17.2.23

che noia che barba questo politicamente . basta una vignetta dubbia ed ambigua per scatenare polemiche ed accuse di misogenia verso chi ci lotta ogni gior

Nei giorni scorsi ho condiviso sul mio account  facebook questa vignetta /meme dall'ironia ambigua ed stereotipata perché credevo ( ed credo ancora ) come dico nel corso  nella discussione fb e nelle ultime righe qui sul blog   che tali luoghi comuni e stereotipi possono e devono  essere combattuti con le loro stesse armi e provando a smontarli con l'ironia e il dialogo .

E' vero  che  la  vignetta  \ meme (  riportato  a sinistra )     condiviso  perché credevo fosse ironico non avevo idea che esso fosse misogino. Credevo fosse si un luogo comune stupido ma non misogino . Ma  poi  riflettendo    sulle osservazioni fattami  durante le  discussione(   che  trovate  qui    )       in particolare    



Ho   capito     che   questo  tipo  di  satira  \  ironia      cioè  : << Si   per  No    , No   per  Si  >>  che    è oltre  uno stereotipo  \ luogo  comune  alla base di tutta la retorica del cosiddetto consenso in caso di stupro  e quindi ala alla base o meglio l'anticamera femminicidio o della violenza di genere contro cui combatto  sia  quello  pubblico  \  sia  quello   , come avreste   potuto notare ,nei miei  post   condivisioni  e dai mie articoli del nostro blog  e  la  sua  appendice    facebookiana  . Ma  purtroppo  nessuno  è  perfetto (  mi riferisco   ance a me  stesso  )  a volte capita di cadere negli stessi stereotipi \ luoghi comuni tossici contro  cui  si  combatte   . Quindi prendo atto della delle osservazioni fatemi dalle altre amiche \ compagne di strada nei commenti precedenti a questo post. mi serviranno    spero   a non ricaderci più .  Infatti   la  penso  come  

Stefi Pastori
Da filosofa umanista e scrittrice impegnata dal 2013 nella sensibilizzazione circa le discriminazioni di genere, avverto nei commenti tanta rigidità da parte di noi donne (metto dentro anche me) ma faccio autocritica: ormai gli uomini non possono più scherzare su nulla (e questo, purtroppo, perché non sappiamo prendere certe cose con leggerezza, che non è superficialità) ti abbraccio

Perchè  s'è vero  che i molti  commenti  della   della  discussione  prima  citata       c'è    una  certa  . rigidità mentale ma    se  nei  comenti principali   essa  è  critica anche se a tratti è esagerata che spiega e ti fa capire  dove  hai  sbagliato    ma  c'è  anche    quell'altra    che non ti aiuta e ti fa rimanere ed continuare se non peggiorare nell'errore .  
Quindi  sarebbe  opportuno integrare la lotta  e  la   sensibilizzazione alle agli stereotipi ed  discriminazioni di genere  con  le  stesse armi   con cui    vengono  diffusi  gli stereotipi  \  canoni  tosici  del  femminicidio  e  della  violenza      di genere  \  stupro  \  stalking     ed   finirla    con il  politicamente     corretto   ed   sostituirlo  dal  buon senso 


15.2.23

febbraio di - Daniela Tuscano

 




Luce di febbraio
Che sorgi e fuggi
Sei preludio di vita
E annuncio di morte
Con te svanisce
Il caldo d'inverno
L'arcano mistero
Di notti fetali
Erompi nuda
Al clamore del sole
E lasci lacrime
D'ascose primavere

L’amore ai tempi del metaverso Come è cambiato il sentimento La filosofa Ludovica Lorusso parla della metamorfosi della passione

 Ieri era San Valentino (festa degli innamorati) e oggi è San Faustino (giorno dedicato ai single). L’amore - nella sua pervasiva presenza e nella malinconica assenza - è sempre, e ancora, protagonista. «Siamo i soli svegli in tutto l’universo. E non conosco ancora bene il tuo deserto» canta Marco Mengoni in “Due vite”. 

