1.4.11

la primavera e la sua bellezza

  dall'unione sarda  del  1\4\2011
Cronaca Regionale

Erbe di campo, miracolo di primaveraDagli asparagi alla cicoria, esplosione di primizie tutte naturali

Venerdì 01 aprile 2011
DAL NOSTRO INVIATO
LELLO CARAVANO ( caravano@unionesarda.it )

La raccolta della cicoria era una festa. Le donne si recavano in campagna con i figli più piccoli. Si cantava, si parlava, si raccontavano storie. I bambini giocavano, le mamme raccoglievano la cicoria con un coltellino, usavano una sola mano, con l'altra tenevano le cocche del grembiule dove veniva depositata l'erba di stagione (Da un racconto sulcitano).

ARBUS C'è un grande prato verde, un orto spontaneo e sterminato che si estende da un capo all'altro dell'Isola. Un mondo di prelibatezze selvatiche e saporite, un universo di borragine, malva, cicoria, asparagi, crescioni, cardi, timo, tarassaco, erba cipollina, aglio, bietole, finocchietti e ravanelli selvatici. Primizie vere, naturali, biologiche (con qualche avvertenza per l'uso), povere e belle. Una gioia per gli occhi e per i palati, condimento per piatti semplici ma irresistibili: zuppe, minestrine, frittate, risotti, carni.
STAGIONE ECCEZIONALE Erbe di campo: da raccogliere, rigogliose grazie a una stagione di pioggia come da tempo non si vedeva. Crescono in terreni ancora gonfi di acqua, riscaldate dal sole primaverile, pronte per finire in padella (l'importante è cuocerle subito, guai a farle deperire e scolorire: sarebbe un vero delitto). Gusti e aromi che si fondono, amaro, dolce, ancora amaro, poi il dolce per chiudere. Un'esplosione di verde a portata di mano. Ma quante tonnellate di asparagi sta regalando questa piovosa e soleggiata primavera sarda? Ce ne sono ovunque, in pianura, in collina, sui monti, lungo le coste. Una produzione smisurata, largamente superiore alla domanda che pure è sempre forte: su sparau piace da matti. Si fanno follie (soprattutto all'inizio della stagione, visti i prezzi) per il re delle campagne che ama vivere ai margini, ai confini di un terreno coltivato, di un oliveto, di una strada, addossato a un muretto a secco. Basta vedere le schiere di appassionati che battono le campagne da fine gennaio. Molti per rivenderlo nei mercati (soprattutto cagliaritani, tra i box di San Benedetto ne entrano ogni settimana da mille a duemila chili), altri per cederli a intermediari che li spediscono direttamente nella Penisola. Altri solo per provare il gusto della raccolta, forse l'ancestrale soddisfazione di procurarsi il cibo da sé.
non riusendoad  usare  i l cattura immagini di Xp  e  non usando il mio pc  dove c'è  installato Ubuntu ,   riporto anzichè la  foto  singola l'intera pagina


Dalla Trexenta alla Marmilla, dal Sarrabus al Sarcidano, dall'Ogliastra alla Gallura, c'è un universo di primizie. Che esplode sulle colline dell'Arburese che guardano il mare, da Scivu a Piscinas fino a Porto Palma, nella Costa Verde delle lunghe spiagge e delle vecchie miniere. «Nel territorio di Arbus c'è una grande ricchezza di erbe spontanee, figlia della mancanza di agricoltura e allevamento intensivi. Qui l'ambiente si caratterizza per una biodiversità naturale ricca di specie endemiche, come l'astragalo, una piccola borracinacea e la ginestra arburensis», spiega Mauro Pusceddu, agrotecnico e apicoltore, profondo conoscitore delle erbe spontanee, sia quelle utilizzate in cucina sia quelle legate alle tradizioni popolari.
SA GICOIA Chi se ne intende dice che la stagione sarà ancora lunga. Per esempio, la cicoria. Sa Gicoia burda , sinonimo di semplicità, è la madre di tanti ortaggi diventati nobili: da un suo ceppo sono nate le scarole, le indivie, i radicchi. È la povera dei campi ma se raccolta nel periodo giusto, regala un gusto delicatissimo (grazie ai terreni umidi per le piogge, il dolce prevale sull'amaro). Spiega Pusceddu, che è un uomo di campagna (presta la sua opera professionale anche nella colonia penale-agricola di Is Arenas): «Quando va in fioritura, la cicoria ha una maggior quantità di tannino, risulta più amara e fibrosa. E molto spesso la confondiamo con il tarassaco, una piantina che ha lo stesso gusto. Si differenziano solo per i fiori: gialli il tarassaco, azzurri la cicoria. Stesso discorso vale per l'asparago, più è vecchio più è amaro».
FESTA A BORONEDDU E che dire del finocchietto selvatico, su fenugu ? Aroma inconfondibile, è ingrediente in una miriade di piatti della tradizione popolare, dalle zuppe all'agnello, alla favata. Giovane è più delicato e tenero. Un piccolo paese dell'Oristanese, Boroneddu, 200 abitanti, sul lago Omodeo, lo celebra - insieme con gli asparagi - da ben 24 anni. «Lo infiliamo dappertutto», osserva Bona Masala, presidente della Pro loco che organizza la sagra in programma domenica. Ci saranno asparagi e ovviamente su fenugu , rosolato con olio e gerda e poi spalmato sul pane fresa, la spianata.
S'ERBUZZU A GAVOI Erbe che danno sapore a piatti poveri, di una volta, diventati preziosi perché difficili da trovare e assaporare. Ma in tempi di pasti veloci e di forni a microonde, sono questi i sapori di cui si sente la mancanza e che spesso si ricercano sulle tavole dei ristoranti. Per fortuna, ristoratori meritevoli dedicano uno spazio sempre più importante nei menu alle erbe dei campi, da Nuxis a Siddi, da Villamar a Oliena, da Turri a Cuglieri fino a Gavoi, dove non manca mai s'erbuzzu , la zuppa a base di primizie spontanee. «L'abbiamo preparato proprio ieri - dicono Rossano e Paolo Soru della Osteria Borello - Quante erbe mettiamo nell'erbuzzu? Diciassette, quando ci sono».
I FIORI DELLA BORRAGINE Le erbe di stagione ci riportano in campagna. Sono una scusa per una passeggiata e magari per conoscere i segreti delle verdure che un tempo arricchivano i piatti dei nonni. Prendiamo la borragine. Bellissima da vedere, alcuni chef la usano come ripieno dei ravioli, ma la vera bontà sta nell'assaggiare quei meravigliosi fiori viola: un nettare, non a caso chiamati succiameli . O il carciofino selvatico (sa cuguzzua, buono sott'olio) o la salvia moscatella che aromatizza le bevande. Bisognerebbe saperne di più, conoscerle, aprire piccole università del sapere contadino in ogni paese e accompagnare turisti e appassionati per i campi. Nell'Arburese alcuni agriturismo e fattorie didattiche si stanno muovendo e propongono mostre, iniziative e assaggi. Sarebbe anche un modo per avvicinarsi alle tradizioni dei campi, quando le erbe si usavano, oltre che per nutrirsi, anche per curarsi e per risolvere problemi domestici o di lavoro. «Pensiamo a quando la pianta dell'asparago, raggomitolata, veniva usata all'imboccatura del tino per filtrare il mosto fiore delle uve bianche - racconta ancora Pusceddu - o al profumato elicriso, l'erba di santamaria, utilizzata come giaciglio per i capretti o anche per affumicare la cotenna dei maialetti».
Le verdure naturali ci raccontano di un tempo andato, oggi ci fanno riscoprire una cucina semplice, saporita, casereccia. Sapori antichi e perduti da tempo che ci appaiono nuovi. Frutti di stagione, uno-due mesi per coglierli e poi se ne vanno. Sono le erbe di campo, il miracolo di primavera.

