirurgo, Dimonios, eroe di guerra, medaglia d’argento al valore che ha salvato vite a rischio della propria, ora si sente in stand-by esistenziale, a mollo nella burocrazia.




Parla con precisione, ha neuroni vivaci, il suo racconto è secco, verrebbe da dire chirurgico, la memoria è svelta. Ma quando va a pescare in profondità, nei fondali più bui, allora tutto rallenta: perché i ricordi sono ancora pieni di spine, e per non pungersi e sanguinare bisogna andarci piano. Riesumarli con cautela, soppesarli, lasciarli andare con un sospiro.
Dodici novembre del 2003. ore 10,30. «Svolgevo le visite mattinali negli ambulatori dell’infermeria della Brigata Sassari. Avevo 28 anni, ero sottotenente medico del 151° reggimento fanteria: ero un Dimonios. All’improvviso udii un forte botto, e pensai a un petardo. La nostra base, White Horse, distava 7 chilometri da Nassiriya. Uscii e guardai la piana sterminata: vidi una coltre di fumo densissima, e capii che doveva essere successo qualcosa di grave. La chiamata radio, qualche secondo dopo, confermò i miei timori». Carboni organizza rapidamente la squadra sanitaria e si dirige verso l’esplosione. «A un centinaio di metri dal luogo dell’attentato c’era un ponticello. Lì vidi un carretto pieno di frutta, e attaccato un mulo. All’animale mancava il ventre, perché l’onda d’urto era stata talmente devastante, da avergliela asportata». Quell’animale sbudellato sarà una delle sequenze di morte trasmesso in loop dal soffitto insonne.
Un’autocisterna carica di nafta aveva puntato a tutta velocità sulla santa barbara della caserma dei carabinieri e si era fatta saltare in aria. Il cratere scavato dalla deflagrazione, la palazzina dilaniata, la devastazione fisica del paesaggio è un’altra istantanea che contaminerà per sempre i pensieri.



«Io mi ritrovai in mezzo a uno scenario di guerra, con i caricatori e le munizioni custoditi nella riservetta che, avvolti dalle fiamme, continuavano a sparare proiettili intorno. Colpi di ak 47, beretta calibro 9, ar 70-90, uno dietro l’altro. Era come stare sotto tiro. Vidi un Vm blindato ribaltato su un lato, con il portellone aperto. Mi levai il casco per entrare, violando qualunque norma sulla sicurezza. Tirai fuori con tutta la forza che avevo un ragazzo. Mi accorsi subito che c’era poco da fare. Ma non volevo lasciarlo lì. Aveva 24 anni, volevo dargli una chance. Quando provai a rianimarlo era già morto».
Non c’è paura in questi scenari estremi. Il cervello va in autoprotezione, ti immerge in un liquido amniotico di imperturbabile onnipotenza: «Io non so se ci fosse già lo zampino della mia patologia, che cominciava già a lavorare sulla testa, fino a quel momento non mi aveva dato segnali. Però io, in quel frangente, mi sentivo immortale. Ricordo bene questa sensazione, e so di non essere l’unico soldato ad averla provata. Io dopo Nassiriya non ho più paura. Temo solo che i miei figli si possano ammalare. Posso avere incubi, rivedere fantasmi. Ma la morte non mi spaventa più».
L’ha vista posarsi da un corpo all’altro, mentre l’ospedale degli americani in pochi minuti si trasformava in una catena di montaggio. I soccorritori arrivavano come tante formichine che depositavano uomini fatti a pezzi. Un ufficiale a un certo punto grida: «We need a surgeon, ci serve un chirurgo». Gian Marco Carboni si fa avanti. «Avevano bisogno di me per un carabiniere colpito da una scheggia, con una emorragia toracica. Si chiamava Vittorio De Rasis, un abruzzese, che riconobbe la mia divisa e mi disse: tenente la prego mi salvi, ho dei bambini a casa che mi aspettano. Guardai la ferita e applicai un trucco che avevo “rubato” al mio primario Mario Trignano. Spruzzai dell’acqua ossigenata, che fa schiuma, per individuare l’origine del fiotto di sangue. E alla cieca tamponai il danno: era impensabile isolare l’arteria e suturarla. Feci la cosa più immediata per non farlo morire: chiusi il rubinetto con una pinza. E grazie a questo accorgimento un po’ rudimentale, De Rasis rivide i propri figli».
Il direttore sanitario del presidio Usa il giorno dopo si complimenta. «Mi fece chiamare e mi disse: “You are very qualified”. Io, specializzando al terzo anno, risposi: I’m very lucky. Sono solo fortunato».



