10.4.21

Carolina, pastora a 28 anni: “Ma non chiamatemi Heidi”

mentre  terminavo     il  post  << uomini  e  donne   che  mandano avanti   l'italia  e  resistono tra  burocrazia  e  cattiva  politica  e  alle mafie   >> mi è  ritornata  alla mente     questa storia

A 28 anni Carolina Leonardi, una laurea all'Università di Pisa, gestisce l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo stato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini. I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti".


  una  delle  tante  di  giovani  che  ritornano   agli antichi mestieri dei nostri nonni e   bisnonni     , trovate   sotto  le  altre 

da  repubblica     09 APRILE 2021

                  di Valentina Venturi  

"Ho imparato da sola a tosare le pecore, ma non chiamatemi Heidi"
Carolina Leonardi, 28 anni, pastora della Maremma: "Se si continua a far passare l’idea che questo lavoro sia faticoso e che toglie tempo per il resto nessuno porterà avanti le nostre tradizioni, l’artigianalità e i prodotti del territorio. Invece si può fare tutto, bisogna solo sapersi organizzare"



Ventotto anni, due pastori apuani e cento pecore da gestire. Non è la trama di un romanzo, ma la quotidianità di Carolina Leonardi, pastora della Maremma. Tutto nasce cinque anni fa, quando frequenta il corso di laurea in Scienze agricole a Pisa e d’istinto acquista un gregge di 40 pecore di razza massese autoctona della Garfagnana. Quello che all’inizio poteva risultare un azzardo, diventa la sua vita: il pascolo si moltiplica raggiungendo quota cento e facendole ricevere nel 2021 il riconoscimento come esempio di coraggio da Coldiretti in occasione della Giornata internazionale della donna.
A 28 anni Carolina Leonardi, una laurea all'Università di Pisa, gestisce l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo s
tato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini. I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti". I primi tre anni, ricorda la pastora, dividendosi tra pascolo e università, sono durissimi: "La mattina mi svegliavo alle 5 e mungevo. Alle 8 andavo fino a Pisa all’Università, tornavo all’una e andavo al pascolo; alle 17 una nuova mungitura e dalle 21 in poi facevo il formaggio. E la mattina dopo si ricominciava. È stato faticoso, ma non ho mai avuto tentennamenti. Sono molto, ma molto determinata e dove voglio arrivare, arrivo!". L’ha certamente sovraccaricata di impegni, ma quello universitario – con tesi sui formaggi –, è stato un passaggio utile; magari non indispensabile. "Per fare questo lavoro non serve una laurea. L’Università mi dava la consapevolezza per capire come lavorare e nello stesso tempo il lavoro mi dava lo stimolo per continuare a studiare e comprendere come procedere".
La determinazione non le manca, tanto che apre anche l’azienda agricola e agrituristica “Le Coppelle latteria Belato Nero” di Pian di Lago (Lucca), alle pendici del monte Corchia, a 1000 metri sul livello del mare. Qui produce latticini, alleva bovini della razza Rendena allo stato brado e vive insieme ai 100 capi di ovini e al compagno Simone ("Ci siamo conosciuti tredici anni fa, lavora come potatore alto fusto e free climbing").
Con l’arrivo dell’inverno i suoi animali si spostano nella stalla di Pietra Santa ("La mattina scendo a valle e resto giù tutto il giorno con loro"). Un dislocamento inevitabile che ha riportato in auge la transumanza, Patrimonio Immateriale dell’Umanità dal 2019. Si tratta della tradizionale migrazione stagionale del bestiame dai pascoli di pianura a quelli delle regioni montuose e viceversa. "In questo modo le stalle sono collegate e io recupero l’antica tradizione. Il trasferimento si svolge rigorosamente a piedi per dieci ore di cammino ed è una giornata di festa alla quale partecipano tantissime famiglie, ragazzi e bambini. Si parte dalla stalla di valle per arrivare alla stalla di quota e nell’intermezzo si fa un piccolo ristoro in montagna".
