2.5.24

Dopo 55 anni identificata la “Jane Doe” di Midtown grazie al dna di una vittima del 9/11/2001: la ragazza era stata brutalmente uccisa ., e altre storie doi viaggi nel tempo

 repubblica  02 MAGGIO 2024 ALLE 09:46


di Massimo Basile

Patricia Kathleen McGlone aveva 16 anni ed era scomparsa nel 1969. Riconosciuta dopo 50 anni grazie ai test genetici su una vittima dell’11 settembre


New York - La Jane Doe di Midtown ha finalmente un nome, a più di vent’anni dal ritrovamento dello scheletro, nascosto sotto un pavimento di un edificio a Manhattan: si chiamava Patricia Kathleen McGlone, era una ragazza di 16 anni scomparsa nel 1969 e di cui nessuno aveva saputo più niente. Il corpo, in posizione fetale, legato con un filo elettrico, era stato trovato nel 2003 dagli operai di una ditta di costruzione, che stavano demolendo un pavimento in vista dell’abbattimento di tutto l’edificio.Quello era stato il momento in cui era nata la storia di Jane Doe, l’equivalente di “signora Bianchi”, la sconosciuta vittima di un crimine. Per darle un’identità è stata decisiva la prova del dna su una delle vittime dell’attacco terroristico alle Torri gemelle, l’11 settembre del 2001. I dati genetici sono combaciati e il quadro investigativo si è chiuso. A risolvere parte di questo "cold case" durato 55 anni è stato il detective Ryan Glas, del dipartimento della polizia di New York.
È una storia comprensibile solo rimandando all’indietro il nastro. Ventuno anni fa gli operai stavano prendendo a martellate un pavimento di un vecchio edificio in demolizione, quando a un certo punto era rotolata la parte superiore di un cranio. I muratori avevano trovato il resto dello scheletro di quella che era apparsa subito una giovane donna. Il corpo era stato avvolto in un tappeto e immerso nel cemento. L’autopsia aveva stabilito che la ragazza era stata strangolata. Uniche indicazioni sulla possibile identità: un anello d’oro con incise le iniziali “PMCG”, una moneta da dieci centesimi del 1969 e un soldatino giocattolo di colore verde.
La vittima era stata soprannominata “Midtown Jane Doe”, la signora Bianchi di Midtown, la zona centrale di Manhattan, dove era l’edificio, nella zona di Hell’s Kitchen. Tra il 1964 e il ’69 la palazzina era un popolare nightclub chiamato Steve Paul’s The Scene, dove si erano esibiti molti gruppi rock, i Doors e Jimi Hendrix. Per quattordici anni quel corpo era rimasto senza nome, fino a quando il caso non era stato riaperto nel 2017, grazie ai progressi nella tecnica del dna. Jane Doe aveva ripreso il suo vero nome: Patricia McGlone. Era nata nell’aprile del 1953, ma poiché i suoi genitori erano morti e lei non aveva fratelli o sorelle, era stato necessario fare ricerche per trovare altri parenti, da cui prelevare il dna per la comparazione e la conferma definitiva.
Il figlio di un cugino della vittima aveva raccontato al detective Glas che la madre, ormai scomparsa, si era sottoposta a un tampone dna per accertare se i resti di una donna morta nel crollo delle Torri gemelle fosse stata la sorella. Il raffronto dei dati ha confermato l’identità di Patricia, studentessa in un istituto cattolico, descritta come una che scappava spesso da scuola e viveva sempre sul filo, fino a quando non aveva trovato chi aveva messo fine alla sua vita. La polizia non ha trovato denunce riguardo la sua scomparsa, avvenuta cinquantacinque anni fa. Come fosse finita nelle mani di uno, o più criminali, è qualcosa che probabilmente non sapremo mai.


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 nuova sardegna  30\4\2024

Il viaggio nei segreti dei nostri avi con l’albero genealogico sardo

di Luigi Soriga

La pagina Facebook fondata da due amiche di Capoterra: Elisa Melis e Valentina Vincis




