[... ] Lo distingue da questi ultimi la volontà di distruggere l'oggetto odiato, e la percezione della sostanziale "giustizia" di questa distruzione: chi odia sente che è giusto superiore , , al di là di leggi e imperativi morali, distruggere ciò che odia. [...] Si parla di "oggetto" odiato anche nel caso di odio verso persone, perché queste non vengono considerate propri simili, esseri umani come chi odia, ma appunto oggetti invece che soggetti. [...] da https://it.wikipedia.org/wiki/Odio
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
14.8.21
non esistono più gli odiatori di una volta che diavano le idee e ma rispetto nel limite del possibile le persone . Mie riflessioni dopo la shitstorm contro Gino Strada
13.8.21
Deborah, trans che sfida l'Aids col sorriso: "Io, prostituta per reazione, stuprata da mezzo paese" ed altre storie
Deborah è una donna di cinquant'anni che ha vissuto tante vite. Deborah è stata violentata fino a diventare prostituta dall'età di dieci anni. Deborah prese l'aids quella volta in cui trovò un uomo e lo sposò. Deborah è stata sulle copertine e in tv nei rampanti anni prima della crisi. Deborah l'hanno conosciuta in tanti, anche se lei oggi vive in una struttura dove nessun amico la va a trovare. Io invece ci sono andato perché la storia di Deborah è una storia che volevo raccontarvi. La storia di Deborah va saputa. Un grazie particolare ad "Alfaomega Associazione Volontari"
Nei tunnel di Porto Flavia, miniera vista mare
Apre ai visitatori un gioiello centenario dell’ingegneria, studiato per imbarcare minerali sulle navi. Oggi offre panorami incantevoli. E un tuffo nella storia sarda
di Ilenia Mura
Il paese che lavora l'argilla come gli etruschi
Castelviscardo tramanda le tecniche antiche: si modella a mano, la fornace è senza elettricità. E i manufatti sono preziosi per i restauri. Come quello del tempio di Alatri
di Francesco Giovannetti
La battaglia dei writer per i muri da dipingere
A Genova c’è voglia di street art. E se il Comune pubblica un bando per attirare firme internazionali, gli artisti locali rivendicano spazi per esercitare la creatività
di Massimiliano Salvo
ma le istituzioni e la cultura maistream sanno parlare solo di quota rosa ? e ignora Disuguaglianze, sfruttamento e logica del profitto nelle scuole e nelle università il casoi delle donne nell'università di Pisa Normale di Pisa, l'accusa di tre neolaureate al sistema universitario: "
Normale di Pisa, l'accusa di tre neolaureate al sistema universitario: "Disuguaglianze, sfruttamento e logica del profitto"
"Proprio perché la scuola ha significato così tanto per noi, vorremmo oggi provare a spiegare come mai quando guardiamo noi stessi o quando ci guardiamo intorno, ci è difficile guardare questo momento di celebrazione senza condividere con voi alcune preoccupazioni". Inizia così il discorso tenuto da Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi, neo diplomate alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
"Proprio perché la scuola ha significato così tanto per noi, vorremmo oggi provare a spiegare come mai quando guardiamo noi stessi o quando ci guardiamo intorno, ci è difficile guardare questo momento di celebrazione senza condividere con voi alcune preoccupazioni". Inizia così il discorso tenuto da Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi, neo diplomate alla Scuola Normale Superiore di Pisa.Le tre dottoresse hanno apertamente criticato il sistema accademico italiano per l'impostazione "neoliberale dell'Università", per quella che definiscono una spinta alla competitività estrema, per la rinuncia a una presa di posizione nel dibattito pubblico e per la disparità uomo-donna nel contesto accademico.
"Vi chiediamo di prestare attenzione quando di fronte a voi avete una donna, vi chiediamo di pensarci due volte quando una ricercatrice è incinta, una professoressa è madre o quando un'allieva rimane ferita di fronte a un commento che voi ritenete innocuo". Ecco un estratto del loro discorso.
Non sono una quota rosa
Mar 25 Mag 2021 | di Angela Iantosca | Editoriale
Prima di cominciare la lettura di queste poche righe, metti da parte il pregiudizio e ascolta cosa ho da dire.