l custode di tesori della terra

Salvatore Murtas e la sua “patata 'e moru”

Venerdì 01 aprile 2011

 
DAL NOSTRO INVIATO
CATERINA PINNA SCANO MONTIFERRO Custode di tesori. Ci vuole una vita lunga 83 anni e mille mestieri alle spalle per godersi il privilegio di vedere ogni primavera fiorire sa patata 'e moru o guardare i tralci carichi di grappoli di Pascale Nieddu e Biancu . Salvatore Murtas è un uomo speciale, ironico e a dispetto degli anni molto appassionato. Ha attraversato la sua vita, e lo fa ancora adesso, con la leggerezza di chi sa sempre trovare interesse nelle cose. 

Come in un immaginario cerchio che si chiude, Salvatore è tornato a fare ciò che faceva da ragazzino insieme a suo padre: coltivare la terra, la ricca e lussureggiante campagna del Montiferru. In mezzo ci sono gli anni del Venezuela, quelli trascorsi in Svizzera, il lavoro come estrattore di sughero nell'Isola, perfino un extra come tassista, al bisogno.
EDEN L'oggi è qui, in cima a un'altura, nel suo giardino-vigna-orto-frutteto, un piccolo Eden che si affaccia sulle dolcissime colline di Scano Montiferro. Qui, a sa matta 'e su erittu , Salvatore insieme al fratello Francesco di 85 anni, coltiva ancora sa patata 'e moru , un tubero scuro, non bello a vedersi, con un'incredibile pasta viola. È la patata tipica di questo paese ed è sconosciuta o quasi al resto della Sardegna, anche se c'è chi ha già sperimentato la pasta viola per farne dei gustosi gnocchi.
«Io invece me la ricordo fin da bambino», racconta Salvatore. «Allora andavo in campagna con mio padre e questa qualità di patata che non dà una gran resa, veniva seminata per delimitare le proprietà. Da noi, si è sempre mangiata, anche se il modo per cucinarla è sempre lo stesso, unico: arrosto». 

