12.2.22

Davide Ghiotto: “La medaglia nel pattinaggio grazie a Schopenhauer”., Omar Visintin, un bronzo da sopravvissuto ., Dorothea Wierer bronzo storico nella sprint 7,5 km del biathlon ., ed altre storie

 PECHINO — Davide Ghiotto 

ha una laurea in filosofia con 100/110, cita Schopenhauer e ha scritto la sua tesi su un tema che fa venire i brividi: il suicidio. Vicentino, finanziere, ha vinto il bronzo sui 10 mila metri nel pattinaggio di velocità. Figlio di Federico, ciclista che vinse due gare tra i professionisti ai tempi di Bugno. Ha corso nella sua batteria accanto a una specie di Caeleb Dressel dello speed skating, ma è riuscito a tenere il suo ritmo, senza farsi travolgere da quello dello svedese Nils Van der Poel che ha fracassato il record del mondo. "Sapevo che è un mostro, vedendolo in allenamento, ma durante la gara c'erano solo 2-3 decimi in più al giro tra me e lui".

Ha battuto olandesi, russi, canadesi: se lo aspettava?

"Diciamo che è stata un'agonia quando sono scesi in pista gli ultimi due e c'era il canadese Bloemen campione olimpico in carica. A un certo punto ha fatto un gesto all'allenatore come a dire che non ne aveva più. Mi sono chiesto se bluffasse o facesse sul serio. Si è avverata così la gara che sognavo".

Dove comincia la sua storia?

"Dai pattini a rotelle, anche se non ero tra i migliori. Volevo le Olimpiadi, sono passato al ghiaccio e mi sono trasferito a Trento".

Non è semplice allenarsi in Italia.

"Non abbiamo una pista coperta, e viaggiamo tra la Germania e l'Olanda. I raduni li facciamo al centro federale di Baselga di Pinè. Devo ringraziare il pattinodromo Alte Ceccato di Montecchio, Vicenza, perché mi dà la possibilità di allenarmi con le rotelle quando non sono in Nazionale".

Quanto si allena?

"In certe giornate 45-50 chilometri a sessione, altre una ventina, il tutto per sei giorni a settimana".

Ma nella sua vita non c'è solo il pattinaggio.

"A novembre è nato Filippo, figlio mio e della mia compagna Susy. Siamo felici, viviamo nel villaggio di San Gottardo, frazione di Zovencedo, sperduti tra le colline".

È la passione per la filosofia?

"Ai tempi delle superiori ho incontrato una professoressa capace di spiegarmela dal primo momento. La filosofia è odiata solo perché non viene capita. Io sono stato fortunato, l'ho sempre guardata con attenzione. Proprio perché dovevo allenarmi per arrivare alle Olimpiadi ho optato per un percorso di studi triennale che mi piacesse veramente. L'università spesso viene fatta pensando al dopo, e la filosofia non garantisce una collocazione immediata: io l'ho voluta perché mi piace".


I suoi filosofi preferiti?

"Schopenhauer e Nietzsche. Nasce da certe letture la scelta della tesi: "Etica e suicidio"".

Non ci è andato giù leggero.

"Ho scelto il suicidio non perché abbia a che fare col mio vissuto. È difficile parlarne perché è possibile toccare e ferire persone che l'hanno sfiorato davvero, soprattutto nel periodo storico che viviamo, dopo la pandemia. Ma è affascinante scavare nell'animo umano per capire il coraggio estremo di una scelta simile, che va analizzata all'interno della nostra epoca, non stigmatizzata. C'è qualcosa nella mente umana che va compreso, se si vuole evitare di arrivare a certe conseguenze. E bisogna dedicarci tempo".


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Gomito rotto e trauma cranico il 10 dicembre, è ripartito da lì: “Ora so di essere forte”










Gomito rotto e trauma cranico il 10 dicembre, è ripartito da lì: “Ora so di essere forte”

ZHANGJIAKOU — Un testardo di bronzo. Due Olimpiadi col fato contro, alla terza, a 32 anni, si prende la medaglia col braccio scassato. "Mi basta per mettermela al collo". Terzo nello snowboard cross di Pechino 2022, Omar Visintin. Un nome che è già un'avventura da Mille e una notte. Primo podio olimpico nello snowboard cross fra gli uomini per un azzurro, l'Italia ha preso medaglie in 7 discipline diverse (record). 

