26.11.22

Un nome nuovo per ricominciare

   da  https://www.mariocalabresi.com/stories/


Da quattordici mesi Claudia vive libera ma nascosta, quando esce di casa cerca di parlare in giro il minimo indispensabile e si preoccupa di non lasciare tracce, i suoi due figli sono iscritti a scuola con un falso nome, non chiama mai i genitori e la sorella dal suo telefono, teme che la possano rintracciare. Claudia un anno e due mesi fa è scappata da un marito violento e criminale, lui la sta cercando e le ha promesso che la ammazzerà. Il marito è un camorrista, oggi è in carcere, ma il clan è sulle sue tracce ed è già riuscito a trovare dove vivono i genitori di Claudia e poi ha rintracciato la sorella. Anche loro avevano fatto la scelta estrema di abbandonare la casa e il lavoro e di andare a vivere lontani da Napoli, ma non è servito. L’hanno capito la mattina che nella casella della posta hanno trovato una lettera. L’aveva spedita quell’uomo dal carcere. Era la dimostrazione che l’ultima promessa fatta a Claudia era stata mantenuta: “Non te la potrai mai rifare, una vita, perché io ti darò sempre la caccia, per te sarà sempre un inferno. Ti troverò”.

Una mattina all’alba Claudia ha abbandonato Napoli con i suoi due figli, scegliendo di lasciarsi alle spalle la sua vita precedente e il marito violento

Claudia oggi sogna di diventare invisibile, ma questa non sarebbe la fantasia impossibile di una bambina ma una possibilità reale se il nostro Parlamento facesse una piccola modifica a una legge, quella che permette il cambio di generalità per i pentiti, i testimoni e i collaboratori di giustizia e estendesse la possibilità anche a chi abbandona un contesto mafioso. Claudia non è la sola, nella sua situazione ci sono almeno quaranta donne che sono scappate da mariti ‘ndranghetisti, mafiosi o camorristi. Molte di queste donne sono scappate per seguire i figli che i tribunali hanno allontanato dai contesti criminali dei padri, Claudia invece ha scelto di andarsene una mattina prima dell’alba.

Quella per dare a queste donne una nuova possibilità e proteggerle da violenza e vendette è una battaglia che da tempo portano avanti Libera, la rete di associazioni contro le mafie, e Don Luigi Ciotti. Insistono perché ci sia una nuova legge, sanno che non può essere utilizzata la legge ordinaria che permette il cambio di generalità, perché questa prevede che l’atto sia pubblicato nel comune del luogo di nascita e questo, evidentemente, renderebbe tutto inutile.

Claudia chiede soltanto un nome e un cognome nuovi ma non può essere una collaboratrice di giustizia o una testimone perché non è mai stata parte del sistema criminale. C’è un’avvocata che si è sempre occupata del tema, si chiama Vincenza Rando, nelle ultime elezioni è stata eletta senatrice e sta lavorando a un disegno di legge per permettere a queste donne una nuova vita: «Se i mariti riuscissero a trovarle le ammazzerebbero, perché andandosene hanno rotto la famiglia e scelto di stare dalla parte della legge e dello Stato. Hanno bisogno di una nuova identità per salvarsi la vita e per ricominciare a vivere, per lavorare e per far studiare i figli».

Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia assassinata dall’ex marito e boss della ’ndrangheta il 24 novembre 2009. (Creative Commons CC BY-SA 4.0 Internazionale – Wikimafia.it)

L’esempio più tragico di cosa accade alle donne che hanno il coraggio di abbandonare le famiglie criminali è la storia di Lea Garofalo, che, nel 2009, venne attirata in una trappola dal marito a Milano, rapita nei pressi dell’Arco della Pace e strangolata. Aveva solo 35 anni e il suo corpo venne bruciato in un campo vicino a Monza per non poterlo mai riconoscere. Cinque anni dopo, grazie a una collanina e a un pentito, i suoi resti vennero recuperati. Partecipai al funerale e portai sulle spalle la sua bara, era leggerissima, conteneva pochi resti di quella donna coraggiosa. Ha lasciato una figlia, Denise, di cui sarebbe molto orgogliosa.

Anche Claudia, che ha solo trent’anni, ha avuto il coraggio di voltare pagina, conosce i rischi che corre e vuole vedere i suoi figli diventare grandi. La sua scelta l’ha fatta dopo anni di umiliazioni, botte e terrore una domenica pomeriggio dello scorso autunno: «Stavo guardando la televisione, era accesa su “Domenica In”, quel giorno pensavo di farla finita, non vedevo futuro e nessuna speranza, poi sul video è passato in sovrimpressione il numero verde dei centri antiviolenza, il 15 22, e la scritta: “Anche se c’è l’emergenza Covid le case rifugio sono sempre aperte”. Mi è sembrato un segno, una risposta, l’occasione da non perdere. Da giorni guardavo mio figlio, che aveva cominciato a camminare e a parlare, e vedevo un bambino bellissimo che non aveva conosciuto ancora la violenza, che non sapeva nulla di quello che aveva inquinato e rovinato la vita di suo padre e la mia: ho scelto di scappare perché non voglio che diventasse anche lui un delinquente».