VENEZUELA Salvatore racconta nella cucina della sua casa di Scano Montiferro. L'ha costruita lui, pezzo dopo pezzo, sul terreno acquistato nel 1964 per 715 mila lire. «Era una bella somma. I soldi li avevo messi da parte durante gli anni trascorsi in Venezuela». Otto per essere precisi. Salvatore parte come tanti sardi a cercare un lavoro là, dove c'è. «In Sardegna non c'era nulla. Anzi c'era solo fame». Va a fare l'aiutante di macchine per la perforazione dei pozzi petroliferi. Lui, pastore-contadino impara presto, fino a diventare per la ditta che lo ha assunto un uomo di fiducia. «Guadagnavo bene - ricorda con soddisfazione - ero diventato un bravo operaio specializzato». Era la fine degli anni Cinquanta.
Salvatore Murtas corre veloce sulle onde dei ricordi. Caracas, l'isla de Margarita, Curacao, Maracaibo. Dettagli, commenti arguti, memorie divertenti. Una vita vissuta intensamente, come se ci fosse sempre un lato buono da scoprire. In Venezuela prende la patente, lavora sulle piattaforme nell'Oceano. «Quando smontavamo portavamo il pesce appena pescato in un trattoria dove lo arrostivano».
PATATA 'E MORU Forse Salvatore ha mangiato anche le patate a pasta viola della sua infanzia che ora coltiva in vecchiaia. Già, perché queste patate diventate rare, una cultivar unica che identifica con esattezza un territorio, sono arrivate in Sardegna almeno un secolo fa, al termine di un lungo viaggio cominciato proprio dall'America del Sud.
Tracce di ricordi preziosi che Salvatore Murtas cercherà di ricomporre quando torna definitivamente nella sua Scano, a casa, dopo altri anni da emigrante trascorsi nella Svizzera tedesca. «Allora lavoravo in una fonderia. Non mi piaceva tanto». Nel frattempo, in uno dei rientri a Scano Montiferro, una giovane donna, Maria, colpisce il suo cuore. Lui le scrive una lettera dalla Svizzera, parla di sé e la conquista. Si frequentano per un mese, l'anno seguente si sposano. Stanno insieme da oltre 40 anni.
E sono nonni felici. «Tutti i soldi che ho guadagnato li ho investiti nei quattro figli». È una delle regole di vita di Salvatore Murtas, un uomo semplice, ricchissimo di principi. Oggi il suo tempo è dedicato alla lavorazione del sughero, un hobby figlio del lavoro di estrattore della corteccia della quercia fatto al rientro dalla Svizzera. Ha trasformato il garage della sua casa in un laboratorio-bottega di souvenir.
VITIGNI Ogni mattina poi con il fratello Francesco va a sa matta 'e su erittu . Un bel sole ancora tenue illumina i filari e le margheritine già fiorite. «Questo è Pascale Nieddu e Pascale Biancu - dice indicando tralci ancora nudi - sono vitigni antichi, che nessuno più coltiva». Proprio come le patate 'e moru . «Moru perché sono scure, nere. Una volta le avevano tutti. Quando nel 1971 sono tornato per restare, ho chiesto a mia comare di darmene un pochettino . Così ho cominciato a seminarle di nuovo anch'io».
Un po' per nostalgia, un po' per amore Salvatore Murtas, si è ritrovato inconsapevole custode di un piccolo tesoro della tradizione alimentare sarda. Patata 'e moru , patata portata dai mori. «L'aggettivo demoru - spiega Alessandra Guigoni, etnoantropologa dell'Università di Cagliari, autrice di un libro sui vegetali americani in Sardegna - sta a indicare un prodotto importato nell'Isola. Erronaeamente si è creduto fossero stati gli arabi, i mori, a farlo, mentre certamente sono stati gli spagnoli che nelle lontane Americhe avevano stabilito le loro colonie. Tuberi come la patata 'e moru sono ancora diffuse e comuni in paesi come la Bolovia, il Perù, meno ma anche in Venezuela».
PASTA VIOLA La curiosità di questa patata così insolita per un gusto europeo è che sia riuscita ad arrivare a noi, dopo un'evidente selezione fatta nel tempo. Verosilmente la coltivazione di questa qualità doveva andare oltre i confini di Scano Montiferro, eppure oggi la si trova solo in questo bel paese, a due passi dalle sorgenti di Sant'Antioco e dal Parco degli Uccelli. C'è ancora un aspetto interessante: un alimento viola difficilmente incontrava il gusto delle persone. Destino toccato in sorte, per lungo tempo, anche alla melanzana (termine di origine araba ma nel linguaggio popolare era invece mela insana). Di certo la gente di Scano non si è fatta intimidire e ha scoperto che il sapore meritava. «Quando si è laureato il primo figlio- ricorda Salvatore - allo spuntino in suo onore, c'era anche una gran teglia di patata 'e moru arrosto». In campagna l'aria è frizzante. «Bisogna aspettare il momento giusto per la semina». Salvatore attenderà che i segni della primavera siano più robusti. Solo allora preparerà la terra per un nuovo raccolto di patata'e moru..

una lettera anonima potrebbe risolvere il caso di yara Gambiraso

Lo so che odio  anche se  certe  volte , vedere  post  precedenti  , ho  saputo fare eccezioni  e capire  il perchè dell'anonimatoe ono firmatao  e delle classiche lettere  che non vengono  (  c'è la  richiesta )   firmate    Ebbene  questo  è il caso  . A  volte  possono essere  preziose  ed utili .Speriamo visto che oggi  è  il  1 aprile   giornata  di scherzi   non  sia uno scherzo

1:13 01 APR 2011
(AGI) - Bergamo, 1 apr. - Il 26 novembre scorso, a meno di un'ora dalla scomparsa di Yara Gambirasio, tre ragazzi si trovavano in mezzo al campo di Chignolo d'Isola dove, tre mesi dopo, sarebbe stato ritrovato il cadavere della ragazzina tre mesi dopo. Lo sostiene un uomo che ha scritto una letra anonima all'Eco di Bergamo che e' stata esaminata dalla squadra mobile. Nella missiva sostiene di essere un commesso viaggiatore e di abitare a circa una quarantina di chilometri da Chignolo. La sera della scomparsa di Yara - dice - si era appartato con una prostituta di colore, incontrata e fatta salire sulla sua auto a circa 500 metri dal campo. Per questo non ha voluto firmare la lettera. "Visto poi come trattano i testimoni - scrive - il mio racconto distruggerebbe una vita di sacrifici, nonostante cio' che faccio ogni tanto nel tempo libero, ho famiglia e ci tengo". Arrivato con la donna ai margini del prato, l'uomo dice di avere illuminato coi fari dell'auto due scooter parcheggiati di traverso. "Non mi sembrano scooter grandi, da patente, anche se non me ne intendo di moto, ma scooterini da ragazzi - dice -. Non ricordo il colore, penso fossero neri, al massimo blu scuro o grigio scuro. C'era un casco a terra e uno sulla sella". "Con i fari, per pochi secondi - prosegue -, ho fatto luce nel campo dove ho visto, anzi abbiamo visto, delle figure che si allontanavano o meglio si addentravano nel campo. Sembravano litigare, o forse scherzavano, e avevano fretta. Ho solo due certezze: che erano tre e che erano le 19 in punto del 26 novembre". Per evitare testimoni la prostituta (di cui viene fornito anche il nome) lo invita a cambiare posto. Soltanto il 26 febbraio, giorno del ritrovamento di Yara, l'uomo ripensa a quella sera. Anche se se scrive la lettera solo dopo circa un mese. "Volevo e dovevo scrivere o parlare dal giorno del ritrovamento - dice -. Ho riconosciuto subito in tv il posto, anche se l'avevo visto al buio, ma per conferma con punti di riferimento come il capannone e la discoteca ci sono tornato di giorno e vi assicuro che quel 26 novembre ero li': esattamente li' e i miei fari facevano luce su quelle persone che andavano in quella direzione. Spero lo prendano, non importa l'eta': deve pagare.
  Ho un figlio di 15 anni e non esiterei a fargli fare l'esame del Dna, se non vivesse a 40 chilometri".