Ma quel piccolo miracolo, assieme al coraggio e all’energia dimostrata durante i soccorsi, nel maggio del 2006 gli sono valsi la medaglia d’argento al valore militare. Che non equivale esattamente a un “bravo” accompagnato da una pacca sulla spalla. «Alla cerimonia di consegna ricordo un colonnello che, davanti alla mia onorificenza, è scattato sull’attenti». Poi però la medaglia e soprattutto i ricordi hanno un loro peso, e finiscono per trascinare a fondo Gian Marco Carboni. La sindrome bipolare a distanza di un anno presenta il conto. «Ha fatto un bel po’ di casino nella mia testa, e ci sono voluti cinque specialisti per rimettere ordine». Per risalire a galla bisogna spogliarsi dei fardelli, e dopo il congedo dalla Brigata l’ex medico del fronte comincia a denudarsi degli orpelli in maniera molto francescana. Il 12 luglio del 2013 regala la sua medaglia d’Argento al Museo della Brigata Sassari. «L’ho fatto per tre motivi: per prima cosa volevo lasciare un ricordo di quel che è accaduto a Nassiriya. Ritengo sia stato il più terribile attentato subito dall’Italia, ancor più di Piazza Fontana. Voglio che tutti sappiano cosa sia capace di fare l’uomo a un altro uomo. Poi l’ho fatto per me: per alleggerirmi di un peso, perché quell’esperienza è una ferita aperta. E infine perché ai miei figli un giorno possa capitare quel che è già successo a mio nipote. In gita scolastica al museo, ha guardato la mia foto e ha esclamato: ehi, ma quello è mio zio! E i compagni: non dire cazzate! Ma sì, c’è il nome: Gian Marco Carboni».
Un mese fa è andato all’ospedale di Ozieri alterato. «Avevo pasticciato con i farmaci, non mi rendevo conto, ero in fase ipomaniacale». Significa irascibilità a dieci tacche, niente freni inibitori, un traliccio ad alta tensione. «Ho avuto un diverbio con una collega, c’era il mio primario e una paziente: ho perso il controllo e sono andato in escandescenze. Tre mesi dopo, a causa del mio disturbo, sono stato sollevato dagli incarichi assistenziali e chirurgici e trasferito a San Camillo a sbrigare compiti burocratici. In pratica mi stanno ammazzando una seconda volta».
Prende ancora un respiro, lascia andare piano le parole: «Io ho sempre tenuto un profilo basso, ho preferito privarmi di ogni luccichio. Ma ora la mia medaglia la tiro fuori. Perché se non sono morto a Nassiriya non voglio morire pian piano nella depressione. Ho dato tanto e pretendo una possibilità. La sindrome bipolare è una patologia che si può controllare, come il diabete. E io resto un bravo chirurgo. Non ho mai avuto una denuncia, mai un danno a un paziente. La mia capacità diagnostica mi viene riconosciuta, so gestire un reparto, posso dare il mio contributo. Non pretendo di operare, ma in un momento di difficoltà non merito di essere gettato via così».
Perché il soffitto della sua stanza, da qualche tempo non è più solo uno schermo che trasmette i ricordi: rischia di diventare un buco nero che assorbe la luce della vita.


  sta  combattendo  contro  il suo  ( e  di tutti quelli che tornano da   guerre  ) 



mi  ha  dato la  forza   di riprendere   a  leggere     il  suo nome   era  guerra  ( ultimo n  di dylan dog  )
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un numero : Fiero ed indigesto l'ultimo Dylan dog visto gli elementi di rottura che ci sono contenuti per coloro abituato al vecchio stile ,i nostalgici insomma, o abituati che una cosa non cambi o si trasformi . Ottimo uno, forse il più bello ,di questo ciclo . Speriamo che lo sceneggiatore vi rimanga in pianta stabile . Un po' Troppo splatter da non leggere di notte e prendersi dopo averlo letto una bella camomilla antiemetico come fa Block


  con questo  è  tutto    alla prossima 

30.8.19

l'estate sta finendo , l'autunno è alle porte ed io continuo ad essere vivo

lo so  che convenzionalmente  l'autunno inizia   Nell'emisfero boreale, l'inizio dell'autunno è convenzionalmente individuato attorno al 23 settembre: in tale data, si verifica infatti l'equinozio.e durerà  fino  al  21 dicembre, quando avviene il solstizio  invernale.  Ma la temperatura  inizia     a diminuire  e le  giornate  ad  accorciarsi  ed   gli uccelli ad  intraprendere  la  via del  ritorno  e  come  testimoniano questi  brevi  versi      che  chiudono l'album  dopo il lungo inverno  dei modena City Ramblers