Il mio ultimo libro “Una volta sola”, edito da Mondadori

La storia di Claudia l’ho raccontata nel mio ultimo libro, partendo da quella mattina in cui si è ripresa la libertà che aveva perso sedici anni prima, quando ne aveva solo quattordici ed era solo una ragazzina che aveva scelto l’amore sbagliato. Quando era entrata nel tunnel di vivere con un camorrista che entra ed esce dal carcere, che le ha dettato ogni giorno le regole dell’esistenza: le cose che poteva fare, le cose che poteva dire, come doveva vestirsi, cosa poteva leggere e cosa guardare alla televisione.

Quando è arrivata la prima lettera ai suoi genitori, Claudia ha ricominciato a sentirsi braccata e ad avere paura. Ha pensato che una promessa l’aveva mantenuta davvero: quella di farla vivere nel terrore. «Ho come la sensazione che la mia, adesso, sia una corsa contro il tempo per non essere risucchiata dal passato, da quel mondo da cui sono riuscita a liberarmi. Vorrei poter fare un lavoro onesto, uno qualunque, per mantenermi, per ricostruire la mia dignità. Intanto vorrei diplomarmi perché avevo lasciato l’alberghiero dopo due anni e ora ho solo la terza media. Poi vorrei studiare psicologia, sogno di iscrivermi all’università insieme a mia figlia quando lei avrà finito le superiori. Sarà un percorso lungo, la costruzione di una nuova vita, ma di questo non ho paura. Però ho bisogno di una nuova identità, di un nuovo nome, di qualcosa che segni un prima e un dopo e mi permetta davvero di ricominciare».

[ settimo giorno senza mondiale ] le proteste di questo mondiale sembrano più conformiste che altro manca una diplomazia del pallone

 È passata  ed  ancora   sto resistendo  una settimana  dall'inizio dei mondiali ed  ancora  non ho seguito  nessuna partita nonostante   sia  convalescente   per via  dell'herpes   e  quindi sia sempre  al pc o con la tv  accesa  . Ma  da  quello  che  leggo da   più parti   , soprattutto  repubblica   d'oggi ( ne trovate  l'articolo sotto )    e  da quel  che  ricordo  della storia  del calcio    , è mancato     un vero  gesto  (  quelli avvenuti  sono solo  poco incisivi , a senso unico  ,   al limite del conformismo   e del politicamente  corretto   )  almeno  per ora  . Infatti ancora  non si  è visto   un gesto  coraggioso    che  so  un  coming  out  di un giocatore   un bacio omo  da parte del pubblico  in diretta o  censurato per  fifa    dalle  telecamere  della FIFA  .  

