18.2.20

lotta contro gli haters e gli insulti .la normalità del bene . la stolria di allenatore di una squadra di basket under 13 lombarda che decise di ritirare i suoi ragazzi dal campo quando sentì che i genitori sugli spalti stavano insultando l’arbitro 14enne.

Questa  è  storia  di  di un 26enne di Castiglione delle Stiviere e coach dell'under 13 "Amico basket CarpenedoloGli “eroi” civili di Mattarella, la storia di Marco Giazzi: l’allenatore di basket che ha ritirato la squadra dopo gli insulti dei genitori all’arbitro


 aveva deciso di abbandonare il parquet (causando l'automatica sconfitta a tavolino) per fermare le offese di mamme e papà sugli spalti nei confronti del giudice di gara di 14 anni . qui il resto  l'antefatto    alla base  della medaglia  di   Mattarella


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‘PER ME È STATO UN GESTO NORMALE’
Tra gli ‘eroi civili’ premiati oggi dal presidente Mattarella c’era anche Marco, allenatore di una squadra di basket under 13 lombarda che decise di ritirare i suoi ragazzi dal campo quando sentì che i genitori sugli spalti stavano insultando l’arbitro 14enne.
Servizio di Maria Teresa Palamà, Tg3 ore 14.20 del 17/02/2020


 le  motivazioni    sono  “Per il suo esempio e l’ammirevole contributo nell’affermazione dei valori della correttezza sportiva e della sana competizione nel mondo dello sport”.
Infatti   « per » --   secondo  quanto  dice  il  sito  https://primabrescia.it/ --  « questa grande dimostrazione si senso civico il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito il 26enne di Castiglione delle Stiviere Marco Giazzi del titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica. Rappresentante dell’associazione sportiva dilettantistica Alto Mantovano e allenatore della squadra under 13 “Amico Basket” di Carpenedolo, Giazzi si è distinto per il suo comportamento eccellente. Durante una partita in casa contro la squadra Negrini Quistello, in seguito a proteste e insulti dei genitori della squadra avversaria nei confronti dell’arbitro (di soli 14 anni), ha chiamato il time out chiedendo ai genitori di smettere di protestare. Non avendo ottenuto i risultati sperati ha ritirato i propri ragazzi nonostante il vantaggio di 10 punti.Un gesto che non è passato inosservato e il cui eco è arrivato nella Capitale. Da qui il grande riconoscimento. ».
Ce ne fossero di più   di  persone  cosi ci sarebbe  una  situazione  migliore  di  in Italia  ed i  clima sarebbe migliore 

17.2.20

storie di vita e di morte

in sottofondo
Simone Cristicchi - Lo chiederemo agli alberi
respirare l'aria,da Foglie d'erba di Walt Whitman



Inizio dalla morte non perchè sia cinico , ma perchè l'anoressia   non  è  solo    come ci fanno credere i media   e internet    un fenomeno  solo  femminile  , ma   purtroppo   anche  maschile (  come testimonia  questo articolo di repubblica  purtroppo a € pagamento )  ,  anche  se  a differenza   le  donne come dimostra il libro  , vedere   questo  articolo con informazioni su di lei e sulla casa editrice del libro   da  cui  ho preso la  foto  che  riporto qui  a  sinistra    e  questo mio reportage scritto per il  blog   sulla  sua presentazione  a tempio  p   ,  di Silvia Piga   hanno più coraggio nel parlarne    .
La Prima   storia è quella di   Lorenzo  studente del "Majorana" di Moncalieri, morto due settimane fa  proprio per  l'anoressia .  Non  riuscendo  a  trovare le parole per  raccontare io la storia     preferisco   usare    questi due  articoli    di repubblica  del  16    e  del  17   febbraio  


il  primo

"I sogni del nostro Lorenzo, ucciso a vent'anni dall'anoressia e dalla legge"
La lettera dei genitori del giovane, studente del "Majorana" di Moncalieri, morto due settimane fa: "Siamo stati lasciati soli in mezzo a norme sbagliate"