Sassari Arrampicarsi indietro nei secoli, ramo dopo ramo, sull’albero del proprio passato. E provare a risalire sempre più indietro, partendo dal racconto di un nonno, per riesumare poi dentro le pagine impolverate che profumano di carta consuta, i misteri della propria famiglia. Insomma, scoprire quanti incroci, quante infinite casualità, quanti capricci del destino ci sono voluti per venire al mondo, ed essere l’ultima foglia.
Elisa Melis, 29 anni, ingegnera di Capoterra, è rimasta affascinata dalla genealogia, così per caso: «Mia nonna paterna ha avuto un’infanzia difficile. I genitori sono morti giovani, e non ha mai conosciuto i suoi nonni. Il filo della mia famiglia era spezzato, e io ho sempre avuto il desiderio di capire le mie origini. Così ho cominciato ad indagare, e ha provare quell’enorme emozione che la scoperta del proprio passato regala a ogni persona. Scartabellando gli archivi del cimitero ho individuato anche le tombe dei miei bisnonni: erano sepolti entrambi a Cagliari. E un giorno ho preso per mano mia nonna, che nel frattempo si era ammalata di demenza senile, e l’ho portata in quel cimitero. Lei, nonostante non fosse quasi mai lucida, quel giorno si è commossa, ha accarezzato e baciato la tomba di quei nonni che non aveva mai avuto la fortuna di abbracciare».
Elisa racconta questa esperienza alla sua amica Valentina Vincis, 29 anni, anche lei di Capoterra, laureata in medicina, anche lei con la fissa di riavvolgere il proprio nastro e navigare indietro tra le generazioni. È una folgorazione.
Il gruppo Fb Insieme decidono di creare qualcosa che in Sardegna non esisteva ancora. Così il 16 settembre 2018 fondano il gruppo Facebook “Albero Genealogico Sardegna”, e in un solo giorno collezionano 200 iscritti. Ora i membri sono arrivati a 1800, e ogni settimana il numero cresce di circa 60 nuove adesioni. «Il nostro intento – spiega Valentina – era quello di creare una comunità dove ciascuno potesse aiutare l’altro nella ricerca dei propri avi. Ed è sorprendente vedere quanto le persone siano collaborative tra loro. Basta che uno scriva un post, e subito c’è chi è pronto a dare una mano». Tipo: «La mia famiglia è di Sassari ma ho scoperto di avere un parente a Cagliari. Qualcuno potrebbe andare all’archivio storico di Cagliari e controllare questi dati?». E ancora: «La grafia di un documento scritto a mano è difficile da leggere. Qualcuno è in grado di decifrarla?».
Le scoperte Valentina, proprio aiutando una iscritta a ricostruire la sua storia, fa una scoperta inaspettata: «Lei è nata e vive tuttora in Emilia Romagna, ma facendo le ricerche i nostri rami si sono incrociati. Così, nel modo più casuale, ho ritrovato una parente che non sapevo di avere, perché i nostri bisnonni erano fratelli». Proprio due giorni fa, Elisa e Valentina, hanno pubblicato un post con il quale invitano i membri a condividere le scoperte più incredibili capitate nei loro viaggi a ritroso nel tempo.
Le curiosità Leggere gli oltre cento commenti fa capire quante sorprese possa riservare la genealogia. Ecco solo qualche esempio: «Mi è capitato matrimonio tra zia e nipote con dispensa, accusa di omicidio del neo sposo il giorno delle sue pubblicazioni di nozze, quadrisnonno con 5 mogli, le prime due erano sorelle di un altro mio trisnonno».
«Le notizie più interessanti trovate con i fogli matricolari, più di un parente partecipò alla prima guerra mondiale e uno di questi fu tra le vittime dell'affondamento del piroscafo Tripoli, per cui ricevette una onorificenza, ahimè da morto».
«Un fratellino di mia nonna morto subito dopo la nascita di cui non avevamo mai saputo nulla. Una bisnonna di mia nonna nobile. Un antenato che a fine '700 uccise un uomo a Gergei».
«Tra i miei antenati Onnis-Garau....un Garau era un inquisitore spagnolo approdato in Sardegna a Iglesias».
«Mio bisavolo aveva figli con altre donne ...».
«Ho scoperto che i miei bisnonni materni erano cugini di primo grado...»
«Dopo anni scopro che tre zii sono morti a Cagliari a causa dei bombardamenti del 43...nessuno in famiglia ne sapeva nulla...».
E questi sono solo dei piccoli esempi di quanti incastri occorrano per comporre il puzzle dell’umanità. Ma bisogna avere la pazienza di mettere la propria storia in rewind.


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SardiniaPost Magazine

“Dall’Africa alla Sardegna in 70mila anni. Il mio DNA vi racconta il viaggio”



Un viaggio di 70mila anni dall’Africa Orientale alla Sardegna. E’ lo straordinario reportage che apre il nuovo numero di SardiniaPost Magazine da oggi in edicola. 

Foto di Valentino Congia. Trucco realizzato da Magda Pintus. Il costume il Quartucciu è stato messo a disposizione dalla signora Rina Daga


L’autrice, Daniela Pani, attraverso un test del DNA realizzato in un laboratorio di Houston, ha ricostruito il suo “albero genealogico remoto”. A partire dalla “paleo-nonna” africana che viveva ai piedi dei Monti Semien, dove nasce il leggendario Nilo Azzurro. Un viaggio che racconta la colonizzazione del mondo da parte dell’umanità. E che ci spiega, attraverso il racconto del DNA di uno di noi, la storia di tutti.
Siamo partiti dall’Africa e abbiamo vissuto là per decine di migliaia di anni. Fino a quando gli effetti climatici delle glaciazioni hanno aperto corridoi verdi nel deserto – quello che oggi chiamiamo deserto del Sahara – che ci hanno consentito di spostarci verso Nord, raggiungere l’Asia e poi proseguire il nostro cammino verso ogni angolo della Terra.
La cronaca nera ci ha fatto sapere che il DNA è come un’impronta digitale, ma non ci ha detto che le “impronte digitali” del DNA – tutte diverse tra loro – hanno dei tratti caratteristici che accomunano ancora oggi le persone che vivono in un certo territorio. E’ questa localizzazione a consentire di mettere in relazione il DNA di un individuo con quello delle persone che vivono nel mondo e di ricostruire il percorso dei suoi avi.
Daniela Pani ci racconta che una sua “paleo-nonna”, una nipote di quella africana, 40mila anni fa viveva nell’attuale Medio Oriente dove incontrò l’uomo di Neanderthal. E ci spiega che quell’incontro fu molto intenso. Tanto che, nel suo DNA (come in quello della maggior parte di noi) è ancora individuabile una certa percentuale del DNA di quel tipo umano che poi si estinse. Passarono ancora molti anni (circa 20mila) e le nipotine di quella “paleo-nonna” asiatica raggiunsero il Sud della Francia, l’attuale Costa Azzurra e finalmente, circa 6mila anni prima di Cristo, si decisero a raggiungere quell’isola che, un giorno, sarebbe stata chiamata Sardegna.
Un reportage scientifico che si legge come un racconto. Una storia assieme molto complessa e molto semplice che ci dice che apparteniamo tutti a una sola razza, la razza umana. Per sintetizzarlo (e per rendere un omaggio affettuoso e scherzoso alle nostre nonne africane) con l’aiuto di un po’ di trucco, l’autrice ne ha preso simbolicamente le sembianze. E ha indossato, sulla pelle scura, un tipico costume tradizionale sardo. Un’idea nata – come spiega l’editoriale che apre questo numero – all’inizio dello scorso gennaio con Pinuccio Sciola che, ascoltando tra i primi il racconto di questo test del DNA, restò molto colpito dalla perfetta coincidenza tra quel lunghissimo viaggio e quello che tutti i giorni viene affrontato da migliaia di bambini, di donne e di uomini che partono dall’Africa per raggiungere l’Europa.
Daniela Pani, esploratrice geografica e speleologa, ricercatrice per la National Geographics, nel raccontare il suo DNA racconta anche quello della maggior parte dei Sardi (formiamo infatti uno di quei gruppi che, messi in relazione tra loro, consentono di ricostruire le tappe del percorso dell’umanità) e ci fa scoprire che, proprio come la sua “paleo-nonna” asiatica, anche quella che per prima mese piede in Sardegna trovò qualcuno che c’era già prima di lei.
Passò qualche altri millennio, imparammo a organizzarci sempre meglio. A costruire villaggi. Cominciammo a mettere enormi pietre una sopra l’altra. Costruimmo i nuraghi. Ma questa, rispetto al viaggio che raccontiamo, è quasi storia di oggi.