                                     da  repubblica   d'oggi  

La partita più triste di sempre fu anche la più breve, quindici secondi tra il fischio di apertura e il triplice finale. Si disputò il 21 novembre 1973, Estadio Nacional di Santiago, fra Cile e Urss. In palio la qualificazione al Mondiale 1974, andata a Mosca 0 a 0. I sovietici si rifiutarono di disputare il ritorno nello stadio dove erano stati incarcerati i militanti fedeli al presidente socialista Allende, caduto nel golpe del generale Pinochet. La Fifa, ricorda Gregorio Mena Barrales, uno dei detenuti, finse di non vedere i 7 mila prigionieri e diede l’ok al match. L’Urss non si presentò, il capitano del Cile “Chamaco” Valdés Muñoz segnò a porta vuota, 15 mila spettatori applaudirono grotteschi. L’Urss però, nota Heather Dichter, curatrice del monumentale saggio Soccer Diplomacy: International Relations and Football since 1914 (University Press of Kentucky), pur eliminata, vinse il dribbling politico e accusò il presidente Nixon e il diplomatico Kissinger di sponsorizzare i dittatori. Quando, dunque, alla partita d’apertura in Qatar, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha accolto in tribuna il principe saudita Mohammad bin Salman la diplomazia del pallone esercitava, in diretta tv, solo un nuovo capitolo della saga nata oltre un secolo fa. I pessimi rapporti Doha-Riad facevano temere, dal 2017, lampi di guerra panaraba sul Golfo (il Qatar ospita il comando Usa Centcom, Medio Oriente e Asia centromeridionale), tutto raffreddato invece, nell’aria condizionata dello stadio al Bayt, un prato nel deserto. Ora che il Qatar è eliminato, i tifosi locali terranno per i sauditi? Secondo l’enfatica rete tv di casa Al Jazeera sì, anzi l’intera comunità islamica si mobiliterà «dai caffè curdi di Erbil, ai pub di Istanbul, agli stadi di Gaza». In realtà, se i tifosi del Qatar sembrano freddi, la torcida verrà da lontano: all’Inter Club di Lakkidi, stato indiano di Kerala, le chat chiamano gli amici residenti a Doha perché vadano allo stadio con le bandiere saudite. Qualcosa del genere si è visto dopo la vittoria dell’Arabia sull’Argentina: i colori dei due Paesi uniti in una festa inattesa. Le presenze del Segretario di Stato to Blinken, degli uomini forti di Egitto e Turchia, al Sisi ed Erdogan, del presidente algerino Tebboune, hanno lanciato il summit del pallone che, con le proteste di Iran e Germania, svuota l’invito del presidente Macron: “Non politicizziamo lo sport!”. In realtà, a inventare il cocktail Sport-Politica-Diplomazia, dosi uguali e shakerare, son stati proprio i francesi, dalle Olimpiadi di De Coubertin ai club di calcio che, dopo la Grande Guerra, girarono l’Europa in tour di propaganda del governo parigino. I sauditi sognano ora il Mondiale 2030, magari in team con Grecia e Egitto, e la carismatica principessa Haifa al Saud, discendente per via paterna della dinastia Abdulaziz bin Abdul Rahman Al Saud, ha invitato per un giro del Paese un imbarazzato Messi, ennesimo sponsor per il cartello monstre sport-turismo-economia da lanciare via calcio-golf-Formula 1 (Tiger Woods avrebbe detto no a centinaia di milioni). E CR7 ha ricevuto un’offerta per giocare nel Newcastle arabo. I casi di studio son tanti, il Caudillo spagnolo Francisco Franco, reietto dopo la guerra civile 1936, usò i cinque trionfi in Coppa Campioni del Real, 1955-60, per riguadagnare prestigio all’estero. «Noi antifranchisti — ricordava lo scrittore spagnolo Jorge Semprun — ci infiltravamo da Parigi, nei caffè di Madrid la polizia ci chiedeva il risultato del Real, scena muta e dritti in galera…». Nel 1955, piena Guerra Fredda, quando la popolazione islandese contesta la base aerea USA di Keflavik, il presidente Eisenhower invia la Nazionale americana in amichevole a Reykjavík, e tutto si aggiusta. La Calcio-Diplomazia ha però una condizione indispensabile, conclude lo storico Peter Beck, «che le squadre facciano buon risultato, Esempio classico la Germania Ovest 1954, che batte la mitica Ungheria 3-2». Contestatissima, in odore di doping, la squadra intera finisce in ospedale, per “itterizia” si disse allora. La Germania ritornò nella diplomazia globale e il geniale regista Fassbinder usò la concitata radiocronaca nel film Il Matrimonio di Maria Braun, usando quei gol per datare la vera fine della guerra a Berlino. 
                                                   
                                                      Gianni Riotta


Infatti l'articolo di Riotta trova conferma oltre che negli eventi da lui citati dal fatto che la Coppa del mondo non è soltanto una manifestazione sportiva, ma è anche un evento con importanti condizionamenti e riflessi politici e diplomatici. Infatti Celebri sono le strumentalizzazioni propagandistiche delle vittorie mondiali della nazionale italiana negli anni Trenta e argentina nel 1978 effettuate da dittatori come Mussolini e Videla. Altri episodi, come i festeggiamenti in Iran per la qualificazione ai Mondiali del 1998, che portarono migliaia di donne a scendere in piazza violando convenzioni e divieti, o l’appello effettuato da Didier Drogba a deporre le armi e organizzare libere elezioni in una Costa d’Avorio lacerata dalla guerra civile, in occasione della qualificazione della propria nazionale a Germania 2006, Questi ed altri fatti sono riportati dal volume LA DIPLOMAZIA DEL PALLONE Storia politica dei Mondiali di calcio (1930-2022) di Riccardo Brizzi- Nicola Sbetti  in cui si ripercorre la storia della Coppa del mondo di calcio, dalla prima edizione del 1930 in Uruguay sino a Qatar 2022, mostrando come questa manifestazione sportiva abbia acquisito un crescente protagonismo sul terreno mediale, economico e soprattutto politico, che l’ha trasformata in un vero e proprio mega-evento globale.
Un libro   che  credo che  regalerò per  natale  all'amico con cui  ho  intavolato quel breve  discorso   riportato  su  queste  pagine    nel post  precedente

E  anche oggi   il mio dovere  l'ho fatto  

a dimostrazione che non serve una giornata per parlare del femmicidio la storia di Marina Contino ispettrice di polizia : "Insegno agli operatori di polizia ad accogliere le vittime e ad ascoltarle col cuore"

Con questo post chiudo sulle tematiche del 25 novembre , almeno fino , spero il più tardi possibile , fino al prossimo femminicidio .  

