Giorgio Minisini: "Soprattutto non chiamatemi sincronetto"
di Alessandra Retico
Per farsi strada in un nuoto artistico tutto al femminile, ha lottato contro nomignoli e pregiudizi. Ora, forte dei quattro ori agli Europei, sogna le Olimpiadi di Los Angeles. Intervista
Un'orca col tutù. Giorgio Minisini a sei anni la guardava disegnata sulle liste gara. "Mi turbava. Mi sentivo invisibile. In più, lo speaker ci chiamava tutti 'atlete'". Era l'unico ragazzo del nuoto artistico (conosciuto come nuoto sincronizzato fino al 2017). Un precursore. Discriminato: da ambosessi. Lo chiamavano sincrofrocio a scuola. Ha dato un pugno per dimostrare il contrario, poi mai più: "Informare è l'unico modo per abbattere i pregiudizi". Ha lottato anche contro se stesso e i pensieri cupi: si vedeva basso, grasso, non si piaceva. Problemi col cibo. È dimagrito, anche per piacere ai giudici. Ha chiesto aiuto a uno psicologo: "Ho imparato ad accettarmi". Ora che ha 26 anni e vinto (quasi) tutto, balla per abbattere gli ultimi tabù. Ha un sogno: le Olimpiadi. I maschi del suo sport, che hanno esordito ai Mondiali di Kazan 2015 nella specialità del misto in coppia con una donna (la sua partner in vasca è adesso Lucrezia Ruggiero) e nel singolo agli Europei di Roma dove Giorgio ha vinto quattro ori in totale, non sono ancora ammessi ai Giochi. Forse, ci riusciranno a Los Angeles 2028. Romano di Ladispoli, poliziotto, fidanzato con la saltatrice della Nazionale, Enrica Piccoli, figlio di Roberto, giudice di gara e di un'ex sincronette, Susanna De Angelis, sua prima allenatrice. Anche la sorella Diana è un'ex allenatrice e per seguire il fratello Marco, ora pallanuotista, Giorgio è diventato quello che è. Altro che sincronetto, una definizione che combatte e alla quale preferisce "nuotatore artistico". Ma è di più: un pioniere, anzi un rivoluzionario.
Cominciamo dagli inizi?
"Mio padre era caporeparto di una Coop a Cerveteri, mia madre allenatrice di sincronizzato ed ex sincronette. A quattro anni sono andato a vedere Bill May che si esibiva a Roma. Rimasi sconvolto, per lo show e per le reazioni del pubblico. Decisi lì con mio fratello, due anni più grande di me, che volevamo diventare come la star americana, tutti gli chiedevano autografi. Sapevamo bene che il nuoto artistico era frequentato solo da donne, ci sembrava un'occasione ghiotta per noi, nessuno stava approfittando di una strada libera e aperta".
I vostri genitori non hanno mai avuto dubbi?
"Zero. Mia madre felicissima perché nuotavamo nella sua squadra, mio padre ancora di più perché lui ha iniziato a fare il giudice per stare di più con noi. Siamo diventati una famiglia ancora più unita grazie al nuoto artistico. I primi anni sono stati molto divertenti, oltre a me e mio fratello c'erano altri cinque ragazzi, compreso un cugino, eravamo un gruppo di scalmanati, sette maschi tutti insieme in un mondo di femmine".
Poi?
"Mi sono ritrovato da solo ed è stato molto diverso. Tutti hanno mollato, compreso mio fratello che ora gioca a pallanuoto col Civitavecchia e lavora nell'edilizia. Senza di lui, che era stato la mia guida, la mia strada si è complicata e si è riempita di ostacoli".
Quali?
"Le orche col tutù, per esempio. Dettagli che adesso mi fanno sorridere, ma a quell'età un po' ti turbano. Era un po' come dire: non me ne importa niente che tu sia qui. Il fatto che io fossi l'unico maschio e che lo speaker chiamasse tutti noi 'atlete' e la categoria 'ragazze', mi ha sempre fatto pensare che chi si occupava di queste cose non prendeva minimamente in considerazione il fatto che io esistessi. Mi sono sempre sentito invisibile. Il periodo delle medie e del liceo è stato tra i più complicati perché è quello in cui costruisci la tua identità e molti lo fanno a danno degli altri. È normale, ma è difficile se il danneggiato sei tu. Chi doveva dimostrare di essere uomo lo faceva attraverso di me. Evidentemente non ero così uomo visto lo sport che facevo".
Cosa le è successo?
"Mai cose gravi, a parte i nomignoli, tipo sincrofrocio, e le battute. Ma ho sempre cercato di evitare lo scontro, il mio maestro di taekwondo, che ho praticato per dieci anni, mi diceva che se mai fossi arrivato a mettere in atto quello che mi insegnava, avrebbe significato che avevo già perso. Solo una volta, a dodici anni, ho dato due pugnetti, e pure male, a uno che mi prendeva in giro perché ho anche l'erre moscia. Un'esperienza così spiacevole che non si è più ripetuta. Non ho rancori, credo che certi atteggiamenti siano causati dall'ignorare le cose. Certo, ci sono stati tanti momenti in cui ho avuto paura che stessi sprecando la mia giovinezza. Che il mio era un sogno impossibile. Ma ho sempre conservato l'idea del futuro, che un giorno sarebbe andata meglio".