Oltre ai latticini c’è da pensare anche alla lana ("Ho imparato a tosare da sola, non ho paura di fare nulla"), che quest’anno ha deciso di donare a un’azienda pugliese che produce abiti di lana di pecora. Ed è proprio grazie al prezioso manto che Carolina ha preso parte all’evento organizzato dalla Onlus Gomitolorosa, un’associazione no profit con presidente Alberto Costa, che dal 2012 propone il recupero della lana autoctona italiana di scarto a scopo terapeutico e solidale. Gomitolorosa in collaborazione con Agenzia Lane d’Italia e Legambiente, ha identificato la prima Giornata italiana della lana con il 9 aprile, quale inizio rappresentativo del periodo della tosatura.
Eppure, nonostante tutto il cammino percorso, la pastora si schernisce, non si sente l’eccellenza della pastorizia: "Sono una ragazza normalissima, equilibrata, con amici, un compagno e una vita sociale". E sottolinea con convinzione i suoi punti fermi, le radici della sua scelta: "Da amante della natura, in qualsiasi sua forma, sia del mare che della montagna, ho sentito il desiderio di aprire la mia azienda e di creare un prodotto che provenisse dal territorio. Certo, se mi guardo indietro mi domando come ho fatto a percorrere tutti questi anni, perché all’inizio lavoravo e studiavo. In effetti sono sempre stata un po’ avventuriera e un po’ fuori dagli schemi".
Se le si domanda di riflettere sulla strada percorsa finora non ha tentennamenti, ma è difficile farle immaginare cosa le riservi il futuro, fondamentale è il presente. "Ho avuto la fortuna di fare ciò che mi piace e che mi rende libera. Ogni giorno mi sento e reputo fortunata: ho tribolato tantissimo, ho faticato tanto e ora sono in pace con me stessa. Sono felice".
Carolina esce dai cliché iconografici: ci tiene ad essere considerata una ragazza come tante ("pratico surf, mi piace mangiare la pizza e quando posso vado a fare l’aperitivo"), guai a paragonarla al cartone animato Heidi ("fisicamente magari ci assomiglio pure ma materialmente non lo so. Io svolgo la mia vita normalissima, non come lei"), quando va al pascolo non ha un fischio identificativo e si fa aiutare dai due adorati pastori apuani Mirtillo e Pepe. Fiocco di neve? Non esiste: delle sue pecore ha dato il nome solo alla capobranco, Anna, la prima agnellina che le è nata cinque anni fa. "Se si continua a far passare l’idea che questo lavoro sia faticoso e che toglie tempo per il resto nessuno porterà avanti le nostre tradizioni, l’artigianalità e i prodotti del territorio. Invece si può fare tutto, bisogna solo sapersi organizzare".


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8 MARZO

"Io, pastora delle Murge, amo il gregge e a farmi paura non sono i lupi ma la burocrazia"

Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa. Troppe coppie vanno ancora all'estero. Ma qualcuno ce la fa anche in Italia, come Simona e Mirko

 Leggendo  l'articolo  di di Elvira Naselli  su repubblica   m  chiedo        ma che fine hanno fatto quelli che avevano fatto fallire il quorum sul referendum per del 2004 per paura di schierarsi e ribellarsi ai dettami della chiesa che non ebbe il coraggio di prendere posizione per il No rispetto a me ( vedere archivio blog ) che fui per il Si ?