Ho sempre pensato di non voler essere una quota rosa. Non mi sento una specie da proteggere, non ho bisogno che qualcuno obblighi qualcun altro a scegliermi solo perché sono femmina. Quello che voglio è essere presa in considerazione perché porto un valore, perché so parlare di qualcosa, perché posso fare la differenza.
Non ho mai contato quanti uomini ci fossero ad un dibattito. Ho sempre ascoltato tutti, pensando alle loro parole e al valore che realmente ognuno degli intervenuti portava. Ho sempre ascoltato provando ad imparare dalle parole degli altri, se c’era da imparare, e a dare tutto ciò che avevo da dare in quanto esperta in qualcosa, non in quanto femmina.
Non mi rassicura vedere tante donne in un luogo, se la loro presenza diventa un atto discriminatorio verso chi si meriterebbe più di loro quel posto e che appartiene ad un altro genere. I nomi dei presenti ad un convegno mi interessano perché la loro storia umana e professionale (non il sesso) determina la scelta di parteciparvi o meno.
Credo che stiamo cominciando a superare i limiti del buonsenso e non ci rendiamo conto che, al contrario, stiamo facendo la stessa cosa.
Se ho un maschio più bravo di una femmina e prendo una femmina perché devo rispettare le quote rosa, che cosa sto facendo se non una discriminazione verso quel maschio ?
Torniamo a ragionare da persone e non per categorie mentali.
Anna, prima assistente sessuale per disabili in Italia: "Così insegno a vivere l'intimità"e Quattro storie di sesso e amore, in carrozzina
Con il post d'oggi proviamo a smontare " il mito " che assistenza sessuale per i disabili sia prostituzione o sesso mercenario . Il sesso per i disabili non è come per noi diversamente normali . Bellissimo e toccante anche le persone disabili anno bisogno di fare l'amore o di avere una sessualità , perchè pur essendo persone con ridotta mobiltà per il resto hanno voglia e bisogno come noi BIPEDI
Anna Senatore e Matteo Salini si sono incontrati diverse volte in 8 mesi: lei è una operatrice olistica di professione, lui un 39enne tetraplegico che non ha mai avuto rapporti sessuali con una donna. E non si è arrivati a questo neanche con Anna, prima tirocinante OEAS (operatore all'emotività, all'affettività e alla sessualità) grazie al corso organizzato dall'associazione LoveGiver, da sempre impegnata per il riconoscimento di questa figura professionale. "Senza di lei non avrei mai potuto fare tante esperienze" sottolinea Matteo, protagonista nelle scorse settimane con la sua assistente anche di una serie prodotta da Deriva Film (che ha gentilmente concesso alcune immagini) e Rai 3.
I disabili fanno sesso? Quanto cosa come dove? Quali sono i limiti, le barriere, le difficoltà e i pregiudizi? Io ho cercato di scoprirlo incontrando due donne e due uomini che per spostarsi usano una carrozzina. Sono emerse quattro storie molto diverse fra loro ma accomunate dalla passione per la vita e dalla voglia di stroncare ogni stereotipo. Incontrando queste persone ho deciso di porre loro le domande più dirette, senza filtri, senza mediazioni, senza censure. Storie vere di gente che lotta, e spesso gode pure.
12.8.21
Paralimpiadi Tokyo2020, atleti azzurri in partenza dall'aeroporto di Fiumicino
[...] Il neurochirurgo polacco naturalizzato inglese Ludwig Guttmann organizzò una competizione sportiva nel 1948 per veterani della seconda guerra mondiale con danni alla colonna vertebrale o varie menomazioni; nel 1952 anche atleti olandesi parteciparono ai giochi, dandogli un carattere internazionale. La competizione prendeva il nome da Stoke Mandeville, la cittadina del Buckinghamshire che ospitava annualmente tali gare. Ed Nel 1958 il medico italiano Antonio Maglio, direttore del centro paraplegici dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, propose di disputare l'edizione del 1960 a Roma, che nello stesso anno avrebbe ospitato la XVII Olimpiade. I Giochi si disputarono dal 18 al 25 settembre, con la presenza di 400 atleti in rappresentanza di 23 Paesi. L'edizione di Roma segnò l'avvio del percorso che avrebbe condotto alla nascita delle Paraolimpiadi nella forma attuale[3]. Infatti, I "IX Giochi internazionali per paraplegici" furono posteriormente riconosciuti come I Giochi paralimpici estivi nel 1984, quando il Comitato Olimpico Internazionale approvò la denominazione "Giochi paralimpici" [...]