ha ragione Ascanio Celestini: «Oggi la rivoluzione è al contrario: dobbiamo lottare per difendere i diritti»

  da  la  nuova  sardegna  del  1\5\2024  



 Ascanio Celestini porta il suo presepe nell’isola. La Sardegna farà da sfondo a “Rumba”, ovvero “L'asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato”. La favola moderna, poetica e surreale che si ispira al Santo di Assisi arriva sotto le insegne del Cedac: martedì 7 maggio al Teatro Bocheteatro di Nuoro, mercoledì 8 al Teatro Costantino di Macomer, giovedì 9 al Comunale di Sanluri e venerdì 10 al Teatro Centrale di Carbonia.


Che presepe è Rumba?

«Lo spettacolo è la terza parte di una trilogia iniziata dieci anni fa con “Laika” e proseguita con “Pueblo”. Il luogo in cui si svolgono queste storie è il parcheggio di un supermercato. Attorno ci sono un condominio, un bar, un magazzino della logistica. E i personaggi che vivono in questa periferia sono i condomini, la prostituta romena, la cassiera, il barbone. Personaggi di cui si parla nelle pagine di cronaca solo quando succede qualcosa di scandaloso, ma dimenticandoci che queste persone solo la maggioranza. Le eccezioni sono la Tour Eiffel e il Colosseo, per il resto le periferie delle città si somigliano tutte. Questo spettacolo lo portiamo anche in Francia e in Svezia senza sostanzialmente cambiare niente».

Perché nello spettacolo messo su nel parcheggio ha voluto rappresentare San Francesco?

«Perché è un personaggio molto curioso. E lo dico da ateo materialista. Non è corretto tirare fuori San Francesco dal contesto religioso: era un uomo del Medioevo e come tutti gli uomini del Medioevo era un cristiano convinto. Ma è un cristiano che svuotato di tutta la sua fede resta un uomo straordinario. Basta pensare il fatto che smette di usare la parola padre. C’è solo il Padre nostro, gli altri sono tutti fratelli e sorelle, anche fratello fuoco e sorella morte. In questo c’è una visione fatta non più di padri e figli, padroni e sottomessi. C’è solo uno che sta al di sopra degli altri, ed è Dio. Ma anche togliendo Dio per chi non è credente, resta una visione rivoluzionaria della società».

La Chiesa di Francesco è sulla via di San Francesco?

«È chiaro che il capo della Chiesa sta comunque al vertice di una struttura che somiglia molto a una multinazionale e come una multinazionale sovranazionale è presente in tutto il mondo. Ma c’è da dire che con Bergoglio l’attenzione di una parte della Chiesa verso gli ultimi è più evidente. Anche perché tutti gli altri poteri si sono disinteressati a quella parte di mondo che vive in condizione di subalternità. Il Papa è il primo che ha parlato di guerra mondiale a pezzi, di ambiente, l’unico che dice parole vagamente di pace. Anche se il suo potere sembra molto limitato è uno dei pochissimi leader mondiali che esprime posizioni di disappunto verso la guerra».

I poveri, i deboli, i fragili non hanno voce. C’è chi dà la colpa all’assenza della sinistra.

«La sinistra la troviamo nei Parlamenti. È l’ideologia che sta alla base che è stata messa in secondo piano. Il marxismo era quella visione del mondo che mette in primo piano la lotta tra classi sociali e non tra nazioni. Oggi sembra scontato che i buoni siano entro il nostro confine, gli altri fuori. Sembrava ci fossimo emancipati da questa visione barbara. Per un centinaio di anni ci eravamo illusi che il conflitto vero fosse tra sfruttati e sfruttatori. La guerra è tornata a essere quella di cento anni fa».

Vede un novello Francesco?