Ci sono storie e passioni e fuoco 

e una grande aia per il raccolto 

C'è il raccolto di un'altra semina prima della notte e prima del prossimo inverno

 che è ,  una  delle   cose   della  vita  e  che  da  un senso ( proprio  come  una  famosa  canzone di Vasco Rossi  ) ,  testimoniato da questo   Murales  sardo   da  me  fotografato tempo  fa
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Lula  5\10\2015  murales  di   Elena Marras con  la partecipazione   di  :  la nipote Carla Monni e Francesco Porcu    versi di  Giovanni Piga

Ma  soprattutto  a me  piace  pensarla   diversamente   dalla   cultura di massa   ( cioè dal 'immaginario collettivo   ) inquadra l'autunno come la stagione della decadenza, dopo i calori portati dall'estate  e  come  alcuni   ( sognatori , nostalgici  , utopisti  )    che   invece, lo  vedono   tratta di un periodo di rinascita o  di preparazione   al lungo inverno (  vedere   la  i versi dei  Mcr  )  I raccolti e le vendemmie, propri della stagione, rappresentano invece una preparazione in vista dell'inverno .

Autunno, dipinto di Giuseppe Arcimboldo (Museo del Louvre, Parigi).

Una serie di ricerche condotte in America è giunta alla conclusione che le persone nate in autunno, specialmente nel mese di novembre, possano vivere più a lungo toccando anche i 100 anni.
E poi non  è  completamente  vero     che  sia  triste   in quanto  ci sono numerose  feste  ( alcune  inventate   per   fare  casa   e  guadagnarci    qualche € )  ci sono  numerose  feste  quelle più conosciute  ( alcune intatte  altre   mercificate     a  voi  capire  quali 😎😇😉 altre  non italiane   ma   purché  tutto fa    soldi     ed  ormai   c'è un americanizzazione    imperante  non  mancheranno  , spero  il più  tardi possibile , anche se   vedono    che  con Halloween li  molti e molti \ defunti  è  venuto il contrario )  ,   importate  in italia    della stagione autunnale sono:
Ecco quindi che Un altra estate della nostra vita é andata ed un altro giorno è ormai passato



  Speriamo  solo  che 
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29.8.19

la dolorosa confessione di Massimiliano Tellico, 20 anni da non gay o gay

Questo , che leggete  sotto  non è , secondo  un commento  ....  che  vuole   nascondere tali problematiche  sotto il tappetto  un argomento per le sue ovvie implicazioni sociali da trattare su un blog di un quotidiano. E’ un errore trattare di comportamento ed orientamento sessuale su qualcosa che è letto da persone che non hanno una cultura in psicologia. Dovrebbe essere una discussione tra psicologi ed addetti ai lavori, in caso contrario vengono espressi giudizi e posizioni che non hanno nulla di scientifico, ma esprimono pregiudizi e orientamenti morali e religiosi che creano solo confusione. 
Personalmente mi astengo da qualsiasi valutazione e spero anche altri. 
Ora    secondo     questo commenti    possono discutere di politica solo i Politologi , gli iscritti  o laureati  in scienze  politiche   e  storia   ?   Secondo me  Ogni uno può (  anzi deve  perchè il silenzio  ne  uccide  più di una  morte  fisica  )    invece esprimere sull'argomento un proprio parere, purché rimanga in un ambito di tolleranza  di rispetto    e  di  comprensione  . in un percorso  difficile   che  può,poi  ovviamente dipende  da  caso  a  caso,  come  dice  questo  commento <<    dopo la laurea in Lettere, mi sono specializzato in Psicologia. Ne ho letti a bizzeffe di articoli, saggi e testimonianze omosessualità, ma le cause psicofisiche sono tuttora misteriose. Anche perché presenta sfaccettature e sfumature infinite, e a volte rientra in fasi di bisessualità, temporanee o permanenti. >> portare   a determinate  conseguenze   