da https://it.wikipedia.org/wiki/Giochi_paralimpici
Le gare si terrano dal 25 agosto al 5 settembre 2021 (inclusi). Le cerimonie di apertura e di chiusura si svolgeranno presso lo Stadio nazionale del Giappone. Ecco il calendario
di F. Q. | 11 AGOSTO 2021
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Paralimpiadi Tokyo2020, atleti azzurri in partenza dall'aeroporto di Fiumicino
Non si è ancora spento l’eco per la spedizione azzurra record alle Olimpiadi che è già tempo per la 16esima edizione dei Giochi Paralimpici estivi di Tokyo, al via il 24 agosto: con i nuotatori e gli schermidori, dall’aeroporto di Fiumicino, è in partenza infatti nel pomeriggio, sul volo Alitalia, il primo corposo gruppo della squadra azzurra, 65 in tutto tra atleti, tecnici e accompagnatori. “Per me è un emozione grandissima è la mia prima partecipazione a una paralimpiade. Darò il massimo e speriamo vada tutto per il meglio”, così Edoardo Giordan, schermidore romano, a pochi minuti dal volo per la capitale giapponese. L’Italia si presenterà a questo prestigioso appuntamento con una squadra che è già da record. Saranno infatti 113 gli azzurri che parteciperanno alla massima competizione paralimpica in 15 discipline, con una presenza femminile superiore a quella maschile
riflessioni sulle olimpiadi tokyo 2020\1 parte 2
a confermare quanto dicevo qui e nella prima parte per la quale venivo accusato di stucchevole nazionalismo ed eccessivo patriotismo o di buonismo solo per aver descritto, vedere i collegamenti delle righe precedenti , l'italia un italia multi etnica ovvero un paese reale più avanti di quello politico ci sono queti due articoli del corriere dei giorni scorsi
Olimpiadi delle sorprese: gli ori dell’Italia sono stati quasi tutti imprevedibili
Atletica, scherma, ciclismo, calcio, arti marziali: cadono i favoriti, schiacciati dalla pressione. Anche così nascono le medaglie più imprevedibili
Dovevamo vincere con il quattro di coppia che aveva già pronta la dedica più dolce, è arrivato il primo oro delle donne nella storia del canottaggio all’Olimpiade, Valentina Rodini-Federica Cesarini, le laureate del doppio pesi leggeri che fanno tirare un sospiro di sollievo al Coni quando c’è già qualcuno — siamo al 29 luglio e sembra passato un secolo — che storce il naso di fronte al medagliere. Ci hanno tradito tutte le squadre — guidate dalla pallavolo femminile di Paola Egonu, la più forte giocatrice al mondo scelta dal Cio per portare la bandiera olimpica, nello stesso giorno in cui ci lascia orfani anche la certezza Settebello —, e si è svegliata dal letargo sua maestà l’atletica, con gli ori che da soli possono bastare a iscrivere Tokyo nella memoria collettiva di una nazione, «ti ricordi dov’eri quella sera in cui abbiamo vinto i 100 metri?», la Giamaica siamo noi, gli Stati Uniti siamo noi, gli uomini più veloci al mondo, che saltano più in alto, che marciano meglio (e per la prima volta anche una donna) siamo noi. E nessuno, davvero, lo avrebbe detto.Davamo quasi per scritta la vittoria di Filippo Ganna nella cronometro (è campione del mondo in carica, al Giro non ha tradito, ha il motore di una Ferrari: arriva quinto) e, appena il tempo di far fuori il c.t. Cassani per i soliti regolamenti di conti, che Ganna e i suoi fratelli si prendono del tutto a sorpresa l’oro nell’inseguimento a squadre (non accadeva da Roma ’60).Si sono esauriti i filoni aurei di scherma (che ancora è lì che litiga per l’oro che manca, come a Mosca ’80) e tiri, compresa