Leggo su repubblica online d'oggi 26 NOVEMBRE 2022 la storia della drigente della Polizia di Stato Marina Contino, che ha da quanto riporta ( qui l'articolo completo ) il sito https://www.viterbonews24 ha preso il posto di Fabio Berrilli trasferito alla Direzione Centrale Polizia di Prevenzione di Roma. Marina Contino, romana, ha frequentato il corso quadriennale presso l’Accademia di Polizia e, dopo essere stata assegnata alla Scuola Agenti di Vibo Valentia, ha prestato servizio presso le Questure di Palermo, Bari e Roma, ove ha diretto la Squadra Volante e la Centrale Operativa. E’ stata poi trasferita alla Direzione Centrale della Polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza al Servizio di Analisi Criminale, ove ha curato in particolare la Banca Dati Interforze. Dopo essersi specializzata con due master specifici, si è occupata di violenza in genere ed in particolare di stalking.
Ma ora Basta  divagare    . Ecco  l'articolo      di repubblica  online  

Violenza sulle donne, Marina Contino: "Insegno agli operatori di polizia ad accogliere le vittime e ad ascoltarle col cuore"
                                            di Salvo Palazzolo




  

"Quando una donna entra in un ufficio di polizia, devi iniziare ad ascoltarla col cuore, con gli occhi, con la pancia. Non puoi metterti subito a scrivere un verbale". La dottoressa Marina Contino, direttore della prima divisione del Servizio centrale anticrimine della polizia, che si occupa di violenza di genere e minori, insegna una cosa soprattutto ai colleghi più giovani: "La vittima di abusi e violenze è diversa dalla vittima di qualsiasi altro tipo di reato. Anche l'autore è del tutto particolare. E, allora, bisogna attrezzarsi per capire chi ti sta parlando, anche con i suoi silenzi".

Cosa bisogna fare per accogliere davvero una donna che vuole denunciare?

"E' la domanda che continuiamo a ripeterci, per aggiornare sempre di più i pacchetti formativi destinati a tutti gli operatori di polizia, sia quelli che iniziano ad indossare la divisa, sia quelli che già la indossano da tempo, anche con incarichi di responsabilità all'interno di un ufficio. In questa trincea non bisogna mai smettere di attrezzarsi. E l'obiettivo è sempre uno, mettere a proprio agio la donna vittima di reato. L'audizione è davvero un momento particolare, mi è capito di ascoltare donne che all'improvviso hanno ritrattato".

Per quale ragione?

"Perché la paura prende il sopravvento. Oppure la speranza che il marito cambi. O la voglia di perdonare. Oppure, può scattare la vergogna di raccontare certi episodi. Ai giovani poliziotti sottolineamo che quello non è un interrogatorio, ma un momento delicatissimo che va gestito con grande cura. In questo senso, anche il luogo dell'accoglienza della donna deve essere preparato con attenzione".

Quali caratteristiche deve avere la stanza dell'ascolto?

"Il tavolo attorno a cui ci si ritrova dovrebbe essere di vetro. E comunque sempre tondo, mai con gli spigoli. La sedia deve essere fissa, non con le rotelle, in modo da dare la sensazione di stabilità. Sono consigli di massima. E, poi, non è detto che la denuncia debba essere presa in un ufficio di polizia. Ce lo dice la straordinaria esperienza dei camper sparsi in giro per l'Italia, per la campagna 'Questo non è amore': 




sono migliaia le donne che si avvicinano a parlare a noi poliziotti".

Con l'entrata in vigore del Codice rosso com'è cambiata la formazione?


"L'ispettorato delle scuole organizza programmi specifici per gli allievi agenti e gli allievi vice ispettori. Con l'aiuto di specialisti si studia tutto ciò che vuol dire attenzione alla vittima della violenza di genere. Si approfondisce inoltre l'utilizzo dell'applicativo Scudo, la grande banca dati interforze dove confluiscono tutti gli episodi, anche apparentemente non rilevanti, che riguardano una vittima. Corsi ci sono anche per chi si occupa delle indagini su questo tipo di reato".

Come avete fatto durante il lockdown, quando il numero delle denunce è cresciuto vertiginosamente?


"Il percorso di formazione non si è fermato: il servizio centrale di sanità ha coinvolto on line 700 operatori sul tema dell'accoglienza della vittima".

Qual è l'argomento più importante su cui battete per adesso?


"E' l'ammonimento da parte dei questori, uno strumento semplice e di grande efficacia come ripete il prefetto Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine, da cui dipende il servizio centrale anticrimine. Un richiamo e un invito al maltrattante a fare un percorso di recupero. Una circolare del prefetto Messina ha sollecitato gli uffici a risentire le donne che hanno chiesto l'ammonimento, per chiedere se hanno bisogno di qualcosa".

Come fare emergere i casi che non vengono denunciati?

"A questo serve la formazione specifica, per saper cogliere anche i più piccoli segnali del disagio di una donna. E saper dare il consiglio giusto".