Riconoscersi, essere attratti irresistibilmente anche senza conoscersi a fondo sembra il senso del brano che gli ha assicurato un altro Sanremo. L’amore è cambiato? Tra isolamento per la pandemia e la nuova socialità immateriale della rete? «Bisogna distinguere due aspetti fondamentali della relazione – ci risponde Ludovica Lorusso, docente dell’ateneo di Sassari e filosofa della biologia –.Sulla  nuova  sardegna  del  15\2\2023   La relazione che nasce e quella da coltivare e tenere sempre viva. La prima può sicuramente fiorire in un ambito digitale, anche se mancano tutta una serie di segnali fisici, legati al linguaggio del corpo. Sfiorarsi, ridere insieme, scambiarsi un bacio di saluto un po’ più partecipato. Mentre le relazioni già in atto, hanno molto sofferto della pandemia. Hanno costretto a convivere, forzatamente, anche con aspetti del partner che in altre situazioni potevano essere sopportate. Qui c’è il problema dell’identità, quella che ci costruiamo e quella che è negli occhi con cui ci vedono. Perché ci interpretiamo, spesso, come ci vedono gli altri. Oltretutto vedere come la persona amata si relazioni al di fuori della coppia, quanto sia accettata, apprezzata influisce anche nella relazione amorosa. Vederla all’opera, far sorridere gli altri, rafforza e rinnova una relazione sana. È ovvio che questo nell’isolamento non può succedere». La scoperta “classica”, fisica e quella immateriale, l’amante idealizzato che si trasforma in un coinquilino da sopportare. «Al centro di tutto questo c’è il modo di costruire l’immagine di noi stessi, quella che proponiamo e i feedback, anche quelli non programmati, che ci arrivano come risposta – spiega meglio Ludovica Lorusso (    foto a  sinistra  ) –. È chiaro che nel mondo immateriale del web questa costruzione è molto diversa, principalmente perché mancano tutti quegli episodi di casualità  e che ci fanno conoscere e interessarci a qualcuno. Situazioni impreviste, persone incontrate casualmente, che ci costringono ad improvvisare. Questo è molto importante perché ci fa scoprire pezzettini della nostra identità che non conoscevamo e che fanno aumentare la fiducia in noi stessi. Nel virtuale, dove non ci mettiamo alla prova in situazioni sociali inattese, tutto questo non accade ».ed assente In fondo sono tutte situazioni classiche, la rappresentazione immanente dell’amore. Cambiano solo gli strumenti: dalle lettere passionali e profumate del romanticismo ai messaggi su whatsapp. Mi chiedo come credo anche voi Ma può esistere una storia d’amore esclusivamente tra “gemelli digitali”, cioè tra le nostre identità costruite nell’universo digitale? «Perché no? Sarebbe una storia diversa, con una maniera particolare di condividere, ma sarebbe sempre amore» conclude Ludovica Lorusso. La generazione precedente alla mia si stara chiedendo Com’è San Valentino ai tempi di Internet, dei social network, degli smartphone e degli utenti perennemente connessi? Un mosaico di gesti, tendenze, atti d’amore, sfottò, immagini e video condivisi nei più svariati modi, fotografie che valgono come testimonianza di amore nei confronti del partner.

14.2.23

"Cancro? No, fu avvelenato". la conferma alla tesi dell'omicidio della dittatura Pinochet del poeta Pablo Neruda

ANTEFATTO 
dopo  i  problemi  sopra  descritti   è arrivata  la  conferma . Il  poeta     Pablo  Neruda   è stato  ucciso

  da  

"Cancro? No, fu avvelenato". La scoperta choc su Pablo Neruda

 di Roberta Damiata 





Pablo Neruda non sarebbe morto di tumore alla prostata come per anni è stato detto, ma qualcuno gli avrebbe somministrato un batterio altamente tossico: il clostridium botolinum. Dopo 50 anni dalla scomparsa del grande poeta, a fare questa sconcertante rivelazione all'agenzia spagnola Efe, Rodolfo Reyes, nipote del celebre poeta cileno morto nella clinica Santa María di Santiago, dove era stato portato d'urgenza mentre si trovava nella sua casa sull’Isla Negra. Il regime dichiarò che ad averlo ucciso fu il cancro. Un giudizio rimasto intaccato per 40 anni.