la portabandiera Jessica Rossi, che in tante edizioni ci hanno salvato il medagliere; sono crollati Frank Chamizo, il grande favorito della lotta che dopo Rio fallisce anche a Tokyo, e il numero 1 nel ranking mondiale del judo, Manuel Lombardo, ma abbiamo tutti iniziato l’Olimpiade con il sorriso del più forte al mondo nel taekwondo che vive a Mesagne e si chiama Vito dell’Aquila. Gregorio Paltrinieri è stato per mesi il favorito: poteva vincere tre ori in tre specialità diverse, poi ha preso la mononucleosi, molti medici avevano messo in dubbio la sua partecipazione all’Olimpiade, nuota male la batteria degli 800, sembra escluso dalla corsa per le medaglie, ha finito per vincerne due, solo lui sa come. Nel nuoto siamo stati in grado di portare una staffetta mista sul podio ed è comunque una piccola barriera che cade: mai successo. Prendete gli ori azzurri e, a parte il karateka Busà e forse la coppia della vela Tita-Banti (che è comunque la nostra prima volta in una gara mista) non troverete un favorito.È l’Olimpiade degli outsider, di quelli che non ti aspetti, che navigano sottobordo, schivando attenzioni, maneggiando con cure le pressioni (e mica solo per l’Italia: il Canada ha vinto l’oro nel calcio femminile, le ragazze Usa di Megan Rapinoe si sono fermate al bronzo per la gioia di Trump che dà loro delle estremiste di sinistra e però si deve essere perso il fallimento nello sprint), nell’edizione che ricorderemo anche per le cadute clamorose di Nole Djokovic, Naomi Osaka, Simone Biles. È l’Olimpiade delle debolezze condivise e delle aspettative che schiacciano tutti quelli che si sentono in dovere di vincere. E che fa vincere tutti quelli che riescono ancora a divertirsi.D’altronde non si era mai vista un’Olimpiade rinviata di un anno, con gli atleti costretti ad allenarsi in garage e in salotto per mesi. Chi si è adattato, si è organizzato, ha modificato per tempo preparazione e routine di allenamento, ha maturato più rabbia, oggi è qui a farci gridare alla sorpresa. E all’Olimpiade più bella di sempre.
Italia, penisola d'oro: 39 medaglie alle Olimpiadi per un record storico Da dove nascono
Con i primi posti della 4x100, di Palmisano e Busà, polverizzato il record di medaglie in una singola edizione dei Giochi. L'atletica è la vera regina di questa spedizione azzurra
Se è un’Olimpiade di transizione tra vecchio e nuovo mondo, se Tokyo 2020 è un ponte gettato verso un futuro post-pandemico che forse non ci troverà migliori dentro ma di certo più vincenti fuori, beh l’Italia è il Paese che più di ogni altro mostra evidenti i sintomi della guarigione. La Palmisano sceglie il giorno del 30° compleanno per regalarsi il diamante che desiderava da una vita, a Rio era stata quarta tra le lacrime, qui si riprende tutto, con gli interessi. Busà è un raro esempio di favorito che mantiene le promesse: drago della specialità kumite, doveva vincere e ha vinto. Ma è la staffetta 4x100, quell’esercizio furibondo per cui otto gambe e otto braccia devono sembrare un corpo unico per un giro di pista, che più di ogni altra medaglia — in un’edizione dei Giochi infelice per basket, volley e pallanuoto — ci restituisce il senso della squadra, perché se è vero che per battere l’Inghilterra a Wembley all’Europeo erano serviti undici uomini fedeli agli schemi di Mancini, a Tokyo bastano quattro ragazzi per condannare all’ergastolo di un centesimo di secondo di ritardo la Gran Bretagna. Panta rei, tutto scorre, e alla fine la coppa la alziamo noi.