Femminismo, l’ultimo tabù ? di www.associazionevivarte.com

 Il femminismo è da sempre stato uno dei movimenti più importanti della storia. Se non il più importante. Quando si pensa a questo movimento, che incarna valori sacri e fondamentali come libertà, parità, giustizia, è difficile pensare che all’interno di esso ci possano essere delle sfumature. Perché sfumature e non troncamenti? Usare la parola “troncamento” - come mi è capitato leggere durante la fase di documentazione - mi è sembrato se posso dire errato, oppure non “esatto.” Partendo dal presupposto che il femminismo per tutti quei valori, quei messaggi che porta, viaggia in una linea temporale diversa, più longeva, più propensa al cambiamento, al superamento di valori basilari, si trova sempre avanti rispetto - se possiamo dire - ai giorni nostri. E qui viene posta l’attenzione su tematiche molto profonde, tematiche più mature, più sensibili, che possono creare disaccordi su questioni delicate, molto delicate. Si cerca di raggiungere un obiettivo comune, di ottenere risultati prefissati e di raggiungere un punto di arrivo, ovvero il benessere comune, la parità dei sessi, la fine del sessismo, la possibilità di potersi affermare, la possibilità di poter dipendere da uno stipendio paritario, uguale all’altro sesso. Ma soprattutto, questione più importante, la sicurezza, il rigetto contro ogni forma di violenza, abuso, contro il femminicidio, senza dimenticare quanto questo punto sia importante e riportato - come giusto che sia - in ogni protesta, ogni anno dal movimento femminista. In una dimensione così “radicata” è automatico che scaturiscano altre problematiche, altri dibattiti. E di cosa parliamo esattamente? Si parla principalmente del Sex Worker. Ma prima di iniziare ad argomentare un tema così delicato, dobbiamo fare alcuni passi indietro.  Nel 1982 ci fu la “Barnard Conference on Sexuality”, una riunione in cui presero parte due schieramenti. C’era già da tempo questa divisione interna tra femministe anti-pornografia e femministe pro sesso. Lo scopo di questa riforma era quello di cominciare a considerare il sesso come atto oltre lo scopo riproduttivo. Perché proprio negli anni ‘80? La nascita del porno vero e proprio è riportata negli anni ‘70 esattamente in Danimarca, quando il governo accettò di finanziare un documentario dal nome “Sexual Freedom in Denmark”. Un documentario in cui un intervistatore intervista 5/6 donne con quale ha successivamente rapporti sessuali. In seguito a questo, vennero girati altri documentari. Gli Stati Uniti, che avevano registrato alcuni cortometraggi con il nome di “Stag Film, Sexploitaton” per accontentare i clienti più in voga nei bordelli, non persero tempo e lanciarono i primi film pornografici. Come “Mona”, dove una ragazza vuole mantenere la sua verginità, ma praticando solo il sesso orale. Successivamente uscì il film “Deep Throat” (“gola profonda”), che diede il via a molte, moltissime polemiche.  Questi film andavano a costituire sempre di più quella forma di libertà, quel sesso pensato in maniera “libera” come “puro piacere” che si stava creando in quei tempi. Tornando alla nostra domanda (perché proprio durante gli anni ‘80?), negli anni ‘80 ci fu un vero e proprio boom, un’impennata per l’industria pornografica, dal momento che non si registravano più film nei cinema per via dell’avvento, della nascita delle videocassette, del registratore, e il mondo del porno arrivò nelle case. Era più facile interagire con esso. Tornando alla manifestazione svoltasi nel 1982, la “Barnard Conference on Sexuality”, ci fu uno scontro tra le femministe anti-pornografia e pro sesso. Le femministe anti-pornografia vedevano il porno come un qualcosa di sbagliato, sporco, senza nessuna morale, dove le donne erano viste solo come contenitori, e recitavano durante i film la parte passiva. Inoltre alcuni generi che stavano nascendo in quell’epoca, tra i quali “gonzo” - ovvero sesso violento - erano visti come privi di morale, privi di piacere e si riaffermava sempre più forte la sottomissione della donna.  Le femministe pro sesso invece ritenevano il porno come un’affermazione del sesso intenso come piacere, sesso liberatorio, una realtà nella quale la donna è libera di intraprendere esperienze sessuali alla stessa stregua di un maschio. Vedevano quindi nel porno un progresso, un passo in avanti. A questo scopo è stato creato anche il porno femminile. Un porno con produttori e attrice femminili, dove la femmina mantiene uno status paritario a quello maschile. È difficile delineare come l’evoluzione del mondo del porno abbia influenzato esattamente la prostituzione. Non ci sono abbastanza informazioni per stabilire una correlazione cronologica specifica, ed è molto difficile stabilire dei dati, ma esiste una piccola relazione tra questo mondo, il porno, e la prostituzione. Oltre il fatto di essere, al giorno d’oggi, due professioni molto contestate e condannate. Per quanto riguarda il mondo del porno, non esistono, oppure se esistono sono rari, i dibattiti in cui si parla di “tutela”. Tutela delle porno-attrici. Prima di affrontare il mondo più “vicino a noi” delle sex worker, dobbiamo soffermarci sulle migliaia di ingiustizie che si registrano nel mondo del porno.  