«Oggi ci troviamo in un momento di grande riflusso. Se negli anni ’60 e ’70 si lottava per avere i diritti, oggi dobbiamo lottare per non farceli portare via. Quando dico che il fascismo è pericoloso non mi riferisco solo a quello finito il 25 aprile 1945, ma anche alla stagione delle bombe, alla P2. Contro quel fascismo lì si è lottato negli anni ’60 e ’70, le bombe vennero messe per fermare i cambiamenti. Oggi facciamo una battaglia al contrario per cercare di conservare quello che abbiamo ottenuto. Non abbiamo leader rivoluzionari perché la rivoluzione non è da fare ma da difendere».ia Economi

i 70 anni della marcinelle italiana 4 maggio 1954 -4 mggio 2024 Ribolla ( Grossetto )

 Ieri    facendo zapping  tra   la puntata     in viaggio  con barbero su la  7   e  il  concerto     su  rai  3   ho  scoperto   una   storia  poco  nota      riguardante  tali tematiche  . Essa  è  la  tragedia    avvenuta   nel   lontano 1954   a  Ribolla  una frazione del comune italiano di Roccastrada, nella provincia di Grosseto, in Toscana


fonte 
Ribolla - Wikipedia  e ribollastory.net ( in articolare  le  due  parti : http://www.ribollastory.net/tragedia.htmlhttp://www.ribollastory.net/tragedia3.html  )

La miniera di Ribolla fu attiva per più di un secolo, arrivando ad un picco produttivo di 270.000 tonnellate annue di carbone nel corso della seconda guerra mondiale.

Funerale delle vittime: bare di alcuni minatori ricoperte con bandiera tricolore e elmetto di lavoro

Ribolla, dagli anni trenta alla metà del Novecento, divenne un villaggio minerario della Montecatini. La miniera fu teatro, il 4 maggio 1954, della più grave tragedia mineraria italiana del secondo dopoguerra . Un'esplosione di gas, il grisù accumulatosi per la scarsa ventilazione in una galleria a 260 metri di profondità, che non permetteva un efficace ricambio dell'aria presente, provocò la morte di 43 persone nella sezione "Camorra Sud" della miniera di lignite. L'onda d'urto percorse le varie gallerie provocando una nube di polvere che rese difficoltosa la respirazione ai minatori anche degli altri reparti. I primi soccorsi furono poco incisivi a causa della mancanza delle maschere antigas. I funerali mobilitarono 50 000 persone. Le famiglie, che dovettero costituirsi parte civile accettarono le offerte in denaro della Montecatini e il processo si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati e il disastro fu archiviato come "mera fatalità". A seguito del disastro la direzione della Montecatini decise la chiusura della miniera, la cui smobilitazione richiese ben cinque anni.Di quell'episodio rimangono alcuni resti della miniera e il Monumento al minatore di Vittorio Basaglia. La vicenda è estesamente raccontata da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola ne I minatori della Maremma, pubblicato nel 1956 dall'editore Laterza, e richiamata nel romanzo di Bianciardi La vita agra (e quindi nel film di Carlo Lizzani, tratto dal romanzo omonimo )

1.5.24

ll bue che dice cornuto all'asino il caso lucarelli per il post contro la Ceccardi

 E' bagarre via social tra l'europarlamentare della Lega ed ex sindaco di Cascina Susanna Ceccardi, candidata alle elezioni europee di giugno, e la giornalista Selvaggia Lucarelli per i manifesti postati dalla Ceccardi in vista del prossimo appuntamento elettorale.Ecco  la  cronaca  di pisatoday.it

 Prima ha invitato gli elettori a scegliere tra lei e Ilaria Salis,  l'attivista, arrestata in Ungheria con l'accusa di aver partecipato all'aggressione di due militanti neonazisti, candidata alle Europee nella lista Alleanza Verdi-Sinistra
Poi Ceccardi ha 'rincarato la dose' postando un altro manifesto dove chiedeva agli elettori se preferissero lei o Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico.
E' scattato così l'intervento della giornalista Selvaggia Lucarelli: "Tra bodyshaming, meme, slogan da boomer, frasi fesse sui disabili e islamofobia la campagna della Lega sembra una vecchia pagina di sesso droga e pastorizia. Susanna Ceccardi che poi si sente Miss Toscana mi fa morire" scrive su Instagram.
Non si lascia attendere troppo la replica di Ceccardi che pubblica un nuovo manifesto social dove chiede quale giornalista scegliereste tra Oriana Fallaci e Selvaggia Lucarelli: "Selvaggia di nome e di fatto! Da grande commentatrice e analista, voleva presumere che la grafica comparativa tra me e la Salis e tra me e la Schlein riguardasse l’aspetto fisico - scrive Ceccardi - cosa c’entra il body shaming e cosa c’entra l’aspetto fisico? Io sono l’opposto di Ilaria Salis perché in 20 anni di politica non ho mai oltraggiato un pubblico ufficiale in una manifestazione e non sono mai stata indagata per tentato omicidio. Quanto a Elly Schlein, sono politicamente al suo opposto. In compenso, nel tentativo di farmi del vero body shaming, la Lucarelli sta pubblicando le foto della mia ultima settimana di gravidanza, risalente a 5 anni fa. Avevo preso 25 kg ed è stato il momento più bello della mia vita! Quindi non mi scalfisce. Anzi beccati questa  ... 

Ora   ,  forse  sarò  boomer    essendo   nato  e  cresciuto   culturalmente  a cavallo  tra  gli anni  70\80  , ma  ciò  non mi piace   .  Infatti  non  è modo   d'affrontare   e criticare  l'idiozia politica    con altre idiozie    ti abbassi al suo  stesso livello    e poi  rischi    di passare  come dimostra  l'articlo  riportato  sotto  tu  per    "  violento  "   ed accusato  di fare   come lei   bodyshaming". 