                                               di CRISTINA PALAZZO

Lorenzo con la mamma 
Un foglio bianco con una lista di sogni, come "essere più fiero di me stesso", ma anche di cose da fare. Come "offrire la colazione a papà": fatto. O come "viaggiare". Questo obiettivo, però, non è mai stato raggiunto. Perché Lorenzo, che aveva steso l'elenco meno di un mese fa, è morto consumato a 20 anni dall'anoressia.
 Lorenzo  con la madre Francesca Lazzari
" Ci aveva stupito quel gesto, lo avevamo interpretato come un segno di speranza: in quell'elenco vedevamo la sua voglia di combattere ancora. Neanche un mese dopo è morto", ricordano Fabio Seminatore e Francesca Lazzari, papà e mamma di Lorenzo, lo studente del "Majorana" di Moncalieri morto due settimane fa. "Di anoressia si può morire e i genitori dei ragazzi che ne soffrono lo devono sapere. Bisogna parlarne e affrontare il fenomeno. A partire dalla legge: non si può dimettere una persona nelle condizioni di nostro figlio solo perché maggiorenne. È una vergogna nazionale" . Sono durissimi: "Non ci sono abbastanza strutture pubbliche, non c'è un sistema che sappia dirti a chi rivolgerti - segnalano - È necessario mettere mano alla normativa, perché c'è un vuoto".
Dal giorno della morte continuano ad ascoltare le canzoni di Oncethekllr, il nome d'arte del loro Lorenzo, e rileggono continuamente le parole delle ultime, pubblicate a fine gennaio: "Forse ho dato troppo e tutto troppo presto", cantava.
L'incubo è cominciato al primo anno del liceo scientifico Gobetti di Torino. Aveva iniziato a mangiare sempre meno, poi la diagnosi della depressione: " Era esigente, doveva cercare di fare tutto al meglio, dal calcio alla scuola. Studiava tanto perché voleva essere bravo ma forse nessuno glielo ha mai detto " , ragiona la mamma. Lorenzo si è trasferito al Majorana di Moncalieri. Grazie alla disponibilità del preside Gianni Oliva e del corpo docente ha conseguito il diploma non perdendo nessun anno, neanche quando era ricoverato nella piccola struttura aostana " Residenza Dahu". "Furono splendidi, gli inviavano il materiale e per le interrogazioni li accompagnavamo fino a Brusson, anche sotto la neve. Lì era seguito da specialisti sempre ed era impegnato tutto il giorno - raccontano Fabio e Francesca - Quando terminò l'anno in struttura era felice, aveva ripreso 20 chili: tornò a scuola, si fidanzò e sembrava volesse riprendersi quel tempo perduto".
Poi l'ansia del diploma: Lorenzo aveva iniziato a mangiare meno. Non dormiva. All'Università frequentò due giornate di lezioni a Filosofia, un'altra a Scienze della Comunicazione, ma niente: "Forse non riusciva ad accettare l'idea di ritrovarsi a essere un numero. Lui voleva aiutare gli altri, era quello il suo futuro e lo faceva nel suo piccolo".
Ha iniziato a perdere di nuovo peso: "Perché non mangi?", gli domandavano. Una volta rispose in questo modo: "Perché so che prima o poi così muoio". Poi sono seguiti i ricoveri all'ospedale Molinette: il primo a maggio, in psichiatria, poi di nuovo a dicembre. "Ma quando vedevano che il livello di potassio rientrava lui firmava e tornava a casa. Ci aveva vietato di parlare con i medici" , raccontano i genitori. E spiegano: " Abbiamo supplicato che gli facessero il Tso. Ci aveva confidato che era arrivato a vomitare anche 20 volte al giorno, ma era come se non fosse lui a farlo. Era uno spettatore, era la malattia ad agire per lui. E ci rassicurava che stava bene, che insieme ce l'avremmo fatta, senza ricovero". Il 3 febbraio l'ultima telefonata al 112, ma non c'era più nulla da fare.
"È necessario parlarne, soprattutto nelle scuole, dove possono manifestarsi i primi segnali, e bisogna aiutare le famiglie che vivono situazioni simili. Noi abbiamo fatto di tutto, ci siamo detti che a costo di mangiare pane e cipolla avremmo provato ogni strada, abbiamo scelto esperti e strutture private, pagando di tasca nostra. Ma quando i figli sono maggiorenni, i genitori non possono fare nulla " , dicono la mamma e il papà di Lorenzo. E proseguono: "C'è carenza di conoscenza reale della malattia, mancano strutture adeguate e personale che sappia gestire questi pazienti, che sono in grado di fare di tutto pur di tornarsene a casa". Nelle loro menti risuona spesso quell'ultima frase pronunciata dal figlio: "Tranquilli, sono magro ma sono in forza".