Non sono gay, Dio è contrario

Massimiliano studia all'università e ama la musica e i libri
Massimiliano studia all'università e ama la musica e i libri
Massimiliano Tellico, 20 anni, di Catania, studia Lingue e culture straniere, pratica arti marziali
“Non sono gay. E non capisco perché quest’idea, tutt’a un tratto. A me sono piaciute sempre e solo le ragazze, com’è giusto che sia. Figuriamoci se, con tanta gente al mondo, debba esserlo proprio io. Non sono gay. Vado sempre in chiesa coi miei genitori e Dio è contrario. L’uomo è fatto per stare con la donna: solo loro, insieme, possono avere figli. I miei, comunque, dicono che i peccatori verranno giudicati per le loro azioni"."Guardo il telegiornale, un ragazzo si è suicidato, perché vessato dai bulli. Aveva la mia stessa età, ma lui era un gay. Mi dispiace, ma il suicidio è sbagliato: poteva curarsi. È stato un vigliacco. Ora ho anche una ragazza, Greta, ed è bellissima. Quando siamo insieme mi sento strano, e non mi smuove come penso dovrebbe, ma, in fondo, sono un romantico: quando sarà il momento saprò cosa fare. Non sono gay. I miei amici stanno insultando un ragazzo: 'Ti piace il c... ricchione?' dicono. Lo difenderei anche, ma se lo facessi finirebbero per prendere anche me per gay. Io sono normale e non voglio pagare per gli errori degli altri"."Non sono gay, Lorenzo è solo un’avventura. Con Greta non va benissimo, e lei non è tenuta a saperlo. Certo, è carino, e con lui mi sento davvero bene. È solo una distrazione e poi, se non trasgredisco a quest’età. Non sono gay. È successo un casino: Greta ha visto me e Lorenzo insieme, l’altro giorno. Si è messa a dire in giro che sono gay e che l’ho tradita con un ragazzo. Ora non posso entrare a scuola, che tutti mi guardano male o ridono alle mie spalle. Sono qui solo come un cane, a trattenere le lacrime, non devo piangere. Mi siedo su un muretto, mi sento toccare la spalla. È Lorenzo, ha visto tutto. Ma io mi alzo inorridito. 'È colpa tua!' lo accuso"."Non sono gay. Sto a casa da giorni, finto malato. Mia madre non si beve più la storia della febbre, così mi manda a fare la spesa. Arrivo al supermercato col morale a terra. 'Ciao', ma chi può essere? È Sofia, della classe accanto. 'Ma quindi è vero che sei gay? Ma è bellissimo!' sorridendomi. La conversazione non è durata molto e, nonostante l’imbarazzo iniziale, mi sono sentito meglio.Ok, forse sono gay. E non m’importa. Ho dei nuovi amici, ora, e mi vogliono bene così come sono. Ho anche chiarito con Lorenzo e stiamo cominciando a uscire, senza vergogna ora. Per la prima volta in vita mia sento davvero bene, così come sono, e non ci rinuncerei per nulla al mondo".


 concludo  condividendo questo  commento



4 ore fa
Assunta Guarino
Caro Massimiliano, diciamo la verità, l'uomo del terzo millennio deve ancora capire tante cose.
Si cercano le regole, si fanno i regolamenti, si disciplinano le differenze in nome della legge, della scienza, della tecnologia, della morale, degli usi.
Ma non è ancora cambiato l'approccio alla diversità, altrimenti la diversità medesima non sarebbe tale.
La diversità la crea l'uomo con i suoi comportamenti che cercano una radice nel "così si fa, così è, così dev'essere".
Se invece il comportamento fosse inclusivo a prescindere dai canoni, allora tutti staremmo meglio.
Perchè non ci sarebbe bisogno alcuno di legiferare per la tutela dei diritti di chi è diverso, e chi è diverso ora non lo sarebbe affatto.
Il gioco sta tutto lì, allargare la mente e farci entrare tutte le differenze.
Ma tu sei sulla buona strada, anche se spesso ti taglierai i piedi sui cocci di vetro che ti lanceranno quelli normali. In bocca al lupo e buona vita!






26.8.19

borghi fantasmi i nuovi monasteri e rifugi dalla civiltà tecnologica ed iper connessa ? il caso di Savogno e di Gairo

l'articolo  che  trovate sotto conferma  tale storia     che  circola  sul  web da  diversi giorni .

https://bari.repubblica.it/cronaca/2019/08/25/news/vacanza_in_puglia_il_post_e_virale-234320226/

"Quando un forestiero viene al sud piange due volte, quando arriva e quando riparte". Alessandra, una ragazza di Milano tornata a casa dopo l'estate in Puglia, chiude così il suo post dedicato ai luoghi in cui ha trascorso le vacanze. Una dichiarazione d'amore ("colpo di fulmine", lo definisce lei) per la Puglia che era destinata ai suoi amici virtuali ma è andata oltre le aspettative, raggiungendo in meno di 24 ore mezzo milione di persone.
Inchiostro di Puglia, il portale che Michele Galgano ha dedicato a storie e persone della sua regione d'origine, ha infatti ripubblicato il post della ragazza sulla propria pagina: nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione il post è stato letto, condiviso e commentato da migliaia di persone. Toccate, evidentemente, dalla descrizione di una regione