da  ilgiornale  del  1\5\2024

  
                                                            © Fornito da Il Giornale

La polemica del primo maggio è servita. Selvaggia Lucarelli, nota opinionista tv, ha deciso di attaccare Susanna Ceccardi. Del resto, l'europarlamentare della Lega, uscente e ricandidata nella circoscrizione del Centro, ha deciso d'impostare il proprio percorso elettorale, ricordando a tutti chi siano i paladini della sinistra. Nasce così la campagna "o me" "o lei". L’esponente del Carroccio pubblica sui social manifesti che non hanno bisogno di troppe interpretazioni. Ceccardi chiede agli utenti se vogliano votare per lei o per Ilaria Salis, candidata di Avs al Parlamento europeo, detenuta in Ungheria per i fatti compiuti dalla "Banda del martello", cittadina italiana in attesa di giudizio. Identità o massimalismo di sinistra: questa la scelta che l’europarlamentare invita a compiere. E sempre la leghista, magari vedendo come l'idea dei manifesti performasse bene, domanda agli elettori se preferiscano lei o Elly Schlein, segretaria dem. Puro marketing elettorale che tende a rimarcare le differenze ideologiche. Quelli bravi direbbero "incentivare la polarizzazione". Comunque, Selvaggia Lucarelli si scatena. E critica sia la Ceccardi sia la Lega via social. "Tra bodyshaming, meme, slogan da boomer, frasi fesse sui disabili e islamofobia la campagna della Lega sembra una vecchia pagina di Sesso droga e pastorizia", scrive l’opinionista. "Susanna Ceccardi che si sente Miss Toscana mi fa morire", aggiunge. Poi la polemica continua. Ceccardi, sulla scia dei precedenti, pubblica un altro manifesto. Questa volta la scelta presentata è tra Oriana Fallaci e Selvaggia Lucarelli, che però non molla la presa. Tra le storie Instagram, spuntano foto della leghista in stato interessante. Immagini di tempo fa. "Smettetela di fare i bulli adesso e lasciate in pace la pikkola Susi che è molto concentrata sui problemi veri degli italiani: reperire foto da cesse di avversarie politiche". Prima ancora, ripostando il manifesto Ceccardi-Schlein, Lucarelli annota: "Se ti piacciono quelle che pensano di essere fighe nonostante tutto vota Lega". Chi fa bodyshaming? Susanna Ceccardi replica alla Lucarelli dalle pagine del Giornale. "La contrapposizione tra me da un lato e Ilaria Salis ed Elly Schlein dall’altro ha chiaramente motivazioni politiche", esordice. "Per quanto riguarda la Salis, io sono fiera di rappresentare le istanze dei tantissimi cittadini di buon senso che chiedono legalità, sicurezza, rispetto delle regole democratiche. Tutto il contrario di una persona candidata al Parlamento europeo nel tentativo di ottenere un salvacondotto, qualora fosse condannata. Io sono incensurata mentre la Salis è a processo accusata di reati gravi e ha già avuto condanne per altri episodi assai discutibili, avvenuti in passato". In sintesi: il bodyshaming non c'entra niente. Si tratta di differenze politiche, semmai. E vale tanto per la Salis quanto per Schlein. Poi la leghista risponde in via diretta a Lucarelli: "La polemica social sul bodyshaming con Selvaggia Lucarelli mi fa sorridere. Nel post in cui mi contrappongo alla Schlein, ho preso la foto ufficiale che compare sul profilo youtube della segretaria del Pd. La Lucarelli mi ha accusata di fare bodyshaming. Quindi la Schlein avrebbe fatto bodyshaming a se stessa, sul proprio profilo Fb?". Poi l’offensiva all’opinionista tv: "In compenso, la stessa Lucarelli ha poi postato una serie di foto in cui, lei sì, mi fa bodyshaming. Tra queste foto, ce n’è una, in particolare, in cui sono in sovrappeso. E lo sa perchè? Perchè ero al nono mese di gravidanza: è stato il periodo più bello della mia vita e ne vado fiera!".

La campagna elettorale per le elezioni Europee è all’inizio. Le liste dei candidati sono state presentate tra ieri e oggi. La polarizzazione, invece purtroppo  , è diventata da tempo semre  di  più   una costante della politica italiana.

30.4.24

DIARIO DI BORDO N°46 ANNO II . DIO è ANCHE FUORI DALLA CHIESA IL CASO DI Don Totoni Cossu, il parroco che porta Dio nei bar di Bitti., Ucraina, donna di 98 anni percorre 10 chilometri a piedi per abbandonare il Donbass occupato dai russi ., ed altre storie

Cari lettori   eccoci  ad  un  nuovo  n  della  rubrica  diario di bordo  .  In esso   le  4  storie    \ notizie  , accumunate  da  : viaggi , esplorazione , ricerca  


Don Totoni Cossu, il parroco che porta Dio nei bar di Bitti

LA  NUOVA  SARDEGNA  
28 aprile 2024 
                                        di Valeria Gianoglio

La missione del prete: «È mio dovere andare e gettare il seme. Iniziamo alle 19,30, facciamo una lettura e poi parliamo di amore e di perdono»