Il   secondo 

Torino -
Un male dentro l’ha consumato per sei anni. Fino a morire, due settimane fa, di anoressia a 20 anni, lasciando ai genitori un macigno sul cuore: «Lorenzo, cosa potevamo fare di più per aiutarti?». Francesca Lazzari e Fabio Seminatore raccontano di averle provate tutte. E cercano adesso di trasformare l’agonia vissuta accanto al loro figlio maggiore, in un’esperienza che sia di aiuto per chi sta vivendo lo stesso dramma: «Il sistema non funziona, le famiglie vengono lasciate sole, si tagliano i fondi e non ci sono abbastanza strutture adeguate». 
La morte di un figlio è inaccettabile per una madre. Sente che non avete fatto abbastanza? 
«Sono sincera: stiamo soffrendo il peso del fallimento. Anche oggi sono tornata al cimitero e gli ho chiesto “Lollo cosa potevo fare per aiutarti e averti ancora con me? Ma quella malattia è un mostro dell’anima. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per aiutarlo, anche perché a livello economico potevamo permettercelo: l’abbiamo affidato a strutture private e fatto seguire da super esperti. Ma il problema è diventato insormontabile quando ha compiuto 18 anni e poteva firmare le dimissioni».
Quando vi siete accorti della malattia di Lorenzo?
«In prima liceo. Aveva iniziato a mangiare meno. Sembrava un disagio legato alla scuola in cui non si trovava bene. Al secondo anno l’abbiamo iscritto al Majorana di Moncalieri dove è stato accolto e supportato in ogni modo. Ma a un certo punto non usciva più di casa, restava chiuso in camera tutto il giorno».
Cosa avete fatto?
«Ci siamo allarmati quando alla neuropsichiatra che era riuscita ad “agganciarlo” e a farlo aprire ha dato una risposta terribile. “Perché non mangi?”, lui ha ammesso: “Perché so che così muoio”».
Come avete reagito?
«L’abbiamo portato in una struttura specializzata a Brusson, in Valle d’Aosta. C’erano pochi posti, ma qualcuno era dedicato ai privati. Per i primi tre mesi non abbiamo potuto avere alcun contatto con lui: è stato molto doloroso. Ma in quella struttura era rinato, facevano laboratori di teatro, cucina e aveva un’equipe specializzata che lo seguiva».
Come ha fatto con la scuola?
«Il preside Gianni Oliva e gli insegnanti sono stati meravigliosi: gli mandavano compiti e appunti. Io portavo le docenti da lui anche sotto la neve. Lorenzo non ha perso l’anno: è stato molto importante per lui che era così esigente con sé».
Come era il suo carattere?
«Lui aveva tanto, ma voleva essere apprezzato per ciò che era. Aiutava gli altri ed era un perfezionista. Questa è una caratteristica comune nell’anoressia sia femminile che maschile». 
L’anoressia maschile è meno conosciuta. Ci sono differenze?
«A Brusson c’era solo un altro ragazzo. Tuttavia non ci sono differenze: si tratta di anime ipersensibili, esigenti con se stesse e che si fanno carico dei problemi degli altri. Non è solo cercare la magrezza per essere come le soubrette. Non si sentono compresi perché non sanno spiegare quello che hanno dentro. Eppure c’era chi pensava: “Ma come Lorenzo? Hai 20 anni, mangia di più, esci e divertiti”. Ma lui si sentiva “un vaso crepato”, come ha scritto in una canzone. Eppure era così amato, anche dalla sua fidanzata».
Cosa non ha funzionato?
«A dicembre mi ha detto: “Mamma aiutami, non sto in piedi”. L’ho portato di nuovo al pronto soccorso. Mio figlio era alto un metro e 90, ai medici ha detto di pesare 60 chili, ma non sarà stato più di 50 e non l’hanno nemmeno pesato. Aveva il potassio a 2, e 33 battiti. L’hanno portato in terapia intensiva e mi hanno detto che sarebbe potuto morire per uno scalino. Ma poi quando i valori sono tornati a posto, lui ha firmato le dimissioni e deciso che i medici non parlassero con noi. È stata una condanna a morte: eppure siamo in Italia. Chiediamo più risorse e aiuti. Da me lui non tornerà più, ma noi ci batteremo perché altre famiglie non siano lasciate sole».
 