Fino a quando, nel 2004, il fedele autista Manuel Araya svelò i suoi sospetti. Raccontò che qualcuno, mentre Neruda era ricoverato, si era introdotto nella sua stanza e gli aveva somministrato qualcosa. La testimonianza venne raccolta dai vertici del partito che presentarono una denuncia alla magistratura. Il caso fu affidato al giudice Mario Carrozzo che dopo 9 anni, nel 2013, ordinò la riesumazione del cadavere, incaricando periti forensi internazionali di verificare la presenza di tracce estranee. Quella prima analisi confermò la morte per il cancro alla prostata, e solo nel 2017 un'ulteriore approfondimento da parte di esperti scoprì qualcosa di anomalo.
Vennero trovate tracce di Staphylococcus aureus e anche la presenza di Clostridum Botolinum, sotto un molare. Quanto bastava per dar seguto alle ipotesi e capire se si trattava di qualcosa sviluppato dal tumore o introdotta dall'esterno. A rivelare oggi in esclusiva il risultato della perizia, voluta dalla famiglia di Pablo Neruda, il quotidiano El Pais riportando le parole del nipote del poeta. "Il gruppo internazionale di esperti che ha analizzato il batterio Clostridium botulinum , trovato nel suo corpo nel 2017, ha stabilito che la sua origine era endogena. Questa conclusione confermerebbe la tesi della denuncia del Partito Comunista del Cile, secondo la quale la sostanza è stata iniettata come arma biologica, e che sia quindi morto per avvelenamento" "Lo dico, da avvocato e nipote - ha poi continuato - con molta responsabilità, perché il giudice non può ancora segnalarlo, perché deve avere tutte le informazioni. Questo è quello che stavamo aspettando. Ora è stato dimostrato che era endogeno e che è stato iniettato". I risultati definitivi dovrebbero essere resi pubblici mercoledì 15 febbraio, quando il rapporto sarà consegnato al giudice Paola Plaza. Le informazioni fornite dai periti non sono vincolanti per la decisione che il magistrato dovrà assumere, ma sono comunque prove scientifiche determinanti per comprendere se sia morto per un'azione di terzi o solo per la malattia.