Nessuna gelosia o sospetto da parte delle donne?
"C'erano persone agli inizi, tra atlete, allenatrici e giudici, che mi facevano capire che non ero ben voluto, che da maschio non ero nel luogo giusto. Mi sono sentito un corpo estraneo per molto tempo. Mi dicevano che toglievo posti alle ragazze. L'intolleranza non ha età né genere, si combatte con l'informazione, la mia posizione è migliorata parlando del mio sport e della mia storia. Le compagne di squadra mi hanno invece sempre accolto bene. Unico problema: mi accollo tutte le colpe del genere maschile. Ho scoperto prima degli altri maschi che, al di là della differenza di genere, le donne sono delle individualità, ognuna a suo modo diversa dall'altra".
E nelle relazioni amorose?
"Una fatica. Con le ragazze che mi piacevano, prima dovevo dimostrare di non essere gay, poi riuscivo eventualmente a vivermi la relazione. Solo crescendo e con l'aiuto del mio psicologo, Stefano Tamorri, ho cominciato a capire: quello che pensano gli altri non cambia quello che sei. E anche se fossi stato gay, quale sarebbe stato il problema?".
Quindi, qual è stato il problema?
"Accettarmi. Per tanti anni ho visto in me cose che non mi piacevano e mi disturbavano e ho sempre pensato che se un giorno fossi diventato qualcuno sarei riuscito ad accettare il fatto di essere alto 1,76 anziché 1,86 e di essere timido. Invece, un oro non ti cambia. Ai Mondiali di Budapest 2017 con Manila Flamini vinciamo l'oro nel duo tecnico, medaglia storica per l'Italia. I russi, d'argento, protestano perché in giuria c'è mio padre anche se il suo voto non è decisivo, annulla semplicemente quello del collega avversario. Eppure, sto malissimo. Tutto l'anno successivo è stato un dover dimostrare che l'avevamo meritato. Ho avuto problemi col cibo, adesso peso 75 chili, ero arrivato a 67. Se non vincere un Mondiale, cos'altro avrebbe potuto cambiarmi? Nel nostro sport è difficile capire come ti valutano: ai campionati di Gwangju 2019, dopo l'argento, i giudici dicono che negli elementi tecnici non c'era passione. Pensi: se fossi più leggero apparirei più alto. E non mangi per essere più magro possibile. Se ho sofferto di depressione? Non mi è mai stata diagnostica, quindi non uso una parola così delicata".
Come ne è uscito?
"Scardinando l'impianto di tutta la mia vita: da unico maschio in questo sport, e pensando di dover dimostrare di non essere gay, di fatto non sono mai stato me stesso. Il ragazzo che aveva iniziato a nuotare per la sola felicità di migliorarsi e della sfida. Ho cercato e ritrovato quella verità e quella gioia".
Chi è Giorgio Minisini?
"Faccio nuoto artistico, un cambio di nome che descrive l'evoluzione del nostro sport rispetto a vent'anni fa quando la sincronia era la base. Ora ci sono esercizi più vari, complessi, slegati, come nel pattinaggio artistico. C'è più prestazione e valore atletico, velocità. Mi alleno una media di 8 ore al giorno, dalle 6.30 del mattino: piscina, palestra, apnea, cura delle espressioni. Tifo Milan e ho sempre ammirato i grandi campioni che durano nel tempo: Maldini, Phelps, Bolt, Vezzali, Cagnotto. Vivo da solo, ho comprato casa a Roma sulla Cassia. Ho venduto la mia moto Duke 125, guido una MiTo a gas. Fidanzato con Enrica Piccoli, fondamentale condividere con chi sa cosa fai. Non ho tatuaggi. Ho mille passioni: zoologia, fisica, politica, manga, anime, fumetti. Leggo audiolibri nel traffico a Roma, mi piace la saggistica: Outliers di Gladwell e Giocati dal caso di Taleb. Per avere nuovi pensieri da utilizzare nella mia vita".
Nuovi pensieri?
"Il futuro. In Italia il movimento al maschile cresce. Nel singolo siamo 10, nei doppi misti qualcuno in più. Ci sono ragazzi talentuosi in tutte le categorie, dal Nord al Sud del paese. È bello sapere che ci sarà qualcosa dopo di me e che avrò un testimone da passare. Io spero nei Giochi di Los Angeles, lavoro con questo obiettivo in testa. Non devo resistere sei anni, ma ho sei anni di opportunità. Voglio da sempre un'Olimpiade da protagonista, non per partecipare, ma per essere la prima scelta dell'Italia. A me piace molto l'astronomia, da piccolo volevo fare l'astronauta. Quando l'America era in difficoltà nella corsa allo Spazio contro l'Urss, puntò alla Luna dicendo 'tanto è così lontana e ci vorrà così tanto tempo che è come se partissimo da zero'. Ecco, Los Angeles è la mia Luna".