l'altra storia      tratta  da   : 
 1) https://www.lettera43.it/daniel-bullo-educatore/ 
 2)  https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/


È  quella di   Daniel Zaccaro, 27 anni  che da bullo che aveva commesso il primo reato poco più che adolescente, finendo anche in carcere prima al Beccaria, poi a San Vittore,  ha  aveva ottenuto l’affidamento in prova presso la comunità Kayròs di don Claudio Burgio. E ieri, come riporta il Corriere della Sera, si è laureato all’Università Cattolica, in Scienze della formazione, e vuole diventare educatore.Daniel era un bullo, ora farà l'educatore. Alla sua laurea, anche la pm che lo
Daniel ha già cominciato a darsi da fare e a lavorare con un ragazzo difficile, proprio come era lui da giovanissimo, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro. Ad applaudirlo il giorno della laurea c’era anche la pm del tribunale per i minorenni che l’ha processato e fatto condannare in tutti i processi in cui era imputato. «È una grande vittoria di tutti noi, questa», ha detto il magistrato nella cronaca riportata dal quotidiano, dandogli una carezza sulla corona d’alloro: «Daniel racconta agli adolescenti come è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi. Ma io glielo dico sempre, a costo di sembrare pedante: attento a non farti sedurre dal lato oscuro della forza», ha scherzato il pm. Presente alla discussione anche Fiorella, docente in pensione che a San Vittore gli ha fatto studiare il suo primo libro di scuola: l’Inferno di Dante. Hanno voluto essere accanto a Daniele lo stesso don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria insieme a don Gino Rigoldi, storicamente impegnato nel recupero di giovani difficili. «La brutalità è indice di povertà di pensiero» – ha raccontato Daniele -. «È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome, ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».
Una storia   di riscatto    e di   cambiamento  .  Infatti il corriere  della sera  

Daniel, da bullo a educatore: la pm che lo portò al processo va alla sua laurea
Oggi ha 27 anni e ha completato il corso di studi in Scienze della formazione. Ad applaudirlo all’Università Cattolica c’era anche la Pm del Tribunale per i minorenni che all’epoca rappresentò la pubblica accusa in tutte le udienze