Questo è un post diverso dal solito. Nel senso che non è una lettera che qualcuno ci ha inviato. Ma è un pensiero pubblicato sul proprio profilo da Alessandra, una ragazza milanese, al ritorno dalle sue vacanze in Puglia.
Ce lo hanno segnalato e noi glielo abbiamo rubato :)
...
Diario di bordo della Puglia.
Sono tornata al nord. Neanche il sole pugliese mi ha dato un po' di colore.
Già immagino i vostri "ma come sei bianca!! " raga lo dico qui per TUTTI io ero sotto l'ombrellone a mangiare.
Panzerotti, focaccia, polpettine, orecchiette alle cime di rapa, capocollo, cacioricotta, salsicce, bombette, gelati, polipo fritto, pasticciotto e un'altra infinità di cose troppe buone.
Sono ingrassata, ho messo su qualche chilo ma di felicità (o meglio, sui fianchi li ho messi davvero) felicità di aver visto dei posti meravigliosi. Ho visto posti incantevoli, mi sono innamorata del "bianco Puglia" che non è il classico bianco raga, è bianco Puglia!
Apro una parentesi non ho mai, e dico mai sentito suonare un clacson quando ero indecisa ad un bivio, ho avuto tutto il tempo per decidere da che parte andare senza che nessuno ti mettesse la pressa al culo. Una volta deciso via e non ci sta il concerto di clacson che ti fa da sottofondo. (...)
Il pezzo forte è l'accoglienza, raga non c'è storia. Sono entrata in un negozio per comprare un paio di occhiali e adesso so tutta la storia familiare della commessa. Perché a quanto pare lì funziona cosi, funziona che tutti parlano con tutti: tu chiedi un caffè e ti ritrovi a mangiare panzerotti, funziona che tu chiedi una bottiglietta d'acqua e ti ritrovi a parlare dello scioglimento dei ghiacciai.
Altra meraviglia è il mare (visto poco ma visto) e che mare! Sono stata a Miami ad Aprile, ok? Bene, non c'entra una cazzo. Miami spostati e fai spazio al mare pugliese mèèè!
I prezzi altro punto forte, cono medio 3 gusti con panna 2.50€, insomma un gelato vero. Strano per chi è abituato ai prezzi di Milano.
Cmq inutile dirvi che io dei posti così belli non li ho mai visti, delle persone così ospitali nemmeno.
Sono stata in America, bella. Sono stata in Russia, bella. Sono stata in diversi Paesi Europei, belli. Portogallo bellissimo raga, lo consiglio, Parigi è magica, va bene Berlino stupenda la porta di Brandeburgo. Bella la Lombardia, bella Milano la mia città, mi piace anche il Duomo, buono il risotto alla milanese, per carità anche l'osso-buco (la cassoeula no mi fa cagare) ma La Puglia è un'altra storia. È un'altra storia. La Puglia mi è entrata nel cuore. È stato un colpo di fulmine.
E posso affermare con certezza che per quanto mi riguarda non c'è partita con i viaggi che ho fatto fino ad ora. Puglia voto 10 e lode. Presto comprerò un Trullo e vado ad abitarci dentro.
A quelli che abitano a Bosco Verticale o ai futuri Giardini d'Inverno dico avrete anche i soldi ma la vera ricchezza non sapete neanche dove sta di casa.
MÈÈÈ saluto la Puglia con la gioia nel cuore e con una massima "Quando un forstiero viene al sud piange due volte, quando arriva e quando riparte".
P.s. Se non riesco a comprare un trullo, spero che mia zia o la mia amica mi aiutino a progettare il Trullo Verticale


  e tale canzone  


Nella provincia di Sondrio, a quota 932 metri sul livello del mare, sorge il piccolo borgo di Savogno:



 una paese abbandonato nel 1968 che oggi testimonia la bellezza della vita rurale in montagna. Le mura in pietra e i loggiati in legno perfettamente conservati richiamano ogni estate tanti turisti ed escursionisti, ma non è facile arrivare all’abitato. Savogno non è mai stato raggiungibile in macchina e l’unica via d’accesso al paese è una ripida mulattiera di 2.886 scalini tra le montagne e le cascate dell’Acquafraggia.
A cura di Sofia Gadici
 ed  eccone   due in  Sardegna 
 eccone  altri   non sardi e sardi 
 dai video di repubblica



25.8.19

cio' che dovrebbe essere normale diventa speciale . il caso di Trapani, mamme fanno da baby sitter alla bimba dell’ambulante donna sulla spiaggia

in una  nazione   dove  sui media a   causa  dei politicanti che   parlano alla   pancia  o  usano il fenomeno  immigrazione  per  cercare  voti e consenso   ed     fanno  più notizia i crimini degli immigrati o  gli atti   di razzismo  nei loro confronti o  anche  succede  anche  queste  dei turisti    e  di bambino adottati  di  colore   , un evento come  quello riportato sotto 



    da https://www.tpi.it/2019/08/25/mamme-baby-sitter-ambulante-spiaggia-trapani/

Trapani, mamme fanno da baby sitter alla bimba dell’ambulante donna sulla spiaggia
L'italiano non ha bisogno di grandi gesti, la solidarietà femminile non ha colore o etnia. Ci si aiuta con naturalezza e spontaneità