la burocrazia uccide più delle armi

Esiste fra le varie  entità che  governano  ( e  ci oppimono ) le nostre  esistenze ,sia  come utenti  sia  chi ci lavora , una che lo è  oltre  ogni logica razionale  con le  sue  richieste molto spesso inutili ed ottuse
assillanti  e ripetitive , le sue lentezze , stranezze  , cambiamenti continui , errori ,  richieste  doppie  . Essa  si chiama o  almeno l'hanno chiamato burocrazia . Un termine con cui  << si intende l'organizzazione di persone e risorse destinate alla realizzazione di un fine collettivo secondo criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità. Il termine, definito in maniera sistematica da Max Weber indica il "potere degli uffici" (dal francese bureau): un potere (o, più correttamente, una forma di esercizio del potere) che si struttura intorno a regole impersonali ed astratte, procedimenti, ruoli definiti una volta per tutti e immodificabili dall'individuo che ricopre temporaneamente una funzione. L'etimologia ibrida del termine, dal francese bureaukrátos ("potere") ne rivela l'origine tarda e la derivazione di chiara matrice francofona >>(.... continua  qui )-
Ora Leggendo  la  storia di  Dylan dog  contenuta in Almanacco  della paura  2011 ( foto  sotto almcentro da  me  scattata  di una pagina  )


 mi  è ritornato  alla  mente  gli incubi che  faccio  ogni  volta  che devo andare  in qualche ufficio o per  lavoro o  per   studio  m'immagino  schiere  d'impiegati curvi  sui tavoli come  gli  schiavi-rematori delle antiche navi galere  , sotto  la  sferza  di crudeli capo ufficio  Pronti , chi non ricorda  il mitico ragioniere Fantozzi




pronti ( ovviamente  non tutti )  a prostrarsi  pur di soddisfare le  velleità del capo .la situazione  purtroppo non è solo comica . Pensate  a cose succede quotidianamente  impiegati  frustrati e sottopagati su cui noi tutti ( sottoscritto compreso ) riversano , molto spesso a torto perché in mezzo  a tanti ci sono anche  i tipi umani  e cortesi   , maledizioni   ed improperi se una  cosa  va male o non funziona .In quanto  in questi ambienti vige le la legge non scritta della scrivania  molto più feroce  di quella  della giungla  dove inseguendo il miraggio  della carriera  o del  posto  fisso  contratto a tempo  determinato , ci sì accoltella  alle spalle  gli uni  con gli altri ….. . IL  compito  del  loro “ sporco lavoro  “  sarebbe  quello di non commettere errori e  di non angustiare -- con le  loro pignolerie,le loro lentezze,poca voglia di lavorare e  scaricare il lavoro  ad  altri,rifiutarsi  di sacrificarsi facendo per  una volta  cose  non loro ,facendo errori che non si dovrebbero fare e non correggerli ma preferendoli lasciare e  seppellirli \ nasconderli , ecc. . ---   il povero utente .
Pensate a Sam Lowry ( interpretato da Jonathan Price ) di Brazil 1985 di Terry Gilliam  Il film è ambientato in un futuro in cui la burocrazia ha preso il sopravvento in ogni attività dell'uomo e combinata al cinismo spietato dei potenti uccide i pochi che ancora riescono a sogna (  qui  ulteriori dettagli ) o a Severance - tagli al personale  diretto da Cristopher Smith  dove   i protagonisti oltre  a perdere  il lavoro perdono anche la testa (  qui ulteriori news )       e …. L’elenco potrebbe  continuare ma preferisco  fermarmi qui ,  a voi decidere  se continuare  con  altri  titoli . Concludo suggerendo la lettura  dellla  già  citata   “ la  convocazione “ Dylan Dog ( foto  soopra  destra ) in almanacco della paura  2011 

Che riassume  quanto detto nel post d’oggi . 
Alla prossima   bella gente

30.3.11

L'alieno


...e di nuovo arriva il buio, lo sgomento, il tedio di giornate sfatte, ceree, anguste. Giornate irrisolte, così pesantemente vuote, in cui ci si sente inani, come un orologio sbilenco.

Giornate in cui constati che non può migliorar nulla. Giornate disgustate, dove ti lasci travolgere dall'ubbia. Perché ingiustizia e prepotenza ti assediano oltre ogni tollerabilità.

Poi ti càpita di sfogliare un giornale e d'incrociare lo sguardo di lui: un musetto rincagnato, una curiosità inespressiva d'uccello, spumeggiato dai primordi della terra. E d'incerte acque.

Nato su una zattera della disperazione, tra Italia e Africa, tra Eritrea ed Etiopia, fuggite a loro volta dalla Libia dilaniata e dilaniante verso gli ospiti neri. L'hanno chiamato Yeabsera, dono di Dio. Internazionale, di tutti, come di tutti è il dolore, ma anche la gioia. Ci spiazza, quel bambino, perché davanti ai suoi occhi si crea un immediato vuoto; non lo spleen, ma un calore sospeso, un fiato, un silenzio d'ovatta.

E sappiamo tutto. Non viviamo in tiepide case. Intorno querimonie, lagnanze, dolore e, ancora, voci naturali di giustizia. Su cui menti rapaci sono pronte a speculare. Ma un bambino è sempre un miracolo imprevisto. Un atto contro natura (Ungaretti) nel momento in cui pretende, prim'ancora del pensiero, il suo diritto al mondo. Al resto, attorno, per un istante almeno, non vogliamo pensare. Lasciateci ancora di fronte a quel fiat. A quell'"io sono" così disarmante e severo nella sua totale, sgombra innocenza.

Morning has broken di Cat Stevens (Youssef Islam)





29.3.11

dopo l'ennesimo due di picche ho deciso smetto di cercare l'amore se viene viene se non viene pazienza

Perché tante persone si sentono sole? Perché è in loro stesse, è nella loro mente e nel loro cuore che hanno creato quella solitudine.
In realtà non si è mai soli. Lamentarsi di essere soli significa dichiarare che si manca di amore; ma si manca di amore perché non si ama.
Quanti uomini e donne si accontentano di sognare l’amore! Attendono il principe o la principessa delle Mille e Una Notte, ed è per questo che si sentono soli: perché aspettano l’amore, e non lo cercano in loro stessi. L’amore che aspettate non verrà mai.
L’amore, non lo dovete mai aspettare: è dentro di voi. Lasciatelo uscire, lasciate che si manifesti e che s’irradi: è il solo modo per incontrarlo veramente.

