25.9.23

è morto matteo messina denaro Non posso dire che per questa dipartita ne rimanga dispiaciuta.Indifferenza è l'aggettivo e il sentimento più appropriato


Leggo  che   è morto ,  con  tutti  i suoi  segreti  e  senza   liberarsi   l'anima    con una  confessione    , il boss Matteo messina Denaro . L'unico commenti  che  mi  sento di fare    oltre  alla   battutta    che  ho riportato  sul  mio  fb

2 h 
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#DellUtri e #cuffaro dopo il funerale di #giorgionapolitano andranno anche al suo . #erediberluscon e #ilministrodellinterno manderanno le corone #GiorgiaMeloni un telegramma e #salvini una preghiera baciando il rosario anzi il crocifisso che sarà reso obbligatorio a scuola

è quello di condividere l   riflessione  di https://www.facebook.com/marina.mastino

Non posso dire che per questa dipartita ne rimanga dispiaciuta.Indifferenza è l'aggettivo e il sentimento più appropriato. Con tutto il male che ha seminato, e il dolore da ergastolo che in eredità ha lasciato (...) la mia empatia si spegne e il mio essere umanamente umana si rivela con tutta la sua razionalità. Un mascalzone un delinquente un Assassino in meno a calpestare la bellezza di questa madre terra dataci in dono punto ! Con lui e con quelli come lui non mi importa . Che l'universo possa ora perdonare me per tale sentimento ma è la "sentenza" data dal cuore che mi comanda. Fine.
Mi toicca infine dare ragione se pur in parte a quanto mi dice qiuersta mia utente qua sottto

[...]
Anna Maria
Indifferent I non vuol dire insensibili ma semplicemente equilibrati , rifletti
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Che razza di musica. Jazz, blues, soul e le trappole del colore Condividi di Stefano Zenni fa piazza pulita sugli stereotipi e mitizzazione della musica blues , jazz , soul cioè le origini del rock

  grazie per gli incontri stimolanti dell edizione 2023 delfestival Bookolica - Il Festival dei
lettori creativi e dei linguaggi ho appena finito di leggere il libretto : << Che razza di musica. Jazz, blues, soul e le trappole del colore >> di Stefano Zenni Un libro interesante che mi pone le domande : Esiste una "musica nera"? E quale sarebbe la sua differenza rispetto a quella "bianca"? Sappiamo riconoscere un cantante africano americano al solo ascolto? . Infatti Siamo abituati a pensare che la musica possa avere un carattere razziale, etnico o un "colore", e se vediamo un musicista nero statunitense immaginiamo che sappia swingare con più naturalezza di un bianco, o che intonerà le blue notes con sottigliezze inaccessibili a un europeo e le caricherà di un feeling, di un soul inimitabile. Ma tutto questo ha un fondamento scientifico, storico o culturale? Stefano Zenni affronta per la prima volta in campo aperto una materia così delicata, smontando con argomenti brillanti e aggiornati i molti pregiudizi che non solo infestano il discorso degli appassionati, ma trovano ancora ampio spazio nella critica musicale. Per farlo fa riferimento a concetti in apparenza lontani dalla musica, dal colorism al passing, e introduce stimolanti riflessioni sui rapporti fra le culture africano americana, ebraica e italiana. Attraverso un inedito approccio multidisciplinare che si muove con agilità fra i più diversi campi delle scienze storiche, biologiche e sociali, Zenni dimostra che la musica sa essere un esempio mirabile di collaborazione fra individui e comunità: uno scambio ininterrotto di idee e di risorse che trascende ogni barriera culturale o tentazione
classificatoria. Inoltre la sua presentazione ed il suo stile semplice ed accessibile ed accademico sia nell'eporre sia nella scrittura mi invoglia a comprare o prendere in biblioteca il saggio di Maurizio Bettini   contro le  radici  da  lui  citato nella presentazione     ed  a  rilleggere  e   quindi  andare  a ricercarlo  nella   mia   libreria    la  storia    del Jazz   di  Walter Mauro   da me    comprata ,  come   dimostrata  la  foto     sottto  ,  nel  lontano  1994   per   approfondire  e   comprendere   la  muisca  jazz     che  mi  facevano ascoltare i miei   e   i concerti  di time  in jazz e  non  solo    a cui  andavo   prima  passivamente  trascinato  dai miei  , parenti ed   d'amici amannti del genere , poi  con  interesse  in quanto come ho detto nel titolo del post e d'essi che deriva il rock e tutta la musica ( o musicaccia dipende dai gusti e dall'educazione ricevuta da ciascuno di noi ) che acoltiamo oggi   