"Un giorno spiegheremo a Caterina che è nata da un ovocita arrivato dalla Spagna"

Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”. Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato -  decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”.  A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno del primo Dpcm della pandemia e stavolta è nata Caterina”.Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale” . 
Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”.
Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato -  decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”.  A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno de
Dubbi, esitazioni di fronte alla scelta di avere un ovocita da una anonima banca spagnola? “Io e Mirko non abbiamo avuto dubbi di tipo etico né esitazioni – continua Simona – ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di accettare la proposta dell'ovodonazione. Se lo abbiamo detto ad amici e parenti? In realtà tutti sanno della procreazione assistita e pochi dell’ovodonazione, ma non per una scelta precisa, piuttosto per le difficoltà d’incontro dovute alla pandemia. Abbiamo però già sentito una psicologa perché vorremmo trovare il modo giusto per dirlo a Caterina quando sarà il momento. Se lo rifaremmo? Cento volte, ed è un peccato che in Italia sia così difficile”.
Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale”.
Ma la donazione di gameti – in particolar modo quella di ovociti, la più frequente – non è a portata di tutti nel nostro paese. Tanto che molte coppie – almeno quelle che ne hanno la possibilità economica – vanno all’estero: Spagna, soprattutto, ma non solo. Del resto – sottolinea sconfortata Filomena Gallo, avvocato che ha difeso le coppie alla Consulta per ottenere la fecondazione eterologa, segretario dell’associazione Luca Coscioni e consigliere Sifes-Mr – in Italia non solo questa procedura non viene erogata in tutte le regioni ma non c’è neppure un tariffario delle prestazioni incluse nei Lea con spesa a carico del Ssn, tranne che per la diagnosi pre-impianto. “Chi risiede in Puglia non può effettuare l’eterologa – precisa Gallo – e se va in altre regioni ha limiti strettissimi di rimborso. In Sicilia invece la coppia può fare eterologa solo nel privato o fuori regione, ma solo se si rivolge a strutture pubbliche. Se si rivolge al privato non c’è diritto al rimborso". 
Sette anni dall'abolizione del divieto di fecondazione eterologa e quasi seimila bambini nati, fino agli ultimi dati dell’Istituto superiore di Sanità del 2018. Ed è quindi ragionevole pensare che siano molti di più: nel 2018 ne sono venuti al mondo 2002 e se il numero è rimasto uguale nel 2019 e nel 2020 allora sarebbero oltre diecimila nascite. Bambini nati appunto grazie alla fecondazione eterologa, quella tecnica che utilizza ovociti o spermatozoi da donatori, prelevati da una banca. Una tecnica – quella dell’eterologa - vietata in Italia dalla legge 40 del 2004 e riammessa dalla Consulta dieci anni dopo, il 9 aprile del 2014, su ricorso dei tribunali di Firenze, Milano e Catania. Fino ad allora – ma in molti casi capita anche oggi – le coppie erano costrette ad andare all’estero, in Spagna soprattutto, dove l’idea della donazione di ovociti non è un tabù e le donne sono disposte a farlo, come si dona il sangue, ricevendo un compenso che non supera il migliaio di euro. Non è una questione di soldi, ma di mentalità, mentalità che ha reso la Spagna la più grande banca mondiale di ovociti donati. E la destinazione principale del cosiddetto “turismo procreativo”.