Quando i ragazzi volanti li guardavamo solo nei film americani, born to be free. Omar libero subito, pure all'anagrafe: papà Gabriele insegnante di italiano e mamma Cecilie di tedesco, non si mettevano d'accordo su come chiamarlo. Venne fuori il figlio esotico. Surf, kayak, chitarra, piano. E poi la tavola, una folgorazione, a 7 anni. "Lo snowboard non è per fighetti. E lo sci mi annoiava". Le gobbe costruite nel giardino di casa. E le chiavi per tornarci la sera tardi dopo le gare. Occhiali a specchio, tute sgargianti, i baffi e la barba. Gli studi di economia abbandonati a caccia dell'onda. Sì, spirito libero. "Ma adesso che torno in Italia voglio mangiare la pasta asciutta". L'italiano della tavola. Che a Pechino ha rischiato di non esserci: il 10 dicembre pubblicava una sua foto con il braccio ingessato dopo una caduta nella seconda gara di coppa a Montafon, in Austria, dopo che nella prima proprio qui a Zhangjiakou, era salito sul podio (2°): "Me la cavo con un trauma cranico, lussazione del gomito sinistro e rottura di un tendine. Torno presto". Più che altro, resuscita. È il più vecchio e malconcio di tutti in finale. Serve tattica. E tenere lontana la sfortuna: a Sochi 2014 fu investito dall'austriaco Hanno Douchan mentre era in testa in semifinale, uscì in toboga. A PyeongChang fuori subito (25°), un avversario gli frana davanti. Ma qui no, Omar resiste. Parte lento come al solito, è 4° e osserva in ritardo di quasi un secondo al primo intermedio, riduce il distacco a 69 centesimi a metà tracciato, tiene la scia e quando è il momento prende l'ultimo a disposizione, l'austriaco Julian Lueftner che lo aveva battuto in semifinale, e lo sorpassa. L'oro al fotofinish va all'austriaco di madre italiana Alessandro Haemmerle, 28 anni, che vince per un alito di vento sull'argento canadese Eliot Grondin, 20 anni, che dice: "Bello condividere il podio con Omar, ho ancora una foto mia con lui che mi feci quando avevo 11 anni".Nel frattempo Omar accumulava: 6 successi individuali in coppa del mondo, la generale nel 2014, un argento a squadre ai Mondiali 2019. Ma una medaglia olimpica gli mancava. Piange. Michela Moioli lo guarda, il giorno dopo la sua eliminazione in semifinale. "Per me lei è la migliore del mondo. Io la aspettavo da otto anni la medaglia. Non sono bravo in partenza. Sapevo di poter recuperare terreno e posizioni". "L'infortunio a dicembre è stata una mazzata, pensavo di dovere rinunciare alle Olimpiadi. Invece i medici della federazione sono riusciti a fare un miracolo. A chi dedico la medaglia? A me stesso. Adesso so che sono forte". Più di prima, testardo di bronzo. Nel frattempo Omar accumulava: 6 successi individuali in coppa del mondo, la generale nel 2014, un argento a squadre ai Mondiali 2019. Ma una medaglia olimpica gli mancava. Piange. Michela Moioli lo guarda, il giorno dopo la sua eliminazione in semifinale. "Per me lei è la migliore del mondo Io la aspettavo da otto anni la medaglia. Non sono bravo in partenza. Sapevo di poter recuperare terreno e posizioni". "L'infortunio a dicembre è stata una mazzata, pensavo di dovere rinunciare alle Olimpiadi. Invece i medici della federazione sono riusciti a fare un miracolo. A chi dedico la medaglia? A me stesso. Adesso so che sono forte". Più di prima, testardo di bronzo. Quando i ragazzi volanti li guardavamo solo nei film americani, born to be free. Omar libero subito, pure all'anagrafe: papà Gabriele insegnante di italiano e mamma Cecilie di tedesco, non si mettevano d'accordo su come chiamarlo. Venne fuori il figlio esotico. Surf, kayak, chitarra, piano. E poi la tavola, una folgorazione, a 7 anni. "Lo snowboard non è per fighetti. E lo sci mi annoiava". Le gobbe costruite nel giardino di casa. E le chiavi per tornarci la sera tardi dopo le gare. Occhiali a specchio, tute sgargianti, i baffi e la barba. Gli studi di economia abbandonati a caccia dell'onda. Sì, spirito libero. "Ma adesso che torno in Italia voglio mangiare la pasta asciutta". L'italiano della tavola. Che a Pechino ha rischiato di non esserci: il 10 dicembre pubblicava una sua foto con il braccio ingessato dopo una caduta nella seconda gara di coppa a Montafon, in Austria, dopo che nella prima proprio qui a Zhangjiakou, era salito sul podio (2°): "Me la cavo con un trauma cranico, lussazione del gomito sinistro e rottura di un tendine. Torno presto". Più che altro, resuscita. È il più vecchio e malconcio di tutti in finale. Serve tattica. E tenere lontana la sfortuna: a Sochi 2014 fu investito dall'austriaco Hanno Douchan mentre era in testa in semifinale, uscì in toboga. A PyeongChang fuori subito (25°), un avversario gli frana davanti. Ma qui no, Omar resiste. Parte lento come al solito, è 4° e osserva in ritardo di quasi un secondo al primo intermedio, riduce il distacco a 69 centesimi a metà tracciato, tiene la scia e quando è il momento prende l'ultimo a disposizione, l'austriaco Julian Lueftner che lo aveva battuto in semifinale, e lo sorpassa. L'oro al fotofinish va all'austriaco di madre italiana Alessandro Haemmerle, 28 anni, che vince per un alito di vento sull'argento canadese Eliot Grondin, 20 anni, che dice: "Bello condividere il podio con Omar, ho ancora una foto mia con lui che mi feci quando avevo 11 anni".

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dalla nostra inviata Alessandra Retico

L'azzurra compie un capolavoro con un percorso perfetto al poligono. Oro alla norvegese Roeiseland