Un  ottimo  libro  d'avere   nella  libreria  di casa  .  Per  capire  che  la musica  non    è solo  edonismo  e divertimento  ma  anche  libertà  come  fa notare   anche  il personaggio   di Lisa  dei Simpson    che  appunto  suona   il blues  ed  il  jazz . Credo  che mi  tocchera  rimettere  in  discussione   le mie definizioni di :  identità   e  di radice   ,   espresse   più   volte nelle  diverse pagine    del  blog  

24.9.23

Viola Ardone: "Vi racconto le mie "matte" e i miei studenti, che grande meraviglia"

È il diario poetico di una quindicenne nata e rimasta chiusa in manicomio con la mamma (finita lì perché incinta e fedifraga), è la storia di un dottore basagliano in trincea in corsia e assente in famiglia.

 È "Grande meraviglia" (Einaudi), il nuovo romanzo di Viola Ardone: parla di donne e diritti negati, ieri e oggi, di paternità e figliolanza, ma anche di cura. Quella che la scrittrice professoressa, insegna latino e italiano in un liceo scientifico di Giugliano (Napoli), mette nei suoi romanzi e in aula, con i suoi studenti.
In dialogo con Giulia Santerini    che  troivate  qui Ardone spiega perché a 45 anni dalla legge Basaglia ha sentito il bisogno di scrivere questo libro e del disagio che avverte anche tra i più giovani. Ma ci dice anche di più sul suo modo di intendere e insegnare la scrittura, lavorare a contatto con le nuove generazioni in un'area non facile. Gli occhi accesi di passione, l'esperienza per ammettere che ogni bocciatura è un fallimento. Ma tutti, ci dice Viola, tutti noi oltre a medici e professori, dobbiamo imparare ad accettare di fallire.

La sfida di restare di mario caabresi

canzone  consigliata 
Paese mio che stai sulla collina...

Si racconta spesso di chi lascia la città per fuggire nella natura. Ma la storia più comune (e meno romantica ) è quella dei piccoli borghi da cui i giovani vanno via. Un fenomeno di spopolamento che continua da un secolo e sembra inesorabile. Ma in alcuni borghi ad esempio a Calascio, in Abruzzo, è nato un progetto per dare un futuro ai ragazzi, per non farli partire. E così sono ricominciati anche a nascere i bambini.

    DA   https://mariocalabresi.com/



Un secolo fa a Santo Stefano di Sessanio vivevano novecento persone, poi è cominciata l’emigrazione verso Belgio e Francia e oggi ci abitano in settanta. A Calascio erano quasi duemila, trent’anni fa resistevano in duecentocinquanta, ora sono rimasti in ottanta. Da qui sono partiti verso Stati Uniti e Canada. Siamo in Abruzzo, a 1.200 metri sul livello del mare, sotto l’altopiano di Campo Imperatore, nel cuore del massiccio del Gran Sasso. Lo spopolamento maggiore è cominciato negli anni Cinquanta e non si è mai fermato. Per secoli gli abitanti di questi luoghi sono stati pastori, vendevano la lana e facevano il formaggio, e agricoltori, lenticchie soprattutto. Poi il loro mondo è finito e se ne sono andati. I paesi sono diventati dei fantasmi silenziosi. In questi anni abbiamo letto e ascoltato storie di persone coraggiose – coppie giovani, qualche straniero, adulti stanchi di un’esistenza dai ritmi insostenibili – che hanno lasciato le città dove sono nati, per andare a vivere in montagna. Storie nobili, ma non fenomeni diffusi, non una risposta alla domanda vera: perché non esiste la possibilità di restare?
Uno scorcio del paesaggio rurale tra Santo Stefano di Sessanio e Calascio (AQ)