Dal 2014 però si può ricorrere a donazione di gameti anche in Italia. E ci sono le coppie che – nonostante le difficoltà anche economiche, considerato che solo pochi centri pubblici offrono questa possibilità e quindi tutto si svolge nel privato -  decidono di restare in Italia. Come quella di Simona, architetto quarantenne e del suo compagno Mirko, diventati genitori 4 mesi e mezzo fa di Caterina. Cinque anni fa a Simona è stata diagnosticata una endometriosi. Quindi una gravidanza sarebbe stata difficile, ancor più considerata l’età. Poi conosce Mirko e il progetto di avere un figlio è più pressante per entrambi. “Per un anno abbiamo provato naturalmente – racconta – ma poi ci siamo rivolti a un centro convenzionato di procreazione assistita e lì la prima brutta notizia: i miei ovociti erano scarsi e di cattiva qualità”.  A questo punto il ricorso a un’amica ginecologa, Cincy Argento, che lavora in un grande centro romano privato di Pma e un nuovo tentativo. “Siamo riusciti a produrre un solo embrione, risultato aneuploide (con anomalia cromosomica, ndr) all’analisi pre-impianto. Abbiamo deciso quindi di ricorrere all’ovodonazione: nel 2019 sono rimasta subito incinta ma purtroppo ho perso i due bambini per una gravidanza gemellare monocoriale monoamniotica (I feti condividono placenta e sacco amniotico, ndr). Un momento difficile per noi. Poi, dopo pochi mesi un secondo tentativo, proprio il giorno del primo Dpcm della pandemia e stavolta è nata Caterina”.
Dubbi, esitazioni di fronte alla scelta di avere un ovocita da una anonima banca spagnola? “Io e Mirko non abbiamo avuto dubbi di tipo etico né esitazioni – continua Simona – ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di accettare la proposta dell'ovodonazione. Se lo abbiamo detto ad amici e parenti? In realtà tutti sanno della procreazione assistita e pochi dell’ovodonazione, ma non per una scelta precisa, piuttosto per le difficoltà d’incontro dovute alla pandemia. Abbiamo però già sentito una psicologa perché vorremmo trovare il modo giusto per dirlo a Caterina quando sarà il momento. Se lo rifaremmo? Cento volte, ed è un peccato che in Italia sia così difficile”.
Eppure la donazione di gameti potrebbe essere una soluzione per moltissime coppie. “Il successo di questa tecnica – premette Filippo Maria Ubaldi, presidente Sifes-Mr (Società italiana di fertilità e sterilità-Medicina della riproduzione) – sta nel fatto che può risolvere tanti casi di infertilità maschile, menopausa precoce o difficoltà dovute alla tarda età della donna, più di 42-43 anni. Procrastinare la maternità comporta una degenerazione dei gameti femminili e la necessità di ricorrere all’ovodonazione. Ma attenzione: i rischi legati ad una maternità in età avanzata restano. Fino al primo trimestre di gravidanza sono gli stessi a tutte le età ma nel secondo e terzo trimestre entrano in gioco elasticità e vascolarizzazione dei tessuti, condizioni dell’utero e possono aumentare i rischi ostetrici, il pericolo di parto pretermine, ipertensione e diabete gestazionale”.
Ma la donazione di gameti – in particolar modo quella di ovociti, la più frequente – non è a portata di tutti nel nostro paese. Tanto che molte coppie – almeno quelle che ne hanno la possibilità economica – vanno all’estero: Spagna, soprattutto, ma non solo. Del resto – sottolinea sconfortata Filomena Gallo, avvocato che ha difeso le coppie alla Consulta per ottenere la fecondazione eterologa, segretario dell’associazione Luca Coscioni e consigliere Sifes-Mr – in Italia non solo questa procedura non viene erogata in tutte le regioni ma non c’è neppure un tariffario delle prestazioni incluse nei Lea con spesa a carico del Ssn, tranne che per la diagnosi pre-impianto. “Chi risiede in Puglia non può effettuare l’eterologa – precisa Gallo – e se va in altre regioni ha limiti strettissimi di rimborso. In Sicilia invece la coppia può fare eterologa solo nel privato o fuori regione, ma solo se si rivolge a strutture pubbliche. Se si rivolge al privato non c’è diritto al rimborso".
E poi c’è il problema pandemia, che ha bloccato l’attività di molti centri, colpendo le coppie in quello che è l’elemento più critico della loro ricerca di genitorialità: il tempo. E nelle regioni dove l’accesso alla Pma in regime pubblico è regolata da limiti d’età, non si è tenuto conto del blocco dovuto al Covid. E solo Toscana, Lazio e Campania hanno prorogato il limite anagrafico. Le coppie delle altre regioni hanno visto allungarsi la lista d’attesa o si sono viste tagliate fuori per sopraggiunti limiti d’età.