La giornata perfetta di Dorothea. Gli sci girano, sono i più veloci tra le umane. E il fucile parla al bersaglio. Wierer di bronzo nella 7,5 km sprint di biathlon a Pechino 2022. Una medaglia che l'azzurra di Anterselva, 31 anni, insegue da 8: "Mi sono tolta un peso". È la prima italiana sul podio olimpico nel suo sport. Chiude col tempo di 21'21''5 alle spalle delle imprendibili del nord che il biathlon lo imparano all'asilo: la norvegese Marte Olsbu Roeiseland, oro in 20'44''3, e alla svedese Elvira Oeberg, argento in 21'15''2."Le attese erano molto alte e tutti si aspettavano delle medaglie individuali, anche se sappiamo che il biathlon è uno sport complicato e tutto deve andare alla perfezione". Non come a PyeongChang 2018, quando tutto andò storto: il gelo tagliente, le gambe molli, la testa altrove. Dorothea che doveva depredare la Corea, si prese solo il bronzo nella staffetta mista così come era successo a Sochi 2014. Tornò a casa travolta dai dubbi. Il primo: smettere. Ma i Mondiali in casa ad Anterselva, nel 2020, la tennero attaccata alla sua radice: sci e fucile, l'alfabeto della Wierer da quando è bambina. Fece bene: vinse tutto.Poi, come accade, periodi bassi e aspri. Solo a dicembre ha raccontato di avere anche avuto fastidi fisici (alla tiroide) che le rallentavano il rendimento. E per una divoratrice di risultati, oltre che di cioccolata, non è mai abbastanza: nel 2019 prima italiana a vincere la coppa generale, si è ripetuta l'anno dopo; 4 coppe di specialità, 12 successi individuali in coppa del mondo, 3 ori mondiali individuali.  

La terza biathleta, dopo leggende come Martin Fourcade e Marie Dorin, ad aver vinto in tutti e 7 i formati del biathlon.

800 ore di parte fisica, 200 ore di tiro, 15mila proiettili sparati: Dorothea Wierer, classe 1990, di Brunico (Bolzano), è stata ribattezzata la "regina del biathlon", la specialità che unisce sci di fondo e tiro a segno con la carabina. Una fama che la segue da quando è stata la prima italiana campionessa del mondo juniores fino al 2019, anno dell'oro ai Mondiali svedesi di Ostersund e alla Coppa del mondo. Nella nazionale italiana dal 2007 nel gruppo sportivo delle Fiamme Gialle della Guardia di Finanza, si è aggiudicata due bronzi alle Olimpiadi (Sochi 2014 e Pyeongchang 2018), mentre in tutto le medaglie ai mondiali sono 6 (1 oro, 2 argenti e 3 bronzi). 
A "Sorelle d'Italia" Dorothea confessa: "In gara non penso, ma spero sempre di non soffrire troppo". Racconta la passione per la sua specialità ("girare nei boschi sugli sci con una carabina in spalla mi viene naturale"), ma anche quella per vestiti lunghi, trucco e tacchi ("mi piace curare la mia femminilità, essere carine serve"). Ottima forchetta ("mangio di tutto"), ha rifiutato le foto senza veli ("tengo alla privacy") e va fierissima della maglia azzurra ("sono italiana anche se ho l'accento strano e poi ormai siamo tutti europei").

"No alla guerra in Ucraina", l'appello dell'atleta di skeleton: da Smith e Carlos fino a oggi, quando sport e politica si intrecciano




L’ucraino Vladyslav Heraskevych ha lanciato un appello per lo stop all’escalation militare al confine tra il suo paese e la Russia, mostrando un cartello con la scritta “no alla guerra in Ucraina” al termine della terza prova di skeleton. Non è la prima volta che un atleta lancia un messaggio politico o sociale durante una manifestazione sportiva. Ecco alcuni tra i casi più famosi.

A cura di Francesco Cofano



Michela Moioli argento nello snowboard a squadre: dal mare alle piste, è super con ogni tavola Onde del mare, gobbe della pista di skate, neve, non fa differenza: Michela Moioli sulla tavola è sempre una fuoriclasse. L'azzurra, argento a squadre dello snowboard con l'azzurro Omar Visintin, su qualsiasi tavola salga, fa vedere la sua classe di campionessa.< Pechino, intervista a Pompanin, chef di Casa Italia: "Fanno il test covid anche al prezzemolo" Fabio Pompanin, titolare del ristorante “Al Camin” di Cortina e chef di Casa Italia, racconta la complicata gestione del ristorante durante le Olimpiadi di Pechino: "Questa è l’edizione più difficile.

Anche il prezzemolo delle nostre cucine viene sottoposto al test del Covid: arrivano gli ispettori del governo per stabilire se la merce può essere utilizzata. Per fortuna abbiamo organizzato tutto da casa grazie allo chef italiano dell’hotel. Il piatto che vince? Pomodoro e basilico".

11.2.22

Parla l'uomo che ha tenuto 4 mesi la compagna mummificata in casa: "Troppo duro lasciarla andare, l'ho fatto per amore"

  di cosa  stiamo parlando 

di Romina Marceca

A casa di Antonio, 64 anni: "L'ho fasciata con cura sul divano. Non volevo separarmi da lei"