Bitti
«Salude, buongiorno. Tottu bene? Itte parimmusu? Bella die, finalmente». Un battesimo appena celebrato nella chiesa di San Giorgio, preceduto da tre messe, ma per don Totoni Cossu pure l’aperitivo al bar dopo la liturgia domenicale, è occasione di ritrovo, nuovi proseliti, socialità, un commento sulla sua adorata Juve, i ricordi di quando giocava nel ruolo di libero allo Sporting Siniscola. E speranze da buon pastore di una comunità nella quale tanti vivono ancora di agricoltura. «Cosa dice, don Totò, pioverà? L’acqua ci serve». «Eh, speriamo – risponde lui – io ogni giorno prego perché piova, ma a pregare mi lasciate solo. Dobbiamo chiedere tutti insieme che piova, ma con calma, perché altrimenti anche da queste parti ne abbiamo paura».
Ed è lì, tra le mura anni ’70 del bar di Francesco Carzedda, a due passi dalla parrocchia nella parte più antica di Bitti, che ogni giorno di festa, dopo aver posato l’abito talare, don Totoni Cossu fa tappa insieme al suo volenteroso aiutante, Franco Contu. Lì dove tre anni fa, per caso ma non troppo, le circostanze lo avevano ispirato a portare la parola di Dio dove in genere regnano caffè, chiacchiere e l’inossidabile “0.20” bionda.
«Eravamo qui – ricorda davanti a un gruppetto di clienti del locale – come sono entrato dentro il bar ho visto un po’ di persone e ho detto “Vi ho segnato a tutti quanti l’assenza, stamattina in chiesa”. E loro, sorridendo, mi hanno detto “Eh, no, don Totò, se non viene lei qui ...”. “Già vengo anche da voi, ho risposto, accetto la sfida. Ed è così che è cominciato tutto: quella è stata la scintilla finale di qualcosa che avevo in animo di fare da tempo».
Tre anni dopo quella battuta, l’iniziativa passata alla storia e alle locandine sparse nel paese come “La mezza birra evangelica”, dall’esperimento è diventata una certezza. Dieci bar coinvolti per questa terza stagione – dai sette iniziali del 2022 – una media di trenta presenti, i locali che secondo un calendario programmato in netto anticipo per un’oretta in una sera prescelta ospitano don Totoni e il suo desiderio di portare la parola evangelica dove non era mai arrivata. «Gesù andava ovunque – ripete don Totoni – e questa è la mia visione di chiesa. Papa Francesco, specialmente in questo periodo, lo dice sempre, di andare fuori dalle chiese, in periferia, dove ci sono le persone. Tanto più in una società secolarizzata. Credo che sia il mio compito di sacerdote, far questo: andare, gettare il seme, incontrare le persone là dove si ritrovano. E sì, dunque, portare anche la chiesa all’interno dei bar. Del resto, nei nostri paesi, a Bitti ma non solo, il bar ha una funzione diversa dalla città. In città è il luogo del consumo, paghi un caffè, una bibita e te ne vai. Da noi, invece, il bar è il luogo di incontro, è il luogo dove le persone stanno insieme. E proprio per questo che ho voluto portare lì, la parola di Gesù».
E così gli incontri della “Mezza birra evangelica”, a Bitti sono arrivati già al terzo anno. Più o meno lo stesso copione, la stessa scansione oraria – «quest’anno li cominciamo al le 19.30 perché aspettiamo l’orario nel quale i pastoria tornano dalla campagna» – cambia solo il tema della lettura evangelica, e anche quello del dibattito e delle domande finali. «Quest’anno – racconta don Totoni – abbiamo parlato del tema dell’amore ma anche del perdono. Ed è allora che dico che il nostro prossimo è chiunque, anche chi ti è antipatico, ti ha offeso, e che bisogna amare anche i propri nemici. E dopo la lettura, quando lascio a tutti la parola, l’altro ieri c’è stato anche chi mi ha detto che perdonare un nemico non era possibile. E si sa, dalle nostre parti, la questione è davvero delicata. Gli ho risposto che il perdono, e il saper perdonare, è una grazia. E che dobbiamo chiederla al Signore, perché lui può darcela. E cito il caso di Eva Cannas, al Quadrivio, davanti a papa Giovanni Paolo II, quando ha perdonato gli assassini dei due fratelli».
«Mentre all’inizio dell’incontro – racconta ancora don Totoni – cominciamo con una preghiera. Poi ringrazio i presenti, introduco il tema. Durante l’incontro non si beve. Ma al termine, si sta insieme per un piccolo momento conviviale e il primo giro è sempre a conto del parroco». «La prossima frontiera dopo il bar? L’ho sperimentata già l’anno scorso e segue le mie origini, visto che vengo dal mondo della campagna – risponde don Totoni – ed è qualcosa che tocca gli ovili e le campagne. L’anno scorso abbiamo fatto qualche messa in cinque ovili, quest’anno, invece, abbiamo fatto una messa unica nella chiesa campestre di San Giovanni. E l’idea è di proseguire: lo Spirito santo ci guiderà».


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Ucraina, donna di 98 anni percorre 10 chilometri a piedi per abbandonare il Donbass occupato dai russi


La polizia ucraina ha diffuso sui canali social  in   questo video     un'intervista all'anziana Lidiya Stepanivna: la donna, che nel video afferma di avere 98 anni, racconta di aver camminato 10 chilometri per abbandonare la parte di Ocheretyne (Donbass) occupata dai russi.Ha lasciato casa sua, spiega, con il marito e il figlio e nel tragitto ha avuto a disposizione soltanto due bastoni. "Sono sopravvissuta alla guerra precedente, sopravviverò anche a questa", le sue parole. La polizia ucraina ha diffuso sui canali social un'intervista all'anziana Lidiya Stepanivna: la donna, che nel video afferma di avere 98 anni, racconta di aver camminato 10 chilometri per abbandonare la parte di Ocheretyne (Donbass) occupata dai russi.
Ha lasciato casa sua, spiega, con il marito e il figlio e nel tragitto ha avuto a disposizione soltanto due bastoni. "Sono sopravvissuta alla guerra precedente, sopravviverò anche a questa", le sue parole.


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Alla ricerca di lingue antiche
Valerio Millefoglie, autore del podcast “Voci nascoste”, ripercorre su Altre/Storie il suo diario di viaggio dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, alla ricerca di volti, voci e parole antiche.