È Natalino il re della spiaggia: «In mare sfido le onde e il freddo

la Nuova sardegna 12\2 2023

 Olbia
Spiaggia dello Squalo, un giorno qualunque dell’anno, lui c’è. Natalino Sergnesi, 54 anni, olbiese doc, è un mito per i frequentatori di Pittulongu e dintorni. Lo conoscono tutti: è quello che ogni giorno arriva in bicicletta e, temerario, si tuffa in mare a petto nudo, anche in pieno inverno, quando l’acqua è gelida, piove e tira vento. Come se non ci fosse un domani. Niente muta in neoprene e cuffietta, giusto un semplice costumino da bagno che vengono i brividi solo a guardarlo. Dopo la nuotata, un piatto di spaghetti a “Sa joga” e il sorriso contagioso di chi ha capito tutto o quasi della vita. «Amo il mare da sempre e non so rinunciarci – racconta Natalino, ancora in costume e con una berritta calata in testa –. È più forte di me: se vengo in spiaggia, devo tuffarmi e nuotare. Non so resistere. Da qualche anno però questa passione è diventata un appuntamento quotidiano, tutto l’anno, anche in pieno inverno». «È successo tutto con la pandemia e il lockdown – precisa – non si poteva fare praticamente nulla e io ho cominciato a venire tutti i giorni in spiaggia, in bicicletta, più di quanto già facevo prima. È proprio nella solitudine del lockdown che ho cominciato a nuotare anche in pieno inverno, senza muta, senza nulla, e piano piano ho scoperto un mondo fatto di natura, buona salute, fisico tonico e tanta passione». La base di partenza di Natalino Sergnesi e il bar ristorante “Sa joga”, in spiaggia allo Squalo. È il ritrovo di tanti nuotatori olbiesi, ma anche degli appassionati di windsurf che si appoggiano alla scuola di Nicola Campus. Una vera e propria “casa del mare” aperta tutto l’anno, l’unica in città come ben sanno gli olbiesi che la frequentano numerosi d’estate come d’inverno. «Ci incontriamo qui, si esce in mare e poi magari si mangia un piatto di spaghetti con le arselle – dice Natalino –. I nuotatori, agonisti o semplici appassionati, sono tanti e tutti molto forti. Gente che nuota sottocosta oppure che va dritta a Tavolara. Io non sono sicuramente il più veloce, però sono quello che non teme il freddo, il vento o la pioggia. Non uso mute, sempre e solo a petto nudo. Adoro la sensazione dell’acqua gelida, mi fa star bene. Grazie anche a questo, credo, godo di ottima salute e mantengo una buona forma fisica. Detto questo, in mare accetto qualunque sfida». «La mia unica paura – aggiunge con una punta di amarezza – non è l’acqua gelida d’inverno, ma la strada provinciale da Olbia a Pittulongu. Io mi muovo in bicicletta, ma dalla città alla spiaggia manca ancora una pista ciclabile e vedo le auto che mi superano, sfiorandomi, a cento all’ora. Questo è il vero pericolo». Niente telefonini né Internet o profili social, eppure amico di tutti, Natalino Sergnesi in passato ha fatto di tutto: dal tassista al piccolo impresario di traslochi. Spesso da una mano nel ristorante della cognata e del fratello, il “Giropizza” a San Simplicio. Adesso nuota e basta, come se il mare fosse la sua unica ragione di vita. «Devo questa grande passione – conclude elencando i suoi ispiratori– agli amici dell’associazione Natu che nuotano con me, come Francesca Midulla. Poi devo tutto al maestro Alessandro Spano, un vero campione di nuoto, il più forte di tutti. E ancora al maestro di nuoto, di judo e di vita Gianni Perdomi. Infine, a don Antonio Tamponi, parroco di San Simplicio, il mio quartiere. Un grazie enorme poi a Luca Bagnoli, titolare del bar ristorante “Sa joga”, allo Squalo, che ogni giorno ospita tutti noi amanti del mare . tutti noi amanti del mare. È la nostra casa».

Nuoro La signora di pasta, fagioli e cozze mezzo secolo di Trattoria Sardegna Semplicità e lentezza: i due ingredienti della cucina di Tonina Siotto

 

 Nuova  sardegna  12\2\2023 

 
Nuoro
In una città che cambia e non sempre in meglio, loro sono una certezza. Un approdo sicuro da 50 anni. Un conforto per molti grazie alla semplicità e alla gentilezza che non passano mai di moda. Mezzo secolo di piatti preparati con lentezza (da sua maestà la “pasta e fagioli con cozze” un vero evergreen ad altri in menù) che qui è una virtù capace di dettare i giusti tempi, quelli della cucina di una volta. Qui, da Tonina Siotto e Ciriaco Demitis, titolari della storica Trattoria Sardegna nel centro di Nuoro, in via D’Azeglio, in una zona dalla toponomastica risorgimentale, la frenesia non era di casa prima, figuriamoci ora che i due gestori vanno sulla settantina e hanno deciso di offrire i loro servizi solo a