Nella sua testimonianza Shelley Lubben, ex pornostar, afferma precisamente i disagi perpetuati nel mondo del porno. Come manchi uno sportello diretto di ascolto per le attrici. Nel mondo del porno le attrici la maggior parte delle volte si vedono costrette a girare video porno non pattuiti in precedenza, e si vedono costrette perché in caso minacciate di licenziamento o mancato pagamento. Inoltre i controlli medici eseguiti sulle attrici da parte di cliniche raccomandate dalle case pornografiche, sono fuorvianti. Shelley Lubben riporta appunto come a volte, anche ex-pornostar si fingevano dottoresse, facendo finta di eseguire i controlli. Inoltre c’è lo stress psicologico a cui deve andare una pornostar, come dimostrano i casi di suicidio registrati ultimamente, come quello di Augusta James, pornostar venticinquenne trovata impiccata in a un albero, o quello di Shyla Stylez. Tutto questo, se nel mondo del porno può essere in  parte “protetto” data la sua natura legale e la presenza di case pornografiche che tutelano la salute delle loro attrici con controlli medici effettivi, non avviene per quanto riguarda la prostituzione, il sesso per strada.  La vera domanda, la domanda principale che una femminista radicale pone a una sex worker, è sempre la stessa: “Se avessi la possibilità di scegliere, faresti veramente questo?” oppure “Perché la maggior parte delle ragazze che si prostituiscono o fanno questo tipo di lavoro scappano da situazioni di povertà e forte disagio?”. Perché un fenomeno che viaggia, purtroppo, in parallelo, intrecciato, interconnesso con quello delle sex worker - e crea questa spaccatura tra chi vorrebbe abolire definitivamente la prostituzione e chi vorrebbe invece legalizzarla - è la tratta delle persone. Se andiamo a vedere i numeri in Italia le prostitute sono per il 55% rumene e il 17% minorenni. Le ragazze vengono “raccattate” nel vero senso della parola nei loro paesi. Il pappone dopo svariate promesse le convince, in un modo o nell’altro, a venire in Italia. Esiste anche l’approccio “Big Lover” in cui il ragazzo si finge innamorato e le dice di lavorare un po’ per strada solo per fare un po’ di soldi. Queste ragazze si ritrovano, successivamente, senza soldi, senza casa, senza una guida, senza un sistema adeguato a far fronte alla loro condizione. Perché la dura realtà è questa. In questo contesto rientrano anche le sex worker, che, però, non vogliono essere confuse per vittime della tratta. Loro condannano la tratta, ma condannano anche un governo che applica una politica totalitaria senza trovare delle sfumature in tutto quello che reputa sbagliato. Perché nelle varie interviste presenti qui, con appositi link, si vede come le sex worker si autodefiniscono come dei veri e propri lavoratori e come vorrebbero pari dignità rispetto ad altri lavori. E le sex worker condannano come il regime applicato dal governo, sia negli stati esteri, sia in Italia, sia sempre una politica un po’ di “facciata”. In Italia una sex worker è costretta a lavorare in strade periferiche, lontane dal centro dove corre più pericoli. In un’intervista condotta a una sex worker Italiana che lavora in Germania si vede come ci siano dei veri e propri limiti. Alcuni siti, ad esempio, dove la sex worker interagiva con altre sex worker e con i clienti che frequentava, sono stati chiusi dal governo. Si mettono, insomma, sempre più pericolo le sex worker, e si vuole una maggiore libertà affinché questa manifestazione venga accettata, legalizzata, così da poter correre meno rischi. Dall’altra parte c’è chi vede l’affermazione delle sex worker, la legalizzazione della prostituzione, come qualcosa di utopico che non metterà fine allo sfruttamento.  Perché si vive con la concezione di un mondo malato, un mondo sporco, e si vede quella frontiera, quel raggiungimento di nuovi obiettivi come qualcosa di lontano, forse irraggiungibile. È stato riscontrato che molti magnaccia usano video porno per preparare molte ragazze - arrivate dalla tratta - a prostituirsi per strada. Alcuni studi dicono che il porno spinge a molti comportamenti abusivi, aggressivi, spinge a riprendere alcuni comportamenti nella vita reale. Come ad esempio riporta la ex pornostar Shelly Urber, il sesso è inteso nel porno come un qualcosa come “voler ferire, voler fare male, abuso”. Tutte tematiche riportate anche nel mondo reale. E in questa frattura che si crea, ci sono vittime, ci sono ragazze spinte a prostituirsi, e ci sono sex worker costrette ad andare incontro a una criminalizzazione sempre più marcata delle loro attività.  È un processo forse partito molto tempo fa. Un processo in cui non si può creare quel mondo sicuro dove tutte le professioni possono essere “libere” di essere svolte. E la parola “libera” si riferisce sempre ad un grado di sicurezza di tutti, un grado che sembra difficile da poter mantenere, con la tratta, ma anche con la realtà in cui ci troviamo. La domanda è questa: il non legalizzare il sex worker è veramente un tabù? È veramente sicuro in un mondo come questo? E mondo non in un senso generico perché tutto qui è riportato solo ed esclusivamente in un’ottica concreta, reale, attraverso testimonianze. Perché quando il porno ebbe il suo boom con l’avvento delle videocassette, molte persone chiedevano, una nicchia cospicua, porno brutale, porno animale, violento. Difficile, certo, immaginare una netta correlazione tra questo e prostituzione. Ma c’è una sorta di “sottotesto”. C’è un “sottotesto” che ci porta ad interrogarci di fronte alle mille perplessità che possono scaturire da questa “lotta” tra la legalizzazione e non, tra giusto e sbagliato. Perché il porno di tratta è ancora vigente e mostra molti disagi. Per numero di vittime, per numero di morti, abusi, violenze perpetuate da magnaccia e da clienti. Si legge di clienti più anziani che non si fanno scrupoli nel finire a letto con  ragazze più giovani. E quindi quanto questo potrebbe essere veramente rimosso, in un contesto di legalizzazione? Oppure, se anche ci fosse la legalizzazione, la tratta verrebbe veramente eliminata ? 