© Roselena Ramistella

Giorgio Fusco, un ragazzo di 28 anni, poco dopo la mezzanotte di giovedì 4 aprile canta Lule Lule, brano della tradizione arbëreshë, accompagnandosi alla chitarra nella casa della nonna che non c’è più. Mi dice che in questa casa c’erano più persone che sedie, che letti; «hanno vissuto in tanti», ripete, e questi tanti mi sembra abbiano vissuto sia contemporaneamente che separatamente, separati dal tempo, come lui che in questa casa si sente più vicino alla sua infanzia.La casa è una stanza con un bagno e un balcone da cui si vede tutta Piana degli Albanesi, paesino a 25 chilometri da Palermo, eppure lontanissimo dalla città. Ku vate moti c’is nje here, “dov’è andato il tempo?”, intona Giorgio nella lingua portata qui nel 1400 dagli albanesi in fuga dai turchi-ottomani e riecheggiata fino alla sua generazione. La risposta è che il tempo passato è nel luogo in cui ci troviamo, il luogo che è anche la sua voce che ne contiene tante, arriva dal profondo, da uno scavo che ha nella pancia, una caverna che la custodisce e la fa uscire solo quando si esprime in quella lingua che a lui dice molto di più di ciò che dicono le parole.
Giorgio è una delle tante voci che ho ascoltato e registrato nel mio viaggio attraverso tre lingue antiche, tuttora presenti: l’arbëreshë in Sicilia, il griko nella Grecìa Salentina e il francoprovenzale in Valle d’Aosta. “La lingua è una terra”, ho appuntato sul mio diario di viaggio, “anche di una terra che non c’è”. 
Vittoria, 18 anni, indossa la sua stirpe. La srotola su un tavolo della biblioteca di Piana degli Albanesi. «Si chiama brezi e vuol dire stirpe, generazioni», mi spiega svelandomi la cintura dell’abito tradizionale, regalo di battesimo del nonno, «poi se n’è andato via, quindi è l’ultimo ricordo vivo che mi rimane addosso. E questo è un peso, perché il brezi pesa. Quando guardo la cintura di mio nonno penso di vedere il suo essere forte». A Giorgio, a Vittoria, a tutte le persone incontrate ho chiesto di tradurmi “voci nascoste” nella lingua madre, quella lingua per tutti minoranza e per loro l’alfabeto più importante e necessario. Eppure, di ritorno da questo viaggio, soprattutto nel tempo, la parola che in me ha generato più eco è “forte”. Il richiamo forte di cui mi ha parlato un ragazzo all’ora di pranzo che spopola le strade, in una pozza d’ombra al riparo dal sole, fuori dal castello di Corigliano d’Otranto. «Ero nella mia casa al mare – mi ha raccontato – stavo leggendo un libro in cameretta quando vengo attirato dalla musica che proveniva dalla televisione. Mio nonno e mia zia stavano guardando la notte della Taranta, in diretta da Melpignano, a poca strada da noi. Mi resi conto di essere così trascinato da quella musica ipnotica che cominciai a piangere, mi chiamava. Presi l’auto e guidai fino al concerto, verso quella lingua che mi aveva rapito». 

© Antonio Ottomanelli

Io sono stato rapito dal volante delle auto prese in affitto, capsule dimensionali che mi hanno portato dalle valli alte a quelle medie fino a quelle basse della Valle d’Aosta, a rincorrere il francoprovenzale. Per sentire dove lo si parla e dove è diventato un linguaggio fantasma, che altrettanto fortemente si perde da porta a porta come mi hanno detto Elodie e Asia, due amiche e vicine di casa, e in una casa qualcosa è rimasto e nell’altra no.
L’ho trovato forte e chiaro nella casa di Liliana Bertolo, cantastorie che mi ha cantato in patois La ballata dell’amore cieco di Fabrizio De André. Lo stesso amore cieco che Fabien Lucianax, giovane rapper valdostano, prova verso il patois, tanto da scrivere rime in questa lingua proveniente dall’epoca di Carlo Magno. Ho registrato raffiche di vento che a volte hanno coperto le parole di chi intervistavo, ho riparato il microfono dall’acqua di un lago che stavo registrando e ho catturato prima i passi sul pavimento di legno di una chiesa e poi la confessione di un prete che ha iniziato a parlare il francoprovenzale solo a diciotto anni. Da piccolo quella lingua dei nonni lo imbarazzava perché era la lingua della zappa, della terra, del dizionario dove il cielo è più condizione meteorologica che spirituale e tutto ciò che è astratto non ha vocabolo.

© Arianna Arcara

Una voce fra tutte ha assunto significato per me, perché mi ci sono ritrovato. La voce di Livio Munier, vicepresidente dell’Association Valdôtaine Archives Sonores: «L’archivio nasce nel 1980 e ha come scopo quello di registrare persone. Noi all’inizio eravamo denominati come associazione militante. Abbiamo accumulato più o meno un 15mila ore di registrazione. Ero giovane nel 1980. Ho iniziato allora e adesso sono ancora attivo e continuo a registrare persone».La mia ricerca – partita nel 2018 con un reportage per la raccolta Stiamo scomparendo Viaggio nell’Italia in minoranza (CTRL Books) – era partita dalla parola Bukë, pane in arbëreshë. E oggi so che il mio pane, ciò di cui mi cibo, sono le lingue, le lingue interne a un popolo, a una persona, le parole, le voci degli altri

*Valerio Millefoglie, scrittore e giornalista, ha pubblicato Manuale per diventare Valerio Millefoglie (Baldini Castoldi Dalai), L’attimo in cui siamo felici (Einaudi), Mondo piccolo. Spedizione nei luoghi in cui appena entri sei già fuori (Laterza). Ha diretto “ARCHIVIO magazine”. Scrive su “D La Repubblica”. Il suo ultimo libro è “Tutti vivi” (Mondadori Strade Blu, 2024)