Omraam Mikhaël Aïvanhov

martedì, 29 marzo 2011 Addesso è la francia che ci rimanda a ventimiglia i tusini la repubblica biorghese che offende le sue tradizioni di libertè fraternitè legalitè





Addesso è la  francia   che  ci rimanda  a  ventimiglia i tusini  la  repubblica biorghese   che  offende le  sue tradizioni  di libertè  fraternitè legalitè




Era prevedibile, alla faccia dei miei  che mi dicono  che ho troppa fantasia , che saremo arrivati alla caccia  all’uomo . Gli abitanti di lampedusa e dintorni  stanno passando dalla  ragione  al  torto  , e lo stato che  fa  ? pensa  alla legge sulla giustizia pur  di rimanere attaccato alla poltrona ed evitare che il  suo leader( e nelle maglie della legge anche loro ) processati  . i cavilli e i garbugli già creati non bastano  più ? . Ora lancio una provocazione , chi se ne  frega  se  gli amici e gli utenti di una determinata formazione culturale e politica\politika mi scambieranno per  voltagabbana o banderuola ., e  quelli dell’altra  come la pecorella smarrita o  il  figlio prodigo che  torna  a casa . La provocazione  è  questa in attesa  che il governo italiano si decida  a fare un testo unico sull’immigrazione e sul diritto d’asilo  piu’ umano .
Fare accordi  non abbandonato con la Tunisia per bloccare il traffico ma con le altre nazioni della Ue perché se ne prendano  loro anche  un po’ visto che molti  scappano dicendo  di voler  andare in Francia  dove hanno  parenti 
Snellire la procedura troppo farraginosa e ingarbugliata per ottenere l’irregolare a regolare


28.3.11

MUSICA

 


mi chiedono perché violo il copy right guardando e scaricando  dalla rete film o cd appena usciti .Ecco la risposta . Perché la musica dev’essere libera  non in mano  alle major  e allo stato  . Se fosse a poco prezzo  ed la legislazione sui diritti d’autore non farraginosa come dimostra  questa  inchiesta  di report va poco a gli autori il resto va  ad  ingrassare  lo stato e le major  . Infatti un mio amico  era  nel comitato della festa patronale di qualche anno fa è volevano portare  alex britti e bennato ma  volevano  60 mila € ,  hanno ripiegato su Marco Masini e il suo gruppo di 3\4 elementi che ne  ha chiesto 20 mila € . Chiacchierando con loro ha detto che la maggior parte se ne va  in tasse, Siae  ( che sono esagerate )  e commercialista e prendono  a testa   si e no  1000 \1200 € . E poi , cosi rispondo anche a chi mi chiede perché cito continuamente  canzoni  e uso “ colonne sonore  “ , la musica non importa il genere purché abbia una melodia e un ritmo   cioè non sia  solo  rumore  come lo sono ( ovviamente è soggettivo ma questa è l’esperienza  che  mi  sono fatto ascoltandola . Infatti è  questione di  gusti ma soprattutto  dipende dal tipo d’educazione musicale  e all’ascolto ricevuta o scuola ed in famiglia . Oltre  che  dall’ascolto senza essere prevenuti o con pregiudizi ed giudizi aprioristici ) certe musiche  della discoteca : << a  quei tempi la musica era cosi brutta  che bisognava  drogarsi o  ubriacarsi (  corsivo mio  )  per poterla sopportare .per  ballare  s’intendeva  agitare il proprio centro nervoso finché a  cervello non arrivava una sensazione di felicità  di cui all’esterno non si vedeva traccia   (…) >> ( introduzione  a la  discoteca  di Sabrina Guzzanti  da REPERT R(a)IOT colonna sonora ).La musica  qualcosa d’intoccabile ,che  dev’essere libera  e per tutti  non solo per pochi  per chi può permetterselo e che nessuno  dovrebbe  né incatenare né rubare ( con plagi più o meno diretti o facendo pagare  per  poterla fruire prezzi troppo alti  ) . Una forza invisibile  capace d’unire  e di creare  storie  come  questa  storia di Pippo - reporter  in  il pianista suonato  
 una  Foto da me scattata  con la digitale  e  tratta da Topolino  n °2887  più precisamente  I-2887-2 (  testi di Teresa Radice- disegni di Stefano Turconi ) 

e unire  \ legare  fra loro storie  che  aprioristicamente  ed a prima lettura sembrano  lontane    e  banali  come  gli articoli che trovo nel web e che  riporto qui  sui  due  blog  Di farci vedere  con le nostre orecchie  e di viaggiare  con la mente  cioè  sognare  e e fantasticare
Di resistere e trovare pace ( infatti m’addormento con la radio accesa ) , tranquillità \  calma (  nella maggior parte dei casi ).









Un antico rimedio  fato di  ritmo e melodia , spontaneità  infatti  e con questo video concludo





a presto Gente

il sonno


L’ispirazione  per il post  d’oggi mi viene  dal calendario da tavolo  (o portatile ) di quest’anno, più precisamente dalla  data del 19 marzo edito da http://www.paroledivita.org  regalatomi da  un amico ( in realtà è un amico  di amici )  di religione \ credo evangelico.   
 La frase in questione  che mi’accingo ad interpretare  è questa : << Fin quando, oh pigro,te ne starai coricato ? quando  ti sveglierai dal tuo sonno? >> ( Proverbi 6:9).              
Ora il sonno ( e siamo tutti d’accordo) è necessario nella  vita di tutti  gli esseri viventi . Ma non dobbiamo esagerare , onde evitare  che si passi ad un altro tipo di sonno , quello  psichico \ mentale  che ci allontana dalle nostre responsabilità .Dobbiamo essere attenti per  essere padroni di se stessi ( cit musicale ),essere svegli , guardare davanti a noi e chiederci o senza ovviamente esagerare ed opprimerci / tormentarci  se siamo sulla strada  giusta o a qualcuno\a  di cui ci fidiamo o  chiedere a Dio ( sia che  si creda in maniera laica - spirituale  sia  che  si creda in modo  dogmatico ) d’indicarci il cammino  da percorrere e poi decidere  con il libero arbitrio il suo più  grande  dono   se