Di Lara Tomasetta 25 Ago. 2019



Trapani, mamme fanno da baby sitter alla bimba dell’ambulante
L’Italia quella bella oggi la racconta Desirè Nica, una ragazza di Roma che, in vacanza a Trapani, ha potuto testimoniare come la parte migliore del nostro Paese esiste e non si vergogna di fare la parte da “buonista”.
L’episodio, di cui lei stessa è protagonista, è accaduto sulla spiaggia del litorale siciliano.
“Sono le 13.00, e arriva sulla spiaggia uno dei tanti ambulanti che cercano di vendere qualcosa”, scrive in un post su Facebook Desirè.
“Solo che stavolta è donna. Solo che stavolta è mamma. Ha una cesta enorme che tiene in bilico sulla testa, con dentro tutto ciò che vorrebbe vendere, e dietro, legata sulla fascia, la sua bambina. Avrà 2 anni e mezzo, 3 al massimo. Sta sotto al sole in groppa alla sua mamma mi chiedo da chissà quante ore”.
Nonostante in questi mesi ci siamo dovuti abituare a narrazioni in cui l’odio e il razzismo sembrano aver avuto la meglio, c’è una parte del Paese che ha tutt’altra propensione e di fronte alle difficoltà del prossimo – italiano o straniero che sia – prova disagio e desiderio di aiutare.




“Guardo mia figlia e penso che sono 3 ore che mi affanno per farle scegliere cosa mangiare, per coprirle la testa dal sole, per stare attenta che non beva acqua troppo fredda”, scrive Desirè.
“Dico a Gabri che vado a comprare qualcosa da quella mamma e che vado a portare un po’ di frutta fresca alla bimba e darle qualcosa da mangiare. Ma non c’è stato bisogno di fare niente.
Perché oggi l’Italia bella è stata quella delle mie vicine di ombrellone che tutte insieme hanno detto a quella mamma come loro, di andare a lavorare tranquilla, perché alla sua bambina ci avrebbero pensato loro”.
“Ed è proprio così che è andata. La mamma ha continuato il suo giro per le spiagge, e la piccola ha mangiato insieme a tutti i nostri figli sotto l’ ombra del ristorante dello stabilimento, ha giocato sulla riva, ha fatto i gavettoni insieme agli altri bambini della spiaggia. E io oggi sono felice, perché è stato davvero bello vedere tutto questo”.
Già, perché l’italiano non ha bisogno di grandi gesti, la solidarietà femminile non ha colore o etnia. Ci si aiuta con naturalezza e spontaneità.

dovrebbe essere la norma     visto che 

Dopo che la storia è stata diffusa in rete Dall'Ogliastra, un'altra turista, Marina Carta, ha raccontato che "da anni un'ambulante lascia suo figlio a giocare con i nostri", accompagnando anche in questo caso le sue parole con un'immagine di bimbi che giocano sereni tutti insieme sulla spiaggia sarda. E pare che non sia un caso isolato: "Stessa situazione. Golfo di Baratti. La bimba della venditrice ambulante gioca con i miei nipoti mentre la mamma fa il giro della spiaggia. È nata un'amicizia", ha scritto Luisa Giolli.   continua  qui su https://www.fanpage.it/attualita
Infatti  un commento  su https://www.facebook.com/Il-Tulipano-Il-Web-Magazine-Indipendente-scritto-dal-Popolo-129052657118508/

Grazia Capone
 Ce ne sono mille episodi del genere, diffondiamoli, contagiamoli.


amore e libertà

ascoltando casualmente su youtube una  vecchia  canzone  anarchica   :   amore  ribelle  di Pietro  Gori    mi    sono ritornate  alla    mente  queste     storie  lette  le  prime due  su   repubblica .it   di  un periodo ancora   divisivo ed  usato ad  uno  e consumo di chi  vuole  strumentalizzare  ed    negare  tali  fatti o  approfondire   ma  da  una parte  sola   come  ho già    detto nel precedente  post : <<   invasioni barbariche ,   Unità d'Italia, Fascismo,lotta partigiana, foibe   ed  esodo Giuliano  Dalmata  solo colpa    del  pci     ed   di tito  ,   1960\1980   dominio della cultura  comunista  le cazzate sulla storia italiana sono praticamente infinite. >> 