Pensavo che non ci fosse una risposta a questa domanda, ma mentre camminavo in quello che il grande antropologo e esploratore Fosco Maraini aveva ribattezzato “Il piccolo Tibet”, sono inciampato in qualcosa che somiglia a una ricetta, che contiene gli ingredienti per un tentativo di soluzione.
Partiamo dall’inizio, quest’estate volevo fare un viaggio di scoperta, in cui camminare nella natura e conoscere posti nuovi, sognavo l’Islanda, poi ho pensato che, a essere onesti, c’era ancora un pezzo d’Italia che non conoscevo bene: le aree interne, quella dorsale appenninica che dall’Abruzzo arriva in Calabria, passando per il Molise e la Basilicata.
Un’ “Italia vuota” per usare il titolo di un bel libro scritto da Filippo Tantillo.
Così mi sono comprato una cartina e sono partito. È stata un’esperienza meravigliosa, ho negli occhi panorami e luoghi che non immaginavo e mi sono portato a casa incontri indimenticabili. Impensabile fare l’elenco, ho fatto 18 tappe e percorso 1.600 chilometri, vi suggerisco solo l’Abbazia di Bominaco, con un ciclo di affreschi del tredicesimo secolo; la città romana di Sepino; le piccole Dolomiti lucane a Castelmezzano; i calanchi di Aliano – il paese della Basilicata in cui venne mandato al confino dal Fascismo il pittore Carlo Levi, che ci ambientò il suo romanzo: Cristo si è fermato a Eboli – un paesaggio a metà tra la Cappadocia e le rocce dell’Arizona, dove ho partecipato a un festival immaginifico organizzato dal poeta Franco Arminio.
Gli affreschi dell’Abbazia di Bominaco
Il parco archeologico di SepinoIl Comune di Castelmezzano, in provincia di Potenza
Uno scatto dal festival “La Luna e i Calanchi” di Aliano, giunto quest’anno alla tredicesima edizione. La direzione artistica del festival è del poeta Franco Arminio

In Abruzzo, la regione che mi ha stupito di più per l’estensione dei boschi e dei paesaggi, ho fatto alcuni cammini con Lorenzo Baldi, una guida di Roma che vive a Calascio da quasi trent’anni. Mentre salivamo in una lunga vallata per raggiungere Rocca Calascio (in due ore non abbiamo incontrato nessuno tranne due caprioli maschi che combattevano per il controllo del territorio) mi sono fatto raccontare la storia di quella terra. Ho provato a immaginare quale potesse essere il panorama nel Cinquecento, quando in quest’area c’erano centomila pecore, e per controllare nemici e pericoli alla torre centrale quadrata di epoca normanna ne vennero aggiunte altre quattro e una cinta muraria.

Rocca Calascio, dove ambientarono parte del film Ladyhawke con Michelle Pfeiffer e Rutger Hauer, aveva visto andare via il suo ultimo abitante nel 1956 e non aveva più avuto una luce accesa finché un romano non decise di ristrutturare un rudere per le vacanze, che nel 1992 diventò il luogo dove restare e mettere su famiglia. «Quel pazzo romano – mi ha raccontato Lorenzo – si chiama Paolo ed è mio fratello. Ha fatto la scommessa di poter vivere di turismo. Ha sistemato un altro rudere e lo ha trasformato in un rifugio con una camerata con i letti a castello, poi da una vecchia casa ha tirato fuori tre camere e così, piano piano, è nato un piccolo albergo diffuso. Oggi Rocca Calascio ha sette abitanti: mio fratello, sua moglie e i loro cinque figli».