Si giustifica così: "L'ho sistemata come una mummia, tutta fasciata con cura. L'ho fatto per amore, sia chiaro. Mi ripetevo che la tenevo ancora un po' con me prima che finisse sottoterra. Lo so che la legge non lo consente ma non mi volevo staccare da lei, adesso è al Verano. Non era meglio se rimaneva qui?". È l'orrore spiegato, dentro la sua casa di due stanze, da Antonio, 64 anni. È indagato per l'occultamento del cadavere della compagna Denise Lussagnet, una professoressa di francese morta a 90 anni nell'ottobre scorso. Lui l'ha tenuta sul divano, accanto al suo letto, per quattro mesi. E forse quel cadavere sarebbe rimasto lì per molto più tempo se un maresciallo, arrivato per notificare un atto alla donna, non avesse percepito che nel comportamento di Antonio c'era qualcosa di strano.
"C'è gente che tiene i morti anche per 15 anni in casa. Lo sa?". Aggiunge: "Un investigatore mi ha fatto i complimenti per come l'avevo tenuta bene. Non si sentiva nemmeno puzza. In testa avevo messo un plaid e sotto un contenitore. Era per i liquidi, sa a cosa mi riferisco?". Snocciola la storia parlando sottovoce e chiude a chiave la porta di casa, al primo piano di via Baccio Baldini 6, una via senza uscita a pochi passi dal mercato di Porta Portese. "I vicini ascoltano - bisbiglia -. Non mi hanno mai potuto vedere perché non accettavano la nostra relazione per la differenza d'età". Nell'ingresso, ad accogliere chi entra, c'è il quadro in bianco e nero di un pagliaccio che ride. Tutt'attorno scatoloni e riviste che risalgono a vent'anni fa. Nella casa di Antonio, o meglio della compagna defunta, c'è un odore che brucia le narici. Antonio si muove a scatti, tocca spesso i capelli e si guarda attorno. È confuso, nervoso. "Diciamoci la verità, temevo che andando via per i funerali i vicini mi avrebbero occupato l'appartamento. È successo a Garbatella, lo sa? E così avrei perso il mio amore e la casa. Ho anche saputo che c'è il racket delle imprese funebri. Mi sono scoraggiato e l'ho tenuta con me", è un'altra versione che si affianca a quella sentimentale.Da un corridoio corto e buio si arriva alla camera da letto. Lì, su un divano adesso inutilizzabile, il cadavere della professoressa è rimasto per quattro mesi meno due giorni. "Il divano non si può vedere. Denise è morta il 7 ottobre. Abbiamo unito le nostre solitudini nel 2007 e dopo 15 anni non volevo separarmi da lei", spiega con accento catanese intatto dopo oltre trent'anni a Roma. "Questo è un romanzo gotico, lo so", sgrana gli occhi.



"Non volevo separarmi da lei". Roma, 90enne morta da tre mesi: il compagno la tiene sul divano di casa "D'altra parte la nostra è una storia antica. Lei era franco-ebrea. Somigliava a Liliana Segre con quei capelli color argento. La nostra vita si divideva tra il soggiorno e la camera da letto. Andavamo ai concerti e alle mostre. Guardi qui, tengo tutti i nostri ricordi", e fa vedere tanti libretti d'opera, prendendoli uno ad uno dagli scatoloni polverosi. "Il nostro amore è nato alla Casa del cinema di Villa Borghese. C'era la rassegna di Ennio Morricone. Abbiamo subito fraternizzato. Ci univa la lirica, le mostre, i programmi televisivi di arte e politica - continua Antonio, che si professa scrittore ma non vuole che si conosca il suo cognome - Da un anno e mezzo aveva l'Alzheimer. Mi sono accorto che è morta dalla vena sul collo che non batteva più. Perché non ho chiamato il 118? Perché mi dicevano sempre che si stava avvicinando il momento. E certo, novant'anni aveva. Non riconosceva, non capiva. Allora ho fatto da solo". I carabinieri escludono che ci sia un motivo economico dietro la decisione di Antonio. Dalla pensione della professoressa il compagno ha prelevato solo le somme per la spesa di tutti i giorni. L'autopsia non ha evidenziato segni di violenza ma le indagini vanno avanti. I suoi pomeriggi, adesso, Antonio li trascorre passeggiando per il centro storico di Roma. “Torno nei posti in cui sono stato con lei. Poi rientro a casa e sono solo. Prima arrivavo e la trovavo lì sul divano. Adesso non c’è più”, e guarda verso quella stanza in fondo al corridoio. “Sì, era un conforto averla con me" e decide di aprire di nuovo la porta di casa.

arrivare ultimo non sempre è deludente il caso Carlos Andres Quintana! Il fondista colombiano arrivato ultimo

da  https://www.eurosport.it/sci-di-fondo/pechino-2022/2022/


 Il fondista colombiano rispecchia la figura dell'antieroe nel mondo dello sport, quel personaggio che entra nei cuori degli appassionati per la sua imperturbabilità nel coronare il proprio desiderio più grande, nonostante le evidenti difficoltà tecniche. Ma le Olimpiadi sono anche questo: non importa se parti col pettorale numero 97 e tagli il traguardo a quasi 18 minuti di distacco dal vincitore della gara, ognuno sarà in grado di riconoscere la tua caparbietà nel voler completare la gara.Ne abbiamo conosciute tante di queste storie alle Olimpiadi Invernali, alcune rimaste impresse nella leggenda come quella dei bobbisti giamaicani di Calgary 1988, a cui è stato addirittura dedicato un film. Ad aver ottenuto il suo attimo di gloria a Pechino 2022, durante la 15 km maschile di sci di fondo, è stato invece un 36enne colombiano che si è trasferito Oltreoceano pur di avverare il sogno olimpico. Appena gli schermi televisivi lo hanno inquadrato, non abbiamo potuto fare a meno di tifare per lui.

Il sorriso dello sport e delle Olimpiadi, la fatica e la gioia del colombiano QuintanaIl sorriso dello sport e delle Olimpiadi, la fatica e la gioia del colombiano Quintana

Il sorriso dello sport e delle Olimpiadi, la fatica e la gioia del colombiano Quintana

IL TRIATHLON PRIMA DI INNAMORARSI DELLO SCI DI FONDO

Già il luogo di nascita rispecchia perfettamente il tipo di persona che è Carlos Andres Quintana Morales, sesto atleta a rappresentare la Colombia nella storia delle Olimpiadi Invernali. Il territorio di Pereira, situato a circa 250 km dalla capitale Bogotà, presenta due climi completamente opposti: si passa dal torrido caldo della città al freddo umido nelle vaste aree forestali del luogo. Ma di neve neanche la traccia. Per inseguire il desiderio di partecipare ai Giochi Olimpici, Quintana si dedica dall'età di 16 anni al triathlon. Nonostante i buoni risultati a livello nazionale, capisce che è troppo complicato ottenere la qualificazione a cinque cerchi attraverso questo sport. Perciò decide di rimettersi in gioco, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa di completamente diverso, di così poco praticato da poter eccellere nel suo paese e sperare in un'allocazione da parte del CIO. La scelta non può che ricadere sugli sport invernali.