Seguono alcuni dei link che trattano a fondo il tema delle sex worker e femminismo. Per una maggiore documentazione:

c'era una volta Aldo Biscardi di Giampaolo Cassitta

 Il 26 novembre del 1930 nasceva Aldo Biscardi, l’uomo dai capelli rossi con quell’accento esageratamente del sud che ha lottato per la moviola in campo. Ha fatto solo in in tempo a vedere quella strana sperimentazione che hanno chiamato VAR e non hanno deciso se è maschio o femmina. (è morto nel 2017). Aldo Biscardi è stato un brioso giornalista, intrattenitore, inventore del “processo del lunedì”. Con lui, dal 1980, le chiacchiere da bar arrivano direttamente in televisione e le persone che vi partecipano, siano essi giornalisti, attori o uomini politici, si comportano proprio come nei peggiori bar di Caracas: finisce tutto in caciara in nome del Dio tifo (e poco di Eupalla tanto cara al grande Gianni Brera). Sono cresciuto con quella strana trasmissione che andava in onda in un’allora sconosciuta Rai3 terribilmente comunista. Chiaramente non era così ma “il processo del lunedì” sapeva moltissimo di lasagne, fagioli e ceci, emanava profumo di trattoria e regalava sapori semplici, ruspanti, con molte frattaglie. Come il gallo che “ottimizzava” il tutto. Persona auto ironica e
non banale Biscardi, noto “Pel di Carota”, riusciva a costruire autentici melodrammi anche presentando un’amichevole tra scapoli e ammogliati. Tutto, per lui, era una grande iperbole e al centro di tutto vi era il gioco del calcio. Ricordo memorabili discussioni tra lui e Giulio Andreotti, Bruno Pizzul, alcuni giornalisti tifosi sfegatati che a lui piaceva “pizzicare” e la bellissima telefonata tra lui e il presidente del Milan Silvio Berlusconi al quale rimproverò, in diretta, la poca dimestichezza con il “pluralismo”.
E’ stato un compagno di viaggio caciarone nei primi anni della trasmissione che guardavo con simpatia e un pizzico di allegria. Poi, un po’ come tutte le cose, il processo si è “imborghesito” e dalla trattoria si è passati ad un mesto e lurido fast-food americano. Pieno di sceriffi e di gente che voleva solo menare. E Aldo Biscardi sempre più raccolto nelle sue parole e nel suo accento. Un tramonto rosso spento, come i suoi capelli che si erano ingrigiti. Alla fine la tanto agognata moviola in campo è arrivata ma il calcio non è cambiato. Siamo noi che abbiamo finito di considerarlo uno sport. Il romanticismo è finito da un pezzo. Come il tuo vecchio processo. Anzi, in questi giorni di mondiale dove noi non ci siamo (non oso immaginare cosa avrebbe raccontato il Biscardone) lo sport è passato in secondo piano davanti a diritti negati, a morti sul lavoro, a divieti assurdi in uno Stato dove il campo di calcio non è più un luogo dove rotola la palla e dove tutte le nostre metafore sembrano non funzionare. Tutto questo, credo, non sarebbe piaciuto ad Aldo Biscardi, come non piace a me.

[ sesto giorno senza mondiali ] confronto fra i no Qtar 2022 e uno sportivo puro


Anche se boicotto i mondiali del Qatar  soprattutto  le  partite le  cronache  della  giornata   non riesco ad evitare  di   raccontare  le  storie  e  i dietro  le  quinte   cioè  le  cose  non  calcistiche ad essi  collegati  e  ma  soprattutto a non parlarne con amici . Infatti  riporto qui un dialogo avuto in rete  con un amico sono impossibilitato a uscire perché ancora convalescente . 


N.B

 Il nome   riportato    è  un   nome   di fantasia 

Giampaolo  
ho  saputo  che   sei convalescente  per  via  dell'herpes    e  quindi   guardi  nascosto  visto prt che in pubblico   sul  tuo blog   hai  detto    che  non   segui questo mondiale   le  partite  del mondiale   giusto  cosi  per  passare  il tempo  
IO 

 d  quel    che   posso  dire  sfogliando  i  giornali  con il metodo 'sti cazzi    e     facendo zapping  sui social  ed  in tv  posso dire    che sto riuscendo ad essere  indifferente   ma   llo stesso tem,po  visti i risultati    sembra   che   siano  buone  partite  

Giampaolo  
Non so  come    faccia    ad  azzeccarci  . Per   motivi  di  tempo      ho potuto vedere    in diretta  , le  altre  le vedo  in  differita  o  nei programmi riassuntivi    

Posso dire    che  Questi del Qatar avrebbero faticato anche contro una nostra di serie C. E stanno al Mondiale dal quale noi, campioni d’Europa, siamo esclusi per due rigori sbagliati. Avevo letto che il Qatar aveva investito un sacco di soldi per presentarsi all’appuntamento con una formazione capace almeno di passare il turno. Nel 2004 hanno fondato nel distretto Al Waab di Doha un’Accademia del calcio, facendo venire – a peso d’oro – i migliori tecnici del mondo. Poi hanno comprato una squadra belga – il Königliche Allgemeine Sportvereinigung Eupen, cioè l’Eupen – per allenare in una competizione vera i loro talenti. E il risultato, alla fine, è quello che abbiamo visto domenica.