La rocca di Calascio e uno scorcio dal paesaggio che si può osservare dal suo interno

Lorenzo è arrivato nel ‘94, dopo aver fatto l’alpino a L’Aquila e aver preso il brevetto come pilota di aerei, ma senza riuscire ad essere assunto dall’Alitalia. Così ha iniziato a lavorare in montagna, facendo un progetto di ripristino e manutenzione delle antiche mulattiere (quelle che mi ha fatto percorrere). Con il tempo ha gestito un piccolo rifugio a Campo Imperatore, sulle piste dello sci di fondo, e poi ha cominciato ad accompagnare i turisti in montagna e nei boschi. «In questi anni mi ha salvato l’inglese, sono stati gli stranieri i primi a capire questi territori, e la cosa più bella che faccio è la salita in cima al Corno Grande nelle notti di luna piena per vedere l’Adriatico all’alba». Anche lui si è sposato e vive con due figli nel paese di Calascio (poco a valle della Rocca).
Il più grande cruccio di Paolo e Lorenzo era quello di dare un futuro a quei figli nati in un posto dove non nasceva più nessuno, di non vederli obbligati ad andarsene come accade da un secolo. Così nel 2020 hanno fatto nascere una Cooperativa di comunità (un modello di innovazione sociale che nasce per creare lavoro nei piccoli borghi e frenare lo spopolamento) che si chiama “Vivi Calascio”.I ragazzi della cooperativa “Vivi Calascio”, fondata da Paolo e Lorenzo Baldi nel 2020

È nata nel momento in cui c’è stato un aumento del turismo e sono cresciute le necessità dell’accoglienza. «In questa cooperativa adesso ci lavorano 14 persone dai 16 ai 30 anni per sei mesi all’anno. Alla metà di loro riusciamo a garantire il contratto tutto l’anno. Fanno accoglienza turistica, gestione dei bus navetta, biglietteria, servizio informazioni, gestiscono il parcheggio delle auto, la torre di Rocca Calascio e il negozio di souvenir. Abbiamo reinvestito i primi utili comprando 20 biciclette elettriche e formando i ragazzi come guide cicloturistiche».
Il problema però è l’inverno, allora la cooperativa ha cominciato a lavorare anche nella cura del verde pubblico, nelle manutenzioni comunali e dei sentieri e nella pulizia dalla neve: «Per tenere le persone a vivere qui bisogna dargli uno stipendio tutti i mesi: questa la nostra sfida e ce la faremo». Una delle ragazze della cooperativa si è sposata e ha due bambini piccoli: la prima nuova famiglia nata qui.Il Battistero di Santa Maria della Pietà visto dalla Rocca di Calascio

Ma ora, grazie anche ai fondi del PNRR, a Calascio pensano ancora più in grande: vogliono aprire un ostello, un campeggio, un rifugio in montagna e una scuola di pastorizia. Oggi ogni turista che si ferma qui vorrebbe provare il pecorino locale e nella testa di questi due fratelli e di queste ragazze e ragazzi c’è la speranza che questi immensi prati tornino anche ad essere dei pascoli (per la gioia dei lupi…).


diario di bordo n° 11 anno I . L'italia non sfrutta le sue eccellenze . Il caso di Matteo, il genietto di 16 anni iscritto all'università di Berlino., il navigatore del cellulare salva la vita ad una ragazza che voleva suicidarsi ., Rifiutano 5 milioni per vendere casa e la villa viene circondata da un intero quartiere



in italia abbiamo delle eccellenze ma non siamo usare e la burocrazia le blocca anzichè avantaggiarle . ecco che l'estero è la via obbligata

  da  IL  GAZZETTINO    tramite  https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/