pranzo. Per i coniugi si tratta di centoquarantaquattro primavere in due portate bene, anzi di più, anche grazie ai ritmi di un lavoro, confermano loro stessi, che li tiene in forma, con la mente fervida e il passo deciso. La palestra dove si allenano quotidianamente – domenica esclusa – è il locale nello stretto vicolo. Spazio spartano con cinque tavoli, incluso quello “presidenziale”, dove si accomodano loro e a turno i commensali amici per consumare il pasto quotidiano. Da mezzogiorno fino alle 14 il locale si riempie come per incanto. Clienti abituali e commensali occasionali forestieri che arrivano grazie al passaparola, unica pubblicità utilizzata dalla trattoria. «Sono arrivata qui che avevo appena vent’anni e mio fratello che gestiva il locale è stato per me un vero maestro», racconta la cuoca nel suo regno, una cucina piccola ma essenziale dove ha appena preparato un battuto di aglio e prezzemolo fresco e una delle pentole ai fornelli inizia a gorgogliare. «Cucinare per me è una grande passione e lo faccio ancora con entusiasmo. E la volontà di andare avanti non manca. In questi cinquanta anni abbiamo incontrato tanta gente. Tutti si sono rapportati con rispetto e noi li abbiamo accolti facendo sempre del nostro meglio. E così vogliamo continuare». Suo marito Ciriaco che gestisce soprattutto la sala ma all’occorrenza sa cosa fare anche in cucina avvicina il cliente e centellina le parole. Quando si accorge che può osare lancia qualche citazione latina patrimonio ancora intatto dei suoi studi classici e per un periodo profumati dall’incenso. Per anni quando soffiava forte il vento sardista è stato anche il segretario dell’avvocato Mario Melis che ricorda sempre con ammirazione. «Qui sono venuti e vengono tutti. Magistrati, professionisti, artisti, muratori, forze dell’ordine e pastori. E noi trattiamo tutti allo stesso modo», dice Ciriaco che sembra un attore di un film dei primi anni Ottanta. Il locale assomiglia a un set di quell’epoca con alcuni pezzi forti oggi da arredamento old style come il grande frigo dispensa e il telefono al muro con rotella osservato da vicino da una fotografia di Padre Pio. «Un tempo squillava e i clienti sapevano che a pranzo li potevano trovare anche qua», dicono. Ma la pasta e fagioli o la minestra con merca più che raccontarla si deve assaggiare qua. Poi a renderla ancora più saporita e autentica c’è il contesto. Un pezzo di Nuoro e della sua storia da tenere stretto il più possibile. «Oggi a differenza di quando abbiamo iniziato noi si può pranzare ovunque, anche nei bar. Prima al massimo, lì si poteva mangiare un panino. L’offerta si è ampliata ovunque», aggiungono Tonina e Ciriaco che guardano il tutto con un certo disincanto ma conservando l’ottimismo. «La spesa la mattina con l’attenzione alla qualità e ai fornitori di alcune materie prime, come la carne e il pesce, vera base del menù sono il primo tassello della giornata. Poi con pazienza nascono i nostri piatti che la gente, i clienti continuano ad apprezzare. Per noi è una grande soddisfazione e il carburante giusto per andare avanti».

«Alla Memoria della Shoah si deve accompagnare la coscienza della Storia» di Massimo Castoldi


a  freddo  dopo    la  sbornia  retorico   celebrativa  sia  del  27 gennaio   sia  di  quella    del  10  febbraio   pubblico questo   interessante  articolo  di     Massimo Castoldi

Il giorno della liberazione di Auschwitz è la data simbolo per non dimenticare lo sterminio degli ebrei per mano di nazismo e fascismo. Ma occorre evitare la vuota ritualità e restituire complessità ai fatti. Ridestando interesse e sgomento