uomini e donne che mandano avanti l'italia e resistono tra burocrazia e cattiva politica e alle mafie

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La rivincita delle donne nella palestra di Scampia Una storia di cambiamento: Cira ha riscoperto il suo corpo grazie al fitness. Ora i suoi corsi sono frequentati da 600 allieve, in una palestra confiscata alla 
camorra  

 
  


Continuano ad accendere luci e proiettare film. A Catania due gestori affrontano con difficoltà al lockdown mentre un giovane regista si attiva per dare una mano

9.4.21

La bambina con biberon e pallone

  ho letto     questa   storia bella  e  toccante   sulla newsletters   di https://www.mariocalabresi.com/    da  cui  ho ripreso foto ed  articolo  eccetto   lo screen short  istangram  preso dal blog   consigliato \  citato nell'articolo   

  Joanna Borella è la “Dad del calcio”. Conosciuta nel quartiere di NoLo, a Milano, come Mr Jo, grazie alla sua associazione “Bimbe nel pallone” insegna a fare gol alle bambine e alle ragazze, ma anche alle donne adulte. Colpita dal lockdown, si è inventata allenamenti e sfide in video, utilizzando quegli escamotage che da bambini abbiamo provato un po’ tutti. E cioè: una palla di carta come pallone, due bottiglie come pali, i rotoli di scottex come avversari da dribblare. Piena di energia, ha usato il calcio come un filo per non perdersi. Perché la vita di Joanna è segnata dalla tenacia e dal pallone fin da bambina.

Joanna Borella è la fondatrice dell’associazione “Bimbe nel pallone”, scuola di calcio al femminile del quartiere NoLo di Milano

Nata in India, arriva in Italia nel 1967: la sua è la prima adozione internazionale nel nostro Paese – grazie alla sua vicenda è nato il Cai, il Centro Adozioni Internazionali. «Avevo un anno e mezzo, ero piccolina piccolina, quindi non mi ricordo un tubo. E così sono sempre stata convinta di essere uscita dalla pancia della mia mamma italiana. Tante volte non mi rendevo nemmeno conto del colore diverso della mia pelle». Joanna si ritiene una “ragazza” doppiamente fortunata: «Il mio primo vero colpo di fortuna è stato che i miei genitori naturali in India non mi hanno abbandonato in mezzo alla strada, ma hanno avuto il cuore di andare in un orfanotrofio. E quindi mi han dato la prima possibilità di vivere. Il secondo colpo di fortuna me lo sono cercata io! Da quel che mi raccontano da piccolina dicevo “mamma”. Non mama, mom, momy in inglese ma mamma, in italiano quasi, come poteva dirlo una bambina piccolina di 15 mesi. Era però come un segno: è come se avessi alzato una bandierina: “Fatemi partire per l’Italia”. E così mi hanno portato qui».

Joanna mostra la maglietta con stampato il soprannome che la contraddistingue nel quartiere: “Mr Jo”

Joanna viene adottata dai Borella, famiglia milanese, zona Porta Romana: mamma, papà e due fratelli maschi, cui si aggiungerà una sorella, Cristiana, adottata da Bologna. Joanna è una bambina piccola che ancora non cammina ma che scopre ben presto un oggetto meraviglioso: «A una settimana dal mio arrivo gattonavo dietro al pallone e ai miei fratelli. Ho iniziato prima a giocare a calcio quasi che a camminare. Ovunque andavo, avevo sempre con me un pallone, un biberon e un pezzettino di pane». «Alle elementari, appena suonava la campanella, correvo fuori nel corridoio con una palla di carta e scotch. Le insegnanti dicevano: “Ma l’è un maschio o una bambina?” e la mia super maestra rispondeva: “No, quel lì l’è la Giovannina, che l’è minga nurmal quel lì. Gioca semper al balun. L’è un maschiaccio”. Giocavo, giocavo, giocavo sempre. In casa nostra veniva spesso il vetraio, avevamo sempre i vetri rotti… Le prime volte chiedeva alla custode dove dovesse andare, alla fine era la custode a dire: “Borella? Sì, vada vada”».