Storia di Moira Di Mario •1 ora/e







© Ippoliti

Ammesso all’università ad appena 16 anni. Si chiama Matteo Bernardeschi e vive a Ostia con papà Edoardo e mamma Lucia. Figlio unico, appassionato di matematica e materie scientifiche è iscritto alla facoltà di ingegneria all’università di Berlino. Un genio dei numeri, curioso, che ama capire e approfondire tutto ciò che fa. Preciso e rigoroso, Matteo sostiene di non avere alcuna difficoltà ad imparare in fretta, a mettere insieme formule matematiche che nessuno gli ha mai spiegato prima, semplicemente seguendo un video trovato in rete.
Dopo le scuole medie, l’iscrizione al liceo scientifico Vincenzo Pallotti di Ostia dove già dal primo anno gli insegnanti e il preside, Vito Giannini che non ha mai smesso di stargli accanto, capiscono le capacità di questo adolescente. «Fin da bambino sono sempre stato affascinato dalle materie scientifiche – dice Matteo – durante il primo anno di liceo i professori di matematica e fisica mi stimolavano, proponendomi quesiti sempre più complessi», che concludeva in un lampo. Così nel giro di appena trenta giorni con il supporto dell’insegnante di matematica porta avanti «tutto il programma dei cinque anni, risolvendo tutti i quesiti della preparazione all’esame di maturità», aggiunge Matteo. Iniziato il secondo anno dello scientifico, il ragazzo insieme ai genitori prende in considerazione un percorso scolastico alternativo «per esprimere concretamente e fattivamente – dice – le mie potenzialità, cercando una strada per accedere in anticipo all’università». La possibilità è frequentare, contestualmente alle normali lezioni al liceo, i corsi di preparazione degli A – Level internazionali dell’Università di Cambridge. Vale a dire gli esami di valutazione di livello pre-universitario in inglese che consentono agli studenti di entrare negli atenei più prestigiosi, indipendentemente dall’età anagrafica e scolare. Matteo viene prima inserito a un livello base, meno difficile, ma dopo qualche giorno gli insegnati sono costretti a spostarlo ad un corso superiore di matematica. Alla fine del percorso supera brillantemente le quattordici prove d’esame di matematica, fisica e computer science con due dieci e lode e un nove. Intanto all’università Roma Tre partecipa al test d’ingresso alla facoltà di ingegneria aerospaziale per iscriversi a La Sapienza e anche questo va liscio come l’olio. «Tutto – prosegue il ragazzo - senza tralasciare gli studi del secondo anno di scientifico», che ha concluso con il massimo dei voti in tutte le materie e una media del 10. A fine luglio vince la seconda selezione per accedere all’ateneo romano. C’è però un problema. «L’università ha stoppato la mia immatricolazione – dice – perché al mio attivo avevo solo dieci anni di scolarità invece dei dodici previsti». Eppure, il ragazzo è stato regolarmente accettato ai test d’ingresso ed ha superato tutte le prove pre-universitarie. Documenti alla mano, resta da superare lo scoglio della burocrazia. Matteo, però, non perde la speranza di trovare una soluzione. Intanto in queste settimane per lui, mamma Lucia e papà Edoardo è stata una corsa contro il tempo per trovare una soluzione in Europa. La prima ha bussato direttamente a casa.
L’università berlinese, interessata alle sue sorprendenti capacità, lo ha contattato accettando la sua iscrizione. Matteo può dunque frequentare le lezioni online di ingegneria. Ad essere interessati a questo genio della matematica e della fisica sono anche un paio di atenei londinesi e statunitensi che gli hanno aperto le porte delle loro facoltà. Per lui insomma c’è solo l’imbarazzo della scelta. Intanto continua a vivere la sua “normalità”. Esce con la fidanzata e ormai ex compagna di classe Francesca Rona «che ringrazio per essermi stata accanto e avermi sempre sostenuto», va in barca a vela e sta per tornare a fare Karate.
 ......