STAVO CERCANDO UN ALTRO SPORT IN CUI AVESSI QUESTA POSSIBILITÀ, HO GUARDATO ALCUNE DISCIPLINE ESTIVE, MA SICCOME NON TROVAVO QUELLO CHE VOLEVO, HO DECISO DI GUARDARE QUELLE INVERNALI E HO SCOPERTO CHE LO SCI ERA L'IDEALE, SI ADATTAVA ALLE MIE CONDIZIONI


La svolta definitiva nell'inverno del 2020, all'età di 34 anni. Come può allenarsi sugli sci e pretendere di trovare un maestro in grado di insegnargli se nel proprio territorio non cade nemmeno un fiocco di neve? Quintana decide allora di andare ad allenarsi Oltreoceano, dove viene accolto in Spagna per allenarsi insieme agli atleti del team iberico e dell'Andorra, dove poi ottiene la residenza.
In quella penisola disputa le prime gare di sci di fondo un mese prima che scoppiasse la pandemia. Una situazione imprevista che non ostacola il suo cammino: un anno dopo è ai Mondiali di sci nordico ad Oberstdorf, dove cerca un'improbabile qualificazione nella sprint e nella 15 km. Terminata la rassegna iridata, il colombiano si sposta in Libano per ottenere quei punti FIS che gli permettono qualificarsi Pechino 2022, dove riceve anche l'onore di portabandiera della Colombia durante la cerimonia d'apertura.
Carlos Andreas Quintana portabandiera della Colombia a Pechino 2022Carlos Andreas Quintana portabandiera della Colombia a Pechino 2022

Carlos Andreas Quintana portabandiera della Colombia a Pechino 2022

Credit Foto Getty Images

Ed eccolo, a pochi giorni dallo spegnimento delle 37 candeline, completare il suo grande sogno nella 15 km in tecnica classica di sci di fondo alle Olimpiadi Invernali 2022. Impacciato, con una tecnica ancora scolastica ma una forza di volontà fuori dal comune, viene acclamato e incoraggiato dallo speaker ad evento inoltrato. È l'ultimo della gara a raggiungere la linea d'arrivo, ferma il cronometro 17 minuti e 47 secondi in più rispetto a Ilvo Niskanen, medaglia d'oro, l'equivalente di un doppiaggio su una pista di 7,5 km come quella di Zhangjiakou. Ma chi lo ha visto in tv avrà sempre impresso nella mente il suo sorriso nell'affrontare la salita finale a spina di pesce.

10.2.22

La 15 enne Kamila Valieva fenomenale pattinatrice russa, che sarebbe risultata positiva ad un controllo

Leggo    costernato  su repubblica d'oggi    che  

 La 15enne fenomenale pattinatrice russa, che sarebbe risultata positiva ad un controllo, si è regolarmente allenata. Al momento non ci sono ancora mosse decisive né da parte del Cio né da parte dell'autorità antidoping, sullo sfondo la delicatissima questione dell'età di Kamila


Kamila Valieva in allenamento (reuters)
  

PECHINO — Sempre più fitto il mistero attorno a Kamila Valieva, la fenomenale pattinatrice che sarebbe risultata positiva a un controllo antidoping bloccando la premiazione della squadra russa. La quindicenne si è regolarmente allenata nell'impianto accanto al Capital indoor Stadium dove si svolgeva la gara maschile, impegnandosi in una seduta ad alto contenuto agonistico: a un certo punto è decollata per un salto quadruplo portato a termine con la consueta classe che ne faceva la favorita assoluta tra le donne. Ma al momento non ci sono ancora mosse decisive né da parte del Cio né da parte dell'autorità antidoping per chiarire quelle che il giorno prima il portavoce del Comitato Olimpico Internazionale Mark Adams aveva definito "legal implications" connesse alla gara a squadre, che non si è ancora conclusa con la premiazione ufficiale. La federazione pattinaggio russa ha dichiarato alla Tass che la pattinatrice non è stata sospesa dalle Olimpiadi di Pechino. L'ITA, l'agenzia internazionale che conduce i test ai Giochi, ha ribadito che non ha ancora annunci da fare. Il Cio, sempre attraverso Adams, bolla addirittura come "speculazioni totali" le informazioni relative a un affare di doping: "Non abbiamo alcun commento da fare su una situazione che ha tutti i tipi di implicazione. Immagino che le persone coinvolte lavorino più rapidamente possibile. Siamo coscienti che gli atleti vogliano arrivare a una soluzione rapida". Sullo sfondo la delicatissima questione dell'età di Kamila: non avendo ancora compiuto sedici anni, non può essere ufficialmente accusata di aver violato le regole antidoping, e nemmeno sanzionata. I media russi intanto aggiungono altri particolari, dopo aver parlato di positività alla trimetazidina, agente metabolico che aiuta a prevenire gli attacchi di angina. Secondo RBC il controllo sarebbe avvenuto addirittura a dicembre, non in prossimità degli Europei di Tallinn dominati a metà gennaio. Una tempistica che, se confermata, potrebbe rafforzare la posizione dei russi, che se fossero stati informati per tempo, e non a Olimpiadi in corso, avrebbero sostituito Valieva con pattinatrici come Anna Shcherbakova o Alexandra Trusova, entrambe in grado di assicurare la medaglia d'oro alla squadra senza rischiare di toglierla agli altri compagni innocenti, come invece potrebbe succedere ora. Il medico sportivo Nikita Karlitsky paragona la trimetazidina a una sostanza usata in passato dagli atleti russi e poi bandita: "È come il Meldonium: protegge il cuore e il cervello durante un esercizio fisico intenso". Ma intanto, il mistero resta, e Kamila pattina.

