prima puntata piazzale loreto
seconda puntata la strage di portella delle ginestre e il delitto di Capocotta
« Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa »
(10 ottobre 1963, all'indomani del disastro del Vajont, denunciato preventivamente da Tina Merlin 1926-1991 vedere url soto )
Archiviamo momentaneamnte , sarà ripreso bele puntate successive , ed affrontiamo la prima delle due sugli sprechi della nostra repubblica . Oggi parleremo del disastro del Vajont e del'alluvione di firenze ( di cui a novembre csi celebreranno i 50 anni ) . Fatti ancora vivi ( chi sa fino a quando ) nella nostra memoria con canzoni , film , ed opere testrali , libri ,ecc
La domanda è d’uopo. Cosa c’entrano le tragedie come quella del Vajont e dell'alluvione di firenze ed ( prossima puntata ) il terromoto in Irpina in un una serie di post dedicati allla contro storia dell'italia repubblicana ?
La risposta è semplice: la decisione di edificare grandi opere, la cui finalità e quella di ammodernare \ svecchiare un Paese, non è mai un fatto neutro. Essa dipende dal rapporto tra costo e benefici. Se una grande opera è scarsamente utile, se non inutile, e oltretutto richiede grossi investimenti allora deve scattare un campanello d’allarme. Se poi, nonostante il rapporto costo/benefici sia negativo, si intravede una forte ostinazione a volerla costruire, allora quella grande opera, come minimo, nasconde interessi innominabili: speculazioni, ruberie, tangenti. Insomma malaffare che incurante di ciò porta a disastri ambientali e a tragedie , se non addirittura ad incremento d'esse ( vedi il tre casi citati )
Una grande opera, infatti, non è buona o cattiva in sé, ma va sempre rapportata alla sua effettiva necessità e soprattutto alla sua reale utilità o produttività.
Solo per fare un esempio paradossale: nessuno penserebbe di costruire un costosissimo mega cannone per disinfestare una zona lacustre dalle zanzare, ma se qualcuno insistesse per farlo allora è evidente che oltre che un cattivo progettista, quel qualcuno nasconderebbe pericolosi interessi.7 Infatti concordo con quanto dice la sezione
Grandi opere del sito
http://www.misteriditalia.it << (...)
Questa sezione di Misteri d’Italia intende dimostrare che, come è già accaduto in passato (lampante l’esempio dell’alta velocità ferroviaria Roma – Napoli), molti dei progetti relativi alla costruzione di grandi opere (alta velocità Torino-Lione, Ponte sullo stretto, Mose di Venezia in primo luogo) sono non solo inutili, ma anche dannosi. La loro progettazione è spesso legata solo a mera propaganda politica, la loro realizzazione a mega affari sporchi, smascherabili in toto, purtroppo, quando sarà troppo tardi ed immense risorse saranno state depredate.
Prima di credere, quindi, all’alibi dell’ammodernamento del Paese, è meglio documentarsi su quanto è già accaduto >> per evitare se è possibile che davanti a tragedie naturali come nel caso dei terremoti si ripetano e roori e cattiva gestione per non andare troppo indietro nel tempo si veda il sisma dell'Abruzzo e dell'Emilia Romagna .
tratto da
http://www.misteriditalia.it/cn/?page_id=4623 con ulteriori url d'approfondimento e da
https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont
Vajont 9 Ottobre 1963, ore 22,39: una enorme frana, una massa rocciosa pari a circa 270 milioni di metri cubi, composta da rocce e detriti, comincia a scivolare lungo il versante settentrionale del
monte Toc, su un fronte di 1.800 metri.
Un enorme boato risuona nella valle sottostante. In pochi istanti la gigantesca frana precipita nel lago artificiale, formato da una diga, nella vallata del Vajont, tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (Friuli), sollevando una massa d’acqua di circa 40 milioni di metri cubi, alta oltre 100 metri, contenente massi del peso di diverse tonnellate.
La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di
Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore
a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine
della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due
ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono
sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta –
si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in
buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla
sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime
ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia
distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una
biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine
i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure
il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I
morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e
Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I
feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi
approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la
tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse
sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni
costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che
la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di
enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della
tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione
della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il
versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase
di collaudo, aveva cominciato a muoversi.
La tragedia oltre a
quello che avete letto nlle righe precedenti e nei sito sotto fu
molto scomoda e dura da ricordare come dimostra il video sotto riportato ( specie il dopo ) se la giornalista Tina merlin
che con i suoi articoli pre tragedia in cui contestava la
costruzione della diga , tentò di pubblicare un libro sulla vicenda,
Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del
Vajont, che tuttavia trovò un editore solo nel 1983.
La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta – si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, aveva cominciato a muoversi.
La tragedia oltre a quello che avete letto nlle righe precedenti e nei sito sotto fu molto scomoda ( specie il dopo ) se la giornalista Tina merlin che con i suoi articoli pre tragedia in cui contestava la costruzione della diga , tentò di pubblicare un libro sulla vicenda, Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, che tuttavia trovò un editore solo nel 1983. Quindi è una ferita ancora aperta come si vede da questo video qua sotto
L'alluvione di Firenze 3-5 novembre 1966
Oltre alle due foto meno note rispetto a quelle classiche che si vedono ( e si vedranno visto che quest'anno si celebra il 50 anni ) in tutti i documentari di storia e giornali , essa ha avuto un notevole evento e ricordo mediatico tanto da far passare in secondo piano i danni imponenti che il maltempo ( le bombe d'acqua come le chiameremo oggi ) ha arrecato in ma in gran parte della
Toscana e, più in generale, in tutto il paese.
Infatti alluvione non colpì solo il centro storico di Firenze ma l'intero
Bacino idrografico
dell'Arno, sia a monte sia a valle della città. Sommersi dalle acque
furono anche diversi quartieri periferici della città come
Rovezzano,
Brozzi,
Peretola,
Quaracchi, svariati centri del
Casentino e del
Valdarno in
Provincia di Arezzo, del
Mugello (dove straripò anche il fiume
Sieve), alcuni comuni periferici come
Campi Bisenzio,
Sesto Fiorentino,
Lastra a Signa e
Signa (dove strariparono i fiumi
Bisenzio ed
Ombrone Pistoiese e praticamente tutti i torrenti e fossi minori) e varie cittadine a valle di Firenze, come
Empoli e
Pontedera.
Dopo il disastro, le campagne rimasero allagate per giorni, e molti
comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse
ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causò lo
straripamento del fiume Ombrone, colpendo gran parte della piana della
Maremma e sommergendo completamente la città di
Grosseto.
Nel frattempo, altre zone d'Italia vennero devastate dall'ondata di maltempo: molti fiumi del
Veneto, come il
Piave, il
Brenta e il
Livenza, strariparono, e ampie zone del
Polesine furono allagate; in
Friuli lo straripamento del
Tagliamento coinvolse ampie zone e comuni del suo basso corso, come
Latisana; in
Trentino la città di
Trento fu investita pesantemente dallo straripamento dell'
Adige.
Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre
1966 a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo, fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in
Italia, e causò forti danni non solo a Firenze ma in gran parte della
Toscana e, più in generale, in tutto il paese.