  sempre  dallo   stesso  msn.com/it  stalvolta la  notizia  è   da IL MESSAGERO


Bologna, ragazzina di 15 anni manda un messaggio all'amica: «La faccio finita», poi si butta da un ponte. Il padre la geolocalizza nel fiume

dal  web  



Il padre l'aveva lasciata a pochi metri dalla scuola poco prima delle 8. Ma lei in quella scuola non è entrata mai. Ha cambiato direzione e si è diretta verso il ponte di via Giuseppe Dozza, tra Bologna e San Lazzaro. Poi ha mandato un messaggio all'amica del cuore: «La faccio finita». La compagna di scuola ha girato subito il messaggio al padre che si è precipitato sulla strada  dopo aver geolocalizzato la posizione della figlia grazie al telefonino. E grazie a quel messaggio è riuscito a salvarla. La storia è raccontata dal Corriere della Sera.
Il padre arriva sul luogo indicato dal telefonino. E' lì che l'uomo vede lo zaino della figlia, una ragazzina di 15 anni, abbandonato sul parapetto. Si sporge, nell’acqua non la vede. È già disperato quando chiama i carabinieri. Al 112 dice di non riuscire a scorgere la figlia, spiega del messaggio mandato all’amica e dello zaino trovato. I carabinieri del nucleo radiomobile arrivano in pochi istanti. Scendono giù a riva e notano la testa della ragazza. 
È viva, cosciente, ma non sta bene. La trascinano fuori dal vortice, ma non riescono a portarla fuori dall’acqua completamente. Ha una ferita profonda alla gamba e diversi traumi, non è in condizione di essere trasportata a braccio. I militari decidono di proteggerla, cercando di scaldarla dal freddo dell’acqua, in attesa dell’arrivo dei vigili del fuoco. I caschi rossi, intervenuti con tre squadre, il nucleo sommozzatori regionale e il Saf, hanno messo la giovane sulla barella ancora in acqua e l’hanno portata definitivamente in salvo. Prima nelle mani del 118 e poi di corsa all’ospedale Maggiore in codice 3. 


.......


stessa fonte

Rifiutano 5 milioni per vendere casa e la villa viene circondata da un intero quartiere: la storia fa il giro del web

Rifiutano 5 milioni per vendere casa e la villa viene circondata da un intero quartiere. È la storia della famiglia Zammit che si opposta alla vendita del loro terreno anche se intorno all'abitazione spuntavano file e file di nuove case. La proprietà si trova a circa 40 minuti di auto dal centro di Sydney, la città più grande del paese, su quello che una volta era un terreno agricolo costellato di piccole case e cottage in mattoni rossi, ha detto Diane Zammit al Daily Mail. Oggi, però, è dominato da case a due piani situate così vicine tra loro che molte di esse sono separate da pochi centimetri. Secondo il New York Post, la maggior parte dei lotti vicini sono stati venduti nel 2012, quando gli Zammit avrebbero potuto ricevere circa 5 milioni di dollari per la loro casa. L'agente immobiliare Taylor Bredin ha detto a 7News che il terreno della famiglia potrebbe ospitare da 40 a 50 unità immobiliari. Ogni casa varrebbe 1 milione di dollari australiani, ovvero quasi 700.000 dollari.

Ma mentre tutti i loro vecchi vicini gradualmente hanno venduto e si sono trasferiti, la famiglia si è opposta nonostante gli fossero stati offerti parecchi soldi. La casa si estende su 1,99 ettari e ha un vialetto in stile di Windsor lungo 200 m che attraversa un grande prato fino alla porta d’ingresso. Le foto satellitari hanno mostrato l'evoluzione del quartiere. Dall'alto, infatti, si può vedere la casa della famiglia circondata da minuscole abitazioni. Le immagini hanno fatto il giro del web, scatenando migliaia di commenti.