 

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seguirlo criticamente oppure acriticamente oppure non seguirlo affatto e procedere per  conto  nostro.Solo cosi  possiamo evitare  gli effetti collaterali  (cinismo esagerato , apatia , indifferenza , edonismo , pensiero  unico ed  appiattimento ed  morale \ spirituale ci portano a restare  fermi  nella nostra immobilità’  che  ci fa  diventare sempre  più pigri  e  non solo . Ecco quindi che se  nella nostra vita quotidiana  o  opera  d’arte  se non siamo  vigilanti ed attenti (  vedere  secondo url ) rischiamo di diventare  totalmente  morti viventi o rimanere vivie  non morti che  camminano  che  non distinguono più : la regola dall’eccezione ( parafrasi di vecchi amici di Francesco de Gregori ), il bene dal male che  ci sta attorno ma soprattutto  s’annida   dentro di noi .Solo noi ( poi ovviamente dipende dal punto di vista :-) ) possiamo e dobbiamo prima che sia troppo tardi liberarci  o quanto meno attenuare quel torpore \  dormiveglia  che  sta prendendo prepotentemente piede   non solo in noi ma nel paese ( salvo qualche sacca di resistenza sempre  più effimera ). Ma se non  ci facciamo forza , se non ci scuotiamo finiremo per distruggere non solo tutta  la  nostra  vita  passando dal sonno alla morte lasciando ai posteri  solo macerie  ed incertezze . Rendendo vano  e  distruggendo  \  gettando via    e rendendo vano  i sacrifici  di lacrime  e sangue  fatti  dai nostri avi  che  per  noi sono morti ed  hanno  sputato l’anima per  noi combattendo  ( re,padroni fascisti & nazisti ) o  sacrificandosi  (  emigrazione  dal sud  al nord  o nei paesi europei  dal secondo  dopo guerra  ) . E’  questo che vogliamo  ? Io N   voi non  so

27.3.11

guardare al futuro senza scordare da dove veniamo e chi siamo la storia de La bambina e il gruccione Gabriella Belloni,di Santulussurgiu laurea in Filosofia che ha traformato la sua casa natale in un albergo


Lo so che potrò sembrare nostalgico visto che  in questi due blog  riporto storie del passato o quanto meno legate ad esso , e che dovrei  come  mi suggeriscono  in moltii  lasciarmi  alle spalle  il passato e guardare al futuro .In parte  loro  hanno ragione  non si puà  rimanere  sempre  rimanere  prigionieri del  proprio passato ma   è altrettanto vero   che  dobbiamo  : << Una perfecta excusa para aprender a querernos\Es mirar al pasado con ansias de futuro \ Dejar la puerta abierta a todo caminante \Porque las sendas justas se hacen entre todos  (....) >> Qui  il resto del testo , che poi  è la colonna sonora  del post  d’oggi,di Una Perfecta Excusa  dei Modena City Ramblers  tratta dall’album Radio Rebelde 2002 ). Infatti non si può  guardare  al futuro  e andare avanti  senza  aver  sapere  chi siamo  e  da dove veniamo e cercare  d’integrarlo  con il presente  come la storia che mi  accingo a riportare  .
  
Unione sarda  del  27\3\2011
di GIORGIO PISANO pisano@unionesarda.it

A Roma, dov'è nata e abitava, si è laureata in Filosofia all'università La Sapienza. Segnali premonitori? Ogni tanto, ma solo ogni tanto, le tornavano lampi delle vacanze estive trascorse in un paesino della Sardegna, a casa dei nonni. Da bambina era rimasta colpita dai gruccioni, uccellini coloratissimi che arrivavano insieme a lei coi primi caldi e insieme a lei se ne andavano alla fine dell'estate.
Gabriella Belloni  ( foto  a sinistra  ) 
non poteva immaginare che il destino avrebbe continuato ad aspettarla lì, all'angolo tra i ricordi di un'infanzia felice e le pietre scure di Santulussurgiu. Dopo la laurea, si è trasferita a Monaco di Baviera: anni e anni a spulciare manoscritti del '500 e del '600, le mani protette da guanti per non lasciare impronte e, ulteriore sicurezza, perfino un velo di plastica trasparente per non contaminare in alcun modo quei tesori della scrittura. Appassionanti per chi, come lei, studiava le radici storiche dell'Accademia dei Lincei, addirittura sacri per il suo docente tedesco che li trattava come reliquie d'un santo.
Alla fine, quando si è trattato di dire sì o no, insomma stabilire se mettere casa e vita in Germania, Gabriella s'è fatta prendere da quelle che un grandissimo scrittore ha chiamato le intermittenze del cuore. «A Milano mi aspettava il moroso e su Milano ho fatto rotta». Ci è rimasta diciott'anni, il tempo di far crescere due figlie e coltivare la certezza che la casa dei nonni sarebbe diventata col tempo un richiamo irresistibile.

L'Antica dimora del gruccione, stupendo palazzotto di pietra lavica e antiche travi di quercia, è oggi un albergo diffuso. Si chiamano così quelle strutture ricettive nate dal restauro di vecchi edifici nei centri storici. Nessuna manomissione mattonara, semmai quel che si dice recupero conservativo. Gli alberghi diffusi (in Sardegna ne funzionano altri tre) sono nati secondo una precisa e rigorosa indicazione di legge. Il Gruccione ha dodici stanze, una sala d'accoglienza che sembra presa da un libro di Grazia Deledda, pavimenti d'epoca, camere tutte diverse. Può sembrare un paradosso ma ha un'eleganza infinitamente superiore a certi hotel smaccatamente opulenti di Porto Cervo.
Il Gruccione è anche sede periferica dell'università di Scienze gastromiche (la centrale è a Pollenzo, in Piemonte), braccio operativo dello Slow Food, associazione che sostiene il consumo dei prodotti locali e manifesta una forte ideo-allergia (ideo in senso di ideologica) nei confronti dell'industria alimentare di massa. Tutto questo per dire che sarebbe banale definire il Gruccione una locanda: basta metter piede nel minuscolo giardino d'ingresso per capire che qui si respira un altro mondo dove neppure per un attimo ci si può sentire intruppati, sia pure intruppati di lusso.
Gabriella Belloni, classe 1950 portata con leggerezza e distacco, indossa una kefiah verde-libico in tinta con gonna e maglione. Il giovanissimo chef (Roberto Flore, che è poi suo genero) ha invece la kefiah tradizionale bianconero-arafat su jeans e camicia. Insieme alle figlie - Lucilla e Carolina - l'albergatrice filosofa si è lanciata in una sfida difficile. Sfida che per il momento sta vincendo: mai crisi salvo due brevi momenti morti dell'anno: novembre e metà gennaio