i guasti del reflusso e dell'edonismo [IL caso Drusilla Foer tirata per la giacchetta da Lgbt e dai pro vita parte II ]ii ]

²
Leggi prima

cari amici/che lo so che non bisognerebbe mai

ritornare * sui temi già affrontati precedentemente ma a volte ci si è costretti Infatti sarebbe dovuta essere ovvia, ossia che era un personaggio inventato e recitato dall’attore Gianluca Gori e non una persona vera ma solo una maschera
Una cosa   che dovrebbe  essere  tanto semplice e ovvia, però, ha ricevuto   diverse    email  (   ma  cos'è  i  commenti  non esistono più    sia  paura  di confrontarsi   con  chi la pensa    diversamente  )  o di   di indignate, piene di rabbia ed  alcune  anche    d'odio contro di me, che dicevo semplicemente le cose
come stavano.
E mi sono chiesta: “Perché la gente se la prende tanto? Cosa c’è di così terribile di accettare la realtà per quello che è? Perché il fatto che Drusilla sia una invenzione e non una persona reale turba così tanto la gente?”
Ebbene,  credola spiegazione sia questa: Siamo   ormai   assuefatti  ed  abituati  all'edonismo  televisivo   degli anni  80\90  poi divenuto  globale  e  mass  mediatico  con  internet  ed  i  social  (  in particolare    con  Instagram  e  tik  tok  ) .  Ora   quelli    come  me    cresciuti negli  fra  gli anni  70\80   ovvero    in cui     c'era    ancora   cultura   e   Incultura (  come   lo chiamo  io     seguendo    i  miei  genitori  e   i miei nonni  )     stava   appena  prendendo  piede prima  del diluvio  totale    sa benissimo  Drusilla è una maschera, e come maschera è perfetta, priva di tutte quelle imperfezioni che invece dovrebbero caratterizzano l’essere umano vero. Ed è proprio questo che fa paura: fa paura sapere che la perfezione non esiste  lanciata  dai cosiddetti  veline  ed  influenzer  .
Infatti  Tutti vorremmo essere perfetti, tutti vorremmo essere intelligenti, sagaci, colti, audaci, eleganti, ricchi, di successo, privi di qualsiasi difetto.Tutti lo vorremmo, ma la dura verità è che nessuno lo è  al cento per  cento  .
Ed ecco da dove arriva il successo degli  influencer, maschere sui social, pur mostrando il loro volto.
Ecco perché appena qualcuno osa far notare le incongruenze (per non dire altro) di tante\i  influencer, si scatena il finimondo, con odio a profusione da parte dei followers, che manco gli avessero ... ammazzato la madre.
Ma guai a toccare l’influencer, così come guai a toccare Drusilla.E chi se ne frega se l’influencer si fa la foto con la pizza davanti, che in realtà non mangerà mai e si accontenterà dell’insalatina striminzita seguita da ore di palestra per mantenere il fisico perfetto, ma basta far credere al mondo che sia perfetta per grazia divina, che mica è come i poveri mortali che fanno diete, salvo poi non debba pubblicizzare qualche prodotto dimagrante, allora sì che racconta di aver bisogno di aiuto per essere magra.
E chi se ne frega se la prima preoccupazione dell’influencer sia di mettere sui social la foto del figlio appena nato, nonostante magari questo stia male, poiché la vera ossessione dell’influencer sono i like e pure un figlio è in secondo piano rispetto a questo.
E chi se ne frega se tutte queste influencer sono solo maschere, recite di gente che fa finta di essere perfetta, magari ogni tanto pubblicando qualche storia in lacrime o dalla psicologa, ovviamente ben studiata, perché anche quello porta like.
L’importante è credere che esistano queste persone “perfette”, anche se poi ci vendono fuffa a caro prezzo e noi spendiamo tutti i nostri risparmi pur di averla.
E se qualcuno ci fa notare che quella è una maschera, che ci vendono fuffa, ecc., mica ce la prendiamo con l’influencer di turno, eh no, quello vorrebbe dire che siamo stati così cretini a credere alla fuffa, molto meglio prendercela a morte con chi fa cadere la maschera e ci fa vedere le cose come stanno.
Ma allora, perché abbiamo questa disperata necessità di credere a queste maschere?
Perchè abbiamo un bisogno estremo di credere che la perfezione esista. Siamo stati talmente tanto inculcati dalla società che avere dei difetti è la cosa più tremenda che ci possa capitare, che non riusciamo ad accettarli.
E cerchiamo persone che ci facciano credere di non averne e compriamo la loro fuffa nella speranza di assomigliare sempre più a chi crediamo sia perfetto.
Drusilla ha fatto un bellissimo discorso sull’esprimere la nostra unicità.
Ma la verità è che tutti siamo già unici esattamente come siamo. Non dobbiamo fare chissà che per tirare fuori questa fantomatica “unicità”, basta essere ciò che siamo.
Il problema, però, è proprio questo: a noi non piace essere ciò che veramente siamo, coi nostri difetti che nascondiamo talmente tanto che, a volte, nemmeno noi sappiamo di avere.
Essere fragili, noiosi, pigri, svogliati, banali, mediocri, brutti… Che orrore! E allora via di influencer e Drusilla, che non hanno difetti e sono perfetti!
La verità è che non abbiamo bisogno di più unicità, poiché tutti siamo già unici, ma di più autenticità.
Avere il coraggio di essere se stessi, con i propri difetti, senza inventarsi maschere, accettarsi e farsi vedere per come si è davvero, senza temere il giudizio della società, questo è l’atto di più estremo coraggio che si possa fare.