La perfezione della 4x100 made in Italy che porta in dote all’atletica azzurra il quinto oro di questi Giochi marziani e commoventi è difficile da rendere in parole. Mancano gli Usa pessimi in semifinale, ma comunque sui blocchi ci sono gli orfani di Bolt della Giamaica, la Cina, il Canada e la Gran Bretagna, gente che non ha fatto i conti con l’intraprendenza di Lollo Patta in prima frazione, con la potenza di Marcell Jacobs in seconda (il giaguaro del 9”80 nei 100 approfitta del rettilineo più lungo per schiacciare il cambio e guadagnare metri preziosi da sfilare al cronometro), con la curva di Fausto Desalu che pare pennellata da Giotto e mette Pippo Tortu in posizione di sparo. È lì, davanti a uno di quei sottilissimi bivi dell’esistenza tra trionfo e fallimento capaci di definire un destino, che Piè Veloce imbocca il lato giusto della storia, bruciando sul posto il cinese Wu e lanciandosi all’inseguimento dell’inglese Mitchell-Blake con la fame d’aria e d’amore con cui Pietro Mennea aveva agguantato un altro britannico, l’allora campione olimpico in carica dei 100 Alan Wells, in una finale altrettanto leggendaria, i 200 a Mosca ‘80 (il margine per l’Italia quella volta fu di 2 centesimi), quando era inimmaginabile che quarantuno anni dopo da una galassia lontana arrivasse un manipolo di azzurri in canottiera e scarpette chiodate a restituirci il gusto di essere squadra, gruppo, Paese.
Tortu è il finalizzatore del lavoro collettivo, il capitale umano che si fa carico dei secondi altrui e li trasforma in una caccia all’oro di successo, l’ennesimo in quest’abbondanza da far girare la testa. Jacobs nello sprint, Tamberi nell’alto, le due marce trionfali di Stano e Palmisano, la staffetta prima con il nuovo record italiano (37”50), la quinta più rapida della storia dopo Giamaica (36”84, record del mondo, correva ancora Bolt), Usa (37”10), Gran Bretagna (37”36) e Giappone (37”43). Poiché a Tokyo nulla, in questi giorni, accade senza lasciarsi dietro un retrogusto dolce di prima volta, è importante sottolineare che la 4x100 azzurra non saliva sul podio da 73 anni (Monti-Perucconi-Siddi-Tito bronzo a Londra ‘48), mai aveva vinto un oro, al massimo un argento a Berlino ‘36: Mariani-Caldana-Ragni-Gonnelli dietro agli Stati Uniti di Jesse Owens. Pagine nuove di un libro in divenire, insomma, scritte a otto mani dal quartetto che ora il mondo ci invidia, nel medagliere di Tokyo 2020 l’atletica azzurra ha tanti ori quanti gli Usa e uno in più della Giamaica dopo averne conquistati tre in un paio di circostanze remote: Mosca ‘80 (Simeoni, Mennea, Damilano) e Los Angeles ‘84 (Cova, Andrei, Dorio), le Olimpiadi boicottate.
C’è evidentemente un incantesimo su questo stadio olimpico che ormai ci appartiene, dove non è strano finire la serata cantando Volare-ò-ò insieme ai volontari giapponesi e a quattro italiani abbracciati alla bandiera con patriottismo d’altri tempi. Da quassù, il mondo è una favola.
e per questo che come Malago sono d'accordo come ho già detto sui miei ( e vostri social e nei precedenti post in particolare qui per anticipare iter ius soli sportivo . Infatti
Sullo ius soli "faremo una proposta. Noi non chiediamo qualcosa di diverso rispetto alla legge attuale, ma solo di anticipare l'iter burocratico, che è infernale, un girone dantesco. Sul nostro tavolo ci sono decine di situazioni che ogni federazione reclama perché per una serie di motivi si perde tempo, 2-3 anni di gestazione. Nel frattempo l'atleta a 18 anni cosa fa? O smette, o viene tesserato dal suo paese di origine oppure arrivano altri paesi, studiano la pratica e gli danno la cittadinanza, oltre ai soldi".