                                 di Elisabetta Andreis


Daniel Zaccaro alla sua laurea in Scienze della Formazione






Rapine, violenza, furiosi pestaggi. Questa è la storia di un ragazzo che è profondamente cambiato. Da adolescente pareva refrattario non solo a qualunque regola, ma anche a qualunque affetto. Una vita allo sbando a Quarto Oggiaro, nonostante due genitori presenti che ce la mettevano tutta. Il carcere, tra il Beccaria e San Vittore, poi — dal 2015 –—l’affidamento in prova presso la comunità Kayròs di don Claudio Burgio. Daniel Zaccaro adesso ha 27 anni, è diventato grande. Ieri si è laureato brillantemente all’università Cattolica, in Scienze della formazione. Vuole diventare educatore, ha già iniziato a lavorare con un ragazzo difficile, proprio come era lui. Ad applaudirlo alla laurea, tra le persone importanti della sua vita, c’era anche la Pm del Tribunale per i minorenni che l’ha fatto condannare in tutte le udienze in cui era imputato.
Negli occhi di quella Pm — severissima e dalla grande umanità — si leggevano orgoglio e soddisfazione. L’ha mandato in galera per il suo bene «prima», ora lo accompagna nelle scuole, per parlare con i bulli e raccontare la sua storia personale. «È una grande vittoria di tutti noi, questa», diceva dandogli una carezza sulla corona d’alloro: «Daniel racconta agli adolescenti come è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi. Ma io glielo dico sempre, a costo di sembrare pedante: attento a non farti sedurre dal lato oscuro della forza». Gli vuole bene, come gliene vuole Fiorella, docente in pensione che a San Vittore gli ha fatto studiare il suo primo libro di scuola, l’Inferno di Dante. Lo applaudiva anche lei, ieri, di fianco a don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria insieme a don Gino Rigoldi ed eccezionale nell’agganciare certi ragazzi. «Dietro questo bellissimo traguardo, oltre alla bravura di Daniel, ci sono tante persone e molte istituzioni civili ed ecclesiali che insieme hanno saputo collaborare in questi anni. È la storia di un lavoro di squadra — si schermisce don Claudio —. Questa è la città che mi piace e che ispira il mio impegno educativo quotidiano. Ora toccherà a Daniel raccogliere questo impegno e trasmetterlo ad altri giovani con tutta l’esperienza e la competenza maturati in questo percorso».
Quando Daniel ha commesso il primo reato, era «per fare la vita bella, facile, ed essere stimato dal quartiere». Eppure i suoi genitori gli avevano insegnato il valore del lavoro e del rispetto. In carcere continuava a prendere punizioni per cattiva disciplina. Oggi, maturo e attento, si guarda indietro. Ragiona sulla violenza che a volte, specie in gruppo, prende il sopravvento. «La brutalità è indice di povertà di pensiero — dice —. È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».


Aboliamo le settimane celebrative del 27 gennaio e 10 febbraio. La memoria non si impone per decreto

Risultato immagini per rituali della memoria  A   freddo  e senza giri di parole ora,   finita  l'ubriacatura retorico \  celebrativa   e  di strumentalismo  nella    2°   data  , lo posso dire ufficialmente per  me  le  giornate  ora diventate  settimane   del   27  gennaio  e   del  10  febbraio  e a tutte le altre occasioni di rammemorazione e commemorazione collettiva calata dall'alto, artificiale, imposta, andrebbero  abolite  . Si tratta di una proposta che potrà scioccare qualcuno ma  purtroppo  è meglio così  visto che  in tali celebrazioni si    ricorda  sempre  solo  a metà  e parzialmente  . Ad  esempio  , come  dimostra  il video  sotto , ricordiamo il  fascismo  (ed  il nazismo )   , ma  omettiamo   come  esso   sia  contiguo nelle    nostre istituzioni   repubblicane   


 cosi  come    ricordiamo    giustamente   le  foibe , l'esodo 


Risultato immagini per rituali della memoria  del 10 febbraio 

ma  in maniera    strumentale lo dice  persino un rossobruno   come Fusaro 






 