Joanna mentre gioca a calcio, passione che ha coltivato sin da piccolissima

La passione di Joanna per il calcio non si spegne, tanto che continua a giocare: «L’unica cosa che mi ha sempre dato fastidio era a volte di dover dimostrare di saper fare molto di più di un maschio». Nel frattempo inizia a lavorare come babysitter, insegnando spesso ai bambini che accudisce a giocare a calcio. Ad un certo punto le due passioni si sono unite: «Ho frequentato la scuola per gli allenatori di calcio e un corso per educatori sportivi, e nel 2015 ho aperto “Bimbe nel pallone” associazione sportiva dilettantistica, una scuola di calcio divertente, flessibile e libera per bambine e ragazze dai quattro agli 11 anni e dagli 11 ai 18 anni. Non devono essere Maradona, ma devono divertirsi col calcio. E poi ho iniziato anche a fare un corso per le donne e le mamme». Mr Jo allena nelle strutture del quartiere, nell’impianto di via Cambini e al parco Trotter, ma anche all’oratorio di Turro. A causa di un problema di strutture alla Cambini, ha stretto un patto con la Gorlese Calcio. Inoltre quest’anno è entrata a far parte del Patto di Collaborazione del Trotter, per coinvolgere bimbe e bimbi in giochi e attività utilizzando l’ex piscina del parco, recentemente rimessa a nuovo e inaugurata come campo sportivo. Appena tutto questo si potrà di nuovo fare dal vivo, ovviamente. Perché adesso è tutto fermo, restano solo gli allenamenti via Web.

Joanna mentre allena le sue ragazze della scuola di calcio. Mr Jo è nata in India e nel 1967 è arrivata in Italia, dov’è stata adottata a un anno e mezzo 

«Da bambina adoravo quando, a fine estate, prima di settembre, ci sedevamo al tavolo tutti quanti per leggere con il librettino di Milanosport, per cercare lo sport che avresti fatto tutta la stagione. Sfogliavo, sfogliavo, sfogliavo e non trovavo mai calcio femminile. Il mio obiettivo è che le bambine oggi possano scegliere anche il calcio. Ma in generale le donne, le ragazze, le mamme. Mi

piace pensare a certe situazioni famigliari: è l’ora di cena, i bambini strillano, ma la mamma prende su il suo zainetto e dice: “Ciao belli, io vado a giocare a calcio!”. Non è solo il papà che può svagarsi, ma anche la mamma. E anche lei può farlo con il calcio».


Stefania Carini e i suoi il  suo blog   “Effetti Personali” 

La storia di Joanna Borella l’ho scoperta su “Effetti Personali”, un progetto giornalistico di Stefania Carini, realizzato grazie all’European Journalism Covid-19 Support Fund. Attraverso voci, foto, video, Carini raccoglie il vissuto di alcuni suoi vicini di quartiere, quel NoLo di cui si è tanto parlato a Milano. Ogni intervistato si racconta attraverso il suo “effetto personale”, un oggetto che ha segnato questo suo anno di pandemia, e allo stesso tempo mette in luce la sua visione del quartiere e di Milano, un modo anche per indagare l’idea di “città in 15 minuti” che oggi sta prendendo sempre più piede.

*
Stefania Carini è giornalista e saggista. Negli anni ha scritto per “Corriere della Sera”, “la Repubblica”, “Il Foglio”, “Europa”. Per la tv ha realizzato speciali e documentari per Sky, Rai, Mediaset tra cui “TeleVisori”, “Galassia Nerd”, “L’Italia di Carlo Vanzina”. Il suo ultimo libro è “Ogni canzone mi parla di te” (Sperling&Kupfer, 2018).