Lei faceva tutt'altro. Ricercatrice di filosofia.
«Studiavo la storia della Scienza tra '500 e '600. La scoperta del telescopio e del microscopio ha mostrato un mondo nuovo e fino allora invisibile. Per approfondire questo tema mi sono trasferita in Germania con una borsa di studio. Era la fine degli anni '70 e Monaco il simbolo di un Paese in straordinaria crescita».
Perché abbandonare, allora?
«La mia stagione tedesca, che definisco aurea, è durata sei anni. È stata un'esperienza indimenticabile. A ogni scadenza di contratto ero combattuta, rimandavo la partenza: il fatto è che avevo fidanzato a Milano».
In Italia non c'era possibilità di lavoro?
«Non creiamo equivoci: io non sono una intellettuale precaria, un cervello in fuga, un'emigrata della cultura. Ho voluto andare all'estero per approfondire: era una scelta, non una strada obbligata. Al rientro in Italia ho continuato a lavorare per la Treccani e per l'Istituto degli studi filosofici di Napoli».
Com'è che ha deciso poi il trasloco in Sardegna?
«È questa casa che ha deciso, non io. Mio fratello non era interessato a tenerla ( che ce ne facciamo di una proprietà in un luogo così lontano dalla nostra vita?). Io non me la sentivo di venderla: qui, le tante volte che mi capitava di venire da bambina, stavo bene. È la casa dov'è nata mia madre, dove i miei nonni mi ospitavano d'estate. Grande quanto basta (ottocento metri quadrati) per tenere in piedi una continuità della memoria fitta fitta».
Insomma, s'è fatta prendere dalle intermittenze del cuore.
«In un certo senso, sì. Alla fine degli anni '90 l'Unione europea ha pubblicato i bandi per la creazione degli alberghi diffusi e per la prima volta mi sono ritrovata a pensare di cambiare radicalmente esistenza».
Stufa dell'altra vita?
«No. Roma, Monaco e Milano mi hanno dato moltissimo. Quando però si è trattato di fare il salto e trasferirsi a Santulussurgiu, nel 2002, ho digerito tutto quello che c'era da digerire».
In che senso?
«Mi sono vaccinata mentalmente contro la nostalgia, contro il fantasma di un possibile ripensamento, insomma contro tutti i rischi che l'operazione comportava».
Impresa titanica fare di una casa un albergo.
«Complessa. Sono stati necessari quattro anni. Le pratiche richiedono tempi lunghi che possono sembrare eterni. Non dico che sia stata un'impresa titanica ma certamente non indolore».
Al limite dell'impossibile.
«Quasi. Per realizzare un progetto come questo occorrono determinazione e spinta ideale. La determinazione ti orienta ad andare avanti quando la burocrazia s'incattivisce, la spinta ideale è quella che ti suggerisce di mettere in pratica un'idea d'amore anziché parlarne e basta. In fondo, si tratta di uscire dalla logica dei mi piacerebbe, se potessi... ».
Non si rischia di restare tramortiti nel passaggio da Milano a Santulussurgiu?
«Per nulla. Non mi chiedo mai cosa può dare un luogo ma come posso scoprirlo. Amo imparare a conoscerlo, capire pian piano i meccanismi che ne regolano la vita quotidiana. A Santulussurgiu ho scoperto il cielo, le stelle che lo riempiono di notte, la terra dove metto i piedi. Non me n'ero mai accorta quando stavo fuori».
Eppoi ci sono i gruccioni.
«C'erano anche quando ero una bimba. Mi sono rimasti nell'anima, non li ho mai persi di vista. Ecco perché questa casa si chiama Antica dimora del gruccione».

Seminari universitari sul casizzolu, sulla carne sardo-modicana (il bue rosso): da queste parti non arrivano solo escursionisti, bikers, mitteleuropei che sperano (sbagliando) di trovare una rete aggiornata e ragionata di sentieri, itinerari segnalati con tempi di percorrenza e lunghezza. Da queste parti arriva anche chi ha un arretrato di libri da leggere, chi vuol scoprire il fascino delle stradine intorno alla chiesa del paese, le case strette e alte di un popolo che fa pochissimo rumore. Gabriella Belloni spiega ai suoi allievi la cultura del territorio, il rapporto tra lavoro e produzione, la necessità di salvarsi scegliendo la qualità. Nel suo “hotel” una camera costa 45 euro a persona (colazione compresa), con la mezza pensione si arriva a 70. Da quando ha aperto i battenti è andato tutto molto bene. «Clientela internazionale», dice lei. Ossia viaggiatori ben informati, che non si muovono a caso. E che pretendono, giusto perché non guasta, che al prezzo pagato corrisponda qualità e servizio inappuntabile. Logica slow food, per capirci: tutto può anche sembrare casuale ma non lo è mai.