mettendo sullo stesso piano o peggio in secondo piano sminuendo se non ignorando , sopratutto nel caso di quella del 10 febbraio , quello che c'era prima . Manca , quindi  , in questi riti di memoria  celebrativi quelll' onestà intellettuale e amore per la complessità, ossia un approccio storico, per non sminuire il riconoscimento e lo sdegno per la brutalità  senza astrarre e destoricizzare l’accaduto  o  farlo faziosamente  o parzialmente
Ecco che ci sono tutti profondi motivi di riflessione ed è anche questo il motivo per cui ho atteso la conclusione delle due Giornate \ settimane per esplicitare le mie perplessità, in modo da non offendere nessuno con quella che poteva sembrare una banale provocazione.Ma che invece nasce da una riflessione meditata e concreta visto che sono da tempo che cerco di spiegarvela e che è la seguente: la memoria collettiva non è modificabile per decreto. Occorre un lavoro in profondità, e non bastano solo due settimane all'anno . Il culto della memoria che è alla base delle varie “giornate” dedicate è una mera imposizione del potere costituito, che avviene a distanza di decenni dai fatti “ricordati” (forse non tutti si…ricordano che le due “giornate” della Memoria e del Ricordo sono state istituite solamente nei primi anni Duemila) e che pretenderebbe di attivare a comando e burocraticamente meccanismi etici e identitari collettivi ovvero quello che si chiama volgarmente memoria collettiva .
Tant’è che quando “l’innesto di memoria” non funziona a dovere,visto che in entrambi i casi, tuttavia, l’inutilità delle ricorrenza è manifesta, perché una memoria forzata non è vera memoria, e un ricordo che diventa l’occasione per offendere i ricordati è contraddittorio. Lo scontro politico esplicita almeno il problema, l’unanimità della retorica lo affoga nell'insensatezza e nella noia . È ciò che accade ai due anniversari ci sente in dovere di attingere allo stanco repertorio del comunicatificio di massa per concionare e massifficare su male, bene, tragedia, messaggi universali, etica globale, “l’ora più buia”, ciò che è stato “condannato dalla storia”, la “vigilanza” e ciò che “non deve ripetersi mai più”. Questa non è memoria, è chiacchiera, un discorso che gira a vuoto, e che la stragrande maggioranza dei suoi destinatari ascolta e partecipa spontaneamente o obbligato \ costretto ed ascolta lo fa distrattamente, con noia.E allora, come se ne esce? Semplice: liberando la memoria. Lasciando il campo libero a tutte le affermazioni e a tutte le negazioni, a tutte le sensibilità e al loro contrario, riconoscendo la libera contesa delle egemonie, arrendendosi alla conflittualità manifesta dei ricordi contrapposti. Fuori la burocrazia dalla memoria. Lasciamo il ricordo a chi sa tenerlo in vita senza l’aiuto di carte bollate e decreti ed obbligo  .


16.2.20

intervista a Sebastiano Dessany sul suo , appena concluso , 377 project ovvero un comune e un pezzo musicale sardo al giorno

  Dopo  un po'  di  tempo  , problemi miei  di  salute  , attesa  che  lui  finisse  il  viaggio    (  Il viaggio è partito il 26 ottobre 2018 da Nuoro, luogo di origine dei suoi   antenati, e si è concluso a Cagliari,luogo di nascita, il 21 dicembre 2019)  n modo  da  non  disturbarlo  e  farli magari domande  originali    pubblico la  mia  intervista   Sebastiano Dessanay, 

Risultato immagini per sebastiano dessanay
 da https://www.linkoristano.it/prima-categoria/2018/12/12/
compositore, contrabbassista e professore di musica residente a Birmingham (Regno Unito). La sua musica (registrata in diversi CD e regolarmente eseguita in prestigiose sedi internazionali)   come   testimoniano  i  suoi pezzi   e  questo mio  video rubato di questa  sua  jam session  con   Daniele  Ricciu  un artista locale  durante la sua 176° tappa   a tempio pausania avvenuta  il  20.5.2019  ( vedere  qui   il mio reportage  d'essa )



 spazia dalla contemporanea al jazz, ed è caratterizzata da un forte senso della melodia e da una grande attenzione alle tessiture e atmosfere sonore. Il contrabbasso ha un ruolo preminente nella sua ricerca e le sue composizioni hanno spesso un carattere improvvisativo.  Testimonianza    di  una  identità   aperta   e  non chiusa  . 