I qatarini fanno girare un sacco di soldi  ed  investono   nel  calcio  quasi a livelli  europei  

 IO  purtroppo  +  vero . M  anche tanta  corruzione  .  Infatti  Nel processo di Bellinzona, Sepp Blatter e Michel Platini sono stati assolti. Però il Mondiale, gli emiri l’hanno comprato corrompendo mezza  fifa     come quel  video  da  me  riportato  in  post  del tuo  diario  .

G Sicuro? Attento a ciò che scrivi  visto il clima  da  caccia  alle  streghe     che  c'è  in rete   e  non solo  

  IO Mi limito a ricordare i fatti. Anno 2010, si devono assegnare i Mondiali del 2018 e quelli del 2022. Per il 2018 si sa già che c’è la Russia, per il 2022 sembrano sicuri gli Stati Uniti. Interpellati, sia Blatter che Platini, all’epoca ai vertici del calcio, dichiarano: voteremo per gli Stati Uniti. Ma, dieci giorni prima della votazione, ha luogo all’Eliseo una cenetta con il presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, l’emiro del Qatar sceicco Tamim bin Hamad al Thani e lo stesso Platini. Dopo questa cenetta Platini cambia idea e vota, relativamente al Mondiale del 2022, per il Qatar. Nello stesso tempo i qatarini si comprano il Paris St Germain. E Sarkozy finisce su tutti i giornali per il modo disinvolto con cui si procura i soldi per far politica, vedi i suoi rapporti con Mu’ammar Gheddafi, sepolti sotto la guerra che la Francia fa alla Libia.e  poi deve  sapere  che  526 militari, della brigata Sassari e il pattugliatore d'altura Thaon di Revel della nostra Marina, che garantiscono al Qatar la sicurezza militare, senza dimenticare che l'Italia dal 2018 ha fornito al Qatar, tramite Leonardo, armamenti per oltre 5miliardi ! 

G  la butti sempre in politica.🤔🤨

IO  Il Qatar è il Paese di super-ricchi che ha fatto morire centinaia di immigrati del Nepal, del Bangladesh, dello Sri Lanka, dell’India, del Pakistan. E per che cosa? Per costruire stadi che finito il Mondiale non serviranno a niente. Dove le donne sono considerate creature inferiori, e gli omosessuali finiscono in galera.  E  poi     usano   ,  come  hanno sempre  usato    nelle  manifestazioni     sportive   internazionali   le  dittature  del  secolo  scorso    lo  SportWashing     (  trovi  sotto   la  definizione     bellissima     data       da   Guidi cavalli sul settimanale  oggi  di questa settimana  )  

 G Senta…

 IO La Fifa, Federazione internazionale del football, riunisce 211 federazioni. È più rappresentativa dell’Onu, di cui fanno parte meno Stati, solo 193. Giro d’affari del calcio: 29 miliardi di dollari l’anno. L’attuale capo della Fifa, Gianni Infantino, è andato a Bali in occasione del G20 e ha chiesto a Russia e Ucraina di sospendere le ostilità per un mese, in nome del Mondiale. È persino strano che non gli abbiano dato retta. Ma il solo fatto che ci abbia pensato rivela quanta politica, nel mondo, ha la forma del pallone.

G Parliamo degli azzurri, via.

IO  Meglio di no. Abbiamo beccato pure dall’Austria.  . Siamo  delle   schiappe  e     se  vinciamo   vedi  la semifinale  e  la  finale  del  campionato  Europeo  per  non andare  lontani    vinciamo  di  culo

G .....    scusami   ma  mi  stanno  chiamando   devio scappare    alla  prossima  



Mentre  finisco   di   riportare   queta  chiacchierata  telematica , Ecco  un altro dietro le  quinte   su  questi mondiali dell'ipocrisia  .

 
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Per evitare figuracce ed pulirsi la coscienza visto che fino a qualche giorno fa la stessa Fifa, organo mondiale del calcio, era stata chiara: chi indossa la fascia arcobaleno "One love", contro omofobia e discriminazioni sessuali, verrà punito con una "sanzione sportiva". Adesso, improvvisamente si finge paladina dei gay e dei diritti LGBT


Mi  sa  che  la  FIFA  ha  bisogno   vista  la  sua  FIFA    oltre  che   di  un buon psicologo  ,  di un bel ripulisti  ed  cambio di gestione  

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