In Italia esistono lingue antiche tuttora in uso, un ricco patrimonio linguistico ancora vivo e vibrante.
Con il progetto Voci Nascoste - Le lingue che resistono, attraverso la fotografia e un podcast, raccontiamo parole e suoni tramandati per generazioni, capaci di resistere persino allo spopolamento dei paesi
Questo progetto multidisciplinare  fatto  dal  sito  www.mariocalabresi.com/  ( stessa  fonte  della storia riportata prima   ) si chiama Voci Nascoste – Le lingue che resistono e attraverso la fotografia e un podcast si concentra su tre lingue antiche: il Patois francoprovenzale in Valle d’Aosta, il Griko in Salento, l’Arbëreshë a Piana degli Albanesi in Sicilia. Tre lingue ancora in uso grazie agli sforzi di coloro che mantengono vive tradizioni secolari e contemporaneità facendo la più semplice delle azioni: parlare.
Due fotografe e un fotografo, Arianna Arcara, Roselena Ramistella e Antonio Ottomanelli hanno vissuto con queste comunità per restituirci un paesaggio visivo e sonoro articolato, dove la fotografia contemporanea si incontra con la storia, la vivacità delle persone e la sacralità dei luoghi, delle feste e dei miti.  Un progetto che è stato ideato da Camera – Centro Italiano per la Fotografia – con Chora Media, realizzato in partnership culturale con il Gruppo Lavazza e curato da Giangavino Pazzola.La mostra che raccoglie le foto sarà visitabile a Torino dal 20 aprile negli spazi di Camera in occasione di EXPOSED Torino Foto Festival.

I tre episodi del podcast Voci Nascoste sono disponibili su tutte le principali piattaforme gratuite

Nel podcast Voci Nascoste, che completa il progetto ed è stato scritto da Valerio Millefoglie e raccontato da me, ripercorriamo in tre episodi le tappe del viaggio dei fotografi. Ogni puntata esplora il paesaggio visivo, morfologico e sonoro del paese, dalle voci nascoste tra le montagne ai canti tradizionali delle feste popolari, fino ai giovani che arricchiscono il vocabolario di queste lingue antiche con le parole del contemporaneo. In Valle d’Aosta incontriamo rapper che compongono canzoni in francoprovenzale, amanti della musica che adattano in patois i classici della musica italiana e ragazze giovanissime che scelgono di vivere come i propri nonni e bisnonni, a contatto con gli animali. In Puglia il griko risuona nelle feste estive e nei discorsi nei bar e nelle piazze, dove uomini e donne di ogni età la tengono viva giorno dopo giorno, per evitare di perdere per strada parole e significati. A Piana degli Albanesi, in Sicilia, l’arbëreshë è il suono di una comunità italiana con le radici in Albania, con tradizioni fortissime che si tramandano di madre in figlia nelle trame sofisticate e nelle decorazioni dorate degli abiti da cerimonia.

29.4.24

Norberto De Angelis, atleta paralimpico disabile da 32 anni, difende il generale Vannacci e le sue idee sulla disabilità

   di  cosa  stiamo parlando  

LE PAROLE DI VANNACCI

Credo che delle classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare“, erano state le parole del generale questa mattina al quotidiano di Torino. “Non è discriminatorio. Per gli studenti con delle problematiche mi affido agli specialisti – aveva continuato-. Non sono specializzato in disabilità. Un disabile, però, non lo metterei di certo a correre con uno che fa il record dei cento metri. Gli puoi far fare una lezione insieme, per spirito di appartenenza, ma poi ha bisogno di un aiuto specifico. La stessa cosa vale per la scuola“.


 Oltre  alle  polemiche    che  ha  susscitato  ed  ancotra  crea   ,  anche a  destra  ,   ecco    che    compare   (  oltre  ai suoi sostenitori  )      qualche  suo amico non intervenisse   in difesa  di Vanaccci   cazzeggiando  telegram   nei   vari  canali   alternativi o  pseudo tali      ho  trovato    quest' articolo   

 di Monia Sangermano per Strettoweb

Le parole del generale Vannacci sulle classi per disabili a scuola stanno facendo scalpore. “Credo che delle classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare“, ha detto Roberto Vannacci in un’intervista. E il clamore che si è creato intorno a queste dichiarazione sta monopolizzando la scena dell’informazione nazionale.Secondo Vannacci le sua parole sono state travisate e rese tutt’altro dal titolo de La
Stampa. Ma la bufera non si placa. Ora, nel dibattito, entra a gamba tesa chi la condizione di disabilità la vive su se stesso. “Non nascondiamo certe problematiche dietro un dito e smettiamola di usare la disabilità solo in certi frangenti (politica docet) o quando ci si vuole detergere la coscienza. Per quello che il generale Vannacci ha espresso io sottoscrivo tutto e lo faccio convintamente come persona di causa. Io col generale Vannacci ho vissuto una serena infanzia insieme. Io, lui la sua e mia famiglia e vi garantisco che mai ho avuto la più vaga o lontana sensazione di sospettare le tante accuse e calunnie a lui spesso dirette. Si è vero siamo amici, vecchi e ottimi amici, ma per quel che può valere ciò che vi dico: lui è una

persona di grande umanità, cuore e famiglia, oltre a essere mio caro amico“.E’ quanto dichiarato in una lettera visionata dall’AGI e scritta da Norberto De Angelis, disabile da 32 anni. Nella missiva racconta che prima del trauma è “stato campione d’Europeo di football americano ad Helsinki 1987 con la nazionale italiana con tanto di record dei placcaggi“. In  seguito anche “Campione italiano di pesistica paralimpica 2012 e record mia categoria nel 2016. Campione italiano di danza in carrozzina a Rimini 2019“.
Inoltre, ricorda l’atleta paralimpico, “sono stato insignito dell’onorificenza Omri di cavaliere della Repubblica Italiana proprio per le mie azioni a difesa della disabilità in Africa (e non solo), quindi vi prego di smettere col travisare o martoriare chi, nello specifico Vannacci, parla di reali ma scomode verità, pseudo tabù e non della solita puerile ‘fuffa“.

per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...