Ecco, guardateli. Guardate gli sposi, quel giovane uomo, quella giovane donna, osservate quanto sono belli, sono belli da far piangere, ad aver voglia di piangere per la bellezza. Del resto, quale sposa non è bella il giorno delle sue nozze, e quale sposo non lo è mentre se la rimira dall'alto del suo radioso orgoglio. Solo che loro sono belli oltre misura, Rossella O'Hara diresti di lei, un principe diresti di lui, sono così belli che riescono persino a imporre unicità alla fotografia più comune tra tutte le immagini di circostanza; quante centinaia di milioni di immagini come questa dormono in vecchie scatole da scarpe e centenari album di famiglia sparsi per tutto il mondo. Non questa, questa è viva, e i due sposi guardano ancora il mondo e dal mondo si fanno guardare lassù in alto nella scansia tra le focacce e i pandolci nel negozio di un fornaio. Continuate a dare un'occhiata ai due sposi per favore, cercate di indagare nei particolari, perché nei particolari vive una storia ancora più grande e più bella di come possa sembrare. Difficile, capisco, l'immagine è rozzamente riprodotta con la fotocamera di un telefono, i dettagli che contano sono materia nascosta e anche se fosse evidente, ignota. Il vestito della sposa è di seta, la seta di un paracadute di un reggimento aerotrasportato inglese, il vestito dello sposo è di pesante stoffa di lana, la stoffa di una divisa del corpo delle SS naziste; e il bouquet di fiori della sposa, quel grande bouquet di così vividi colori, è fatto di fiori di carta, la carta velina della modulistica dell'ufficio amministrativo del campo di concentramento e lavoro forzato di Helmstedt, Bassa Sassonia. Il matrimonio è stato celebrato e certificato il 3 luglio 1945 dal comandante dei paracadutisti inglesi che lo hanno liberato, confermato due giorni dopo con rito religioso amministrato da un prete cattolico.
Il forno si chiama da Gianchettu, Bianchetto, perché questo è il nome del fornaio, e il suo negozio è nel carruggio di un borgo della Riviera di Levante dove vado a fare i bagni da tempo immemore. Mi piace portarmi a mare la mattina presto, mi piace essere il primo piede a scompisciare la spiaggia di ghiaietta che i bagnini hanno appena finito di pettinare, mi piace nuotare fino a non poterne più, asciugarmi in fretta e poi passare da Gianchettu a prendermi una fetta di focaccia lunga un braccio e larga mezzo, mangiarmela su una panca all'ombra scarsa di un oleandro, leccarmi le dita dell'olio che è olio buono e buttarci dietro mezzo bicchiere di un qualche vermentino del bar di fronte. Si fa presto a dire focaccia, ma impastare, lievitare e cuocere una focaccia di Riviera nell'aria madida di salmastro e non farne venir fuori una flaccida, aspra, rugginosa lasagna, ma una sfoglia tenera e croccantina, non è faccenda che ci riescono in tanti. Gianchettu, sì, e quella focaccia è un gran sollievo alle inappetenze della calura, ai gastrici dinieghi della macaia. Chissà se lui lo sa che il suo forno è una cura e un riparo, lui se ne sta là dietro in canottiera e berrettino a rimestare e infornare. Ma ogni tanto viene di qua per sorridere a sua moglie che sta al banco, le sorride per riposarsi un po', e gli deve piacere così tanto che gliene avanza anche per sorridere alla coda che aspetta scontrosa e sudaticcia la sua fetta di focaccia cadauno. Gianchettu è un fornaio sorridente, una rarità in assoluto, un'unicità tra i fornai rivieraschi; lo vedo sorridere a sua moglie da quando passo dal forno, diciamo vent'anni. E fa bene Gianchettu, non foss'altro perché la signora Teresa ha due occhi azzurri bellissimi e distanti, e uno sguardo in quei suoi occhi di quelli che ti viene da pensare che un principe straniero potrebbe da un momento all'altro prendersela e portarla chissà dove. Gli occhi della signora Teresa sono gli occhi della sposa del campo di Helmstedt.
È per via di quegli occhi, e, certo, anche un po' per quella focaccia così buona, per via del fornaio di Riviera singolarmente sorridente, che al termine di un ventennale tirocinio mi son preso la confidenza di chiedere alla Teresa chi fossero mai quei due sposi lassù dietro al suo banco. Quei due sposi sono suo padre Tullio e sua madre Theresa. E questo mi ha raccontato Teresa, la moglie del fornaio, nata Leocadia e detta Lola, che però si chiama Teresa perché ha voluto prendersi il nome di sua madre che non ha mai conosciuto perché è morta mettendola al mondo; tutto quello che sa di lei glielo hanno detto le fotografie e le storie di suo padre.