con questo è tutto chiudo la serie dei post olimpici
la musica ha sostituito la letteratura o diventa una nuova forma letteraria Generazione Z. Il romanzo di formazione ora è la musica
- https://www.espressione24.it/gen-z-la-musica-per-raccontare-unintera-generazione/
- https://milano.repubblica.it/cronaca/2021/05/14/news/generazione_z_ragazzi_greta_galli_loris_esposito_safe_trick_orto_binasco-300822184/
Generazione Z. Il romanzo di formazione ora è la musica
I nuovi cantautori, ventenni o giù di lì, usano le canzoni per raccontarsi. Cantano per scrivere. In questa nuova serie, "Giovani Favolosi", analizzeremo i nuovi testi
Un lustro fa ratificavamo la rinascita della musica italiana. Registravamo l’avvenuto ricambio generazionale, il passaggio dai cantautori di sempre a quelli che emergevano dall’underground e, stufi di marginalità e precariato, diventavano popolari. Manuel Agnelli accusava quasi tutti di “conformismo dell’anticonformismo”, mentre diventava giudice di X Factor, incarnando la transizione dalla musica indipendente al mainstream e la possibilità di trasformare l’antinomia tra le due cose in sinergia. Nella nicchia avveniva uno strappo, nelle classifiche una cucitura. Ora, Calcutta, Tommaso Paradiso, la generazione di trentenni che sembravano destinati a capitanare classifiche e ricerca, sono stati sorpassati da adolescenti o poco più che con loro condividono poco, anzi nulla.
La nuova musica italiana è invecchiata, ha ceduto il posto a un’altra che non contempla bel canto, né blu, né melodia e della quale quasi tutti diffidano. Si diffida dell’obbedienza all’algoritmo, dell’accondiscendenza al mercato e si decreta che entrambe le cose inibiscono la creazione di una musica libera ed emozionante. Cosa resterà di questo rap e questa trap, della loro verbosità ripetitiva e violenta? Madame e molti altri che sono troppi e troppo bravi, sono meteore o stelle comete? Che chance ci sono, fuori dal recinto rap e trap, per la canzone d’autore che temiamo estinta?
Francesco Guccini ha detto a questo giornale che le canzoni che passano in radio gli sembrano inutili e gli fanno pensare con nostalgia a quelle vecchissime, dove c’erano «storie, parole messe bene insieme». E anche: «La realtà pullula di giovani cantautori, ma non arrivano a nessuno». Umberto Tozzi ha detto a Rolling Stone: «La musica di oggi è ridicola: non fa rumore, è rumore». Anche al rock veniva rimproverato d’essere rumore: mezzo secolo dopo, a tirarlo fuori dalle teche museali ci pensano i Måneskin, quattro ventenni che hanno cominciato a suonare per strada e poi hanno vinto X Factor, Sanremo, l’Eurovision, e sono arrivati al primo posto della classifica mondiale di Spotify con una cover di Beggin dei Four Seasons, un pezzo del 1967. Fedez e Achille Lauro duettano con Orietta Berti e i Måneskin con Iggy Pop. Il rapper e il trapper, trentenni, si mescolano con l’icona della musica leggera italiana; i rocker, ventenni, con l’icona del rock mondiale.
Giovani Favolosi: Ariete
Questa intersezione dà la misura del talento imprenditoriale dei nuovi artisti: lo stupore che sono capaci di suscitare non è l’esito di un tentativo, ma di un progetto. A maggio è nata la fondazione Italia Music Lab, voluta dalla Siae per «supportare i giovani che vogliono diventare professionisti dell’industria musicale sulle piattaforme online»: una delle prime lezioni s’intitola “Come guadagnare con la musica”.
Prima delle piattaforme, il discografico metteva sotto contratto chi aveva un talento promettente, ora chi ha numeri promettenti, quindi chi sa già “come guadagnare con la musica”, almeno nell’immediato.
Eppure, dentro e fuori da queste griglie, i nuovi musicisti sono anguillari e fluidi come ogni ragazzo della Generazione Z, e non solo perché laddove ci aspettiamo la musica, ci danno le parole, e laddove ci aspettiamo le parole ci danno il flow (la ritmica). Mutano a una velocità che ha un unico parametro: la viralità. E infatti il loro strumento è quello della viralità: le parole. Le usano con precisione e furbizia, ne conoscono l’agilità, sanno che sono convenzioni e che quindi il loro valore e i loro significati sono elastici, riformulabili. Sono la generazione dell’intransigenza lessicale e, insieme, dell’invenzione del linguaggio. Le canzoni sono i loro romanzi di formazione, in formazione. A volte non sanno suonare, però sanno scrivere. Sanno scrivere anche quando sono analfabeti (sì, ci sono adolescenti analfabeti: nelle carceri minorili se ne incontrano tanti), e allora dettano, rappano.