8.4.21

"Il disagio chi lo vive non lo vanta": Francesco Scioni, in arte Shony da Sant'Elia smonta il mito trap criminale con la sua Desaparecido



Cercavo materiale per un post ( lo leggerete a breve è ancora in word progress ) e su https://youtg.net/canali/culture ho trovato questa bela notizia proveniente dal mondo rap \ hip hop .

 CAGLIARI. "Ancora con questa gara a chi sarà Don Vito". E "il disagio chi lo vive non lo vanta". E ancora: "Da dove provieni vieni già additato. Zona popolare quindi un derivato. Pare criminale anche un incensurato". Versi, veloci, in musica di Francesco Scioni, in arte Shony, 31 anni, che in due minuti e diciassette del video "Desaparecido" - girato interamente a Sant'Elia - smonta l'artefatta mitizzazione di molti protagonisti della scena trap, che millantano radici nei quartieri popolari e più violenti, ma non sanno bene nemmeno quale sia il Codice di avviamento postale. Un pezzo in controtendenza, quello di Shony, cresciuto al Cep e trasferito a Sant'Elia a 12 anni: due quartieri popolari di Cagliari, dove la strada bisogna conoscerla. E non necessariamente mitizzarne le devianze: "La mia", spiega, "vuole essere una po' una critica su questo trend soprattutto della trap italiana di mitizzare la criminalità come se fosse la gara a chi ha la fedina penale più sporca". Un passaggio di desaparecido fa riferimento a "palazzi che sanno di Eldorado": "Questo quartiere", raccota Sciony, "è pieno di brave persone e di risorse urbane anche se molte di esse sono abbandonate a loro stesse, ma c'è da dire che negli anni il posto è migliorato tanto". 

Il video


 


 pubblicato su YouTube viaggia verso le diecimila visualizzazioni  buon segno   rispetto agli altri video idioti  , spesso inventati e iperealistici  , del genere trap 



7.4.21

SONO FAVOREVOLE AL DDL ZAN MA…

 Lo so che  dovrei usare parole mie e dire   direttamente il mio  pensiero    , ma  a vote  capita  che    qualcuno\a     esprima  il tuo stesso concetto  in mainerà più efficace     di  te  . Infatti    concordo    con  