Dunque mi ha raccontato che sua madre Theresa è nata nella città polacca di Pabianitz da una cattolicissima famiglia di commercianti. Pabianitz è una città colpevole, ha inutilmente e sanguinosamente resistito alle truppe germaniche d'occupazione, e dunque è severamente punita con la deportazione in massa dei civili; Theresa è prelevata dalle SS all'uscita da scuola, ha appena finito il corso di dattilografia, ha ancora da compiere quattordici anni, è destinata al campo di Helmstedt. Il campo è su una miniera di salgemma, ben in fondo nella miniera ci sono i laboratori per la fabbricazione di componenti del prototipo di un'arma segreta della Luftwaffe; il lavoro nella miniera è per i deportati politici più pericolosi, quello nel laboratorio per i più specializzati, gli uffici sono destinati alle ragazze come Theresa.
E mi ha raccontato che Tullio è nato nel '17 a Monterosso, in Riviera di Levante, da una famiglia di sarti e barbieri dove i maschi sapevano fare l'uno e l'altro mestiere assieme e anche dipingere e scrivere poesie e anelare alla rivoluzione socialista. Tullio è partito alla guerra da marinaio e dopo l'8 Settembre se n'è tornato a casa; quando i fascisti sono andati a prenderlo per arruolarlo nella Repubblica Sociale, lui si è fatto trovare in casa, era una testa calda. Lo hanno deportato a Fossoli; di quel campo non ha mai voluto parlarne, solo, morendo, ha lasciato sul comodino dell'ospedale un biglietto in cui diceva di un orrore che non poteva dimenticare, per il resto ha solo raccontato che a salvarlo dalla morte è stato il suo mestiere, un sarto è sempre di grande utilità in un posto dove ci sono tanti uomini in divisa, specialmente poi se è anche un barbiere.
Il campo di Helmstedt non è un campo di sterminio anche se c'è l'edificio per le eliminazioni, il vitto è uguale per tutti, un filone di pane da dividere tra i sedici componenti della baracca e una patata con l'acqua di bollitura a testa al giorno; nel campo tutto era proibito tranne eseguire gli ordini, Tullio ha portato per tutta la vita le cicatrici delle percosse che ha ricevuto disobbedendo alla regola, il suo nome era un numero, o altrimenti "tu, merda". Tullio ha raccontato che il primo ricordo che aveva del campo era il canto di un gruppo di polacchi, cantavano inni sacri polacchi mentre le guardie lì picchiavano, prendevano le bastonate e continuavano a cantare, cantare era proibito, era proibito anche pregare a voce alta. Era proibito festeggiare anche il Natale, e per questa ragione Tullio ha conosciuto Theresa; quella polacchetta era una testa calda e nel Natale del '44 era diventata famosa in tutto il campo perché s'era risaputo che, rischiando la morte, aveva rubato un rametto da un albero e con la carta colorata rubata negli uffici aveva allestito un alberello natalizio nella sua baracca, era furbissima e riusciva a nasconderlo alle ispezioni giornaliere. Così Tullio si è intestardito di conoscerla la testa calda polacca, e ci è riuscito trovando il modo di arrivare all'ufficio dove dattilografava. L'ha vista, era bellissima e piena di fascino ribaldo, e si è innamorato; e siccome era anche lui un uomo molto bello e molto affascinante, anche Theresa si è innamorata, così, in un lampo. Tullio ha raccontato che la cosa strana in quel campo dove nessuno pensava a altro che a sopravvivere, dove essere buoni d'animo era come suicidarsi, fu la gran complicità generale per quegli innamorati, così che riuscirono a scambiarsi persino dei biglietti, e a promettersi, e a sopravvivere fino alla liberazione.
Naturalmente il vestito della sposa e il suo lì ha tagliati e cuciti Tullio. Che ha preso la sua sposa e se l'è portata in Riviera, e alla stazione c'era tutto il paese ad aspettarli, in testa la cara, vecchia mamma, che per prima cosa si è schiantata sul figlio con uno schiaffone tremendo, perché, con tutto quello che gli era successo, Tullio si era dimenticato di aver lasciato al paese una promessa sposa, nientemeno che la nipote del parroco, e queste cose non si fanno. E poi sono vissuti felici e contenti, tanto da fare una figlia e poi un'altra, e l'altra è la signora Teresa che non ha mai conosciuto sua madre e quello che sa di lei sono le fotografie e i racconti. Che è quello che so io e che ora sapete voi. E tutti quanti sappiamo da quelle fotografie un'altra cosa, sappiamo che persino nella più vigilata fortezza dell'inumanità, nel più schifoso tabernacolo del sadismo, nel tempo dove niente di buono è ammissibile e plausibile, ecco che anche lì non tutto è perfettamente e eternamente predisposto e stabilito. Questo nel caso che al tempo presente dovessimo sentirci deprimevolmente impotenti.   


Una squadra della 36° Brigata Garibaldi (1944 - 1945). Credit: Fototeca Gilardi

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