COLONNA SONORA
non bisognerebbe -Francesco Guccini
Canzone di notte n°2 -  "




8.2.22

Il primo oro di Eileen Gu, la principessa che incanta la Cina., Cina, oriundi e naturalizzati per salvare le Olimpiadi. Spazio anche agli atleti del Tibet., Il canadese Max Parrot ha vinto l'oro olimpico nella finale maschile dello Snowboard Slopestyle.










Diciotto anni, nata in America, padre statunitense e madre cinese, studia a Stanford, fisico da modella e volto perfetto per le riviste patinate, tre anni fa scelse di dire addio al Team Usa e di gareggiare per Pechino. Scelta che l'ha trasformata in una specie di eroina nazionale Una medaglia d'oro olimpica nel freestyle, specialità Big air, conquistata con un’acrobazia mai eseguita prima in gara. Ma Eileen Gu, padre americano e madre cinese, non è solo una campionessa dello sci acrobatico, in cui punta a vincere in altre due discipline, l'halfpipe e lo slopestyle, in questi Giochi invernali. È anche una studentessa modello e un’icona giovanile da più di un milione di follower in Cina.

PECHINO
Festeggerà con una barretta che si è portata dalla sua San
Francisco della mitica cioccolateria Ghirardelli e dice che si rilasserà suonando il pianoforte in attesa di ritornare ad allenarsi e vincere un'altra medaglia. Eileen Gu, la "principessa delle nevi", il primo storico oro se l'è portato a casa stamattina nel big air freestyle, sullo sfondo dei vecchi altiforni di Shougang, l'ex acciaieria di Stato trasformata nel tempio delle acrobazie con gli sci (con la tennista Peng Shuai sugli spalti a fare il tifo per lei). Ma l'oro di oggi, probabilmente, non sarà l'ultimo. Eileen, anzi Ailing come la chiamano qui, è la superstar di casa. Diciotto anni, nata in America, padre statunitense e madre cinese (ex istruttrice di sci a Lake Tahoe, figlia di un funzionario, emigrata negli Usa 30 anni fa), studia a Stanford, fisico da modella e volto perfetto per le riviste patinate, tre anni fa scelse di dire addio al Team Usa e di gareggiare per la Cina. Scelta che qui l'ha trasformata in una specie di eroina nazionale. "Voglio essere di ispirazione per migliaia di giovani, qui nella terra dove è nata mia madre", scriveva all'epoca della scelta su Instagram.


Su Weibo, il Twitter cinese, ha tre milioni di follower. Più di 500mila su Instagram (che però in Cina è bloccato), dove posta storie con la bandiera americana, quella cinese e un cuoricino. I cartelloni pubblicitari a Pechino delle grandi aziende cinesi la mostrano sempre sorridente. È stata ed è il volto delle pubblicità della Bank of China e della China Mobile, delle caffetterie Luckin, del marchio sportivo Anta, sponsor ufficiale dei Giochi, e del gigante dell'e-commerce Jd. Ma anche di brand occidentali come Louis Vuitton, Tiffany, Estee Lauder, Victoria's Secret e Cadillac.
La stampa di Stato le dedica servizi da giorni: fortissima, bellissima e motivo di orgoglio massimo visto che ha abbandonato la bandiera a stelle e strisce per scegliere quella rossa a cinque stelle della Repubblica popolare.
Alcuni giornali statunitensi, in risposta, fanno notare le contraddizioni di Eileen: gareggiare per la Cina ma continuare a vivere e studiare negli Usa. Fox News l'ha addirittura apostrofata come "la figlia ingrata d'America". Così, giusto per abbassare la tensione. Lei ha sempre tagliato corto, anche stamattina dopo la gara: "Sono cresciuta spendendo il 30% del mio tempo in Cina. Parlo mandarino e inglese. Mi sento sia cinese che americana. La mia missione è quella di creare un ponte tra i due Paesi, una connessione. E non una divisione". Da quando è nata, tutti gli anni, la mamma la porta infatti a passare le vacanze qui in Cina.
Sui social e nelle rare interviste evita accuratamente di farsi invischiare in polemiche politiche: un equilibrismo difficile tanto quanto i salti meravigliosi che fa in pista. L'ultima polemica è quella sul suo passaporto: quale ha? Nessuno lo sa. La Cina non permette la doppia nazionalità. Dunque ha dovuto buttare nel cestino quello americano? Lei non ne parla mai, dà sempre risposte evasive. Stessa cosa il comitato olimpico cinese e pure il ministero degli esteri. Una "cinese d'oltremare", come vengono definiti: anche loro fanno parte della nazione e del sogno cinese immaginato dal presidente Xi.
Le sue vittorie parlano da sole: ad appena 18 anni ha già vinto tre medaglie a Losanna nel 2020 alle Olimpiadi giovanili, altre tre agli X Games ad Aspen l'anno successivo e due ori al mondiale, sempre nel 2021.
Gu "dovrebbe essere un idolo per tutto il mondo", scriveva qualche giorno fa il Global Times, tabloid in lingua inglese affiliato al Partito. "Una volta la gente voleva essere americana, quindi perché non accettare ora che la gente voglia essere cinese?". 