I testi sono l’opera e il valore musicale di quest’opera è, prima di tutto, letterario. Edmondo Berselli ha scritto che quando una canzone ufficializza una trasformazione, ne diventa anche il manifesto e il canone. Agli Z, che i canoni li contestano, tuttavia creandone altri, manca un manifesto, una canzone che li descriva e li legittimi. Per questo sembra che non raccontino storie. Il punto è che a loro non importa. Il punto è che loro, come tutti i mutanti, sono indescrivibili.
La primavera scorsa, la ragazza dei record era Anna Pepe: era l’opposto dei Måneskin o di Sangiovanni, altro recordista dell’estate, uno che canta «ho una proposta sexy da farti, cresciamo insieme», forse la più congrua descrizione delle ambizioni di chi s’affaccia al mondo nel 2021. Anna Pepe, sedici anni, con Bando, un pezzo registrato in casa su un beat trovato su YouTube, in poche settimane era diventata la più giovane artista italiana su un podio e s’era guadagnata un disco d’oro e un contratto con la Virgin. Ora non è che una eco. L’ha sciupata lo streaming, oppure c’è anche molta fuffa in questa mole di proposte, tutte uguali perché solo la perpetrazione dell’identico consentono i mezzi che con cui vengono realizzate (come i type beat, basi che riprendono brani di grandi artisti)?Giovani Favolosi: Lucio Corsi
E cos’è il talento, dopo quindici anni di talent show? Genio e regolatezza? E cos’è la musica? Un sottofondo, un volano? Si suona di meno e si parla di più, l’hip hop è colonna sonora di requisitorie, richieste, preghiere: la facilità di esecuzione che lo contraddistingue lo ha reso strumento di emancipazione e contaminazione, specie nelle carceri minorili. L’hip hop si replica e muta, tra i suoi nuovi scenari, che a volte di hip hop hanno nulla, offre il seminario della gioventù del presente. Ci stupiamo della risposta entusiasta degli adolescenti alla campagna vaccinale perché li immaginiamo riottosi e solitari, mentre nella loro musica è chiaro che sono impermeabili alle società chiuse puntellate dal sovranismo ed è chiaro che l’ecologismo è il modo che hanno per opporsi alla vita ritirata dalle comunità. Ammettono che il valore artistico è un fatto sociale purché si allarghino i confini del bacino sociale – com’è la vita e il cuore di un giovane italiano di seconda generazione, dopotutto, ce l’ha raccontato Ghali, rapper.
Abbiamo individuato cinque artisti che raccontano tutto questo, che sono in transito tra invenzioni e ripetizioni, che sono cantautori che arrivano a molti, che nella musica hanno trovato un inizio, indirizzano il mercato quanto lo subiscono, al pari dei cantautori degli anni Sessanta, che arrivarono quando la musica leggera era diventata insostenibile, per elevarla e rispondere a una domanda più differenziata, poiché i figli non ascoltavano più i dischi dei genitori e, per la prima volta, il pubblico si stratificava. Oggi, la domanda è meno stratificata dell’offerta, ciascun musicista ha i propri seguaci, la fan base abituata a ibridarsi con quelle d’altri per allargare il successo.
Nessuno di loro è bigger than life: la vita è cambiata e le stanno prendendo le misure. Per questo, cantano per scrivere.
Il regalo per i 100 anni di nonna Lidia: la laurea mai ritirata. «Costava 30 mila lire, non potevo spenderle» ., Stuprata e ripresa da 16 persone, la sua famiglia: "Devi stare muta"., Quando la realtà supera i sogni: il miracolo dei ragazzi problematici e delle periferie che trovano tutti lavoro
«Una volta, durante un esame di Morale avevo l’impressione che il professore guardasse il pulviscolo atmosferico. Allora mi fermai e smisi ...
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Aveva ragione de Gregori quando cantava : un incrocio di destini in una strana storia di cui nei giorni nostri si è persa la memor...