SONO FAVOREVOLE AL DDL ZAN MA…
Per la serie “ma chi se ne importa di che cosa pensi tu del ddl Zan” vi dirò ora precisamente che cosa penso io del ddl Zan: penso che sono favorevole al ddl Zan, alla sua ratio e all’opportunità sia di allargare il perimetro del 604-bis del Codice Penale alle fattispecie proposte sia di esprimere uno sforzo a livello statale per diffondere e promuovere una cultura del rispetto e della tutela dell’uguaglianza nel campo, diciamo così, dell'identità, delle scelte e degli orientamenti sessuali MA penso anche che ci sia un problema (o meglio un rischio) nel ddl Zan che mi sento, in tutta coscienza, di dover e voler segnalare. Proverò qui a spiegare quale sperando di non dovermi per questo sorbire una grandinata di aggressioni o di accuse di essere transomofobico, per la semplice ragione che so incontrovertibilmente di non esserlo. Però vabbè, mi rendo conto che è completamente inutile mettere le mani avanti su questo specifico punto, sicché correrò il rischio e giudicherete voi.
Ordunque.
La mia grande perplessità riguarda la precisa e circoscritta casistica degli “atti discriminatori sulla base dell’identità di genere” che il ddl Zan proibisce e che in linea puramente teorica permetterebbe al giudice di sanzionare, per fare qualche esempio:
- un locale che non permetta a un uomo che si sente donna di accedere ai bagni femminili
- una giuria che non ammetta un attore che si sente attrice ad ambire a un premio riservato alle donne
- una commissione che non permetta a un imprenditore che si sente imprenditrice di partecipare a un bando dedicato all’imprenditoria femminile
- un partito che non permetta a un politico che si senta politica di essere abbinata a un un uomo laddove sia prevista l'obbligatorietà di candidature numericamente equilibrate tra uomini e donne.
Il motivo per cui nutro queste perplessità dovrebbe essere chiaro a chiunque ma, a rischio di risultare pedante, lo illustrerò nel modo più preciso che riesco.
Il problema, per come la vedo io, sta nella contraddittorietà della riforma proposta che se da una parte include il sesso biologico tra le fattispecie considerate meritevoli di tutela giuridica rafforzata dall’altro pone le condizioni perché le donne, biologicamente intese - figure storicamente, socialmente, culturalmente, economicamente e giuridicamente piuttosto penalizzate - si trovino nella condizione di poter patire una ulteriore discriminazione in uno dei loro diritti essenziali, che è quello di essere riconosciute come sesso biologico, per l’appunto.
Sono dell’opinione che includere identità di genere e sesso biologico nella stessa legge e renderli tutelabili con lo stesso identico strumento legislativo sia quindi una clamorosa contraddizione in termini che, tanto per cambiare, si può risolvere a ulteriore e paradossale svantaggio delle donne biologicamente intese, permettendo agli uomini che si sentono donne (ma che restano biologicamente uomini) di accedere a trattamenti e quote di rappresentanza dedicati alle donne biologiche, creando - dal punto di vista politico e sociale - una ulteriore e non opportuna invasione di campo. Sono infatti, fino a prova contraria, convinto che sia cosa buona e giusta continuare a tracciare talune linee di demarcazione seguendo un criterio rigorosamente biologico e lo sono per il preciso motivo che riconosco nel sesso biologico femminile una categoria di persone storicamente, socialmente, culturalmente e politicamente penalizzate. Ritengo pertanto assolutamente premature fughe in avanti in questo senso. Tutto va fatto a tempo debito e, per come la vedo io, sancire per via di legge il divieto di atti discriminatori sulla base dell’identità di genere (che è cosa diversa dall’istigazione all’odio, all’aggressione e alla presunzione di superiorità, com'è del tutto evidente) sia politicamente opportuno e socialmente accettabile solo DOPO che si sarà effettivamente raggiunta e garantita la parità giuridica e sociale sulla base del sesso biologico. Non prima e tanto meno contestualmente, ma decisamente e incontrovertibilmente in subordinata a quella parità sostanziale e non già solo dichiarata come intento. Questo perché fondamentalmente mi assumo la responsabilità politica di pensare che prima venga la tutela del sesso biologico e poi quella dell’identità di genere che mi pare un interesse assolutamente tutelabile ma non al costo di annullare le differenze biologiche prima di avere effettivamente parificato i diritti e i carichi sociali ad esse correlati. Dicesi infatti “discriminazione” una distinzione (che non è e non può essere ridotta sempre a vulnus antiegualitario) operata in seguito a un giudizio MA ANCHE a una classificazione. Ebbene, che piaccia o non piaccia, ritengo il dato biologico ancora meritevole di classificazione, non foss’altro perché non siamo ancora stati politicamente in grado di eliminare le conseguenze giuridiche e sociali che tale classificazione di fatto comporta nel nostro modello sociale, culturale e politico.


E come lui dico anch'io : << Spero di essermi spiegato bene. Nel caso così non fosse discutiamone pure, se possibile senza volermi convincere di essere affetto da fobie che so di non avere. Grazie.>>
Inoltre non mi piace la campagna mediatica a senso unico che escluda dal dibattito sia le posizioni femministe , comprese anche quelle perchè c'è una spaccatura , LGB . Ma soprattutto che 1) le s'inquadri solo ed esclusivamente come pro Pillon o fasciste , quando esistono femministe di sinistra

2) quando anche uomini





per non parlare poi d'insulti ed violenze se li critica

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