Lei parla di turismo sostenibile e integrato: che vuol dire?
«Il punto di partenza è operare in un centro storico che non abbia subito modifiche. Se è intatto diventa una sorta di presidio, di bandiera del territorio. A questo aggiungiamo i cibi e le ricette locali scartando il prodotto indifferenziato dell'agroindustria».
Un turismo tendenza Smeralda dunque le fa orrore?
«Per istinto corporativo non direi mai male dei miei colleghi albergatori. L'orrore non c'entra. Il mio tipo di ricettività ha un'altra logica, un altro stile, un rapporto molto stretto con l'ospite».
Cioè?
«Niente a che vedere con un grande hotel che deve trattare una clientela molto più ampia e differente. Non sono un industriale delle vacanze. Io vorrei semplicemente che questa attività mi consentisse di lavorare onestamente e mi desse una prospettiva».
Gliela sta dando?
«Sono impegnata insieme alle mie figlie e al fidanzato di una di loro. La cosa comincia a girare, funziona insomma. Se il territorio avesse già sviluppato una certa sensibilità saremmo a buon punto».
Critiche e mugugni del paese.
«Non ce ne sono che io sappia, ma è la cultura dell'albergo diffuso che deve crescere. Per quanto mi riguarda ho una stagione di quasi dodici mesi l'anno. Sotto Carnevale ho dovuto rifiutare molti ospiti».
Secondo lei, i sardi sanno cosa sia il turismo?
«C'è molto da fare: la distanza fra sardi e turismo resiste. Manca soprattutto il coraggio di mettersi in gioco, c'è la paura di sbagliare, sentirsi sotto esame».
E di essere professionali.
«Io parlo per me, non ho titoli per fare le bucce agli altri. Quando dico, ad esempio, che proponiamo prodotti locali non bleffo».
In certi agriturismi la carne è polacca, il prosciutto slavo...
«Quello che io garantisco al cliente lo metto per iscritto. In mancanza di prodotti locali, faccio capo al mercato equo e solidale. Mi rifornisco a Cagliari. Proposte chiare, rapporto leale col cliente: l'unico vero segreto è questo».
Scusi, la sua è ricettività di sinistra?
«Nel mio albergo chiunque è benvenuto. Uno che fa il mio mestiere non può fare differenze fra destra e sinistra, ci mancherebbe».
Non ha risposto, signora.
«Chiarita la premessa, non posso negare che ci sia una certa visione del mondo che incide sul modo di essere e di proporsi».
Camere tutte diverse, tocco radical chic, no?
«Fossi una radical chic non sarei venuta ad abitare a Santulussurgiu. L'albergo diffuso è qualcosa di particolare, non è un hotel con stanze vista mare oppure no ma comunque fatte tutte in serie e tutte uguali».
Cosa le manca?
«Niente. Lavoro volentieri con l'università di Scienze gastronomiche. Non mi sento sola: il confronto quotidiano con una clientela sempre diversa mi arricchisce».
Fatta salva la poesia dei gruccioni, tornando indietro?
«Non ho cambiato vita da un giorno all'altro. Ci ho pensato a lungo, ne ho discusso con le mie figlie. Ho valutato, verificato, ponderato. Dopo, soltanto dopo, mi sono corazzata contro il timore di un pentimento tardivo».
E quindi?
«Scegliere mi ha reso serena».



Ascanio Celestini: contro il papa, il duce e il fascimo

26.3.11

che strano paese il nostro celbra in pompa magna le vittime e dimentica gli eroi

come dicevo  dal titolo si celebrano in pompa magna  , e  i familiari  delle vittime  non s'oppongono nolenti o volenti , le persone  che  mandano  (  o scelgono d'andarci perchè ci credono  o vngono indottrinati oppure  per lucro e  facile guadagno  ) al macello nelle  pseudo  o vere  missioni umanitarie  . 
Ma  si scordano. fin quando  qualche  coraggioso  che sfida  i  tabù  di stato  e   non  ,  se ne ricorda   come il caso di Pietro Sini eroe di Nassyria che    è stato riconosciuto  4  anni  dopo  qui la  sua storia
Forse perchè odiano gli eroi vivi, perchè posso raccontare come sono andate le cose...
mentre commemorano in pompa magna gli eroi morti...(cancellando anche la compagna, il caso di Adele Parillo  compagna  di Stefano Olla  reggista morto a nassyria  , che quell'eroe si era scelto nella vita ) perchè i morti non possono parlare ....e protestare come  ha  fatto   lei  quando  fu allontanata  dal Vittoriano  durante le celebrazioni ufficiali  perchè ha sempre detto che << Stefano (e tutti gli altri morti) non era un EROE...ma una VITTIMA. >>
Mentre  i veri eroi   che  compiono  veramente  un atto  eroico  rischiando la vita  vengono o emarginati  ( vedere  caso  sopra  )  o dimenticati    come  quello  di cui  racconto  la storia   nel post d'oggi

Vedi le foto ROMA Si erano dimenticati tutti di lui, g  d'Angelo Licheri, il piccolo uomo di origine sarda, “l'eroe di Vermicino”. Fu quell'ex tipografo magrissimo che 30 anni fa fece trepidare tutta l'Italia con il suo tentativo di salvare Alfredino Rampi. Licheri riuscì a raggiungere il bambino in fondo al pozzo artesiano, 60 metri sotto terra, ma non ce la fece a legarlo per tirarlo su. Walter Veltroni l'ha scovato in una casa di cura dove Licheri vive da solo, in condizioni indigenti, con una gamba amputata per il diabete. Ha raccontato la storia nel suo libro di prossima uscita “L'inizio del buio” e intanto ha avvisato il ministro dell'Interno Roberto Maroni dello stato di salute di questo eroe dimenticato. Ieri Veltroni e Maroni sono andati a trovarlo nella casa di cura San Raffaele di Velletri e gli hanno consegnato un assegno di 10mila euro, erogato dall'Associazione nazionale vigili del fuoco. 
per  chi non conoscesse o ricordasse o volesse ricordare tale fatto ne  trova  una sintesi qui


Oltre uno che va a minorenni nella pdl c'è chi giustifica i pedofili e la pedofilia il caso di daniele capezzone

questo non è un vero libertario maun malato che magari nasconde una tendenza pedofila grave : << La pedofilia ,al pari di qualunque orientamento e preferenza sessuale, non può essere considerata un reato">>Daniele cazzo pene ... ehm .. Capezzone,Pdl,consulente di Silvio Berlusconi .
Capezzone  vergognati e dimettiti