la seconda news è un evento storico visto che "La Cina di Xi è sempre più repressiva: sta provando a sradicare l'identità dei tibetani" ma ecco che   si fa  ricorso ad   oriundi  (  Alle Olimpiadi di Pechino i millesimi saranno primi ) e naturalizzati per salvare le Olimpiadi. Spazio anche agli atleti del Tibet

  Infattti Finisce la tradizione del Dragone di pescare rigorosamente dal bacino interno. Per non fare brutta figura il partito ha aperto a sciatori e giocatori di hockey cresciuti negli Stati Uniti, in Canada e in Russia. Oltre che nella regione occupata da Pechino

PECHINO — Posano sulla copertina di Vogue, sono cresciuti in case frequentate da rockstar (americane). Oppure sono scesi dalle montagne del Tibet, allargando la geografia degli sport invernali. È una nazionale patchwork, quella cinese che si prepara ad affrontare le Olimpiadi invernali in casa. Accanto alle cinque stelle della bandiera rossa c'è una pennellata di star and stripes, foglia d'acero e addirittura di tricolore russo. Non c'è stata solo rigida selezione nell'immenso bacino cinese, sacrifici spesso disumani per raggiungere l'eccellenza tra giovani pescati in tutte le province. Non sarebbe bastata, per mettere insieme una squadra degna di questo nome nell'hockey su ghiaccio. Il Cio e la federazione internazionale si sono chiesti a lungo se la nazionale di casa fosse in grado di presentarsi ai Giochi senza rimediare figure barbine. Alla fine è arrivato il via libera. Ma a quali condizioni?
I Chelios sono una famiglia di origine greca che negli States sono ormai identificati con l'hockey. Il padre Chris fa parte della Hall of Hame, e nella storia olimpica vanta un record: nessuno aveva mai giocato due tornei a distanza di ventidue anni, tra Sarajevo 1984 e Torino 2006. La maglia col suo nome è apparsa in qualche sit-com, riflesso di una fama che va oltre il ghiaccio. Chelios vanta amici famosi: attori come John Cusack, rockstar come Kid Rock, Eddie Vedder dei Pearl Jam, Billy Corgan degli Smashing Pumpkins. In questo ambiente è cresciuto suo figlio Jake, anche lui giocatore, non ai livelli del padre, ma capace comunque di arrivare ai Detroit Red Wings. Fino a quando è scaduto il contratto, e si sono fatti avanti i Kunlun Red Star.
Una squadra cinese, affiliata però alla lega russa KHL. Per affrontare avversari competitivi, formandosi verso Pechino 2022. Con scarsi risultati: le Ali Rosse giacciono a fondo classifica. Ma intanto il suo roster ha dato la linfa a questa nazionale cinese che debutterà proprio contro gli Stati Uniti il 10 febbraio al National Indoor Stadium. Le sue star? Oltre a Chelios junior, Jeremy Smith, preso da Nashville nel draft 2007, e l'altro americano Cory Kane. Poi i canadesi: Brandon Yip, che ha origini cinesi, più altri nove. E un russo, che nell'hockey fa sempre comodo: fa il difensore e si chiama Denis Osipov. I nati sui territorio cinese sono 8 su 25. Ma è tutto regolare: la federazione internazionale permette di rappresentare una nazione se ci si trasferisce in un suo club per almeno due anni.
Ben diversa è la storia di Eileen-Ailing Gu, acrobata dello sci freestyle, amatissima dai cinesi che la chiamano "la principessa ranocchia" per il suo casco verde. Nonostante sia cresciuta negli Stati Uniti e incarni alla perfezione il modello della ragazza copertina made in Usa. Apparsa come modella su Vogue (edizione cinese), Cosmopolitan, Harper's Bazaar, icona della Red Bull. Prima donna ad atterrare un salto quadruplo chiamato Double Cork 1440, idolatrata dai fan americani ma molto decisa, quando nel giugno 2019 ha scelto di rappresentare la Cina in onore della madre. Della lingua mandarina che scandisce perfettamente, con accento di Pechino dicono gli esperti. La sua decisione shock ha scatenato anche minacce di morte sui social, ma questo è il momento di non guardare indietro e "ispirare milioni di giovani cinesi", uno dei suoi obiettivi dichiarati.
Cosa resta della Cina programmatrice dei suoi talenti, che inventa dal nulla prodigi partiti da posti che fatichi a trovare sulla cartina? Continua a lavorare per creare una super squadra voluta dal partito per gli sport invernali. E se non otterrà magari medaglie in questa edizione, a livello di immagine può vantare già i primi qualificati del Tibet alle Olimpiadi invernali. Si chiamano Yongqinglamu, una snowboarder di 17 anni, e Cirenzhandui, fondista di 18. La prima giocava a calcio, il secondo era mezzofondista. Ai tempi dell'Olimpiade di PyeongChang 2018 non avevano la più pallida idea di quel che li aspettava. Sono cresciuti all'interno della gloriosa squadra di arrampicatori tibetani, l'unica struttura sportiva di alto livello, un tempo, sulle montagne che ora vengono chiamate regione autonoma dello Xizang. Quattordici anni fa il Tibet era motivo di scontri e proteste per le strade al passaggio della torcia olimpica di Pechino 2008. Ora è una nuova frontiera del gigantesco progetto del turismo invernale cinese.


Il canadese Max Parrot ha vinto l'oro olimpico nella finale maschile dello Snowboard Slopestyle.

 

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