Il giorno della Memoria — 27 gennaio, in ricordo del 27 gennaio 1945, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz — non è una festa nazionale come sono il 25 aprile, festa della Liberazione, e il 2 giugno, festa della Repubblica, ma un giorno di lavoro, di studio, che dovrebbe essere pretesto per cercare di comprendere le ragioni storiche di quanto è avvenuto nel nostro Paese e in Europa tra anni Venti e anni Quaranta del secolo scorso. La legge del 2000 che lo ha istituito invita a riflettere «su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti [...] affinché simili eventi non possano mai più accadere». Ho sempre trovato molto velleitaria questa proposizione finale, la quale presuppone che possa crearsi una consapevolezza così diffusa di quanto avvenuto, che le aberrazioni del passato non possano ripetersi. La storia conferma che non è così e la cronaca lo rende tragicamente tangibile. Ciò non toglie opportunità e necessità all’operazione della ricostruzione storica delle dinamiche che hanno consentito l’affermazione di quelle dittature, fascista e nazista, delle quali lo sterminio di massa organizzato è stato la più macroscopica conseguenza. Mi chiedo, tuttavia, se e fino a qual punto questa riflessione sia stata fatta fuori dall’ambiente degli specialisti, o se invece ci siamo il più delle volte limitati a una narrazione rituale, nell’inesorabile affermarsi di “Un tempo senza storia”, come Adriano Prosperi ha intitolato un suo libro recente (Einaudi, 2021).I dati che l’Eurispes ci fornisce sono eloquenti. Se nel 2004 il 2,7 per cento della popolazione italiana credeva che la Shoah non fosse mai esistita, nel 2020 questa percentuale è salita al 15,6. Se dovessimo estendere l’inchiesta dalla Shoah alla deportazione politica, che peraltro in Italia è fenomeno più rappresentativo (circa 24.000 deportati politici, circa 8.000 ebrei), queste percentuali di ignoranza salirebbero in modo esponenziale. L’istituzione del giorno della Memoria non ha evidentemente ottenuto gli effetti sperati. Anzi si potrebbe dedurre che alla ritualità delle commemorazioni corrisponda un incremento di atteggiamenti razzisti e neofascisti. Occorre restituire complessità storica al fenomeno, per ridonargli interesse. Invito a vedere il film documentario del 2016 “Austerlitz” di Sergei Loznitsa, che il regista girò con una telecamera fissa posta in alcuni luoghi del campo di Sachsenhausen. In una serie di lunghe sequenze passano turisti intenti compulsivamente a fotografarsi nei luoghi di tortura e di morte nella generale incoscienza della storia, che le guide meccanicamente raccontano.È il percorso inverso rispetto a quello fatto da Austerlitz, il protagonista dell’omonimo romanzo di Winfried Georg Sebald (Adelphi, 2002), che attraverso una faticosa ricerca storica e memoriale prende coscienza da adulto di essere uno di quei bambini ebrei giunti a Londra in treno durante la guerra, mentre i suoi genitori venivano deportati in un campo di sterminio. Osservando il film, ho notato nella sconcertante babele turistica, in due momenti diversi, nello sguardo di due ragazze un lampo di sgomento e un istante di confusione. Due bagliori improvvisi che indicano, con Prosperi e Sebald, una strada.

13.2.23

Ipocrise omofobe a San remo Ci si accorge di un bacio ma non di un testo di un amore LGBT in una canzone

  Tanto clamore per un bacio fra due uomini ma non vede  o come  dice 

Claudia Sarritzu

Ci siamo dimenticati di Ariete che ha fatto una cosa normale ma che nessuno aveva mai fatto prima.Ha cantato il suo amore per una ragazza. 


Forse perché la musica ed i testi delle canzoni sono meno "  visibili " di un gesto  come quello  di Fedez .con questo  su San remo è tutt

P.s

Non prima di ricordare agli sbadati ( sottoscritto compreso )ed agli ipocriti  i precedenti "LGBT "  che non destarono polemiche  almeno per quel che ricordo 

Su Rai 1. A Sanremo. ANel 1994 erano ospiti Elton e RuPaul. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 1996 Federico Salvatore presentò Sulla porta, storia di un ragazzo gay cacciato di casa. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 2009, pur con qualche polemica, Niccolò Agliardi presentò un brano apertamente omosex, Perfetti. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 2013 Renzo Rubino si classificò terzo col brano Il postino (Amami uomo), a 25 anni. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 2016 quasi tutti i cantanti in gara indossarono un braccialetto arcobaleno perché venisse approvata la legge Cirinnà sulle unioni civili. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 2021 Madame esordi con Voce, dedicata a un amore femminile. A 19 anni. A Sanremo. Su Rai 1.

Nel 2022 vinse Brividi, brano eseguito dal 29enne Mahmood e il 19enne Blanco incentrato sull'amore etero (Blanco)e omosessuale (Mahmood). Il quale Mahmood nella seconda serata si presentò in sottana. A Sanremo. Su Rai 1.

Poi vabbè, ci sarebbero anche le performances di Achille Lauro, sempre a Sanremo, sempre su Rai 1.

Quanto all'edizione di quest'anno, sta a voi definirla omofoba e perbenista. 21 anni.

👏

Tigri romantiche, trapianti suini, bestemmiatori fatali, smemorati fedeli, babbi Natale atletici, docenti truffaldini e omicidi su Google

Il prof di Economia si laurea in Fisica sfruttando un errore e gli esami di un omonimo L’accademico dell’anno è il prof. Sergio Barile, doce...