Ecco l'intervista  

  visto  che  sei  dovuto  andare  all'estero     ti  senti  di più  emigrato o cervello in  fuga  ?
 Ne’ emigrato ne’ cervello in fuga. Per me andare all’estero è stata un’esigenza di crescita e di espansione degli orizzonti. Nessuna decisione forzata ma cosciente e voluta, anzi desiderata.
L'immagine può contenere: Sebastiano Dessanay, persona seduta e chitarracosa  farai   dopo la  brexit  rimarrai   nella perfida   Albione   o  ritornerai  in Italia    \ in sardegna  riportando   tutto a  casa  ( per  parafrasare un   famoso  disco   degli Mcr  )  
Non so ancora cosa farò, certamente continuerò ad avere collaborazioni professionali in UK e proverò a ritagliarmi dei piccoli spazi anche in Sardegna per portare un po’ di quello che ho acquisito in questi anni
L'idea del progetto 377 ovvero un viaggio per i 377 comuni della sardegna   ovvero 377 project  è nata   per  far  conoscere    altri lati       della nostra isola   all'estero che  non  siano i  soliti luoghi  ei vip  o  del turismo di massa  oppure  da nostalgia   ricerca  delle   tue  radici  voisto  che    il  tuo  tour   è partito  da  Nuoro    città dei  tuoi avi ?
L’idea è nata come esigenza personale di conoscere la Sardegna, e di capire cosa c’è in essa che veramente mi appartenga, e realizzare un progetto artistico da lei ispirato e a lei dedicato, secondariamente per far conoscere la Sardegna fuori, e non solo le rinomate coste, ma anche il suo interno, fino ai paesi più piccoli e remoti.
hai già bloccato  il materiale  sonoro   registrato   nelle diverse  tappe   del tour  o  ancora  ci stai lavorando ?
 Durante il viaggio ho preso “appunti musicali” ma ci vorrà molto tempo per renderli fruibili sotto forma di vere e proprie composizioni che usciranno nel disco che ho in programma di realizzare
sara  solo un cd  musicale   oppure  come  visto il tuo  interesse   antropologico ( almeno dall'idea  che mi sono fatto  dal  nostro incontro    quando sei venuto a tempio   )  sarà un lavoro  tipo   quello di sandro fresi  http://www.iskeliu.org/Home/pagina-3/?
Il disco non sarà un disco di musica “sarda” o tradizionale, ma un disco di musica scritta contemporanea che avrà certamente delle influenze di quello che ho scritto in viaggio ispirato da elementi sardi. La parte antropologica credo andrà a finire nel libro narrativo che ho in programma di scrivere in una fase successiva al disco e al volume fotografico.
 le  jam session    ci saranno anche  quelle  ?
 No le jam session, come tutta la musica improvvisata, svanisce nel momento stesso in cui si crea…
percorso più  duro  , percorso più leggero  ?
Percorso più duro: per lunghezza Burcei-Villasimius, per dislivello Sadali-Esterzili ed Esterzili-Villanova Tulo (ma ce ne sono tanti altri, Triei-Talana, San Vito-Villasalto, Fonni-Desulo etc)  Percorso più leggero: Flussio-Tinnura (ma ce ne sono anche altri, paesi attaccati, Baratili San Pietro-Riola Sardo, Muros-Cargeghe, Norbello-Abbasanta etc)
facciamo un bilanco   cosa  butti  e  cosa   tieni di questo  viaggio  ?
 cosa butto: tutto il brutto e le problematiche pesanti che affliggono la nostra terra che ho toccato con mano; cosa tengo, la bellezza dei luoghi, le importanti testimonianze del passato e la generosità e umanità delle persone che ho incontrato.